Come volevasi dimostrare il tema
è molto difficile se in Parlamento la
proposta di legge intesa a limitare le aperture domenicali dei negozi è tornata
a zero.
Ricapitolo la questione che nuova non è. Nel 1998 ,
con le cd. “lenzuolate
Bersani” gli orari dei negozi furono liberalizzati. La diatriba fra chi
vuol orari stretti e chi li vuole lunghi è ancor più antica:
risale al 1932.
E non si tratta della sola questione dell’apertura
domenicale o meno. La questione è più vasta ed investe l’intero orario
giornaliero dei negozi.
Ricordo quando ero bambino. Le famiglie erano per
lo più monoreddito. La mattina la moglie andava a fare la spesa, A mezzodì la
famiglia si riuniva al desco. Nel pomeriggio l’uomo, se non tornava al lavoro,
andava a fare spese. Comunque la giornata dedicata alle spese familiari era il
sabato, mattina o pomeriggio, ché la sosta per il pranzo era sacra.
Da queste abitudini si sono formati gli orari dei
negozi come ancora li conosciamo: dalle 9 alle 13.00/13.30 e dalle 16.00/17.00
alle 19.30/20.30. Andavano bene sia i compratori, si ai venditori, potendo
tenere un ritmo di vita simile.
Ovviamente le cose son cambiate. Ditemi voi se una
persona che ha la fortuna di avere un lavoro può destreggiarsi fra il lavoro ed
orari simili a quelli che ho descritto sopra.
Le famiglie monoreddito – per necessità – sono
scomparse. Al loro posto, nei casi più fortunati, ci sono le famiglie in cui
moglie e marito lavorano, poi quelle allargate, con la necessità di spostarsi
per spostare i figli, a scuola o a tennis che sia.
In quegli orari ci sta bene solo un pensionato, per
chi ci arriva.
Chi ha un lavoro ha bisogno di negozi aperti presto
la mattina, nella pausa pranzo e la sera tardi.
Gli effetti si vedono. Nella mia zona, abitata da
piccola borghesia, non certo ricca, i negozi con “orari tradizionali” stanno chiudendo
uno ad uno. Sono per lo più negozi gestiti da una famiglia con lunga tradizione
di commercio, perlopiù anziani che non possono, o non vogliono passare più
tempo in negozio.
Li capisco bene, pagare un commesso che li
sostituisca costa caro. D’altronde, questi negozietti, definiti “vicinali” o
“familiari” hanno statisticamente poche decine di clienti ognuno e non possono
permettersi un maggiore assortimento o più commessi per ampliare l’orario di
apertura.
E così il consumatore non trova più nell’offerta
dei negozi vicinali la risposta alle sue domande. E ciò contribuisce alla
stagnazione dei consumi.
Il consumatore, per concentrare i suoi acquisti nel
minor tempo possibile cerca un negozio che sia aperto quando lui è libero: pausa
pranzo, sera tardi, giorni festivi. E un negozio in cui nel minor tempo
possibile possa concentrare la sua domanda di acquisto. Con un maggiore (e
forse migliore) assortimento, prezzo più basso. E poi, per finire, perché no, senza
spostare l’auto, un cinemino o una pizza con tutta la famiglia. Tutto ciò il
consumatore lo trova nei centri commerciali, non certo nei negozi vicinali.
Visto che anche il Governo preme perché il consumatore spenda, perché questi dovrebbe
privilegiare gli angusti spazi di apertura e lo scarso assortimento dei negozi
vicinali?
Il Governo (la parte Cinquestelle) ha scelto di
preoccuparsi dei commessi di questi mega centri commerciali sempre aperti,
sette giorni su sette e, talvolta 24 ore su 24.
Ma non sa come mediare. Non sa come contrattare un equilibrio
esistente ormai da anni per quelle categorie di lavoratori che lavorano quando
gli altri sono liberi, proprio per far incontrare la domanda e l’offerta oppure
per garantire servizi essenziali. Per i primi, parlo di camerieri di ristoranti,
barman, operatori dello spettacolo etc.. Per i secondi parlo di poliziotti,
infermieri, vigili del fuoco, vigili urbani etc.
Regolamentare opposti interessi è difficile, così la
componente cinquestelle – notoriamente inesperta – sceglie la facile strada
della proibizione dell’apertura. Ma la Lega non ci sta. Sa che più i negozi
sono aperti, più la gente spende, più i proprietari di negozi pagano i
commessi, più la economia corre. E da qui l’impasse odierno.
Ma c’è un pericolo molo più grande e, come al solito
ci viene dagli USA , precursori di mode e tendenze. Lì i grandi centri
commerciali, come Walmart, sono in profonda
crisi.
Colpa di chi? Di chi, come Jeff Bezos ha inventato e
portato ai massimi livelli, l’E-commerce, come Amazon, un sito dove puoi
trovare tutto e a prezzi sensibilmente inferiori anche a quelli praticati dai
Centri commerciali. Ormai il commercio è lì. Anche sull’abbigliamento: i potenziali
clienti scelgono su Amazon, vanno a misurarsi l’articolo in un negozio,
stabiliscono la taglia, e poi ordinano su Amazon.
Anche sull’alimentare: chiediamoci, oltre frutta e
verdura, quali e quanti articoli alimentari scegliamo in base al loro aspetto e
non alla loro etichetta.
Devo dire che anch’io, ormai, sono un cliente di
Amazon: trovo quello che voglio ad un prezzo inferiore del 20% a quello
praticato nei negozi. Non tocco con mano l’articolo? Non importa, se non va per
qualsiasi motivo, posso
restituirlo facilmente entro 30 gg con rimborso garantito. Quanti negozi
possono garantirmi questo?
Facile preconizzare un rapido declino dei centri
commerciali quando io posso comprare ad un prezzo minore ogni articolo,
restituirlo quando voglio, senza spostarmi a casa?
Nel libero mercato comanda l’interesse: fra trovare
il negozio sotto casa aperto, trovare l’articolo che mi interessa fra lo scarso
assortimento, pagare un prezzo maggiore, possono compensare la maggiore presenza
fisica del venditore?
Ma torniamo ai negozi vicinali. Comprendiamo bene
che non possono pretendere di sopravvivere con un assortimento ridotto e gli
orari ridicoli contrari agli orari liberi del consumatore.
D’altronde una volta le carrozzelle a cavalli erano
i taxi attuali, ora si sono riciclate in strumenti al servizio del turista.
Devono morire? No, devono solo cambiare atteggiamento.
Entrare nella nicchia, vendere non merce generica ma merce specifica di nicchia
(ho vicino casa un ottico con competenza superlativa su ogni fotocamera
esistente, esser molto competente sulle qualità degli articoli venduti.
Voglio infine raccontare una bella storia, purtroppo
finita male per la prematura morte del negoziante.
Lavoravo dalle 9.00 della mattina alle 21.00 della
sera. Mi era difficile comprare qualcosa da cucinare e da mangiare. Ed ecco una
intelligente sortita di un salumiere.
La mattina apriva normalmente alle 9.00 e chiudeva
alle 13.30 offrendo il suo negozio e le sue mercanzie a chi la mattina,
pensionati o donne non lavoratrici era libero.
Il pomeriggio, invece di aprire alle 16.00, apriva alle
19.30 per raccogliere tutte le persone che escono tardi dall’ufficio ed hanno
il problema della cena. Complice l’offerta di un bicchiere di vino, qualche
crostino, qualche avanzo della giornata, era riuscito a raccogliere un club di
persone che lì si riunivano per scambiare una chiacchiera, rilassarsi e,
soprattutto, fare la spesa completa. E’ andata bene per oltre un anno, poi, purtroppo
una morte prematura.
L’esempio però rimane. Per i negozianti. Devono
inseguire i clienti, esser disponibili nei loro spazi liberi. Favorire l’incoro
fra la domanda e l’offerta. Così il denaro circola.
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