Un bravissimo giornalista, in un suo articolo, ha illustrato i guai economici che sta passando la Cina e che, a cascata, riguarderanno anche noi. Io penso che la Cina risolverà prestissimo i suoi problemi perché, da quando l’attività economica privata è stata liberalizzata, quel Paese è una “macchina da guerra” inarrestabile. Non solo per il Governo, ma anche per l’innata propensione imprenditoriale dei suoi abitanti. Non sono un economista, ma ho un ricordo indelebile del mio primo (e unico) viaggio in Cina nel 1999. Viaggio “istituzionale” a Pechino (dove però ho potuto vedere gli hutong e gli siheyuan ancora abitati) e a Chinguandao ove ci mostrarono la prima area industriale con joint-venture con aziende occidentali, molto più “libero” a Shanghai. In questa città ci muvevamo autonomamente usando i taxi. Erano tutte micro auto Maruti Suzuki guidate da autisti che, a stento, conoscevano l’ubicazione dei siti di interesse e nulla di altre lingue che non fosse la loro. Scoprimmo che erano tutti ex-operai, i primi licenziati da fabbriche improduttive che con prestiti familiari o del villaggio avevano comprato questa piccola utilitaria e si erano reinventati un mestiere. Dovevano lavorare quasi 20 ore al giorno per mettere insieme la somma occorrente per ripagare il debito contratto. Venendo da fuori, ogni pochi metri si fermavano per chiedere indicazioni per raggiungere la meta indicata dal cliente, ovviamente preventivamente scritta in cinese dal receptionist del nostro albergo. Pututtavia, reinventarsi di sana pianta un nuovo lavoro partendo da zero, contraendo un oneroso presto ed aiutandosi sia con lunghi giri inutili per fare camminare il tassametro (che, spesso, non inserivano neppure) mi fece comprendere che non si davano per vinti, che reagivano alla perdita del lavoro con mentalità positiva ed imprenditoriale. Ed era il 1999. Se tutti i cinesi son così, veramente diventeranno i padroni del mondo
Mi ricordo che ero a New York, sorseggiando un whisky a casa di mia cugina parlando delle primarie americane quando “Breaking News”, il Presidente Trump irruppe nello schermo per dire che il “virus cinese” sarebbe arrivato anche negli USA e che stava pensando di chiudere presto i voli con i Paesi più colpiti, fra i quali l’Italia.
Mi ricordo che riuscii a rientrare tre giorni prima che chiudessero i voli con la paura di infettarmi a bordo dell’aereo.
Mi ricordo che c‘erano file di auto i cui occupanti aspettavano fino ad otto ore per un tampone.
Mi ricordo che il ricordo dei miei tanti viaggi era, ormai solo un ricordo.
Mi ricordo le furtive uscite nell’immediato circondario per approvvigionarsi di frutta e verdura; i guanti in nitrile che, come le mascherine, non si trovavano, le mani screpolate dall’Amuchina, anch’essa introvabile.
Mi ricordo che alle 17:00 il buon Borrelli alla TV, ogni giorno snocciolava numeri e cifre che salivano e scendevano aumentando la confusione: ancora non eravamo esperti dei saliscendi dovuti ai giorni della settimana.
Mi ricordo che si formavano i partiti pro o contro Galli, Crisanti, Burioni, Capua, Viola, Bassetti, Pregliasco.
Mi ricordo che – per parlare con qualcuno – tutti imparammo ad usare nuovi mezzi di comunicazione: Zoom, Meet divennero familiari con le tante teste nello stesso schermo.
Mi ricordo che, a maggio, fu una emozione riprendere lo scooter e andare in centro, bardati di tutto punto, con guanti e mascherina ma felici di quella “piccola libertà” che ci era stata concessa.
Mi ricordo che in estate avemmo l’illusione che la “Grande Paura” fosse passata: “non ce n’è di coviddi”, una estate quasi normale.
Mi ricordo che già a ferragosto, i “reduci dalle discoteche” furono indicati come i nuovi untori e dal ritrovato paradiso si tornò nell’inferno e, stavolta, non solo in Lombardia e Bergamo. La gente moriva anche qui a Roma e nel Sud.
Mi ricordo che “Tizio ha il Covid” non era una condanna a morte, ma ci andava vicino.
Mi ricordo che le feste più sentite, Natale, Capodanno, le passammo da soli in casa, al massimo uniti da Zoom.
Mi ricordo che il nuovo anno portò nelle case la speranza del vaccino.
Mi ricordo che ogni Regione fece di testa sua aumentando la confusione: in alcune si veniva chiamati con appuntamento non modificabile anche in città diversa da quella di residenza, in altre si sceglieva data, vaccino, e luogo a la carte.
Mi ricordo che la confusione sui vaccini aumentò molto per le catalogazioni assurde usate dai medici per gli “effetti avversi” dei vaccini: nel numero totale erano compresi anche il mal di testa, la dolenzia al braccio, qualche linea di febbre.
Mi ricordo che sorse il partito dei no-vax che in nome di una presunta libertà di cura contribuirono a diffondere il virus e, soprattutto, ad intasare gli ospedali sottraendo posti a chi aveva bisogno di cure urgenti oncologiche, per incidenti o altre malattie gravi. Movimento presente in tutto il mondo.
Mi ricordo che gli stessi no-vax, quelli che proprio non potevano sostenere la nocività del vaccino, in nome di una presunta discriminazione, diedero vita al movimento dei no-greenpass, con rivolte, manifestazioni a cui si unirono intellettuali o pseudo tali, personaggi in cerca di notorietà, persone che pensavano di avere solo loro la verità, che, dal loro ricco salotto, disquisivano, in punta di diritto se le misure restrittive violavano la costituzione o no.
Mi ricordo che a dicembre ci fu una nuova mutazione del virus, proveniente dal Sudafrica, chiamata Omicron. Pensavamo fosse una nuova batosta, fu un regalo di Natale; molto più contagiosa, ma non riusciva ad arrivare ai polmoni, si fermava ai bronchi, niente più polmoniti interstiziali.
Mi ricordo che, fortunatamente, arrivò il tempo di eleggere il Presidente della Repubblica.
Mi ricordo che l’elezione fu alquanto travagliata e, nei talk show, i presunti virologi e i presunti costituzionalisti si trasformarono in cultori della politica e dei rapporti fra partiti. Il Covid passò in secondo piano.
Mi ricordo che, a febbraio, la Russia invase l’Ucraina. Tutti i virologi, poi trasformatisi in costituzionalisti, si trasformarono in massa in geopolitici. Del Covid i TV non parlò più nessuno.
Mi ricordo che ….. ho ricominciato a sognare Montagne verdi.
Mi ricordo la prima nuova vera escursione con i vecchi amici caini dal cuore vero.
Domenica sera, nella trasmissione de LA7 “in Onda” alla pressante domanda “Ma perché diamo tante armi a Zelenky?”, Pier Luigi Bersani ha dato la risposta della “sinistra”. “Non pensiamo che l’Ucraina possa vincere, ma dandole le armi giuste per combattere, potremo portarla ad un livello tale da raggiungere un compromesso onorevole con la Russia.”. Ho sempre avuto stima di Bersani, ma stavolta mi ha fatto cadere le braccia. Praticamente ha sposato la tesi del logoramento russo propugnata da Biden. Ti dò armi non per farti vincere, non perché sei stato invaso, ma perché mi fa comodo indebolire Putin. Questa è la conclusione perché è scontato che, per quante armi tu possa dare all’Ucraina, senza un intervento diretto con le armi più sofisticate (politicamente impossibile) dei Paesi NATO, mai e poi mai la terra di Zelensky potrà pareggiare l’arsenale bellico russo. Bersani parla, poi, di “compromesso”. La parola stessa significa “reciproche concessioni”. E quali sarebbero? Allo stato la Russia ha già occupato tutto i Donbass, non solo le autoproclamate repubbliche separatiste, ma anche, oltre la Crimea, il corridoio terrestre che congiunge la penisola al territorio russo. Di qui a qualche giorno probabilmente occuperà anche Odessa tagliando ogni accesso al mare all’Ucraina. Questo per la Russia è un fatto acquisito. Quali saranno le concessioni che la Russia potrà fare? Di non andare oltre? E quali concessioni potrà fare il povero Zelensky? La promessa di non rivendicare più i territori occupati dai russi? Un po’ come le alture del Golan da decenni rivendicare inutilmente dalla Siria ma che Israele si guarda bene dal restituire? La questione ormai è fuori dalle mani di Zelensky e degli europei. Potrà essere risolta solo, come al solito, fra Biden e Putin. Biden rinuncia al piano di 33 miliardi di dollari di armamenti (tanto non si sa se il Congresso glielo passa) e Putin si ferma allo stato di fatto attuale, magari concedendo all’Ucraina uno stretto corridoio al mare fra Odessa e la Transnistria. Quello che rimane dell’Ucraina entrerà nell’Unione Europea, non nella NATO e verrà ricostruito con i nostri soldi. Forse questo è un “compromesso” possibile.