La crisi catalana sta assumendo caratteristiche ricorsive, come se ognuna delle parti cercasse un pretesto per tornare indietro.
Ricapitoliamo i fatti. A giugno il Parlamento catalano approva una legge che prevede uno sconclusionato referendum senza quorum (sì, se fossero andate a votare solo 100 persone, il loro voto avrebbe prevalso su tutti i milioni di catalani) che poneva il quesito se si volesse la indipendenza dalla Spagna. La legge prevede anche che, in caso di vittoria dei sì, entro 48 ore ci sarebbe stata la dichiarazione ufficiale di indipendenza. Il referendum fu convocato per il 1° ottobre.
Subito il Governo spagnolo e la Corte Costituzionale dichiararono che il referendum era illegittimo e quindi da considerarsi nullo.
Da giugno a ottobre solo schermaglie:
Da una parte si continuava a riaffemare la nullità del referendum ed, in caso di inadempienza, il ricorso allo art. 155 della costituzione sulla revoca della autonomia catalana. Dall’altra, a muso duro, si continuava verso il referendum, nonostante che molte aziende cominciassero a trasferirsi fuori dalla Catalogna e la comunità internazionale facesse chiaramente intendere di non riconoscere il nuovo Stato e che giammai esso sarebbe entrato nella UE.
Il primo ottobre abbiamo visto in diretta lo svolgimento non proprio regolare del referendum con alcuni seggi chiusi dalla guardia civil, le schede autostampate da internet, votanti in pellegrinaggio fra i seggi guidati da una app che segnalava quelli liberi.
Nonostante ciò, il Governo catalano proclamava la vittoria del sì, ma dal parlamento catalano non arrivava la dichiarazione di indipendenza, ma Puidgemont dichiarava la Catalogna indipendente ma….dopo un minuto sospendeva la indipendenza stessa.
Cominciava così un balletto di domande di Madrid e di non risposte di Barcellona: “Avete dichiarato la indipendenza?”. “Il popolo catalano ha votato sì”. “Ma l’indipendenza è stata dichiarata?”. “Madrid opprime la Catalogna” . Il tutto condito con una serie di ultimatum e penultimatum con giravolte da fare invidia alle veroniche di un Torero.
Ieri la svolta. Sì, no, forse. Tutti i media spagnoli, tutti trasmettevano verso le 13 una breaking new “È sicuro, alle 13.30, Puidgemont cede, scioglierà il parlamento catalano e indirà nuove elezioni per scongiurare la abolizione della autonomia catalana. O, forse, no. I minuti passano, la dichiarazione viene rinviata.
Poi alle 17 Puidgemont se ne esce che non può indire nuove elezioni perché Madrid non ha fornito le necessarie garanzie (quali?).
L’ovvia conseguenza sarebbe stato una serie di consultazioni su queste garanzie.
E, invece, no.
Allora diciamo che la grande novità di oggi, 27 ottobre è che entrambe le parti hanno fatto esattamente quello che avevano detto che avrebbero fatto 26 giorni fà: il parlamento catalano ha dichiarato l’indipendenza ed il senato spagnolo ha applicato l’art.155 revocando tutti i poteri al governo e al consiglio catalano e advocandoli al governo spagnolo.
In più il Governo spagnolo ha già indetto nuove elezioni in Catalogna per il 21 dicembre.
Secondo me Puidgemont intenderà queste elezioni come riedizione concordata del referendum e tutto ricomincerà da capo.
Fino a quando?