Archivi per il mese di: febbraio, 2019

Gli organi di informazione danno ormai per scontata la nomina di Pasquale Tridico alla guida dell’INPS al posto di Tito Boeri.

Ma sapete chi è costui? Non lo conoscevo affatto, era un semplice Carneade, quando sobbalzai sulla sedia leggendo un suo articolo sul “blog delle stelle”, sì il blog, organo quasi ufficiale dei Cinquestelle. Mi fece talmente sobbalzare per le castronerie contenute sul “reddito di cittadinanza” che lo pubblicai, quasi senza commenti sul questo blog il 13 marzo del 2018 a questo link: https://sergioferraiolo.com/2018/03/13/reddito-di-cittadinanza-le-spiegazioni-del-prof-tridico/) che, poi non era altro che la trascrizione di quanto lo stesso Tridico affermava nel “blog delle stelle”. Vedi qui: ((https://www.ilblogdellestelle.it/2018/03/il_lavoro_di_cui_ha_bisogno_litalia.html). Parole del “prof.” Tridico, mica le mie. Corroborate anche da un articolo de “Il Fatto Quotidiano”. Riporto qui, il resto potete leggerle cliccando sul link (qui per l’articolo di Tridico e qui per il mio articolo):

1) il reddito di cittadinanza, – parole criptiche di Tridico – che è tecnicamente un reddito minimo condizionato alla formazione e al reinserimento lavorativo. Lo Stato sosterrà economicamente chi oggi non raggiunge la soglia di povertà indicata da Eurostat, in cambio dell’impegno a formarsi e ad accettare almeno una delle prime tre proposte di lavoro, purché siano eque e vicine al luogo di residenza. Il Fatto Quotidiano ha da poco riproposto un mio articolo in cui spiego come il reddito di cittadinanza possa essere finanziato attraverso maggior deficit in termini assoluti ma senza aumentare il rapporto deficit/Pil e senza sforare la soglia del 3%. In sintesi il meccanismo è questo: grazie alla nostra misura almeno 1 milione di persone che attualmente non cercano lavoro ma sarebbero disponibili a lavorare (i cosiddetti ‘inattivi’ e scoraggiati) verranno spinti alla ricerca del lavoro attraverso l’iscrizione ai Centri per l’Impiego e andranno così ad aumentare il tasso di partecipazione della forza lavoro. Questo ci permetterà di rivedere al rialzo l’output gap, cioè la distanza tra il Pil potenziale dell’Italia e quello effettivo, perché 1 milione di potenziali lavoratori saranno di nuovo conteggiati nelle statistiche Istat. Se aumenta il Pil potenziale possiamo mantenere lo stesso rapporto deficit/Pil potenziale, cioè il cosiddetto ‘deficit strutturale’, spendendo circa 19 miliardi di euro in più di oggi. Il reddito di cittadinanza costa 17 miliardi complessivi, compresi i 2,1 miliardi per rafforzare i centri per l’impiego, e potrebbe quindi finanziarsi interamente grazie ai suoi effetti sul tasso di partecipazione della forza lavoro.”

Capite qualcosa?

Cioè, se ho capito bene, l’ingresso nell’area di chi cerca lavoro di oltre 1 milione di inattivi (oggi non conteggiati dalle statistiche ISTAT) andrà ad aumentare il “tasso di partecipazione della forza lavoro” (ossia il numero di disoccupati, dico io). Quindi, l’ingresso di un milione di disoccupati “ci permetterà di rivedere al rialzo l’output gap, perché avremo un milione di persone in più che saranno conteggiate come in ricerca di lavoro” e così “il reddito di cittadinanza si autofinanzierebbe”.

Sono alieno ai magheggi dell’alta finanza. A parte che non ho capito un fico secco di quello che Tridico dice, so solo che, oggi come oggi, i fortunati che riceveranno il reddito di cittadinanza avranno una paga equivalente a quella dei loro coetanei che si fanno un culo così nei lavori precari. Tanto i tutor non ci saranno mai (le regioni dicono che è di loro competenza e hanno già posto la pregiudiziale costituzionale) e voi pensate che, specialmente nel meridione, ad ogni fruitore del reddito di cittadinanza potranno essere offerti tre lavori “congrui” e vicino a casa?

E’ chiaramente un sussidio senza contropartita, una manovra elettorale che durerà solo un anno. Solo un anno?  Certo. Raschiando il fondo del barile, facendo partire l’erogazione del reddito di cittadinanza da aprile (un mese prima delle elezioni europee, guarda un po’), ponendo una grossa ipoteca sull’aumento dell’IVA dal 2020, facendo salire il debito pubblico con il rialzo dello spread (è un fatto che con il Governo Gentiloni lo spread era 100 punti più sotto), non so dove troveranno i soldi per rifinanziare il reddito di cittadinanza per i prossimi anni se non imponendo più tasse. Quindi, più tasse a chi lavora e reddito di cittadinanza a chi nulla fa. Questi sono i Cinquestelle.

Meditate, riflettete e diffondete perchè qui è in gioco la tenuta dell’Italia.

Come volevasi dimostrare il tema è molto difficile se in Parlamento la proposta di legge intesa a limitare le aperture domenicali dei negozi è tornata a zero.

Ricapitolo la questione che nuova non è. Nel 1998 , con le cd. “lenzuolate Bersani” gli orari dei negozi furono liberalizzati. La diatriba fra chi vuol orari stretti e chi li vuole lunghi è ancor più antica: risale al 1932.

E non si tratta della sola questione dell’apertura domenicale o meno. La questione è più vasta ed investe l’intero orario giornaliero dei negozi.

Ricordo quando ero bambino. Le famiglie erano per lo più monoreddito. La mattina la moglie andava a fare la spesa, A mezzodì la famiglia si riuniva al desco. Nel pomeriggio l’uomo, se non tornava al lavoro, andava a fare spese. Comunque la giornata dedicata alle spese familiari era il sabato, mattina o pomeriggio, ché la sosta per il pranzo era sacra.

Da queste abitudini si sono formati gli orari dei negozi come ancora li conosciamo: dalle 9 alle 13.00/13.30 e dalle 16.00/17.00 alle 19.30/20.30. Andavano bene sia i compratori, si ai venditori, potendo tenere un ritmo di vita simile.

Ovviamente le cose son cambiate. Ditemi voi se una persona che ha la fortuna di avere un lavoro può destreggiarsi fra il lavoro ed orari simili a quelli che ho descritto sopra.

Le famiglie monoreddito – per necessità – sono scomparse. Al loro posto, nei casi più fortunati, ci sono le famiglie in cui moglie e marito lavorano, poi quelle allargate, con la necessità di spostarsi per spostare i figli, a scuola o a tennis che sia.

In quegli orari ci sta bene solo un pensionato, per chi ci arriva.

Chi ha un lavoro ha bisogno di negozi aperti presto la mattina, nella pausa pranzo e la sera tardi.

Gli effetti si vedono. Nella mia zona, abitata da piccola borghesia, non certo ricca, i negozi con “orari tradizionali” stanno chiudendo uno ad uno. Sono per lo più negozi gestiti da una famiglia con lunga tradizione di commercio, perlopiù anziani che non possono, o non vogliono passare più tempo in negozio.

Li capisco bene, pagare un commesso che li sostituisca costa caro. D’altronde, questi negozietti, definiti “vicinali” o “familiari” hanno statisticamente poche decine di clienti ognuno e non possono permettersi un maggiore assortimento o più commessi per ampliare l’orario di apertura.

E così il consumatore non trova più nell’offerta dei negozi vicinali la risposta alle sue domande. E ciò contribuisce alla stagnazione dei consumi.

Il consumatore, per concentrare i suoi acquisti nel minor tempo possibile cerca un negozio che sia aperto quando lui è libero: pausa pranzo, sera tardi, giorni festivi. E un negozio in cui nel minor tempo possibile possa concentrare la sua domanda di acquisto. Con un maggiore (e forse migliore) assortimento, prezzo più basso. E poi, per finire, perché no, senza spostare l’auto, un cinemino o una pizza con tutta la famiglia. Tutto ciò il consumatore lo trova nei centri commerciali, non certo nei negozi vicinali. Visto che anche il Governo preme perché il consumatore spenda, perché questi dovrebbe privilegiare gli angusti spazi di apertura e lo scarso assortimento dei negozi vicinali?

Il Governo (la parte Cinquestelle) ha scelto di preoccuparsi dei commessi di questi mega centri commerciali sempre aperti, sette giorni su sette e, talvolta 24 ore su 24.

Ma non sa come mediare. Non sa come contrattare un equilibrio esistente ormai da anni per quelle categorie di lavoratori che lavorano quando gli altri sono liberi, proprio per far incontrare la domanda e l’offerta oppure per garantire servizi essenziali. Per i primi, parlo di camerieri di ristoranti, barman, operatori dello spettacolo etc.. Per i secondi parlo di poliziotti, infermieri, vigili del fuoco, vigili urbani etc.

Regolamentare opposti interessi è difficile, così la componente cinquestelle – notoriamente inesperta – sceglie la facile strada della proibizione dell’apertura. Ma la Lega non ci sta. Sa che più i negozi sono aperti, più la gente spende, più i proprietari di negozi pagano i commessi, più la economia corre. E da qui l’impasse odierno.

Ma c’è un pericolo molo più grande e, come al solito ci viene dagli USA , precursori di mode e tendenze. Lì i grandi centri commerciali, come Walmart, sono in profonda crisi.

Colpa di chi? Di chi, come Jeff Bezos ha inventato e portato ai massimi livelli, l’E-commerce, come Amazon, un sito dove puoi trovare tutto e a prezzi sensibilmente inferiori anche a quelli praticati dai Centri commerciali. Ormai il commercio è lì. Anche sull’abbigliamento: i potenziali clienti scelgono su Amazon, vanno a misurarsi l’articolo in un negozio, stabiliscono la taglia, e poi ordinano su Amazon.

Anche sull’alimentare: chiediamoci, oltre frutta e verdura, quali e quanti articoli alimentari scegliamo in base al loro aspetto e non alla loro etichetta.

Devo dire che anch’io, ormai, sono un cliente di Amazon: trovo quello che voglio ad un prezzo inferiore del 20% a quello praticato nei negozi. Non tocco con mano l’articolo? Non importa, se non va per qualsiasi motivo, posso restituirlo facilmente entro 30 gg con rimborso garantito. Quanti negozi possono garantirmi questo?

Facile preconizzare un rapido declino dei centri commerciali quando io posso comprare ad un prezzo minore ogni articolo, restituirlo quando voglio, senza spostarmi a casa?

Nel libero mercato comanda l’interesse: fra trovare il negozio sotto casa aperto, trovare l’articolo che mi interessa fra lo scarso assortimento, pagare un prezzo maggiore, possono compensare la maggiore presenza fisica del venditore?

Ma torniamo ai negozi vicinali. Comprendiamo bene che non possono pretendere di sopravvivere con un assortimento ridotto e gli orari ridicoli contrari agli orari liberi del consumatore.

D’altronde una volta le carrozzelle a cavalli erano i taxi attuali, ora si sono riciclate in strumenti al servizio del turista.

Devono morire? No, devono solo cambiare atteggiamento. Entrare nella nicchia, vendere non merce generica ma merce specifica di nicchia (ho vicino casa un ottico con competenza superlativa su ogni fotocamera esistente, esser molto competente sulle qualità degli articoli venduti.

Voglio infine raccontare una bella storia, purtroppo finita male per la prematura morte del negoziante.

Lavoravo dalle 9.00 della mattina alle 21.00 della sera. Mi era difficile comprare qualcosa da cucinare e da mangiare. Ed ecco una intelligente sortita di un salumiere.

La mattina apriva normalmente alle 9.00 e chiudeva alle 13.30 offrendo il suo negozio e le sue mercanzie a chi la mattina, pensionati o donne non lavoratrici era libero.

Il pomeriggio, invece di aprire alle 16.00, apriva alle 19.30 per raccogliere tutte le persone che escono tardi dall’ufficio ed hanno il problema della cena. Complice l’offerta di un bicchiere di vino, qualche crostino, qualche avanzo della giornata, era riuscito a raccogliere un club di persone che lì si riunivano per scambiare una chiacchiera, rilassarsi e, soprattutto, fare la spesa completa. E’ andata bene per oltre un anno, poi, purtroppo una morte prematura.

L’esempio però rimane. Per i negozianti. Devono inseguire i clienti, esser disponibili nei loro spazi liberi. Favorire l’incoro fra la domanda e l’offerta. Così il denaro circola.

Se non fosse tragico, verrebbe da ridere.

Clima elettorale (il 10 febbraio si vota in Abruzzo) e i due dioscuri del Governo alzano i toni della polemica.

Sulla TAV Salvini dice che bisogna farla ad ogni costo, al limite si cercherà di ridurre i costi. Di Maio risponde che la riduzione dei costi è una supercazzola e che finché i Cinquestelle saranno al Governo la TAV non si farà.

Toni roboanti. Accuse reciproche. Crisi di Governo in vista?

State tranquilli. Il Governo è più solido che mai. E’ un gioco studiato a tavolino.

Salvini fa il duro e compatta i suoi attirando i consensi della Confindustria, di chi cerca appalti e di chi, perché no, apprezza il macho di destra. Risultato: un aumento di consensi.

Di Maio fa il duro e compatta i suoi attirando i consensi dei presunti ecologisti, di chi osteggia le Grandi Opere e di chi, perché no, apprezza il macho nuovo. Risultato: un aumento di consensi.

Salvini aumenta i consensi, Di Maio aumenta i consensi. Ma i consensi dei due confluiscono nel Governo Conte che, nel suo complesso, ne esce rafforzato.

Perché dovrebbero rinunciare al potere ora che ce l’hanno? Perché dovrebbero rinunciare ad esercitare quello spoils system che, da opposizione, hanno ferocemente criticato?

Il Governo durerà fino a che la politica e noi italiani non daremo all’elettore un’alternativa credibile.

Poi, a Salvini o a Di Maio della TAV ritengo non importi alcunché. Ritengo che della tecnicità dell’opera sappiano ben poco: è solo un pretesto per far sentire la voce.

Ci prova anche Toninelli, poverino fa tenerezza, non gliene va bene una. La A22 rimane bloccata e lui, pronto, urla che l’autostrada tornerà pubblica per toglierla a chi ci ha mangiato. Peccato che – come ha detto subito il presidente dell’Autobrennero – essa è già pubblica all’85%, in seguito ad un accordo del 2016, e che lo diventerà al 100% fra poco.

Il Presidente del Consiglio, dopo aver detto che ci sarà un boom economico, ieri ha detto che “Ci sono tutte le premesse per un bellissimo 2019 e per gli anni a venire. L’Italia ha un programma di ripresa incredibile. C’è tanto entusiasmo e tanta fiducia da parte dei cittadini e c’è tanta determinazione da parte del governo” .

Siamo usciti dal tunnel provocato dal precedente governo?

Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno
sergioferraiolo

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