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Per una volta voglio scrivere di un argomento non serio o, meglio., prendere da un argomento molto serio quello che si chiamano “note di colore”, leggere, lievi, quasi gossip.

Avvenimenti tanti, molti nascosti, non tanto per la loro pericolosità, ma perché mal si adattano ad un avvenimento che coinvolge i Grandi del mondo.

Sono passati trentacinque anni, quasi tutti i protagonisti sono passati a miglior vita ed il termine di secretazione è abbondantemente trascorso, non corro rischi a raccontare qualche aneddoto che più che far sorridere, mostra come i cd. “grandi del mondo” altri non siano che esseri umani come noi.

Per la mia professione sono stato spesso a contatto con i Leader italiani, Europei e mondiali: un po’ di aneddoti li conosco.

Inquadriamo l’avvenimento: dall’8 al 10 maggio del 1987 il Vertice dei sette grandi (il G7) a Presidenza italiana si svolse a Venezia che fu scelta sia perché con la sua conformazione ad isole è ben difendibile e sia perché aveva accumulato l’esperienza del G7 di sette anni prima.

Per l’Italia era un periodo di turbolenze: il Presidente del Consiglio, Amintore Fanfani era dimissionario (in carica solo dal 18 aprile al 29 luglio 1987) perché già erano state sciolte le Camere e convocati i comizi elettorali per il 14 e 15 giugno del 1987 per la loro rielezione. Il Presidente della Repubblica era Francesco Cossiga.

I partecipanti, comunque, furono:

Brian Mulroney per il Canada, Francois Mitterrand per la Francia, Helmut Kohl per la Germania, Amintore Fanfani per l’Italia,

Yasuhiro Nakasone per il Giappone, Margaret Thatcher per il Regno Unito, Ronald Reagan per gli USA e Wilfried Martens per la Comunità europea.

I lavori si svolsero fra la Fondazione Cini all’isola di San Giorgio e la Prefettura.

E il Gossip dove è? Comincia ora. Almeno ora anche i diversamente giovani conoscono i personaggi e le location.

Gli alloggi della Polizia

Vi chiederete quale fu il primo problema? La sicurezza? Gli alloggi dei sette Grandi? I tragitti? No, no, il primo problema fu trovare l’alloggiamento per le forze dell’ordine (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza) che avrebbero dovuto vegliare sulla sicurezza dei Leader. Dove li mettiamo? L’esperienza non serviva perché nel vertice precedente i poliziotti erano ancora militari (la riforma che smilitarizzò la polizia è del 1981) e, come militari, i turni erano allungabili come gomma da masticare. Bisogna tener presente che tutti gli alberghi sulla costa e in prossimità della laguna erano già requisiti dai Leader, dai loro sherpa, dai loro seguiti, dai giornalisti etc. etc. Erano rimasti solo alberghi nell’entroterra veneto abbastanza distanti dai luoghi prescelti per la sorveglianza. Alla distanza si aggiungeva il fatto che il tempo necessario per il percorso “albergo-luogo di servizio”, per i poliziotti ormai civili era computato come tempo di lavoro: si arrivava all’assurdo che, partiti dall’albergo e giunti sul luogo di servizio, il tempo di lavoro era quasi del tutto trascorso. La questione fu risolta da un giovane funzionario che propose di noleggiare navi da crociera da ancorare nei porti limitrofi ai luoghi di servizio in modo da risparmiare tempo e distanza.

Ma il diavolo ci mise la coda: la mattina presto della vigilia del vertice, una delegazione furibonda di sindacalisti della Polizia irrompe in Prefettura per fare forti rimostranze al Prefetto per come erano trattati. Secondo loro la nave era invasa da un puzzo nauseabondo che impediva qualsiasi attività. Strano, la nave era nuova e ben ripulita. Niente, la spiegazione era molto più semplice: i tubi che aspiravano l’aria per il condizionamento della nave attraccata alla banchina erano vicini ad un cumulo di soia fermentata abbandonata lì per caso.  Tolta la soia, pulita la banchina, il problema n.1 era risolto.

L’Università americana

Di fronte la Prefettura di Venezia c’era, e c’è, la “fondazione Peggy Guggenheim” la Casa museo dell’artista omonima, morta nel 1979, ora adibita a museo. A fianco della Fondazione sorge l’edificio di una Università privata americana i cui studenti, spesso, per pagarsi la retta, fungono da guide e sorveglianti del museo. Dalle finestre della Prefettura, separata solo dal Canal Grande, si gode una ottima vista degli edifici del Museo e dell’Università. Da qualche giorno prima del Vertice, stranamente, le imposte delle finestre dell’Università erano sempre serrate, come se non ci fosse alcuno, ma, quando si aprivano per far cambiare l’aria, l’interno era pieno di computer schermi e materiale elettronico. CIA? NSA? DIA? Chi lo sa? Unica cosa visibile erano le antennine puntate direttamente verso la nave militare USA [senza oblò: guerra batteriologica e informatica] ancorata alla fonda proprio davanti San Marco.

Un ulteriore aneddoto: vedevo le classiche barche coperte veneziane che entravano nel canale prospiciente l’Università. “Sa cosa portano?” mi chiese l’ufficiale italiano di collegamento. “No, non armi o strumenti difensivi: ma patatine, popcorn, coca-cola, le fanno venire dalla loro base di Vicenza, non si fidano di quelle acquistate in loco”. Mi venne da ridere.

La sera era in programma la cena in Prefettura. Una semplice cena? No, Una cena piena di problemi.

Già la mattina si rivelò foriera di angustie: mentre i camerieri stavano approntando i tavoli tondi con finissime tovaglie di pizzo bianco, Andreotti e Fanfani chiesero un caffè. Il solerte cameriere arrivò con il grande vassoio di argento, ma i due Leader presero le tazzine e, senza piattino, le posarono sulla candida tovaglia. La faccia del cameriere (e la mia) sbiancò, ma i danni furono – per fortuna – quasi irrilevanti.

Dal caffè mi distrassero problematiche informatiche e telefoniche.  Dovete sapere (eravamo nel 1987, non c’erano i telefonini) che il Presidente USA, ovunque si trovasse, doveva avere a portata di mano un vero e proprio centralino che gli permettesse, tramite ponte radio con la nave militare alla fonda davanti San Marco, di comunicare con l’intero mondo. Il Palazzo della Prefettura, Cà Corner, costruito a metà del ‘500 su un fabbricato preesistente, era attrezzato più per concerti da camera e balli in maschera che per ospitare sofisticati centralini telefonici. Il bello è che i marines non riuscivano a far funzionare l’antidiluviano modem allora in uso con grande divertimento dell’ufficiale di collegamento italiano che conosceva la soluzione, ma li lasciava friggere per un bel po’. Eppure, per i meno giovani la cosa era banale: bastava aggiungere un ATX3. (Se volete sapere cosa sia cliccate qui). Anche qui gli americani si dimostrarono superbi e ignoranti su qualsiasi tecnologia non fosse la loro.

Vergogna

Il tempo della cena stava arrivando e due episodi mi toccarono: la Sicurezza americana perquisì tutti i presenti, compreso il Prefetto, i funzionari, i poliziotti. Poi chiese chi dei poliziotti fosse armato e ad essi distribuì una strana spilla ottagonale dorata: “Se vedo un’arma in mano a chi non ha la spilletta, spariamo a vista! Se c’è una sparatoria tutti i poliziotti si mettano il berretto in modo da indentificarli!”. Per avere Reagan in Prefettura dovemmo sopportare questa scena vergognosa che mi risparmiai perché – unico ad avere il badge per circolare fuori dalla Prefettura – ero andato, con un motoscafo guidato da un poliziotto a prendere l’allora Presidente della Camera Nilde Iotti.

Il “nuclear football”

Ero il più giovane, masticavo un po’ di inglese e mi fu affidato un compito che si rivelò alquanto complesso. Come sapete il Presidente USA è sempre seguito da un Ufficiale dei Marines che porta la “nuclear football”, ossia la famosa valigetta per attivare i codici delle armi nucleari. Il mio compito era convincere l’alto (in tutti i sensi) Ufficiale a deviare dal suo percorso in scia a Reagan, entrare in una stanza dove, comodamente seduto su un divano del ‘600, rimaneva a contatto con il Presidente, separato solo da un muro di cartongesso e da un’altra porta facilmente apribile. Più facile a dirsi che a farsi. Innanzitutto la distanza verticale: il Marine era alto almeno due metri, io sono alquanto bassino: far arrivare il mio scarno inglese all’orecchio del Marine che comprendeva solo lo slang americano non fu impresa facile. Beh, mi attaccai alla valigetta (che era alla mia altezza) e cominciai a tirare verso la stanza assegnata: ci capimmo con lo sguardo. Ebbi modo di osservare bene la valigetta: bruttarella, una 48 ore di finta pelle avvolta in una copertura di tela grigia come se ne vedono tante ai check-in degli aeroporti. Chiesi se potevo ammirarne l’interno, ma – ovviamente – mi fu negato. Almeno feci amicizia con il gigantesco Marine.

All’inizio tutto filò liscio, tranne un “incidente voluto” dalla Thatcher. Il protocollo le imponeva di arrivare in posizione intermedia ma, si sa, le persone più importanti arrivano per ultime. Chissà perché la Thatcher si sporse un po’ troppo dal bordo del motoscafo che la portava in Prefettura e…. si bagnò il vestito con conseguente cambio di abito e conseguente provvidenziale ritardo che le consentì di arrivare ultima.

La cena iniziò in una atmosfera surriscaldata dai vetri blindati serrati e dall’assenza dell’impianto di condizionamento, vietato in un palazzo del ‘500.

La toilette

E qui inizia l’odissea del bagno, sì della toilette. Un palazzo del ‘500 non ha un numero di bagni sufficiente per tutti: al piano ove si svolgeva la cena c’erano tre bagni. Il primo, inagibile per gli ospiti, era occupato da Fanfani e dalla sua terribile moglie; il secondo era proprio dietro al nugolo di marines che accudivano il centralino di cui ho parlato; rimaneva il terzo, un po’ nascosto, proprio a fianco della stanza dove mi trovavo io.

Gli ospiti avevano una certa età e quando si ha una certa età il ricorso al bagno è piuttosto frequente e visto che l’unico bagno disponile non era proprio in vista, immagino che gli augusti ospiti si scambiassero le necessarie indicazioni per arrivarci. Dalla mia postazione sentivo infatti un discreto viavai fino a che “il telegrafo sena fili” commise un errore. Vedo aprire la porta della stanza nella quale mi trovavo e comparire nienteopodimenoche Ronald Reagan con la mano già sulla patta dei pantaloni a significare l’urgenza della bisogna. Aveva sbagliato porta pensando che quella ove mi trovavo era proprio il bagno. Ci fu un attimo di sorpresa: ci guardammo, ricordo la maschera di cerone del Presidente USA che quella di Berlusconi era da dilettante, ma subito la scena cambiò. I due giganteschi agenti del Secret Service si accorsero che la stanza non era vuota, scostarono Reagan bruscamente, mi si pararono davanti con le armi puntate. Altro momento di sorpresa. Lo sguardo, meglio delle parole, chiarì l’equivoco “Oh, Mr. President, you’re looking for the lavatory, aren’t you? You follow me please, I’ll show you!”. Nell’attesa che Reagan espletasse Ie sue necessità feci amicizia con i due giganteschi marine che mi fecero i complimenti per la location.

I NOCS

La cena volgeva al termine, ma dalla sicurezza giunse l’ordine di ritardare perché c’erano movimenti sospetti sui tetti prospicienti.  Ma c’era anche il personale della Prefettura che doveva rientrare a casa, passando la laguna e non avevano di certo il motoscafo a disposizione. Si era fatta anche una certa ora e per dar loro conforto cerco un orario di traghetti ed autobus che, mi dicono, si trovava in una stanza al piano inferiore. Scendo una scalinata, entro nella stanza e, siccome ara buio, accendo la luce. Un urlo belluino precedette la visione di un NOCS (Nucleo operativo centrale di sicurezza) che, in piedi, tuta nera e mephisto di ordinanza puntava il fucile a cannocchiale attraverso la finestra aperta verso l’esterno: gli avevamo rovinato l’appostamento e la mimetizzazione. Fortunatamente i “movimenti sospetti” si rivelarono innocenti veneziani che, incuriositi dall’evento, cercavano di sbirciare l’interno della Prefettura con i suoi augusti ospiti.

E Nakasone?

Come Dio volle la stressante cena finì. Noi superstiti, stanchi, affamati (non avevamo mangiato nulla) cercavamo gli avanzi; qualcuno, stravaccato su di una poltrona, fumava la sua agognata sigaretta, prima vietata. Anche io ero seduto su un puff addentando un tramezzino quando una gentile mano guantata di bianco mi fece toc toc sulla spalla. Mi giro e un compunto giapponese, in perfetto italiano mi disse “Mr. Nakasone vorrebbe sapere se può andar via e se il suo motoscafo è pronto”. Ce lo eravamo dimenticato! Certe volte mi sorprendo: faccio un rapido calcolo: Sì, Nakasone è l’ultimo dei sette Grandi ad andare via, così come l’onnipotente Protocollo aveva deciso; i motoscafi si accostavano alla banchina nello stesso ordine; quindi – se il diavolo non ci aveva messo ancora una volta lo zampino – il motoscafo di Nakasone era giù a dondolarsi in laguna attraccato al molo. “Certo che Mr. Nakasone può andare via. Il suo motoscafo lo sta aspettando nel medesimo luogo in cui l’ha lasciato. Ora l’accompagno”. Superando gli innumerevoli ringraziamenti a mani giunte tipici dei nipponici mi dirigo verso Nakasone, lo invito a scendere, con la sua scorta e i suoi sherpa per lo scalone e mi precipito, per una scaletta di servizio a controllare che tutto fosse a posto. Mi ritrovo con Nakasone come se nulla fosse al bordo del motoscafo, lo aiuto a salire e lo saluto affettuosamente. Era veramente finita.

I fogli dei posti a tavola

Dovete sapere che una cosa complicata è stabilire i posti a tavola: Di solito si parte dal Padrone di casa e poi, alternativamente a destra e a sinistra, vengono posti i commensali secondo l’ordine alfabetico internazionale dei Paesi che rappresentano. Ma stavolta il pranzo del giorno dopo era un po’ più complicato e l’ordine a tavola subiva qualche eccezione secondo gli affari bilaterali da discutere.

La posizione al tavolo per la colazione di lavoro che si sarebbe dovuta svolgere all’isola di San Giorgio alla Fondazione Cini fu stabilita dagli sherpa durante la cena in Prefettura della sera prima.

Noi eravamo tranquilli: la colazione di lavoro all’isola di San Giorgio era sotto l’egida del Cerimoniale Diplomatico degli Esteri e a noi sarebbe toccata una giornata di riposo, salvo imbarcare Fanfani che alloggiava in Prefettura e accontentare la terribile moglie che ne aveva sempre una.

Ma……qualcosa andò storto. Telefonata concitata: all’isola di San Giorgio non riuscivano a trovare il foglio dei posti a tavola. Era rimasta una copia in Prefettura? Da portare velocemente all’isola che la colazione stava per iniziare. La copia c’era. La prendo, faccio un cenno ad un motoscafista e mi ritrovo, in barba a tutti i limiti di velocità lagunari, in una corsa sfrenata nel bacino di San Marco sollevando nuvole d’acqua con il mezzo nautico. Arrivo al pontile di San Giorgio, salto giù, corro dentro la Fondazione Cini verso la sala da pranzo quando una montagna mi si abbatte sulle spalle. Prima che tutto diventi nero faccio a tempo a consegnare il prezioso foglietto ad un funzionario degli Esteri e vedere la faccia rubiconda di una delle guardie del corpo di Reagan che mi aveva salutato con una pacca sulle spalle usando quell’arma impropria della sua mano.

Mi riprendo insegnando alla squadra del secret service come si fa un vero spritz alla veneziana.

Il ritorno in motoscafo in prefettura fu dedicato a sincronizzare le onde della laguna con l’ondeggiamento dovuto alla leggera sbronza.

Cossiga, il rovinapiani.

Finalmente arriva l’ultimo giorno. E, nell’ultimo giorno è tradizione che il Capo dello Stato offra un pranzo agli ospiti stranieri che si sarebbe svolto in un Grande albergo sul Canal Grande. Alle dieci, il Presidente Francesco Cossiga si presentò in Prefettura dove lo attendevano il Presidente del Consiglio dei Ministri Fanfani ed il ministro degli esteri Andreotti. I tre motoscafi per le tre personalità erano già pronti attraccati alla banchina della Prefettura. Ma Cossiga, al solito, aveva altri piani. Entrò nella sala dove lo attendevano Andreotti e Fanfani sventolando i quotidiani del giorno che titolavano sulle proteste dei veneziani stufi di vivere in una città blindata dalle forze dell’ordine italiane e straniere. Con il suo simpatico accento sardo, arringò i presenti: “Basta, non si può continuare così, i veneziani hanno ragione, non ci sono pericoli imminenti, diamo un esempio ché fra poco ci sono le elezioni. Sono solo 200 metri, è una bella giornata di sole, ANDIAMO A PIEDI!!!”; prese sottobraccio Fanfani ed Andreotti e si diresse, spedito, verso le scale.

Altro che “Houston, abbiamo un problema!”: Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Ministro degli esteri soli per le affollate calli di Venezia senza protezione, visto che quell’itinerario non era contemplato!!! Allarme Rosso!!!!

La solita ripida scaletta di servizio mi fece guadagnare metri preziosi rispetto l’augusta discesa per lo scalone d’onore preso dal trio.

Arrivati trafelato alla prima pattuglia, mi qualificai e li pregai di diffondere via radio la notizia del passaggio dalla prefettura al grande albergo del trio di Stato e di “proteggerli”. Fortunatamente il tragitto era molto breve e la sorpresa dei veneziani fece il resto. Il Trio VIP arrivò sano e salvo al Grande Albergo.

Epilogo

Tutto sommato il Vertice andò molto bene, lontanissimo dai fattacci di Genova e dalle contestazioni in altri Stati, non ci furono incidenti, salvo una barca di Mario Capanna che voleva tenere un comizio elettorale nell’isola di San Giorgio e alcune lamentele dei poliziotti e carabinieri che si lamentavano per il ritardo del cambio turno.

Anche se giovane, imparai molto e feci molto e soprattutto….. mi divertii parecchio.

Un Insegnamento? Mai fidarsi a lasciare un incombenza ad altri: chi fa da se fa per tre.

Il primo di gennaio, il primo giorno del nuovo anno, il ricordo va sempre ad un’opera studiata al liceo.

Il venditore di almanacchi e il passeggere.

Metafora dell’animo umano, sempre speranzoso che le cose vadano meglio. Come chi compra un biglietto della lotteria, pur sapendo che ha un possibilità su 10 milioni di vincere.

Forse nel 2022, dopo due anni di pandemia, ce lo meritiamo

Eccola:



Venditore: Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?


Passeggere: almanacchi per l’anno nuovo?


Venditore: Si signore.


Passeggere: Credete che sarà felice quest’anno nuovo?


Venditore: Oh illustrissimo si, certo.


Passeggere: Come quest’anno passato?


Venditore: Più più assai.


Passeggere: Come quello di là?


Venditore: Più più, illustrissimo.


Passeggere: Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?


Venditore: Signor no, non mi piacerebbe.


Passeggere: Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?


Venditore: Saranno vent’anni, illustrissimo.


Passeggere: A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.


Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?


Venditore. No in verità, illustrissimo.


Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?


Venditore. Cotesto si sa.


Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?


Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.


Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?


Venditore. Cotesto non vorrei.


Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?


Venditore. Lo credo cotesto.


Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?


Venditore. Signor no davvero, non tornerei.


Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?


Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.


Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?


Venditore. Appunto.


Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?


Venditore. Speriamo.


Passeggere. Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.


Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.


Passeggere. Ecco trenta soldi.


Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.





Quando posso, alla prenotazione del volo, chiedo un “pasto speciale” anche non avendo nè preclusioni nè particolari necessità. Stavolta ho optato per pasto a basso contenuto di colesterolo. Ho notato che, in genere, i pasti speciali sono migliori della sbobba che di solito propinano sugli aerei e, sicuramente, sei servito per primo. Stavolta mi è toccata scaloppina di pollo con purea, insalata mista e macedonia. Non male, tranne il pane, scongelato ma quasi non cotto. Ed è andata bene vedendo gli gnocchi compressi serviti al mio vicino.
Cerco di passare il tempo, il tempo che non passa, passa troppo lentamente, anzi, quasi torna indietro. Leggere che l’aereo parte alle 12.10 e arriverà alle 15.40 mette di buon umore. Peccato che fra i due orari ci siano sei fusi orari per complessive quasi 9 ore e mezzo di volo.
Una volta mi piacerebbe viaggiare nelle comode e confortevoli “capsule” di prima classe dove hai spazio, TV, stendi di piedi quasi come in un letto.
Poi mi dico sempre che la classe economica (per carità, non si chiama più così, guai a parlare di “economica”. Qui si chiama Main Cabin 2) arriva a destinazione senza alcun ritardo rispetto alla prima classe e rinuncio.
In aereo mi viene continuamente di pensare al tempo, a questa entità costruita da noi umani. Lo schermo davanti a me traccia la rotta dell’ aereo sul planisferove indica le principali città del mondo con l’ora locale.

Mi immagino nello stesso momento, nello stesso giorno, mentre io sono in questa scatola che viaggia fra i fusi orari, un cittadino di Los Angeles si alza sbadigliando dal letto. Alle 7.00, puntuale, la sveglia ha fatto il suo lavoro. Si alza e guarda dalla finestra il sole. Nello stesso momento un cittadino di Hong Kong, dopo una giornata di lavoro, guarda le stelle e l’orologio, son passate le 23.00, sbadiglia ed è ora di andare a dormire. Vivono lo stesso momento alla vista di chi possa vederlo, magari da Marte, lo stesso momento, ma due situazioni completamente diverse.
Non ce ne curiamo più. Da bambini a scuola ci hanno insegnato che la terra gira e che due posti diversi hanno orari diversi. D’altronde, l’esigenza di avere, all’interno dello stesso fuso orario lo stesso tempo si è avvertita solo quando l’uomo, con le ferrovie, ha cominciato a muoversi da un posto all’altro. È un discorso che mi ha sempre affascinato.

Ed è proprio in aereo che il tempo di distorce, si allunga, si accorcia. Forse non è uguale neppure per quel paio di centinaio di persone chiuse insieme nel sigaro d’acciaio.

Hai lasciato casa ad una certa ora, che ora non è più quella. Certo, l’hai lasciata tre ore fa, ma a casa ora non è più l’ora in cui l’hai lasciata più le tre ore del distacco. Secondo la direzione presa dall’aereo possono essere la stessa ora tua, più quattro ore o meno due ed è difficilissimo fare un calcolo sul momento. Solo all’arrivo il GMT+5 coinciderà davvero con il reale, ma, davvero, non avrai viaggiato per 5 ore, ma per un tempo diverso.

E, prima ancora che il viaggio cominci, ti perdi negli arabeschi del tempo.

Sanità Lazio. Secondo me bisogna riferire non solo le magagne della Pubblica amministrazione, ma anche le sue efficienze. Quest’anno era fortemente raccomandata sia la vaccinazione antinfluenzale, sia quella antipneumococco (polmonite). Ebbene verso la fine di ottobre il mio medico di base mi ha vaccinato contro l’influenza, Siccome l’ASL non gli aveva mandato i vaccini per il pneumococco, sono andato sul sito dell’ASL Roma 2 dove ho prenotato il vaccino: mi hanno dato appuntamento dopo un mese il tal giorno e alla tale ora. Ci sono andato, avevano gli elenchi pronti subito mi hanno vaccinato. Sarò stato in ambulatorio non più di 7-8 minuti. Una buona prova di efficienza. Grazie.

Era una domenica sera. In casa. Selezionavo alcune diapositive nella mia cameretta. La radio, una stazione locale,  trasmetteva musica. D’un tratto il conduttore gridò, un forte rumore coprì quel grido. Tutto cominciò a muoversi velocemente. Saltò la luce. Nel buio sento i parenti gridare e pregare nel soggiorno. Facemmo la cosa sbagliata: terrorizzato ci precipitammo per le scale. Un minuto dopo eravamo nel lungomare di fronte casa.
Il piacere di ritrovarsi tutti vivi, l’ansia di capire cosa e dove fosse successo. Le sirene. I calcinacci per terra. Le prime notizie dalla radiolina.
L’adrenalina ci spinse a tornare su a casa a prendere il necessario.
Dopo tre ore mi trovo con la tenda da campeggio montata sull’aiuola e il fornello o da campo su cui bolliva latte e cacao. Ne offrii un bicchiere ad un passante dagli occhi sbarrati “Vengo da Balvano” disse, e andò via. Notte insonne, fra nuove paure, notizie tremende, la consapevolezza che la mia città era stata colpita leggermente, ma tutt’intorno era disastro.
La mattina presto una parvenza di normalità fu l’odore dei cornetti dal forno vicino.
Sarebbe stata lunga tornare alla normalità.

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