Archivio degli articoli con tag: Italia

Per una volta voglio scrivere di un argomento non serio o, meglio., prendere da un argomento molto serio quello che si chiamano “note di colore”, leggere, lievi, quasi gossip.

Avvenimenti tanti, molti nascosti, non tanto per la loro pericolosità, ma perché mal si adattano ad un avvenimento che coinvolge i Grandi del mondo.

Sono passati trentacinque anni, quasi tutti i protagonisti sono passati a miglior vita ed il termine di secretazione è abbondantemente trascorso, non corro rischi a raccontare qualche aneddoto che più che far sorridere, mostra come i cd. “grandi del mondo” altri non siano che esseri umani come noi.

Per la mia professione sono stato spesso a contatto con i Leader italiani, Europei e mondiali: un po’ di aneddoti li conosco.

Inquadriamo l’avvenimento: dall’8 al 10 maggio del 1987 il Vertice dei sette grandi (il G7) a Presidenza italiana si svolse a Venezia che fu scelta sia perché con la sua conformazione ad isole è ben difendibile e sia perché aveva accumulato l’esperienza del G7 di sette anni prima.

Per l’Italia era un periodo di turbolenze: il Presidente del Consiglio, Amintore Fanfani era dimissionario (in carica solo dal 18 aprile al 29 luglio 1987) perché già erano state sciolte le Camere e convocati i comizi elettorali per il 14 e 15 giugno del 1987 per la loro rielezione. Il Presidente della Repubblica era Francesco Cossiga.

I partecipanti, comunque, furono:

Brian Mulroney per il Canada, Francois Mitterrand per la Francia, Helmut Kohl per la Germania, Amintore Fanfani per l’Italia,

Yasuhiro Nakasone per il Giappone, Margaret Thatcher per il Regno Unito, Ronald Reagan per gli USA e Wilfried Martens per la Comunità europea.

I lavori si svolsero fra la Fondazione Cini all’isola di San Giorgio e la Prefettura.

E il Gossip dove è? Comincia ora. Almeno ora anche i diversamente giovani conoscono i personaggi e le location.

Gli alloggi della Polizia

Vi chiederete quale fu il primo problema? La sicurezza? Gli alloggi dei sette Grandi? I tragitti? No, no, il primo problema fu trovare l’alloggiamento per le forze dell’ordine (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza) che avrebbero dovuto vegliare sulla sicurezza dei Leader. Dove li mettiamo? L’esperienza non serviva perché nel vertice precedente i poliziotti erano ancora militari (la riforma che smilitarizzò la polizia è del 1981) e, come militari, i turni erano allungabili come gomma da masticare. Bisogna tener presente che tutti gli alberghi sulla costa e in prossimità della laguna erano già requisiti dai Leader, dai loro sherpa, dai loro seguiti, dai giornalisti etc. etc. Erano rimasti solo alberghi nell’entroterra veneto abbastanza distanti dai luoghi prescelti per la sorveglianza. Alla distanza si aggiungeva il fatto che il tempo necessario per il percorso “albergo-luogo di servizio”, per i poliziotti ormai civili era computato come tempo di lavoro: si arrivava all’assurdo che, partiti dall’albergo e giunti sul luogo di servizio, il tempo di lavoro era quasi del tutto trascorso. La questione fu risolta da un giovane funzionario che propose di noleggiare navi da crociera da ancorare nei porti limitrofi ai luoghi di servizio in modo da risparmiare tempo e distanza.

Ma il diavolo ci mise la coda: la mattina presto della vigilia del vertice, una delegazione furibonda di sindacalisti della Polizia irrompe in Prefettura per fare forti rimostranze al Prefetto per come erano trattati. Secondo loro la nave era invasa da un puzzo nauseabondo che impediva qualsiasi attività. Strano, la nave era nuova e ben ripulita. Niente, la spiegazione era molto più semplice: i tubi che aspiravano l’aria per il condizionamento della nave attraccata alla banchina erano vicini ad un cumulo di soia fermentata abbandonata lì per caso.  Tolta la soia, pulita la banchina, il problema n.1 era risolto.

L’Università americana

Di fronte la Prefettura di Venezia c’era, e c’è, la “fondazione Peggy Guggenheim” la Casa museo dell’artista omonima, morta nel 1979, ora adibita a museo. A fianco della Fondazione sorge l’edificio di una Università privata americana i cui studenti, spesso, per pagarsi la retta, fungono da guide e sorveglianti del museo. Dalle finestre della Prefettura, separata solo dal Canal Grande, si gode una ottima vista degli edifici del Museo e dell’Università. Da qualche giorno prima del Vertice, stranamente, le imposte delle finestre dell’Università erano sempre serrate, come se non ci fosse alcuno, ma, quando si aprivano per far cambiare l’aria, l’interno era pieno di computer schermi e materiale elettronico. CIA? NSA? DIA? Chi lo sa? Unica cosa visibile erano le antennine puntate direttamente verso la nave militare USA [senza oblò: guerra batteriologica e informatica] ancorata alla fonda proprio davanti San Marco.

Un ulteriore aneddoto: vedevo le classiche barche coperte veneziane che entravano nel canale prospiciente l’Università. “Sa cosa portano?” mi chiese l’ufficiale italiano di collegamento. “No, non armi o strumenti difensivi: ma patatine, popcorn, coca-cola, le fanno venire dalla loro base di Vicenza, non si fidano di quelle acquistate in loco”. Mi venne da ridere.

La sera era in programma la cena in Prefettura. Una semplice cena? No, Una cena piena di problemi.

Già la mattina si rivelò foriera di angustie: mentre i camerieri stavano approntando i tavoli tondi con finissime tovaglie di pizzo bianco, Andreotti e Fanfani chiesero un caffè. Il solerte cameriere arrivò con il grande vassoio di argento, ma i due Leader presero le tazzine e, senza piattino, le posarono sulla candida tovaglia. La faccia del cameriere (e la mia) sbiancò, ma i danni furono – per fortuna – quasi irrilevanti.

Dal caffè mi distrassero problematiche informatiche e telefoniche.  Dovete sapere (eravamo nel 1987, non c’erano i telefonini) che il Presidente USA, ovunque si trovasse, doveva avere a portata di mano un vero e proprio centralino che gli permettesse, tramite ponte radio con la nave militare alla fonda davanti San Marco, di comunicare con l’intero mondo. Il Palazzo della Prefettura, Cà Corner, costruito a metà del ‘500 su un fabbricato preesistente, era attrezzato più per concerti da camera e balli in maschera che per ospitare sofisticati centralini telefonici. Il bello è che i marines non riuscivano a far funzionare l’antidiluviano modem allora in uso con grande divertimento dell’ufficiale di collegamento italiano che conosceva la soluzione, ma li lasciava friggere per un bel po’. Eppure, per i meno giovani la cosa era banale: bastava aggiungere un ATX3. (Se volete sapere cosa sia cliccate qui). Anche qui gli americani si dimostrarono superbi e ignoranti su qualsiasi tecnologia non fosse la loro.

Vergogna

Il tempo della cena stava arrivando e due episodi mi toccarono: la Sicurezza americana perquisì tutti i presenti, compreso il Prefetto, i funzionari, i poliziotti. Poi chiese chi dei poliziotti fosse armato e ad essi distribuì una strana spilla ottagonale dorata: “Se vedo un’arma in mano a chi non ha la spilletta, spariamo a vista! Se c’è una sparatoria tutti i poliziotti si mettano il berretto in modo da indentificarli!”. Per avere Reagan in Prefettura dovemmo sopportare questa scena vergognosa che mi risparmiai perché – unico ad avere il badge per circolare fuori dalla Prefettura – ero andato, con un motoscafo guidato da un poliziotto a prendere l’allora Presidente della Camera Nilde Iotti.

Il “nuclear football”

Ero il più giovane, masticavo un po’ di inglese e mi fu affidato un compito che si rivelò alquanto complesso. Come sapete il Presidente USA è sempre seguito da un Ufficiale dei Marines che porta la “nuclear football”, ossia la famosa valigetta per attivare i codici delle armi nucleari. Il mio compito era convincere l’alto (in tutti i sensi) Ufficiale a deviare dal suo percorso in scia a Reagan, entrare in una stanza dove, comodamente seduto su un divano del ‘600, rimaneva a contatto con il Presidente, separato solo da un muro di cartongesso e da un’altra porta facilmente apribile. Più facile a dirsi che a farsi. Innanzitutto la distanza verticale: il Marine era alto almeno due metri, io sono alquanto bassino: far arrivare il mio scarno inglese all’orecchio del Marine che comprendeva solo lo slang americano non fu impresa facile. Beh, mi attaccai alla valigetta (che era alla mia altezza) e cominciai a tirare verso la stanza assegnata: ci capimmo con lo sguardo. Ebbi modo di osservare bene la valigetta: bruttarella, una 48 ore di finta pelle avvolta in una copertura di tela grigia come se ne vedono tante ai check-in degli aeroporti. Chiesi se potevo ammirarne l’interno, ma – ovviamente – mi fu negato. Almeno feci amicizia con il gigantesco Marine.

All’inizio tutto filò liscio, tranne un “incidente voluto” dalla Thatcher. Il protocollo le imponeva di arrivare in posizione intermedia ma, si sa, le persone più importanti arrivano per ultime. Chissà perché la Thatcher si sporse un po’ troppo dal bordo del motoscafo che la portava in Prefettura e…. si bagnò il vestito con conseguente cambio di abito e conseguente provvidenziale ritardo che le consentì di arrivare ultima.

La cena iniziò in una atmosfera surriscaldata dai vetri blindati serrati e dall’assenza dell’impianto di condizionamento, vietato in un palazzo del ‘500.

La toilette

E qui inizia l’odissea del bagno, sì della toilette. Un palazzo del ‘500 non ha un numero di bagni sufficiente per tutti: al piano ove si svolgeva la cena c’erano tre bagni. Il primo, inagibile per gli ospiti, era occupato da Fanfani e dalla sua terribile moglie; il secondo era proprio dietro al nugolo di marines che accudivano il centralino di cui ho parlato; rimaneva il terzo, un po’ nascosto, proprio a fianco della stanza dove mi trovavo io.

Gli ospiti avevano una certa età e quando si ha una certa età il ricorso al bagno è piuttosto frequente e visto che l’unico bagno disponile non era proprio in vista, immagino che gli augusti ospiti si scambiassero le necessarie indicazioni per arrivarci. Dalla mia postazione sentivo infatti un discreto viavai fino a che “il telegrafo sena fili” commise un errore. Vedo aprire la porta della stanza nella quale mi trovavo e comparire nienteopodimenoche Ronald Reagan con la mano già sulla patta dei pantaloni a significare l’urgenza della bisogna. Aveva sbagliato porta pensando che quella ove mi trovavo era proprio il bagno. Ci fu un attimo di sorpresa: ci guardammo, ricordo la maschera di cerone del Presidente USA che quella di Berlusconi era da dilettante, ma subito la scena cambiò. I due giganteschi agenti del Secret Service si accorsero che la stanza non era vuota, scostarono Reagan bruscamente, mi si pararono davanti con le armi puntate. Altro momento di sorpresa. Lo sguardo, meglio delle parole, chiarì l’equivoco “Oh, Mr. President, you’re looking for the lavatory, aren’t you? You follow me please, I’ll show you!”. Nell’attesa che Reagan espletasse Ie sue necessità feci amicizia con i due giganteschi marine che mi fecero i complimenti per la location.

I NOCS

La cena volgeva al termine, ma dalla sicurezza giunse l’ordine di ritardare perché c’erano movimenti sospetti sui tetti prospicienti.  Ma c’era anche il personale della Prefettura che doveva rientrare a casa, passando la laguna e non avevano di certo il motoscafo a disposizione. Si era fatta anche una certa ora e per dar loro conforto cerco un orario di traghetti ed autobus che, mi dicono, si trovava in una stanza al piano inferiore. Scendo una scalinata, entro nella stanza e, siccome ara buio, accendo la luce. Un urlo belluino precedette la visione di un NOCS (Nucleo operativo centrale di sicurezza) che, in piedi, tuta nera e mephisto di ordinanza puntava il fucile a cannocchiale attraverso la finestra aperta verso l’esterno: gli avevamo rovinato l’appostamento e la mimetizzazione. Fortunatamente i “movimenti sospetti” si rivelarono innocenti veneziani che, incuriositi dall’evento, cercavano di sbirciare l’interno della Prefettura con i suoi augusti ospiti.

E Nakasone?

Come Dio volle la stressante cena finì. Noi superstiti, stanchi, affamati (non avevamo mangiato nulla) cercavamo gli avanzi; qualcuno, stravaccato su di una poltrona, fumava la sua agognata sigaretta, prima vietata. Anche io ero seduto su un puff addentando un tramezzino quando una gentile mano guantata di bianco mi fece toc toc sulla spalla. Mi giro e un compunto giapponese, in perfetto italiano mi disse “Mr. Nakasone vorrebbe sapere se può andar via e se il suo motoscafo è pronto”. Ce lo eravamo dimenticato! Certe volte mi sorprendo: faccio un rapido calcolo: Sì, Nakasone è l’ultimo dei sette Grandi ad andare via, così come l’onnipotente Protocollo aveva deciso; i motoscafi si accostavano alla banchina nello stesso ordine; quindi – se il diavolo non ci aveva messo ancora una volta lo zampino – il motoscafo di Nakasone era giù a dondolarsi in laguna attraccato al molo. “Certo che Mr. Nakasone può andare via. Il suo motoscafo lo sta aspettando nel medesimo luogo in cui l’ha lasciato. Ora l’accompagno”. Superando gli innumerevoli ringraziamenti a mani giunte tipici dei nipponici mi dirigo verso Nakasone, lo invito a scendere, con la sua scorta e i suoi sherpa per lo scalone e mi precipito, per una scaletta di servizio a controllare che tutto fosse a posto. Mi ritrovo con Nakasone come se nulla fosse al bordo del motoscafo, lo aiuto a salire e lo saluto affettuosamente. Era veramente finita.

I fogli dei posti a tavola

Dovete sapere che una cosa complicata è stabilire i posti a tavola: Di solito si parte dal Padrone di casa e poi, alternativamente a destra e a sinistra, vengono posti i commensali secondo l’ordine alfabetico internazionale dei Paesi che rappresentano. Ma stavolta il pranzo del giorno dopo era un po’ più complicato e l’ordine a tavola subiva qualche eccezione secondo gli affari bilaterali da discutere.

La posizione al tavolo per la colazione di lavoro che si sarebbe dovuta svolgere all’isola di San Giorgio alla Fondazione Cini fu stabilita dagli sherpa durante la cena in Prefettura della sera prima.

Noi eravamo tranquilli: la colazione di lavoro all’isola di San Giorgio era sotto l’egida del Cerimoniale Diplomatico degli Esteri e a noi sarebbe toccata una giornata di riposo, salvo imbarcare Fanfani che alloggiava in Prefettura e accontentare la terribile moglie che ne aveva sempre una.

Ma……qualcosa andò storto. Telefonata concitata: all’isola di San Giorgio non riuscivano a trovare il foglio dei posti a tavola. Era rimasta una copia in Prefettura? Da portare velocemente all’isola che la colazione stava per iniziare. La copia c’era. La prendo, faccio un cenno ad un motoscafista e mi ritrovo, in barba a tutti i limiti di velocità lagunari, in una corsa sfrenata nel bacino di San Marco sollevando nuvole d’acqua con il mezzo nautico. Arrivo al pontile di San Giorgio, salto giù, corro dentro la Fondazione Cini verso la sala da pranzo quando una montagna mi si abbatte sulle spalle. Prima che tutto diventi nero faccio a tempo a consegnare il prezioso foglietto ad un funzionario degli Esteri e vedere la faccia rubiconda di una delle guardie del corpo di Reagan che mi aveva salutato con una pacca sulle spalle usando quell’arma impropria della sua mano.

Mi riprendo insegnando alla squadra del secret service come si fa un vero spritz alla veneziana.

Il ritorno in motoscafo in prefettura fu dedicato a sincronizzare le onde della laguna con l’ondeggiamento dovuto alla leggera sbronza.

Cossiga, il rovinapiani.

Finalmente arriva l’ultimo giorno. E, nell’ultimo giorno è tradizione che il Capo dello Stato offra un pranzo agli ospiti stranieri che si sarebbe svolto in un Grande albergo sul Canal Grande. Alle dieci, il Presidente Francesco Cossiga si presentò in Prefettura dove lo attendevano il Presidente del Consiglio dei Ministri Fanfani ed il ministro degli esteri Andreotti. I tre motoscafi per le tre personalità erano già pronti attraccati alla banchina della Prefettura. Ma Cossiga, al solito, aveva altri piani. Entrò nella sala dove lo attendevano Andreotti e Fanfani sventolando i quotidiani del giorno che titolavano sulle proteste dei veneziani stufi di vivere in una città blindata dalle forze dell’ordine italiane e straniere. Con il suo simpatico accento sardo, arringò i presenti: “Basta, non si può continuare così, i veneziani hanno ragione, non ci sono pericoli imminenti, diamo un esempio ché fra poco ci sono le elezioni. Sono solo 200 metri, è una bella giornata di sole, ANDIAMO A PIEDI!!!”; prese sottobraccio Fanfani ed Andreotti e si diresse, spedito, verso le scale.

Altro che “Houston, abbiamo un problema!”: Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Ministro degli esteri soli per le affollate calli di Venezia senza protezione, visto che quell’itinerario non era contemplato!!! Allarme Rosso!!!!

La solita ripida scaletta di servizio mi fece guadagnare metri preziosi rispetto l’augusta discesa per lo scalone d’onore preso dal trio.

Arrivati trafelato alla prima pattuglia, mi qualificai e li pregai di diffondere via radio la notizia del passaggio dalla prefettura al grande albergo del trio di Stato e di “proteggerli”. Fortunatamente il tragitto era molto breve e la sorpresa dei veneziani fece il resto. Il Trio VIP arrivò sano e salvo al Grande Albergo.

Epilogo

Tutto sommato il Vertice andò molto bene, lontanissimo dai fattacci di Genova e dalle contestazioni in altri Stati, non ci furono incidenti, salvo una barca di Mario Capanna che voleva tenere un comizio elettorale nell’isola di San Giorgio e alcune lamentele dei poliziotti e carabinieri che si lamentavano per il ritardo del cambio turno.

Anche se giovane, imparai molto e feci molto e soprattutto….. mi divertii parecchio.

Un Insegnamento? Mai fidarsi a lasciare un incombenza ad altri: chi fa da se fa per tre.

Spenti i clamori della vittoria italiana agli europei di calcio con le inevitabili code polemiche per la sfilata degli azzurri per le vie di Roma con tanto di assembramenti, voluta ed ottenuta da Bonucci e Chiellini contro il parere delle Forze dell’Ordine (resa dello Stato), mi piace ricordare un articolo del New York Times dell’11 luglio a firma di Jason Horowitz.

Il giornalista, partendo proprio dalla vittoria ai campionati europei, sostiene che il calcio è stata proprio la ciliegina sulla torta della rinascita italiana dopo il Covid.

Nella stessa domenica, Matteo Berrettini è stato il primo italiano a conquistare la finale del torneo di tennis di Wimbledon e, contro Jokovic, non ci ha fatto una brutta figura; le atlete e gli atleti italiani under 23 hanno brillato ai campionati di atletica di Tallin; Papa Francesco, all’Angelus dalla finestra del Gemelli ha magnificato il sistema sanitario italiano. A questi eventi dell’ultima domenica, Horowitz aggiunge la vittoria dei Maneskin alla competizione canora europea ed il fenomeno di Khaby Lame che raggiunto una notorietà planetaria.

Tutto ciò in una cornice di rilancio economico (le previsioni di crescita sono le più alte dell’Eurozona) e di simpatia de partner europei e delle istituzioni comunitarie che, tutti – compresi gli scozzesi e i gallesi – hanno tifato Italia alla finale di Wembley.

Siamo, insomma, circondati da una vasta atmosfera di viva simpatia e curiosità (gli articoli che parlano dell’Italia sulla stampa estera sono aumentati di molto e, nella maggior parte sono positivi) dovuti – forse – al cambio di passo che ha segnato la fine della lunga agonia del Governo Conte II e l’inizio sprint dell’attuale Governo guidato Mario Draghi, la figura italiana più apprezzata nei palazzi europei e mondiali che contano. Pochi si aspettavano gli ultimi dati positivi dell’economia e l’ottimo andamento della campagna vaccinale, a dispetto della continua carenza di dosi di vaccino e i salti acrobatici della comunicazione sul vaccino di Astra Zeneca.

Non sempre i giornalisti sono così teneri con una Nazione. Per esempio, Barney Ronay, sull’inglese Guardian stigmatizza la pessima reazione inglese alla sconfitta. «L’Inghilterra come nazione, non come squadra, deve guardarsi dentro». Perché, scrive Ronay, è successo di nuovo: «I cancelli di Wembley sono stati sfondati, gli inni fischiati, gli steward spintonati, i murales sfigurati (quello di Manchester dedicato a Marcus Rashford, uno dei tre ad aver sbagliato il rigore, ndr), il razzismo messo in mostra sui social media». Più un vario contorno di vandalismi e violenza contro chi o cosa sapeva d’Italia.

Non sarà stata una bella scena nemmeno quella dei calciatori inglesi che si sfilavano la medaglia dal collo come se scottasse più della sconfitta, ma una parte dei loro tifosi ha fatto decisamente di peggio. «C’è un’ovvia conclusione da trarre — scrive Ronay — dai meschini insulti verso i giocatori inglesi di colore. Chiaramente c’è un gruppo di persone, in questo paese, che deve essere identificato, censurato e costretto, a meno di qualche illuminazione divina, a tacere». Ronay è convinto che i signori delle piattaforme social potrebbero farlo senza troppa fatica, se soltanto volessero. Ma questo è soltanto un lato del problema. L’altro è la necessità di «fare un inventario onesto e completo di un Paese in cui il razzismo e il teppismo sono ormai normalizzati per tanta gente».

Certo, Ronay ammette che «è sempre stata un’idea sbagliata che la giovane e bella squadra di Southgate potesse in qualche modo “unire” una nazione che ha profonde divisioni strutturali e sociali. Il calcio è soltanto calcio. Vincere delle partite non è una scorciatoia per l’educazione, la decenza e una leadership adeguata altrove». Ma il mondo del calcio, a suo avviso, sta facendo troppo poco e la politica sa facendo troppo, ma in male. È quasi impossibile trovare un giornalista del Guardian che non detesti Boris Johnson e Ronay non fa eccezione: «Un primo ministro che ha fatto più di ogni altra persona in Gran Bretagna per generare divisione e stupidità, ha spedito un messaggio per condannare la divisione e la stupidità. Una ministra dell’Interno (Priti Patel, ndr) che usa una retorica cinica e divisiva si dice “disgustata” che qualcuno l’abbia presa sul serio».

Insomma, come Italia, stiamo vivendo un periodo “up”, vediamo di non sprecarlo. Siamo attesi a sfide molto difficili: la spendita dei soldi del Recovery Fund, la lotta alla Pandemia del Coronavirus, la ripresa dell’economia e quella dei licenziamenti via Email.

Invece la politica si dilunga in sterili polemiche sull’agonia di una partito che, pure, fu maggioritario nel 2018 oppure su argomenti-bandiera, di elevatissimo valore ideale, ma di scarso appeal sulla gran parte della popolazione.

E’ di oggi l’ultima polemica sul Green Pass dopo la presa di posizione del Presidente francese Macron. Sinistra e Forza Italia si dicono favorevoli a limitare l’accesso ai servizi (treni, ristoranti, cinema) ai soli titolari di un documento che attesti la loro vaccinazione o, comunque, la loro negatività al virus. La destra sovranista e novax, ovviamente è contraria: per loro deve essere tutto aperto e non si può andare contro gli interessi degli esercenti e ristoratori; non si rendono conto che – passata la sbornia della riapertura – prevarrà, nei clienti, la paura di trovarsi accanto un positivo asintomatico con conseguente calo delle presenza e degli incassi.

Abbiamo già passato, esattamente un anno fa questo periodo; potevamo farne tesoro, invece l’abbiamo sprecato al grido di “NON CE N’E’ COVIDDI!!” e ci siamo ritrovati tutti più chiusi e più poveri.

Speriamo di non dover ripetere, ancora una volta, “Quem Iuppiter vult perdere dementat prius!

L’Italia sembra sempre di più il finale di Otto e mezzo di Fellini.  Non lo avrei mai creduto. Siamo stati i primi in occidente colpiti dal Coronavirus, questo virus sconosciuto. Primi in Occidente a fare qualcosa di veramente nuovo: il lock down, imitato da tutti i Paesi europei, anche da quelli che, dapprima, avevano irriso, e poi si sono adeguati.

Ottima performance nella fase uno.

Orgoglioso del mio Governo.

Poi…. Poi, quando la morsa dell’economia disastrata è stata più dolorosa del dolore per i morti portati via dai camion militari, è successo qualcosa di nuovo e di deprecabile. Ci siamo sbracati.

Succube della nuova e dura Confindustria, il Governo ha perso la bussola che lo aveva guidato fin allora.

Liberi tutti … ma con cautela. Vi ricordate Antonio Ferrer nei “Promessi sposi”? “Adelante, Pedro, cum judicio”, ossia avanti, ma non troppo.

Assembramenti, movide, calca, tutto tornato come prima, più di prima, regole nei ristoranti ignorate.  Raccomandazioni a voce. Fatti zero.  Manifestazioni politiche a Roma e a Milano, feste di piazza, funerali, esplosioni di gioia per avvenimenti sportivi, biasimati, ma non proibiti o contrastati. E i risultati si vedono. I contagi risalgono. Mondragone, Bartolini, Porto Empedocle, San Raffaele, ma la parola d’ordine è minimizzare, diluire, rassicurare: sono asintomatici, sono “cluster” delimitati. Ma i numeri non mentono: a giugno il numero di positivi risale. In Germania hanno avuto il coraggio di richiudere. In Italia no.

Ormai la Confindustria detta legge: tutto aperto perché l’economia deve riprendere vigore. E se queste riaperture portano una nuova risalita dei casi?

Ma non è solo la situazione sanitaria. Si sono evidenziate le divisioni fra i cd. scienziati. Manifesti firmati da una parte che afferma che la pandemia è finita; altri medici illustri che dicono di stare attenti, che il virus non è mutato, gettando nella confusione gli italiani che pensavano che la scienza fosse indenne da prese di posizione politiche. Lite continua fra gli scienziati su qualcosa di sconosciuto, su qualcosa che fino a cinque mesi fa non era neppure citato sulle riviste scientifiche. E il numero di casi risale non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Ma la stampa ufficiale dice che è finita: via con i consumi, via con le movide, via con lo stare azzeccati, perché tanto “il virus ha perso forza, al massimo vi prendete una influenza”. Gilet gialli e arancioni, saldati con i sovranisti, manifestano urlando che il COVID1 è una invenzione di Bill Gates che viaggia sui 5G e il Governo tace.

Il Governo? Imbalsamato nella impossibile convivenza fra PD e Cinquestelle, lavorato ai fianchi dal fuoco amico di Renzi e Calenda. Un Governo che si regge solo sul concetto del “male minore”: se andiamo via arrivano i sovranisti di Salvini e Meloni. Quanto può durare?

L’Unione europea, la vituperata Unione europea, ha messo in campo una serie di interventi mai visti: MES senza condizioni, SURE e Recovery Fund, ma il Governo fa lo schizzinoso. Stiamo con le pezze al culo e chiediamo soldi a fondo perduto, neppure la condizione di restituirli al tasso dello 0,1% vogliamo. Il MES?  Un prestito con le uniche condizionalità della restituzione e dell’uso per la sanità, un prestito al tasso dello 0,1%. No, non lo vogliamo: vogliamo il recovery Fund a gratis. E – badate – del Recovery Fund c’è solo il nome, per ora. Non si sa neppure di quanti soldi si tratta e a quali condizioni verranno erogati.

Ci hanno detto che i soldi del Recovery Fund possiamo utilizzarli per qualsiasi investimento vogliamo, basta che non lo usiamo per sussidi o interventi elettorali a pioggia. E il Governo che fa? Lo useremo per abbassare l’IVA, dice Conte. Una mancia ai commercianti, vietato dall’essenza stessa del Recovery Fund.

Le opposizioni? Follia anche per loro. Le loro proposte: flat tax e soldi a pioggia, quando il Vice presidente della Commissione europea ci ha detto chiaramente di usare quei soldi, come moltiplicatore, per investimenti “cocenti”: ILVA, Alta velocità, ristrutturazione completa della giustizia.

E’ proprio vero: gli Dei accecano chi vogliono perdere.

E vi stupite se il flusso dei miliardi che ogni giorno lascia il nostro Paese aumenta?

L’orologio del destino avanza, il tempo passa e l’Italia è ferma.

E’ difficile conquistare la libertà, ma è facilissimo perderla.

Teniamocela stretta

Fa discutere in questi giorni la proposta del nuovo governo austriaco di concedere la cittadinanza austriaca agli altoatesini italiani di ceppo tedesco. Scandalo? Crisi internazionale?

Violazione della sovranità?

Niente di tutto questo. E’ che noi italiani, al solito, abbiamo la memoria corta. E’ indubitabile che, fino a 100 anni, fa l’alto Adige, o sud Tirolo, apparteneva all’Austria o, meglio, al disciolto impero Austro Ungarico. Sempre, quando uno Stato perde un territorio, cerca di fare qualcosa per i propri concittadini che sono rimasti al di là del confine.

L’ha fatto anche l’italia.

Lo ha fatto con l’art. 17-bis della legge  05/02/1992, n. 91 (legge sulla cittadinanza) che così recita: 

  1. Il diritto alla cittadinanza italiana è riconosciuto:
  2. a) ai soggetti che siano stati cittadini italiani, già residenti nei territori facenti parte dello Stato italiano successivamente ceduti alla Repubblica jugoslava in forza del Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, reso esecutivo dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, ratificato dalla legge 25 novembre 1952, n. 3054, ovvero in forza del Trattato di Osimo del 10 novembre 1975, reso esecutivo dalla legge 14 marzo 1977, n. 73, alle condizioni previste e in possesso dei requisiti per il diritto di opzione di cui all’articolo 19 del Trattato di pace di Parigi e all’articolo 3 del Trattato di Osimo;
  3. b) alle persone di lingua e cultura italiane che siano figli o discendenti in linea retta dei soggetti di cui alla lettera a).

E lo ha fatto anche  con l’articolo 1 della legge 14 dicembre 2000, n. 379 recante “Disposizioni per il riconoscimento della cittadinanza italiana alle persone nate e già residenti nei territori appartenuti all’Impero austro-ungarico e ai loro discendenti ” che così dispone:

. 1. La presente legge si applica alle persone di cui al comma 2, originarie dei territori che sono appartenuti all’Impero austro-ungarico prima del 16 luglio 1920, e ai loro discendenti. I territori di cui al presente comma comprendono:

a) i territori attualmente appartenenti allo Stato italiano;

b) i territori già italiani ceduti alla Jugoslavia in forza:

1) del trattato di pace fra l’Italia e le Potenze alleate ed associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 e reso esecutivo in Italia con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430;

2) del trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica socialista federativa di Jugoslavia firmato ad Osimo il 10 novembre 1975, ratificato e reso esecutivo in Italia ai sensi della legge 14 marzo 1977, n. 73.

2. Alle persone nate e già residenti nei territori di cui al comma 1 ed emigrate all’estero, ad esclusione dell’attuale Repubblica austriaca, prima del 16 luglio 1920, nonché ai loro discendenti, è riconosciuta la cittadinanza italiana qualora rendano una dichiarazione in tal senso con le modalità di cui all’articolo 23 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge (2).

3. È abrogato l’articolo 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 91.

 

Quindi…. di cosa stupirsi? Di cosa indignarsi?

Un solo commento: non sarebbe meglio per tutti avere un’unica cittadinanza, quella Europea?

Un pezzo di artigianato moderno

artigianato italiano

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Chissà Camillo Benso conte di Cavour cosa penserebbe dell’Italia di oggi……

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Occhi da orientale

sono occhi d'ambra lucida tra palpebre di viole, sguardo limpido di aprile come quando esce il sole

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