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Il Governo Meloni è in carica da (relativamente) poco tempo: ha giurato il 22 ottobre 2022, ma è di gran lunga il Governo che, fin ora (al peggio non c’è mai limite), ha collezionato più figuracce, pastrocchi, retromarce di tutti gli altri. Divisioni interne, si dice. Altri parlano di impreparazione e/o ignoranza e voglia di apparire sui media.

Ho raccolto in questo post solo una serie di provvedimenti a “dir poco” strani che, magari, ne sottintendono altri o sono  frutto della fretta o della improvvisazione.

L’elenco è lungo, se non ci sbrighiamo, facciamo notte.

Ve ne racconto alcuni

  1. Il Caso del Rave Party e Ordine pubblico.
  2. Navi ONG.
  3. Questione del Porto sicuro di sbarco.
  4. Medici NOVAX
  5. Aumento del tetto di circolazione del Contante e uso del POS.
  6. Caro benzina.
  7. Estensione della Flat Tax.
  8. Poutpourry di svarioni vari.
  1. IL CASO DEL DECRETO ANTI RAVE

IL governo si è appena insediato e deve dare subito una prova di machismo: legge e distintivo, povero chi ci capita.

E ci sono capitati  quei non proprio bravi ragazzi che, in migliaia, occupano, vicino Modena, a fine ottobre uno spazio privato, sparano musica tecno a palla, vendono droga e arrosticini senza alcun controllo e parlano della “loro libertà di fare quello che vogliono”. Ovviamente a nessuno piace questo andazzo dove il proprietario dell’area occupata si trova con centinaia di migliaia di euro di danni e qualche “bravo ragazzo” ci può anche lasciare la pelle come accaduto l’anno scorso a Viterbo a Gianluca Santiago.

Qualche provvedimento ci vuole, anche per dimostrare la forza del nuovo Governo che, tramite il Ministro dell’interno produce un Decreto Legge talmente raffazzonato che avrebbe provocato la bocciatura di qualsiasi studente di giurisprudenza.

La norma Anti rave del Decreto legge 31 ottobre 2022 n. 162 è questa:

 “1.    Dopo l’articolo 434 del codice penale è inserito il seguente:

«Art. 434-bis (Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica). – L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.

Chiunque organizza o promuove l’invasione di cui al primo comma è punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000.

Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita.

E’ sempre ordinata la confisca ai sensi dell’articolo 240, secondo comma, del codice penale, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione.».

2.    All’articolo 4, comma 1, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo la lettera i-ter), è aggiunta la seguente: «i-quater) ai soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 434-bis del codice penale.».

3.    Le disposizioni del presente articolo si applicano dal giorno successivo a quello della pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.”

Già ad una prima lettura si intende che il Governo accumuni i partecipanti ai rave ai mafiosi, vista l’entità sproporzionata della pena (da tre a sei anni di reclusione, quando chi uccide una persona in auto in stato di ebbrezza rischia “solo” dai 5 ai 10 anni), superiore all’omicidio colposo che permette sempre intercettazioni telefoniche anche a carico di minori e l’inserimento dei partecipanti nel codice antimafia.

A parte il fatto che in un Decreto Legge AntiRave, riferimenti alla musica o al “RAVE Party” non ce ne sono proprio, ingenerando il dubbio che la norma serva anche ad altri scopo come quello di sanzionare raduni studenteschi (vedi le manganellate alla Sapienza del 25 ottobre 2022 oppure le occupazioni di fabbriche) , all’interno del testo c’è un errore marchiano. E scritto: “…allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica…”. Ora, in diritto le parole sono importanti. Con questa dizione “può derivare”, qualsiasi comportamento potrebbe far scattare il reato (una persona che cammina sotto un muro pericolante, una persona che cammina sul cornicione, una persona che si avvicina troppo alla griglia dove arrostiscono gli arrosticini di contrabbando, una persona che – per vedere meglio – si arrampica sul palo.) tutte situazioni che, al limite potrebbero portare ad un pericolo, ma chi giudica queste azioni come possibili di ipotetico pericolo? Un questurino di passaggio?  Chissà…. La dizione giusta era “Quando dallo stesso deriva un concreto pericolo per l’ordine pubblico”. Ci vuole la concretezza nell’ipotesi delittuosa.

La norma viene dal Viminale, ma, d’altronde che volete pretendere da un ministro che, fino a pochi mesi fa, Prefetto di Roma e quindi supremo garante dell’ordine pubblico nella provincia, l’ordine pubblico se lo fece dettare il 14 luglio 2021 da Bonucci e Chiellini che imposero – in piena pandemia – un corteo, non previsto, anzi vietato, con il pullman dei calciatori vittoriosi agli europei circondati da migliaia di “tifosi” ovanti e assembranti. Reazione del Prefetto (riportata da “Giornale di Sicilia”: «Non era previsto, lo hanno “imposto” Bonucci e Chiellini», ridicolo, non vi pare?). E chi era ancora il Prefetto di Roma quando, il 9 ottobre 2021, in una manifestazione autorizzata in maniera statica (sì, c’era ancora il COVID) si scopre che Giuliano Castellino (leader di Forza nuova e agli arresti domiciliari)  arringava il popolo dal palco col megafono e che gli agenti di polizia non impediscono di andare alla sede della CGIL e devastarla? Sempre l’attuale ministro dell’interno che, evidentemente, nei due episodi soprariportati  ha assunto la figura di Quinto Fabio Massimo, ma, ora, forse coperto dal suo antico ministro, gli è venuta voglia di fare presto, anzi prestissimo.

Fortunatamente a correggere i marchiani errori del Decreto Anti-RAVE ci ha pensato il parlamento: trasformando il folle comma in uno più “onesto”. Dal 31 dicembre 2022  (legge di conversione 30/12/2022 n. 199 la norma “con errori” è diventata questa:

L’articolo 5 è stato così modificato: “1.    Dopo l’articolo 633 del codice penale è inserito il seguente:
«Art. 633-bis (Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica). – Chiunque organizza o promuove l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento, è punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000, quando dall’invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o per l’incolumità pubblica a causa dell’inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi.
E’ sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma, nonché di quelle utilizzate per realizzare le finalità dell’occupazione o di quelle che ne sono il prodotto o il profitto».
9

1-bis.    All’articolo 634, primo comma, del codice penale, le parole: «nell’articolo precedente» sono sostituite dalle seguenti: «negli articoli 633 e 633-bis».10

Le pene sono rimaste le stesse ma circondate da severi paletti quali “il concreto pericolo per la salute pubblica”, “l’inosservanza di norme in materia di sostanze stupefacenti” o “in materia di sicurezza degli spettacoli pubblici”. E tutto ciò ovviamente quando si organizza un Rave Party, non una manifestazione qualsiasi come poteva sembrare dalla prima stesura.

E, ovviamente, il Parlamento ha soppresso il comma 2 che inseriva i partecipanti “fra i mafiosi”.

  • NAVI ONG

Evidentemente questo è un governo cocciuto e impara poco dagli errori che la sua part politica commetteva poco più di 4 anni fa. Allora il ministro dell’interno Salvini, di cui l’attuale ministro dell’interno era il Capo di Gabinetto, per far vedere che era un uomo forte, se la prese, nel 2018/2019 con le navi delle ONG (Organizzazioni non Governative) che – stazionando nel canale di Sicilia prendevano a bordo i naufraghi/profughi provenienti dalla Libia e li sbarcavano in Italia. Anche allora la percentuale di questi naufraghi/profughi era ridicola sulla massa di profughi che arrivavano (non solo via mare) in Italia, circa il 10%. Eppure quello delle navi ong fu il bersaglio scelto dal Salvini e dal Governo giallo-verde. Come tutti si ricordano il risultato fu che andarono a sbattere! Tutti i profughi/naufraghi furono fatti sbarcare, salvo quelli di una nave che, buon cuore, la Spagna si dichiarò disposta ad accogliere. Querele di Salvini contro la Capitana Rakete, vittoria dela Rakete in tribunale. Salvini ha ancora un paio di processi in corso per non aver fatto scendere i profughi/Naufraghi nei porti italiani.

Dalle esperienze negative si prende esempio; qui pare di no. L’attuale ministro dell’interno, forse – chissà – imbeccato dal suo predecessore, ha di nuovo dichiarato guerra alle Navi ONG.

Subito, il 4 novembre 2022, emette un decreto “che vieta alla nave ONG Humanity 1 di sostare nelle acque territoriali nazionali oltre il termine necessario ad assicurare le operazioni di soccorso [non di sbarco] e di assistenza nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali e in precarie condizioni di salute segnalate dalle competenti autorità nazionali”. Quindi sbarchi selettivi: assistenza medica solo a chi sta male e (forse) ai minori, divisione di famiglie e completo disinteresse per la sorte di chi deve rimanere a bordo e della nave che deve ripartire subito con il suo “carico residuo” [di esseri umani].

Dispositivo breve ma oserei dire spaventoso. Ma qualche chicca si trova anche nel preambolo che occupa oltre il 90% dell’intero decreto: salta agli occhi la citazione del Regolamento (CE) 14 settembre 2016, n. 2016/1624, relativo ala guardia di frontiera europea, che, come è facilmente riscontrabile nella sezione EUR-LEX di Europa.eu al link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32016R1624&qid=1673607586771 non è più in vigore dal 31/12/2020.

Strana poi tutta la polemica con la Germania , Paese di Bandiera della nave Humaniti1, con richiesta di informazioni, doglianze sul fatto che le operazioni di soccorso siano avvenute al di fuori della zona SAR italiana senza alcun coordinamento italiano, che le operazioni siano avvenute “in contrasto con lo spirito (sic!) delle norme internazionali, europee e italiane in materia di sicurezza dele frontiere [135 profughi/naufraghi sono un pericolo per le frontiere?] e, soprattutto, una asserita responsabilità a prendersi i profughi da parte dello Stato di Bandiera o a far ricevere la domanda di asilo dal Comandante della nave di bandiera, mai citato fra i luoghi esclusivi dove di può presentare dall’articolo 3 della Direttiva Procedure 2013/32/UE del 26 giugno 3013? o, quando è noto che la responsabilità dello Stato di bandiera si limita a fatti successi sulla nave in acque internazionali, tipo omicidi, rapine, questioni amministrative, e, puranche, matrimoni. Pensate un attimo alla questione dei fucilieri di Marina che il 15 febbraio 2012 avrebbero ucciso due pescatori  indiani pensando fossero pirati (vedi a questo link: https://it.wikipedia.org/wiki/Caso_dell%27Enrica_Lexie#:~:text=19%20febbraio.,che%20in%20una%20normale%20prigione.) l’India non se l’è mai presa con lo Stato italiano, ha tenuto la nave sequestrata per due mesi perle necessarie indagini e l’ha poi rilasciata, La querelle, poi finita bene, era incentrata sull’accusa personale che l’India faceva ai due Marò italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girotti pretendendone la messa in stato di giudizio [ma la motivazione non è mai stata esplicitata] e coinvolgendo solo parzialmente l’Italia nell’errata convinzione che, essendo due militari, fossero alle dirette dipendenza dell’Esercito italiano, pensando che fossero due militari in servizio effettivo, ma il coinvolgimento “penale” dell’Italia cessò quando fu spiegato che i due marò erano in missione antipirateria, prestati dalla Marina, un po’ come due guardie giurate. La situazione è confusa, quindi per le norme internazionali la responsabilità dello Stato di bandiera non è certa per l’accertamento dei fatti criminosi avvenuti in acque internazionali e senza coordinamento statuale. La questione fu, in pratica, risolta con un accordo stragiudiziale in denaro che l’Italia – a titolo di risarcimento – versò alle famiglie delle vittime indiane, visto che il risarcimento per gli incidenti dovrebbe essere contemplato nel contratto di ingaggio.

E la polemica Meloni – Macron? Sterile e controproducente. La Meloni estrapolando da un colloquio con Macron la disponibilità di questi a prendersi una nave. Macron negò l’accordo spiegando che avrebbe offerto solo un aiuto.

Ne vale la pena per 300 persone contro le migliaia che sbarcano?

  • QUESTIONE DEL PORTO SICURO DI SBARCO

C’è una sottigliezza da spiegare, un pertugio ove potrebbe, con grandi perdite, infilarsi il Governo italiano; mi sono studiato la questione e l’ho sottoposta a giuristi e uomini specializzati in legge del mare. Non ne voglio ripetere perché è lunga e complicata. Chi volesse approfondirla la trova su questo stesso blog, all’articolo “Le leggi del mare e i migranti” al link https://sergioferraiolo.com/2022/11/16/le-leggi-del-mare-e-i-migranti/

Riassumo: la competenza è quasi tutta di origine “Nazioni Unite”, di Europa c’è poco (UNCLOS, SOLAS, Convenzioni SAR sono strumenti internazionali extraeuropei e alla quale l’EU aderisce, ma l’egida è delle Nazioni Unite.

Premetto che in tutte le convezioni il soccorso, in caso di naufragio o in caso di pericolo di naufragio (Distress), è sempre obbligatorio da parte di chicchessia, che sia Stato Coordinatore (come noi sempre in Mare nostrum) o che non lo sia. L’obbligo di indicare un porto di sbarco sicuro è più controverso: c’è un buco normativo.

Il casus belli (non previsto dalle convezioni (piuttosto vecchiotte)) è un salvataggio compiuto in una zona SAR (Search and Rescue) di un Paese dove non possono essere sbarcati i naufraghi. Penso alla Libia, da dove scappano e che li tortura, ma penso anche alla Tunisia che non ha ratificato alcune convezioni e restituisce alla Libia o agli altri Paesi dell’Area subsahariana i naufraghi. Insomma una nave privata, non coordinata da alcuno Stato rivierasco come quelle dele ONG che agiscono autonomamente chiedendo il porto sicuro dalle acque libiche, dopo aver compiuto il salvataggio, dopo aver assolto all’obbligo di soccorso, non ha uno Stato rivierasco a cui chiedere un porto di sbarco. In queste condizioni Italia, Grecia, Cipro, Malta, Grecia, Spagna, Croazia sono, sul piano del diritto, sulla stessa linea: hanno gli stessi doveri di indicare il port sicuro di sbarco.

Devo dire però, per verità di narrazione, che qualche anno fa circolava sui tavoli di Bruxelles un documento denominato “COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT For the Council Shipping Working party IMO -Union submission to be submitted to the 7th session of the Sub-Committee on Navigation, Communication and Search and Rescue (NSCR 7) of the IMO in London from 15-24 January 2020 setting out a preliminary draft structure and proposal for a revision of the Guidelines on places of refuge for ships in need of assistance, annexed to resolution A.949 (23)” laddove a pagina 26, (appendice 1 alla sezione 4) si dice che:”Deciding which coastal State’s competent authority to be in the lead. If a PoR is requested when no SAR operation has taken place, the deciding factor should be the Maritime Assistance Service (MAS) declared by the state in whose area of jurisdiction the shipis located. If there is no MAS declared, in the first instance the State with jurisdiction over the waters in 27which the ship is located (eg. through a declared EEZ) should co-ordinate the PoRrequest unless and until an agreement has been reached to transfer coordination to another coastal state”.

Quindi, se la mia traduzione è esatta, quando non c’è una zona SAR di riferimento, il PoR (Place of Refuge) viene spostato allo Stato che ha ricevuto la relativa richiesta e nella cui zona SAR si trova la nave. Pertanto il vuoto normativo sarebbe colmato.

Sinceramente non so se e quando questa “proposta” diventerà norma cogente, o se lo sia già diventata.

Ma la questione è un’altra: conviene politicamente all’Italia, per eliminare il 10% dei profughi/naufraghi, portare avanti tutta questa querelle politico/diplomatica, isolandoci dall’Europa che conta e non ricevendo alcun vantaggio dai Paesi dalla linea dura come Ungheria o Polonia? Non era meglio farli sbarcare e poi affidarsi, come sempre alle loro gambe? Si sa bene che l’Italia è al quarto posto in Europa per domande di asilo: in caso di rilocazione forzata dovrebbe prenderne, non darli. L’Europa è la patria del compromesso: tu ti prendi un po’ di profughi, io dopo un po’ ne lascio entrare qualcuno e non ti rompo le scatole sui tuoi conti pubblici disastrosi.

E, invece no, il 2 gennaio 2023, sulla Gazzetta Ufficiale, compare il “Decreto Legge 2 gennaio 2023 n. 1, recante “misure urgenti per la gestione di flussi migratori” che reca alcune modifiche all’articolo 1 del Decreto legge 21 ottobre 2020, n. 130” (uno dei decreti sicurezza).

Nel testo previgente, nel secondo comma dell’articolo 1 erano inserite le norme “cattive” [divieto di attracco, divieto di transito e sosta nelle acque territoriali etc.]. Il Nuovo decreto legge , invece, le “sospende” se la nave ONG  fa la brava e osserva tutta una serie di prescrizioni dettate dal Governo “autorizzazioni al soccorso [ma non era obbligatorio?] , immediata richiesta di porto di sbarco, divieto di soccorrere, durante il tragitto altra imbarcazione in difficoltà [Ma il soccorso non era obbligatorio?],  fornire tutte le informazioni e gli elementi richiesti prima ancora dello sbarco. Nei casi di violazione si applica al comandante la sanzione amministrativa [applicata quindi dal prefetto, organo più malleabile, e non penale adottata da un magistrato] da 10.000 a 50.000 euro con responsabilità solidale estesa all’armatore e al proprietario [generalmente ignari dell’accaduto: responsabilità oggettiva?], la nave è sottoposta a fermo amministrativo e alla confisca in caso di reiterazione.

Norme come si vede, quasi inapplicabili che, in alcuni casi configurerebbero il reato di “omissione di soccorso”: “Poverini state già affogando, ma non vi possiamo prendere a bordo perché abbiamo già un altro carico di naufraghi e dobbiamo chiedere l’autorizzazione suppletiva, se sarete ancora vivi quando e se arriverà, potremo prendervi a bordo!”

Vedremo il Parlamento cose ne farà.

Ma non è finita: assegnazione del porto sicuro sempre più lontano. Si sta infatti verificando che l’assegnazione del porto di sbarco sia concessa in porti ubicati in Regioni sempre più al  nord e, pare, governate da giunte di sinistra: Taranto, Livorno,  Genova, Ancona o, vedi qui, https://www.dire.it/08-01-2023/857817-opposizioni-governo-navi-ong-migranti-porti-lontani-citta-centrosinistra/;  oppure qui, ove, suo “Post” viene spiegato il problema: https://www.ilpost.it/2023/01/08/navi-ong-ancona/.

Lo scopo è perfido: allungare la sofferenza e allungare il tempo in cui la nave starà assente dal canale di Sicilia.

  • MEDICI NOVAX

Il Decreto Draghi, in piena pandemia, aveva sospeso l’eserizio della professione ai medici che non si fossero voluti far vaccinare. Norma a tempo in attesa che la pandemia COVID svanisse. Il Governo attuale che fa? Invece di starsene buono e aspettare la scadenza naturale del decreto al 31 dicembre 2022, anticipa il loro rientro al 1° novembre 2021: 60 giorni d strizzate d’occhio ai novax. Notate che negli  ospedali ci vanno non certo le persone belle sane e forti, ma quelle deboli , bisognose di cure, anche oncologiche e immunodepressi. Si sono presi critiche gratuite molto facilmente evitabili. Ma – si sa – le strizzate d’occhio al mondo antagonista e novax valgono molto di più.

  • AUMENTO DEL CONTANTE E POS

Fra le primissime misure – attesissime e ritenute indispensabili dagli italiani – c’era l’aumento del limite di circolazione del denaro liquido che quest’anno doveva scendere sotto i 1000 euro. Io non sono un indigente, ma nel mio portafoglio per convenienza o paura di rapine, al massimo girano 3 o 4 pezzi da 50 euro. A chi serve girare “legalmente” con 10.000 euro, come diceva Salvini? Solo a chi non vuole farsi tracciare: chi paga a nero la colf, chi si fa ridipingere a nero una stanza, che si fa aggiustare l’auto senza chiedere fattura (e senza garanzia!!!), ai magnati russi che si fanno belli nelle gioiellerie regalando gioielli alle loro donne senza che ne venga lasciata traccia? Negli altri Paesi, ma i nostri politici sono tutti casalinghi, il contante è quasi scomparso anche al bar: vicino alla cassa, c’è una fessura o un attrezzo dove il cliente infila o  appoggia la carte di credito e il caffè è pagato, alla faccia di Salvini che dice “chi vuol pagare il caffè con la carte di credito è un rompiballe!!!, io voglio pagare come mi pare”. Paga pure come ti pare, ma lascia che anche io possa pagare come mi pare. E, infatti, la norma sul contante è stata dimezzata e ritirata quella sul POS.

E dire che alcune prime giustificazioni del Governo erano che “ce lo chiedeva l’Europa!”. Mica vero! Semplicemente l’Europa aveva chiesto non solo all’Italia, ma a tutti gli Stati membri che volevano rendere obbligatorio l’uso del POS, quali tutele avrebbero adottato nei confronti delle fasce deboli che on potevano permettersi i costi dei conti correnti bancari. Qui in Italia era il contrario: fino ad una certa somma era POS che poteva essere vietato!!!!

Oppure che per le piccole transazioni il POS era troppo oneroso per i commercianti. A parte il fatto che quasi tutte le aziende non prendono commissioni fino a 10 euro di transazione, basta andare a questa pagina di Google per conoscere quanto effettivamente poco costi il POS: https://www.google.com/search?q=POS&rlz=1C1PRFI_enIT946IT947&oq=POS&aqs=chrome..69i57j46i199i433i465i512j46i131i199i433i465i512j69i60j69i65j69i61j69i65l2.13485j0j4&sourceid=chrome&ie=UTF-8

  • CARO BENZINA

Il 24 febbraio 2022 scoppia la guerra fra Russia e Ucraina. Voi tutti sapete che il prezzo delle merci comuni non subito deperibili (grano, olio, petrolio, gas) non lo fa il venditore, ma le Borse (famosa, per il Gas, quella di Amsterdam). Lì gli investitori (raccoglitori di risparmi: sì, nei loro fondi ci sono anche le vostre pensioni) che possono muovere giornalmente migliaia di miliardi hanno scommesso (sulla guerra si scommette facile) che Putin avrebbe, per ritorsione, chiuso i rubinetti del gas vero l’Europa. Allora, per mezzo dei cd. contratti futures, hanno a febbraio comprato a marzo a prezzi da capogiro contratti di futura fornitura di gas, scommettendo sul sicuro rialzo; quando i futures galoppano non si può fermarli: se falliscono, falliscono anche i denari dei contribuenti, pensioni, risparmi che ci sono dentro. Una vota realizzato quello che dovevano realizzare i grandi gruppi speculativi si sono ritirati dal mercato e il prezzo dell’energia (GAS, benzina, petrolio,) è cominciato a scendere.

Il Governo Draghi tentò di metterci una pezza [sappiamo che se aumenta il gasolio su cui tutto viaggia in Italia, tutto aumenta di prezzo] diminuendo le accise sul carburante di 18 centesimi e il prezzo alla pompa scese di 18 centesimi. Il provvedimento era provvisorio e si se bene che, in Italia, quando i prezzi salgono, sono molto restii a salire. Il 31 dicembre – scaduto il decreto Draghi – il prezzo alla pompa è tornato su di 16 centesimi (confermando la lenta discesa dei prezzi) Alte grida di aiuto da parte degli auto trasportatori: il Governo intervenga. La Meloni, ingenua come sempre, ha fatto sapere che non aveva il miliardo al mese per pagare un nuovo abbassamento dele accise. [Ma i soldi per i 12 minicondoni e per l’estensione della flatTax, li aveva e la diminuzione delle accise era scritta nero su bianco nel programma elettorale di Fratelli d’Italia]. Ma si sa, le proteste, specialmente quelle degli autotrasportatori, anche se non siamo in Cile, fanno breccia. Con rapidità il Decreto sulle accise è cambiato: se i prezzi aumenteranno, il Governo ci metterà una pezza.

  • ESTENSIONE DELLA FLAT TAX

Un’altra mossa singolare del Governo è stata quello di aumentare alle partite IVA fino a 80.000 Euro il regime forfettario del 15% di tasse. Lo so che in questo 15% non c’è la previdenza, ma anche io lavoratore dipendente, oltre a pagare l’IPEF nazionale, regionale e comunale, ogni mese pagavo ben 1.500 euro di previdenza.

Ora, per esempio un geometra assunto regolarmente con contratto a tempo indeterminato paga gli esosi scaglioni dell’IRPEF. Chi è a partita IVA no e paga soli il 15%! Qualcuno mi sa spiegare il perché?

  • SVARIONI VARI (poutpourry)

L’Italia deve essere digitale: il Governo vuole fermare l’invio delle prescrizioni delle analisi e delle medicine on-line che tanto tempo e assembramenti aveva fatto risparmiare. Poi fa retromarcia.

Salvini se la prende con i biscotti OREO perché contengono carbonato di ammonio, additivo alimentare usato da decenni per l’alcalinizzazione, la lievitazione e la produzione del cacao in polvere sotto il rigido controllo delle agenzie Italiane ed europee. Mai si è levata voce che facesse male.

Paradossi Covid: ogni cinese che entra in Italia viene “tamponato”, ogni italiano, positivo da 5 giorni, se non presenta più sintomi evidenti pi uscire e rientrare nella comunità.

 La ministra del Turismo (che con la tutela del mare e delle spiagge non c’entra nulla) esordisce chiedendo che tutte le spiagge libere che siano sporche o in preda a tossicomani vengano recintare ed assegnate a gestori privati [Ma sono mai andati a vedere le splendide spiagge libere francesi o spagnole, dove i servizi privati si limitano al bar, al ristorante a qualche campo di pallavolo o racchettoni ed il resto, pulitissimo, è lasciato alla ibera fruizione dei bagnanti?].

Sempre Salvini si dice inorridito per la strage stradale di Alessandria “non basta la prevenzione se si va in 7 in auto”; peccato che quell’auto fosse effettivamente omologata per sette persone a bordo!!!

Dante ha inventato il pensiero di Destra: Il Ministro Sangiuliano oggi ha dichiarato che “Dante è il fondatore del pensiero di destra italiano”. Molte polemiche per tanta ignoranza. Evidentemene nel 1200 non c’erano solo i Guelfi e i Ghibellini, ma anche i fasci e i rossi!!

Chissà perché, ma in questo il Governo non c’entra, vista la mala parata e l’incriminazione del Padre, tutti i figli di Bolsonaro, l’ex Presidente del Brasile, hanno chiesto la cittadinanza italiana. Se si fugge, si va dagli amici.

A Roma passeggiano i cinghiali? Il Governo apre alla possibilità di cacciarli “per motivi di sicurezza stradale anche in aree protette e in città”. L’emendamento sarà attuabile anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto. A coordinare le operazioni sono preposti il Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare dei Carabinieri, che potrà avvalersi dei cacciatori riconosciuti, delle guardie venatorie e degli agenti delle Polizie locali e provinciali munite di licenza. Con la peste suina in atto è pericoloso uccidere i cinghiali in strada e lasciarne lì la carcassa a disposizione degli altri animali. Il Governo non sembra preoccuparsene.

Ovviamente non è un elenco esaustivo, ma sono provvedimenti di cui il governo va fiero. A me sembra ormai di vivere in una nazione barzelletta. Certo, Monti e Draghi non li aveva eletti nessuno, ma non notate alcuna differenza? Per quanto tempo vogliamo continuare con quest Governo a fare figuracce?

 il 20 e 21 settembre prossimo saremo tutti chiamati ad esprimere il nostro voto sul referendum inteso ad operare un taglio lineare ai parlamentari. I Deputati scenderebbero da 630 a 400 e i Senatori da 315 a 200. Fra Coronavirus, contemporanee elezioni regionali e comunali e, soprattutto, l’incertezza dei partiti a prendere posizione, l’argomento è ancora perlopiù confuso. Molti sono i punti oscuri. I partiti, tranne i Cinquestelle, promotori del “taglio” (anche se non era nel loro programma), sono abbastanza ondivaghi secondo le convenienze precedenti; non hanno una posizione definita passando da un NO netto ad un Sì sofferto come il PD oppure da un Sì ad un forse No come Forza Italia. Gli elettori sono abbastanza confusi: la diminuzione de parlamentari è ovvio che comporti un sia pur minimo risparmio. Ma tale risparmio è valido per contrastare i sicuri effetti negativi? E tutti gli altri vantaggi, sbandierati dai promotori, sono reali o sono fake news? Sono un burocrate, avvezzo ai regolamenti del Parlamento, che ho frequentato come tecnico per oltre 20 anni. Ho tentato di metter un po’ in ordine le cose che so e che mi fa piacere condividere con voi. Non pretendo di avere la verità in mano, ho cercato solo di documentarmi e quello che ho imparato mi fa piacere metterlo a disposizione di tutti coloro che avranno la bontà di leggermi e seguirmi.

In quattro post che pubblicherò, a partire da domani, 2 settembre, su Facebook (platea ampia) e sul mio blog https://sergioferraiolo.com, che mi permette, però, una migliore formattazione e l’inserimento – impossibile su FB – degli indispensabili link di approfondimento e spiegazione, cercherò di raccontare se le motivazioni dei promotori del Referendum siano concrete o siano campate in aria, se i grandi vantaggi sbandierati dai promotori siano reali o meno ed, infine, quali saranno, oltre al “taglio”, le conseguenze del Referendum.

Seguitemi, se vi va.

Oggi ha tenuto banco la Piattaforma Rousseau sulla quale gli iscritti del Movimento Cinquestelle hanno potuto “votare” sul gradimento del nuovo Governo giallo rosso.

Sia Di Maio sia Davide Casaleggio hanno magnificato questo “nuovo e meraviglioso sistema di democrazia diretta” con il quale la base può far conoscere in tempo reale cosa pensa delle scelte dei vertici.

A parte le forti riserve su un sistema informatico gestito da una società privata che oggi ha deciso se dare il via ad un Governo della Repubblica, io non mi fido. Casaleggio dice che è stato tutto regolare. Non avendo riscontri contrari devo credergli, ma non ho nemmeno riscontri favorevoli. Un sistema elettorale i cui risultati sono da accettare fideisticamente non mi piacciono.

Preferisco le schede cartacee che si possono contare e ricontare, controllare e ricontrollare.

Sapete benissimo che in Italia, per le elezioni politiche, ci sono circa 61.000 sezioni elettorali, ognuna delle quali composta da un Presidente, un segretario e quattro scrutatori: quindi circa 360.000 persone ai quali si aggiungono i rappresentanti di lista che controllano.

I verbali (che sono in triplice copia) vanno al Comune, alla Prefettura e al tribunale. E’ infatti la magistratura che comunica i dati ufficiali, quelli del “cervellone del Viminale” sono ufficiosi al solo beneficio della stampa.

Quindi troppe persone per poter solo suppore un pericolo di brogli.

E’ ancora fresco il ricordo di quanto successe nelle elezioni presidenziali americane nel 2000. In Florida si votava con un sistema semiautomatico che “bucava” la scheda in corrispondenza del candidato prescelto.

Al Gore e George W. Bush si contesero la vittoria all’ultima scheda  che furono contate e ricontate (i “buchi” non erano netti) fino allo stop al riconteggio imposto dalla Corte Suprema che privilegiò la speditezza del conteggio alla sua correttezza.

Per comprendere quanto sia facile “modificare” in favore del partito che si predilige un sistema informatico che dovesse presiedere ad un voto elettronico, vi riporto un articolo di Douglas W. Jones, docente presso l’Università dello Iowa. L’articolo è dell’anno 2000, ma è sempre attuale perché non si basa sui tecnicismi sempre in continua evoluzione, ma sui ragionamenti di logica umana che sono alla base di qualsiasi programma. (La traduzione è di Luca Parisi, il titolo è USA: voto elettronico e software e pubblicato il 7 novembre 2000 alle 16:43:41 CST sul gruppo di discussione comp.risks Volume 21: Issue 10. Work in progress alla pagina http://www.cs.uiowa.edu/~jones/voting/ con il titolo “Election Privacy and Security”):

“Oggi è il giorno delle elezioni e in qualità di presidente del Comitato statale di controllo sulle macchine per votazione e i sistemi elettronici di voto dello Iowa, credo che sia il momento giusto per fare una pausa di riflessione sullo stato dell’arte in materia.

Nel corso degli ultimi anni si è affermata con chiarezza una importante tendenza nelle macchine per votazione che sono state presentate al nostro comitato per ottenere l’approvazione nello Iowa. Si tratta della sostituzione del software realizzato ad hoc con software standard preconfezionato, solitamente una qualche variante di Windows e basato largamente su Microsoft Office.

I computer nel sistema elettorale sono ormai una tecnologia consolidata, sia che vengano usati nei sistemi centralizzati di conteggio basati su schede perforate o lettori ottici, sia che si tratti di sistemi di conteggio ai seggi basati su macchine per votazione elettroniche a lettura ottica o a registrazione diretta. Naturalmente sono ancora in uso macchine manuali a leva ma i loro modelli non subiscono modifiche da molti anni e, di conseguenza, non vengono presentati al comitato per le verifiche.

Secondo le vigenti linee guida della Commissione Elettorale Federale (FEC, Federal Election Commission) sui sistemi elettronici di voto, tutto il software realizzato ad hoc è soggetto ad una verifica condotta da terzi indipendenti. D’altro canto, i “componenti standard” sono considerati accettabili così come sono. La FEC non ha il potere di far osservare le norme, ma le sue linee guida sono state recepite nella legislazione elettorale di numerosi Stati.

Il mio motivo di preoccupazione è che siamo testimoni del fenomeno per cui una percentuale sempre maggiore del software contenuto nei sistemi di voto è costituita da prodotti proprietari di terze parti, non soggetti al requisito della disponibilità dei sorgenti per un esame del codice. Inoltre, le dimensioni dei sistemi operativi commerciali sono enormi, per cui è molto difficile immaginare la possibilità di un controllo efficace!

A quali rischi ci espone tutto ciò?

Se io volessi influire sul risultato di un’elezione, non quella in corso ma quella che si terrà fra quattro anni, potrei ipoteticamente lasciare il mio impiego all’Università dello Iowa e andare a lavorare per Microsoft, cercando di inserirmi nel gruppo che cura la manutenzione degli elementi chiave dell’interfaccia utente (window manager). Sembra una prospettiva piacevole, anche se il lavoro che farebbe al caso mio comporterebbe, in gran parte, la manutenzione di codice che è rimasto stabile per anni. Ecco il mio obiettivo:

Desidero modificare il codice che crea un’istanza dell’elemento dell’interfaccia utente chiamato “pulsante di scelta” (radio button) in una finestra presente sullo schermo. La funzione che voglio aggiungere, in particolare, è la seguente. Se la data coincide con il primo martedì successivo al primo lunedì di novembre di un anno divisibile per 4, e se la finestra contiene un testo che comprende la stringa “straight party”, e se inoltre il radio button contiene almeno le due stringhe “democrat” e “republican” allora una volta su dieci, in modo casuale, scambia l’etichetta che identifica il pulsante contenente la stringa “democrat” con una qualsiasi altra etichetta, anche questa scelta a caso.

Naturalmente, farei ogni sforzo per rendere incomprensibile il codice da me scritto. La scrittura di programmi illeggibili (obfuscated code) è un’arte che ha raggiunto un alto grado di sofisticazione! Una volta fatto ciò, avrei realizzato una versione di Windows che distribuisce il 10 per cento dei voti diretti espressi per il Partito democratico agli altri partiti, in modo casuale. Ciò sarebbe estremamente difficile da rilevare nei risultati elettorali, correrebbe un basso rischio di essere scoperto durante i controlli e, nonostante ciò, potrebbe influenzare il risultato di molte elezioni!

E questo è solo un esempio dei possibili attacchi! Potrebbero esistere vulnerabilità di tipo analogo, ad esempio, nei database commerciali che vengono usati per la memorizzazione e il conteggio dei voti espressi.

Con questo esempio non intendo esporre alcun sentimento di ostilità nei confronti di Microsoft, ma è vero che il software di questa azienda viene usato nella grande maggioranza dei nuovi sistemi di votazione che ho esaminato. Questo genere di minacce non richiede alcuna collaborazione da parte del produttore del window manager o di altri componenti di terze parti non soggetti ad ispezione del codice sorgente. Esso richiede unicamente una talpa, che possa insinuarsi all’interno dell’azienda produttrice e realizzare del codice che non venga rilevato dalle procedure interne di verifica e ispezione. La scrittura di programmi illeggibili è facile, e l’arte delle “uova di Pasqua” nei prodotti software commerciali rende più che chiaro il fatto che molte caratteristiche non riconosciute ufficialmente vengono inserite ogni giorno in pacchetti software disponibili in commercio senza la collaborazione dei produttori del software stesso. (Sono però a conoscenza del fatto che, in alcuni casi, le “uova di Pasqua” godono dell’approvazione ufficiale del produttore).

Ciò detto, è opportuno notare che Microsoft ha espresso una preferenza nei confronti dei risultati delle elezioni odierne, e che vi sono ottimi motivi per considerare i programmi software proprietari, prodotti da un’entità schierata, con grande sospetto nel momento in cui vengono inseriti in un sistema di votazione!

Quali sono le mie conclusioni? Credo che sia giunto il momento per i professionisti dell’informatica di adoperarsi per un cambiamento nelle linee guida relative alle macchine per votazione, chiedendo che tutto il software compreso in tali macchine sia open source e aperto al pubblico scrutinio, o almeno aperto allo scrutinio da parte di un’autorità di controllo terza e indipendente. Non esistono ostacoli di natura tecnica perché ciò avvenga! Sono disponibili molti sistemi operativi open source perfettamente funzionanti come Linux, FreeBSD e diversi altri, compatibili con l’hardware intorno al quale vengono costruite le macchine per votazione moderne!

Tuttavia, questo non risolve completamente il problema! Come si può dimostrare, dopo il fatto, che il software contenuto nella macchina per votazione sia lo stesso approvato dal comitato di controllo e sottoposto a verifica da parte dell’autorità di controllo indipendente? A mia conoscenza, nessuna macchina moderna è realizzata con l’obiettivo reale di consentire una dimostrazione di questo genere, anche se diversi produttori promettono di mettere a disposizione una copia del codice sorgente da loro usato presso un ente depositario in caso di contestazioni.”

Io sono d’accordo e prediligo[SF1]  nostro vecchio ma sicuro sistema di scrutinio cartaceo: che importanza ha avere i risultati dopo un’ora o dopo 24 ore per una legislatura che deve durare, senza sospetti di origine, per cinque anni?


 [SF1]

Vediamo di capirci qualcosa e di capire se questa crisi di governo ha in senso o ancora non ce l’ha.
A dire il vero non è neppure una crisi di governo perché il Governo di Giuseppe Conte, bicolore fra Cinquestelle e Lega è nella pienezza dei poteri.
Oltre i litigi di Facebook e Twitter c’è solo una presentazione, da parte della Lega, di una mozione di sfiducia verso “il Governo presieduto dal prof. Giuseppe Conte”.
Richiesta un po’ tafazziana in quanto, visto che la Lega è parte del governo, diretta anche contro il partito presentatore della mozione di sfiducia.
Mozione che, comunque, non appare nelle convocazioni di Camera e Senato.
Il Senato è convocato martedì 20 agosto alle ore 15.00 per “Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri”.
La Camera dei deputati è convocata mercoledì 21 agosto alle ore 11.00 per “Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri sulla situazione politica”.
Cosa comunicherà Conte martedì o mercoledì?
Probabilmente la sua intenzione di salire al Colle per dimettersi.
Solo in tal caso potrà parlarsi di crisi di Governo.
Se la intesterà Conte, visto che, almeno formalmente, la mozione di sfiducia non verrà neppure discussa.
Nel caso di dimissioni formali la parola passa a Mattarella che ha tre opzioni:
1) Rinviare Conte al Parlamento per fare votare la fiducia o la sfiducia al Governo. Ma non penso che questa sia la scelta perché potrebbe verificarsi la ipotesi che parte della vecchia maggioranza (Lega) voti la sfiducia e parte della vecchia opposizione sia costretta a votarla per poi governare insieme (PD).
2) Accogliere le dimissioni e sciogliere le Camere
3) Accettare le dimissioni e esplorare la situazione dando mandato a Mr.X di esplorare la situazione per vedere se esiste, in questa legislatura, una maggioranza in grado di dare la fiducia ad un Governo.

Questa è la ipotesi più probabile, ammesso che in questo guazzabuglio sia ancora possibile formulare una previsione.
Se Mattarella persegue questa scelta Mr. X potrà ottenere la fiducia e governare o non ottenerla ed allora le nuove elezioni saranno la strada obbligata.
In tal caso sarà Mr.X a gestire le elezioni e lo scioglimento delle Camere travolgerà anche la legge costituzionale di riduzione dei Parlamentari cara ai Cinquestelle che è calendarizzata alla Camera per il 9 settembre.
I Cinquestelle hanno ripetutamente affermato che intendono anticiparne la discussione al 21 agosto.
Sarà possibile?
Molto difficile se Conte martedì si dimette. Di solito, appena formalizzate le dimissioni le Camere vengono sconvocate e riconvocate solo per atti urgenti come approvazione dei decreti legge.
Nessun problema alla approvazione della legge tagliaparlamentari, invece, se domani Conte non si dimette.
Già, ma se non si dimette, che succede? Se si limita a stigmatizzare i problemi sorti con la Lega? La Lega ritirerebbe la mozione di sfiducia e il teatrino proseguirebbe come prima, con grande scorno di quella parte del PD che sostiene l’accordo con i grillini.
Insomma, quasi sicuramente la mozione di sfiducia che ha dato origine a questa “pre-crisi” non verrà discussa nè votata.
Ma come si mette con la probabile vera crisi di governo, un governo PD-Cinquestelle e la proposta di legge tagliaparlamentari?
Se Conte domani si dimette, i Cinquestelle senz’altro vorranno anticipare la discussione della proposta. C’è bisogno di una riunione dei Capigruppo per variare il calendario e la Capigruppo decide all’unanimità. Quali sono gli schieramenti? I numeri dei partiti alla Camera li trovate in un post di qualche  fa.
Non è facile, purtroppo, prevedere – con governo dimissionario ma in carica per gli affari correnti e una possibile nuova maggioranza – come si comporteranno i deputati chiamati a votare una legge che limita di molto le possibilità di rielezione.
Secondo me lo spettacolo non è finito.

Gli organi di informazione danno ormai per scontata la nomina di Pasquale Tridico alla guida dell’INPS al posto di Tito Boeri.

Ma sapete chi è costui? Non lo conoscevo affatto, era un semplice Carneade, quando sobbalzai sulla sedia leggendo un suo articolo sul “blog delle stelle”, sì il blog, organo quasi ufficiale dei Cinquestelle. Mi fece talmente sobbalzare per le castronerie contenute sul “reddito di cittadinanza” che lo pubblicai, quasi senza commenti sul questo blog il 13 marzo del 2018 a questo link: https://sergioferraiolo.com/2018/03/13/reddito-di-cittadinanza-le-spiegazioni-del-prof-tridico/) che, poi non era altro che la trascrizione di quanto lo stesso Tridico affermava nel “blog delle stelle”. Vedi qui: ((https://www.ilblogdellestelle.it/2018/03/il_lavoro_di_cui_ha_bisogno_litalia.html). Parole del “prof.” Tridico, mica le mie. Corroborate anche da un articolo de “Il Fatto Quotidiano”. Riporto qui, il resto potete leggerle cliccando sul link (qui per l’articolo di Tridico e qui per il mio articolo):

1) il reddito di cittadinanza, – parole criptiche di Tridico – che è tecnicamente un reddito minimo condizionato alla formazione e al reinserimento lavorativo. Lo Stato sosterrà economicamente chi oggi non raggiunge la soglia di povertà indicata da Eurostat, in cambio dell’impegno a formarsi e ad accettare almeno una delle prime tre proposte di lavoro, purché siano eque e vicine al luogo di residenza. Il Fatto Quotidiano ha da poco riproposto un mio articolo in cui spiego come il reddito di cittadinanza possa essere finanziato attraverso maggior deficit in termini assoluti ma senza aumentare il rapporto deficit/Pil e senza sforare la soglia del 3%. In sintesi il meccanismo è questo: grazie alla nostra misura almeno 1 milione di persone che attualmente non cercano lavoro ma sarebbero disponibili a lavorare (i cosiddetti ‘inattivi’ e scoraggiati) verranno spinti alla ricerca del lavoro attraverso l’iscrizione ai Centri per l’Impiego e andranno così ad aumentare il tasso di partecipazione della forza lavoro. Questo ci permetterà di rivedere al rialzo l’output gap, cioè la distanza tra il Pil potenziale dell’Italia e quello effettivo, perché 1 milione di potenziali lavoratori saranno di nuovo conteggiati nelle statistiche Istat. Se aumenta il Pil potenziale possiamo mantenere lo stesso rapporto deficit/Pil potenziale, cioè il cosiddetto ‘deficit strutturale’, spendendo circa 19 miliardi di euro in più di oggi. Il reddito di cittadinanza costa 17 miliardi complessivi, compresi i 2,1 miliardi per rafforzare i centri per l’impiego, e potrebbe quindi finanziarsi interamente grazie ai suoi effetti sul tasso di partecipazione della forza lavoro.”

Capite qualcosa?

Cioè, se ho capito bene, l’ingresso nell’area di chi cerca lavoro di oltre 1 milione di inattivi (oggi non conteggiati dalle statistiche ISTAT) andrà ad aumentare il “tasso di partecipazione della forza lavoro” (ossia il numero di disoccupati, dico io). Quindi, l’ingresso di un milione di disoccupati “ci permetterà di rivedere al rialzo l’output gap, perché avremo un milione di persone in più che saranno conteggiate come in ricerca di lavoro” e così “il reddito di cittadinanza si autofinanzierebbe”.

Sono alieno ai magheggi dell’alta finanza. A parte che non ho capito un fico secco di quello che Tridico dice, so solo che, oggi come oggi, i fortunati che riceveranno il reddito di cittadinanza avranno una paga equivalente a quella dei loro coetanei che si fanno un culo così nei lavori precari. Tanto i tutor non ci saranno mai (le regioni dicono che è di loro competenza e hanno già posto la pregiudiziale costituzionale) e voi pensate che, specialmente nel meridione, ad ogni fruitore del reddito di cittadinanza potranno essere offerti tre lavori “congrui” e vicino a casa?

E’ chiaramente un sussidio senza contropartita, una manovra elettorale che durerà solo un anno. Solo un anno?  Certo. Raschiando il fondo del barile, facendo partire l’erogazione del reddito di cittadinanza da aprile (un mese prima delle elezioni europee, guarda un po’), ponendo una grossa ipoteca sull’aumento dell’IVA dal 2020, facendo salire il debito pubblico con il rialzo dello spread (è un fatto che con il Governo Gentiloni lo spread era 100 punti più sotto), non so dove troveranno i soldi per rifinanziare il reddito di cittadinanza per i prossimi anni se non imponendo più tasse. Quindi, più tasse a chi lavora e reddito di cittadinanza a chi nulla fa. Questi sono i Cinquestelle.

Meditate, riflettete e diffondete perchè qui è in gioco la tenuta dell’Italia.

Come volevasi dimostrare il tema è molto difficile se in Parlamento la proposta di legge intesa a limitare le aperture domenicali dei negozi è tornata a zero.

Ricapitolo la questione che nuova non è. Nel 1998 , con le cd. “lenzuolate Bersani” gli orari dei negozi furono liberalizzati. La diatriba fra chi vuol orari stretti e chi li vuole lunghi è ancor più antica: risale al 1932.

E non si tratta della sola questione dell’apertura domenicale o meno. La questione è più vasta ed investe l’intero orario giornaliero dei negozi.

Ricordo quando ero bambino. Le famiglie erano per lo più monoreddito. La mattina la moglie andava a fare la spesa, A mezzodì la famiglia si riuniva al desco. Nel pomeriggio l’uomo, se non tornava al lavoro, andava a fare spese. Comunque la giornata dedicata alle spese familiari era il sabato, mattina o pomeriggio, ché la sosta per il pranzo era sacra.

Da queste abitudini si sono formati gli orari dei negozi come ancora li conosciamo: dalle 9 alle 13.00/13.30 e dalle 16.00/17.00 alle 19.30/20.30. Andavano bene sia i compratori, si ai venditori, potendo tenere un ritmo di vita simile.

Ovviamente le cose son cambiate. Ditemi voi se una persona che ha la fortuna di avere un lavoro può destreggiarsi fra il lavoro ed orari simili a quelli che ho descritto sopra.

Le famiglie monoreddito – per necessità – sono scomparse. Al loro posto, nei casi più fortunati, ci sono le famiglie in cui moglie e marito lavorano, poi quelle allargate, con la necessità di spostarsi per spostare i figli, a scuola o a tennis che sia.

In quegli orari ci sta bene solo un pensionato, per chi ci arriva.

Chi ha un lavoro ha bisogno di negozi aperti presto la mattina, nella pausa pranzo e la sera tardi.

Gli effetti si vedono. Nella mia zona, abitata da piccola borghesia, non certo ricca, i negozi con “orari tradizionali” stanno chiudendo uno ad uno. Sono per lo più negozi gestiti da una famiglia con lunga tradizione di commercio, perlopiù anziani che non possono, o non vogliono passare più tempo in negozio.

Li capisco bene, pagare un commesso che li sostituisca costa caro. D’altronde, questi negozietti, definiti “vicinali” o “familiari” hanno statisticamente poche decine di clienti ognuno e non possono permettersi un maggiore assortimento o più commessi per ampliare l’orario di apertura.

E così il consumatore non trova più nell’offerta dei negozi vicinali la risposta alle sue domande. E ciò contribuisce alla stagnazione dei consumi.

Il consumatore, per concentrare i suoi acquisti nel minor tempo possibile cerca un negozio che sia aperto quando lui è libero: pausa pranzo, sera tardi, giorni festivi. E un negozio in cui nel minor tempo possibile possa concentrare la sua domanda di acquisto. Con un maggiore (e forse migliore) assortimento, prezzo più basso. E poi, per finire, perché no, senza spostare l’auto, un cinemino o una pizza con tutta la famiglia. Tutto ciò il consumatore lo trova nei centri commerciali, non certo nei negozi vicinali. Visto che anche il Governo preme perché il consumatore spenda, perché questi dovrebbe privilegiare gli angusti spazi di apertura e lo scarso assortimento dei negozi vicinali?

Il Governo (la parte Cinquestelle) ha scelto di preoccuparsi dei commessi di questi mega centri commerciali sempre aperti, sette giorni su sette e, talvolta 24 ore su 24.

Ma non sa come mediare. Non sa come contrattare un equilibrio esistente ormai da anni per quelle categorie di lavoratori che lavorano quando gli altri sono liberi, proprio per far incontrare la domanda e l’offerta oppure per garantire servizi essenziali. Per i primi, parlo di camerieri di ristoranti, barman, operatori dello spettacolo etc.. Per i secondi parlo di poliziotti, infermieri, vigili del fuoco, vigili urbani etc.

Regolamentare opposti interessi è difficile, così la componente cinquestelle – notoriamente inesperta – sceglie la facile strada della proibizione dell’apertura. Ma la Lega non ci sta. Sa che più i negozi sono aperti, più la gente spende, più i proprietari di negozi pagano i commessi, più la economia corre. E da qui l’impasse odierno.

Ma c’è un pericolo molo più grande e, come al solito ci viene dagli USA , precursori di mode e tendenze. Lì i grandi centri commerciali, come Walmart, sono in profonda crisi.

Colpa di chi? Di chi, come Jeff Bezos ha inventato e portato ai massimi livelli, l’E-commerce, come Amazon, un sito dove puoi trovare tutto e a prezzi sensibilmente inferiori anche a quelli praticati dai Centri commerciali. Ormai il commercio è lì. Anche sull’abbigliamento: i potenziali clienti scelgono su Amazon, vanno a misurarsi l’articolo in un negozio, stabiliscono la taglia, e poi ordinano su Amazon.

Anche sull’alimentare: chiediamoci, oltre frutta e verdura, quali e quanti articoli alimentari scegliamo in base al loro aspetto e non alla loro etichetta.

Devo dire che anch’io, ormai, sono un cliente di Amazon: trovo quello che voglio ad un prezzo inferiore del 20% a quello praticato nei negozi. Non tocco con mano l’articolo? Non importa, se non va per qualsiasi motivo, posso restituirlo facilmente entro 30 gg con rimborso garantito. Quanti negozi possono garantirmi questo?

Facile preconizzare un rapido declino dei centri commerciali quando io posso comprare ad un prezzo minore ogni articolo, restituirlo quando voglio, senza spostarmi a casa?

Nel libero mercato comanda l’interesse: fra trovare il negozio sotto casa aperto, trovare l’articolo che mi interessa fra lo scarso assortimento, pagare un prezzo maggiore, possono compensare la maggiore presenza fisica del venditore?

Ma torniamo ai negozi vicinali. Comprendiamo bene che non possono pretendere di sopravvivere con un assortimento ridotto e gli orari ridicoli contrari agli orari liberi del consumatore.

D’altronde una volta le carrozzelle a cavalli erano i taxi attuali, ora si sono riciclate in strumenti al servizio del turista.

Devono morire? No, devono solo cambiare atteggiamento. Entrare nella nicchia, vendere non merce generica ma merce specifica di nicchia (ho vicino casa un ottico con competenza superlativa su ogni fotocamera esistente, esser molto competente sulle qualità degli articoli venduti.

Voglio infine raccontare una bella storia, purtroppo finita male per la prematura morte del negoziante.

Lavoravo dalle 9.00 della mattina alle 21.00 della sera. Mi era difficile comprare qualcosa da cucinare e da mangiare. Ed ecco una intelligente sortita di un salumiere.

La mattina apriva normalmente alle 9.00 e chiudeva alle 13.30 offrendo il suo negozio e le sue mercanzie a chi la mattina, pensionati o donne non lavoratrici era libero.

Il pomeriggio, invece di aprire alle 16.00, apriva alle 19.30 per raccogliere tutte le persone che escono tardi dall’ufficio ed hanno il problema della cena. Complice l’offerta di un bicchiere di vino, qualche crostino, qualche avanzo della giornata, era riuscito a raccogliere un club di persone che lì si riunivano per scambiare una chiacchiera, rilassarsi e, soprattutto, fare la spesa completa. E’ andata bene per oltre un anno, poi, purtroppo una morte prematura.

L’esempio però rimane. Per i negozianti. Devono inseguire i clienti, esser disponibili nei loro spazi liberi. Favorire l’incoro fra la domanda e l’offerta. Così il denaro circola.

Io ricordo che quando eravamo al liceo mangiavamo pane e politica. Io ricordo che allora – parlo dei primissimi anni ’70 – il personale era politico. Il fuoco era dentro di noi. Che Guevara e Almirante erano i fari delle opposte fazioni. Non passava avvenimento che, nelle scuole, e poi nelle università, non si discutesse in infinite assemblee anche se si trattava di fatti lontanissimi. Ricordo di aver preso una “nota” perché partecipai ad una manifestazione in favore della scarcerazione della attivista nera Angela Davis. Chi ricorda più ora chi era Angela Davis? Eppure anche a lei si deve se i neri americani oggi hanno più diritti.

Io ricordo che sentivamo come nostro dovere comprendere la realtà politica che ci circondava e, parimenti, nostro dovere, dire la nostra, a favore o contro.

Io ricordo che partecipavamo alle battaglie per i diritti civili. Manifestazioni per il divorzio, per l’aborto per i diritti degli omosessuali erano pane quotidiano. C’era chi militava in un campo, chi militava in un altro, ma tutti pervasi dallo stesso fervore di essere presenti, di tenere il punto, di far sentire la nostra opinione.

Io ricordo che gli appuntamenti elettorali erano un momento topico, nel quale convincere anche una sola persona dell’altra parte alle proprie idee era una battaglia, una vittoria, una sconfitta.

Io ricordo che facevamo le pulci ad ogni provvedimento legislativo, stigmatizzando quelle norme che, a nostro parere, erano contro le nostre idee.

Poi…. Poi qualcosa è andato storto.

Io vedo ora una rana bollita a poco a poco, insensibile alle compressioni delle libertà, insensibile alle violazioni dei diritti umani.

Io vedo ora una massa di gente attaccata al telefonino, il cui unico scopo è porre un like ad un argomento che interessa. Al massimo un cuoricino se l’argomento interessa un po’ di più.

Io vedo ora una massa che plaude ad una idea sol perché riportata su tre titoli di giornali o quattro retweet o che porta un centinaio di like. Ovviamente il plauso è completamente avulso da una qualsiasi attività del proprio cervello.

Io vedo ora passare nel silenzio generale avvenimenti che anni fa avrebbero suscitato un putiferio: vedo nel silenzio passare un ministro dell’interno che arroga competenze di altri ministri, vedo ora un “capo politico”, vice presidente del Consiglio, quindi personalità di spicco del Governo, offrire solidarietà e aiuto (su piattaforma telematica gestita da privati) ad un movimento violento straniero che ha l’unica caratteristica di essere anti-governativa.

Io vedo ora lo sport preferito da poltrona; no non è la playstation: protetti dall’anonimato è sparare  cavolate, insulti, dileggi, calunnie da codice penale contro bersagli ritenuti di parte avversa. La cosa, purtroppo,  viene giudicata normale.

Io vedo ora quello che fu il principale partito di governo, dibattersi, da un anno, in una lotta fratricida che ne erode ogni giorno di più il consenso, pensando solo a lotte intestine che al bene della nazione.

Io vedo ora partiti nati dalla scissione di quello che fu il principale partito di Governo, beccarsi al loro interno come i capponi di Renzo e scindersi vieppiù, forse attratti dall’imitare la particella elementare.

Sì, sono incazzato nero per l’apatia generale. Spero di ricevere numerosi insulti; almeno così, significa che qualche coscienza si è risvegliata. Ma ci spero poco.

 

Oggi i giornali riportano che, nelle intenzioni dei Cinquestelle, a gennaio sarà portato nell’Aula parlamentare un progetto di riforma costituzionale che interessa l’Istituto del Referendum come strumento di democrazia diretta. Bisogna riformare l’istituto del referendum – dice Di Maio – abolendo il quorum sotto il quale il referendum non passa. «Per anni i referendum li vinceva chi se ne stava a casa. È arrivato il momento, con l’abolizione del quorum» nel referendum abrogativo, «di fare in modo per cui chi va a votare conta e chi sta a casa si prende le sue responsabilità», ha concluso il vicepremier. Inoltre, i Cinquestelle vogliono introdurre il referendum propositivo ed abolire il divieto di referendum per i trattati internazionali (e le leggi finanziarie?).

Per chi vuole approfondire, questi sono i progetti di legge (con i relativi link alle schede e ai testi) delle proposte presentate dai Cinquestelle:

  • S.852 – 18ª Legislatura
    Sen. Gianluca Perilli (M5S) e altri
    Modifica dell’articolo 75 della Costituzione, concernente l’introduzione di un vincolo per il legislatore di rispettare la volontà popolare espressa con referendum abrogativo
    10 ottobre 2018: Presentato al Senato
    23 ottobre 2018: Assegnato (non ancora iniziato l’esame)

 

  • C.1173 – 18ª Legislatura
    On. Francesco D’Uva (M5S) e altri
    Modifica all’articolo 71 della Costituzione in materia di iniziativa legislativa popolare
    19 settembre 2018: Presentato alla Camera
    18 dicembre 2018: In corso di esame in commissione
  • C.998 – 18ª Legislatura
    On. Francesco Silvestri (M5S)
    Modifiche all’articolo 75 della Costituzione, concernenti i requisiti per l’indizione e la soppressione del quorum per la validità del referendum abrogativo
    25 luglio 2018: Presentato alla Camera
    Da assegnare
  • C.985 – 18ª Legislatura
    On. Valentina Corneli (M5S)
    Modifica all’articolo 75 della Costituzione, concernente l’ammissibilità del referendum abrogativo sulle leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali
    24 luglio 2018: Presentato alla Camera
    Da assegnare
  • C.984 – 18ª Legislatura
    On. Anna Bilotti (M5S)
    Modifica all’articolo 75 della Costituzione, concernente la soppressione del quorum per la validità del referendum abrogativo
    24 luglio 2018: Presentato alla Camera
    Da assegnare
  • S.588 – 18ª Legislatura
    Sen. Giovanni Endrizzi (M5S)
    Modifica all’articolo 75 della Costituzione concernente la soppressione del quorum strutturale del referendum abrogativo
    5 luglio 2018: Presentato al Senato
    Da assegnare
  • S.589 – 18ª Legislatura
    Sen. Ugo Grassi (M5S)
    Modifica all’articolo 75 della Costituzione concernente la soppressione del quorum strutturale del referendum abrogativo
    5 luglio 2018: Presentato al Senato
    Da assegnare
  • S.587 – 18ª Legislatura
    Sen. Stefano Lucidi (M5S)
    Modifica all’articolo 75 della Costituzione, concernente l’ammissibilità del referendum abrogativo sulle leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali
    5 luglio 2018: Presentato al Senato
    Da assegnare

In effetti al punto 20 del Contratto per il Governo del cambiamento [a proposito non sono riuscito più a trovarlo sul sito del blog delle stelle, dove è finito?] i partiti di governo affermano: “È inoltre  fondamentale  potenziare  un  imprescindibile  istituto  di  democrazia diretta già previsto dal nostro ordinamento costituzionale: il referendum abrogativo. Per incentivare forme di partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica nazionale occorre cancellare il quorum strutturale – ovvero la necessità della partecipazione alla votazione della maggioranza degli aventi diritto – al fine di rendere efficace e cogente l’istituto referendario. Ulteriore obiettivo di questa proposta, nel solco dello spirito che anima l’articolo 75 della Costituzione, è quello di scoraggiare, in ogni forma, l’astensionismo elettorale, spesso strumentalizzato per incentivare il non voto, al fine di sabotare le consultazioni referendarie.”.

 

Secondo me, l’intento, pur apprezzabile, sortisce effetti contrari al dominio della Democrazia sulla Politica e, oltretutto si scontra con quanto affermato al punto 1 dello stesso Contratto del Governo del Cambiamento: “intendiamo incrementare il processo decisionale in Parlamento”. E, se passa l’abolizione del quorum, sarà proprio il Parlamento ad esser messo fuori gioco.

Il Referendum abrogativo è previsto dall’articolo 75 della Costituzione: “E` indetto referendum popolare [cfr. art. 87 c. 6] per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge [cfr. artt. 76, 77], quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.

Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio [cfr. art. 81], di amnistia e di indulto [cfr. art. 79], di autorizzazione a ratificare trattati internazionali [cfr. art. 80].

Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.

La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

La legge determina le modalità di attuazione del referendum.”

 

Quindi per eliminare il quorum c’è bisogno del procedimento di revisione costituzionale con doppia lettura.

 

Ma vediamo la sostanza della questione. La nostra è una democrazia rappresentativa e non una democrazia diretta. Il modo principale di “fare le leggi” è quello della discussione in seno al Parlamento. Lì siedono 630 deputati e 315 senatori, quindi circa un parlamentare ogni 47.000 elettori.

La Costituzione si preoccupa proprio di questo. Per sbugiardare il Parlamento abrogandone una legge, occorre una spinta molto forte da parte dell’elettorato: prima la raccolta di 500.000 firme, poi mobilitare al voto la maggioranza degli elettori (il quorum), infine che, in detta maggioranza, far prevalere i all’abrogazione. La Costituzione, rendendo difficile l’abrogazione di una legge con il referendum ha inteso privilegiare il ruolo del Parlamento rendendo le sue leggi difficili da abrogare.

Immaginate come sarebbe sminuita la centralità del Parlamento se bastassero 30.000 o 20.000 o 10.000 persone che si presentassero alle urne per votare ad un referendum per segnare la vita o la morte di una legge votata in Parlamento.

Anche assegnare una connotazione negativa a chi a votare per il referendum non è corretto. Chi non va a votare, al pari di chi vota no, si fida dell’operato del Parlamento che ha liberamente contribuito ad eleggere.

Secondo me, abrogare il quorum è andare contro la Costituzione: 10.000 non possono oscurare l’operato del Parlamento, per non parlare della facilità con cui, nell’epoca attuale si manipola l’opinione pubblica intorno a slogan che nulla hanno a che fare con le leggi sottoposte a referendum.

Bene ha fatto la Costituzione a vietare il referendum su leggi tributarie. Sarebbe scontato l’esito di un referendum abrogativo di una legge che istituisce una tassa o una imposta.

Ma in una cosa Di Maio ha ragione: la “strumentalizzazione del non voto per sabotare l’istituto del referendum”.

Per limitare la portata di questa strumentalizzazione, però, non c’è bisogno di abrogare il quorum.

Il quorum pari al 50% +1 degli elettori fu previsto e mantenuto nella Costituzione perché dal 1948 agli anni ’90 l’Italia era fra le prime nazioni al mondo per affluenza alle urne. Percentuali dell’85% non erano rare. Quindi il quorum doveva esser alto.

Oggi, invece, specialmente alle elezioni amministrative, la percentuale si è pressoché dimezzata e questo rende – effettivamente – molto più difficile il raggiungimento del quorum stabilito dall’articolo 75 della Costituzione per ché l’astensionismo fisiologico (che non vuol dire né SINO) si somma all’astensionismo che vuol dire NO.

Una proposta, non mia, ma che appoggio pienamente, è quella di stabilire un quorum variabile ossia pari al 50% +1 non dell’intero corpo elettorale, bensì degli elettori che si sono recati alle urne nelle elezioni politiche immediatamente precedenti alle votazioni per il referendum di cui trattasi.

Il quorum sarebbe quindi proporzionale alle persone che, in quel periodo si recano alle urne per le elezioni più importanti, quelle politiche.

Mi sembra un ragionevole compromesso.

Ma sull’argomento referendum e quorum ci ritorneremo.

 

 

Ieri io c’ero. Ho sentito il dovere civico di andare alla manifestazione #romadicebasta. Come ha detto l’attore Massimo Ghini, “datemi un solo morivo per non esserci”. Chi non vive a Roma non sa qual è il nostro quotidiano.

Eravamo tanti, non so quantificare il numero. Vi dico solo che la piazza del Campidoglio era strapiena da non poter andare da una parte all’altra. Del pari la scalinata: strapiena. Ad un certo punto si è diffusa la voce che la polizia – per comprensibili motivi di sicurezza – aveva chiuso l’accesso alla piazza.

Manifestazione sponsorizzata dai partiti? Forse, può darsi. Ma mi chiedo, può un partito organizzato compiere un errore così madornale di non pensare all’impianto di amplificazione e alla scaletta? Infatti c’erano solo due altoparlanti a terra e, a 20 metri, complice il chiacchiericcio, non si sentiva alcunché. Anche la scaletta sembrava improvvisata denotando l’assenza di una regia di un partito politico organizzato.

Eravamo in tanti. Spero che saremo ancora di più, perché qui, o voi non romani, la situazione è parecchio grave. Certo non imputo alla giunta Raggi i mali che affliggono Roma ab urbe condita, ma alle ultime elezioni, due anni e mezzo fa (sono arrivati ormai a metà mandato) si erano proposti come taumaturgici salvatori della capitale dopo i guasti di Alemanno.

Beh, chiunque viva a Roma sa che la situazione invece di migliorare, o almeno, di stabilizzarsi, è peggiorata.

Buche stradali, cantieri infiniti o che, al contrario, mai aperti, rifiuti per strada, erbacce alte, giardini diventati savane, ignoranza del termine “manutenzione” sono la regola.

Non basta certo una consiliatura per riportare Roma all’eccellenza, ma – dopo due anni e mezzo – qualche bozza di inizio dovrebbe vedersi. Non si vede.

In Piazza del Campidoglio ieri ho visto tanta gente comune lamentarsi del degrado in cui sta – sempre più velocemente – sprofondando Roma.

E’ normale che i cittadini protestino pacificamente. E’ la politica. Ed è dovere dell’Amministrazione e del Sindaco ascoltarli. Che fa la #Raggi? Non solo non si fa vedere, ma la sera, su Facebook (che ora ha sostituito i comunicati ufficiali) attacca in un post pieno di rancore e di rabbia chi legittimamente ha protestato.

Se lo leggete è surreale. Ne riporto qualche stralcio: “Dalle immagini li ho riconosciuti subito. Non era difficile. Erano gli stessi volti provati e stanchi, le stesse chiome bianche della precedente disastrosa manifestazione di rilancio del Pd in piazza del Popolo. Gli stessi volti che non abbiamo mai visto in periferia. Gli stessi volti bastonati di chi è scomparso alle ultime elezioni. Ho visto vecchi politici che rivogliono la poltrona e rappresentano soltanto se stessi: il partito con uno zoccolo duro al centro di Roma e ormai scomparso nel resto della città. Hanno nascosto le bandiere di partito, forse perché ormai gli stessi sostenitori del Pd hanno un certo imbarazzo a dire che sono del Pd. Quindi con il loro giornale volevano far credere che in piazza fosse scesa la società civile. Invece, hanno provato semplicemente a strumentalizzare i cittadini per fini partitici. Anche stavolta li abbiamo scoperti. Quelli del Pd erano riconoscibilissimi: signore con borse firmate da mille euro indossate come fossero magliette di Che Guevara e – accessorio immancabile – i barboncini a guinzaglio (ovviamente con pedigree). 

I più audaci hanno osato una maglietta “No cordoli” che evidentemente li schiera a favore dei suv in doppia fila e contro le corsie preferenziali per i mezzi pubblici. La società civile siamo noi, altro che quelli dello stop alle preferenziali!”.

Vi rendete conto che qui siamo ben oltre a “donne sull’orlo di una crisi di nervi”. L’orlo è passato da un pezzo. Un attacco verboso, cattivo, rancoroso contro chi la pensa diversamente da te. Da te che hai giurato di essere il sindaco di tutti i romani.

Io mi sento offeso e ho chiesto (senza speranza) a Facebook di rimuovere il post come incitamento all’odio.

Il ribrezzo e lo schifo della reazione della Raggi mi spinge ad andare indietro con la memoria su Roma. Ogni memoria è diversa per ogni romano e, così, come al solito, metto i paletti del mio post oltre i quali non posso e non voglio andare. Non sono romano. Arrivai a Roma il 20 giugno 1988, sugli ultimi scampoli di mandato di Nicola Signorello e ci son rimasto fin’ora. Provenivo da Venezia con il vantaggio di risiedere a Mestre (terraferma) e di lavorare (dalla 8 alle 20) a Venezia. Due realtà diverse ma ottime da vivere.  A Roma ho sempre vissuto nella zona di Piazza Re di Roma/Pontelungo. Della vita delle altre zone non so.

Ho avuto modo di assistere a quello che ritenevo la peggior bassezza politica nelle elezioni comunali del 1989. Vox populi era che il sindaco sarebbe stato Franco Carraro. Le dichiarazioni ufficiali smentivano. “sarà sindaco chi riceverà più voti” dicevano. E il più votato fu un tal Garaci (Il signor nessuno per chi ha la mia età:140.000 preferenze), ma il sindaco fu, ovviamente Carraro. La pagina più buia? No, ce ne sarebbero state delle altre.

L’esperienza Carraro si concluse il 20 aprile 1993. Ben due Commissari Straordinari si susseguirono dopo Carraro: Alessandro Voci dal21 aprile all’8 novembre 1993 e Aldo Camporota dal 9 novembre al 4 dicembre 1993.

Poi arrivò, il 5 dicembre 1993, Francesco Rutelli, il primo sindaco ad elezione diretta, al quale -dopo un interregno del Commissario governativo Enzo Mosino, subentrò, il 28 maggio 2001, Valter Veltroni che governò fino al 13 febbraio 2008

Alemanno, Marino e Raggi son storia troppo recente perché la ricordi.

Mi son fatto spesso una domanda. Qual è stato il periodo in cui tu, non romano, hai più apprezzato il vivere a Roma?

Non c’è dubbio, dal 1995 al 2005. Roma era viva, l’estate romana non era, come oggi una ostensione di bancarelle da fiera paesana. Dalla mia casa (molto semi)centrale mi sentivo partecipe del cuore di Roma. Teatri, manifestazioni, cose da fare ce ne erano senza fine. Non so dove buttassero rifiuti, ma le strade erano pulite e senza buche. Abbiamo superato il Giubileo del 2000 senza l’assedio del pullman turistici e senza le gomitate per farsi strada nei luoghi nevralgici. Ero felice di vivere a Roma. Ora non più.

Qualcosa pur significherà. Forse c’era (ma c’è ancora) la mafia. Forse Buzzi e Carminati comandavano (altri lo faranno ora) ma si viveva meglio. Mai avuto problemi nel tornare a casa in ore notturne, Non c’erano le Apps che ti dicevano che l’87 sarebbe passato fra 3 minuti e, invece, lo aspettavi per 25 minuti. Non c’era l’App “tu passi” che ti mostra che il primo appuntamento disponibile per una Carta di identità elettronica è fra quattro mesi e per una autentica è di nove giorni. Andavi in Circoscrizione e facevi tutto in giornata.

I giardini erano più curati, gli alberi venivano manutenuti e non tagliati. Insomma , vivere a Roma era più facile. Ero un privilegiato a vivere nella Capitale.

Oggi, invece, per una cosa dò ragione alla Raggi quando dice, nel famigerato post su Facebook “Erano gli stessi volti provati e stanchi..”. Certo… provati e stanchi dalla difficoltà di vivere a Roma. Vedi, Virginia, come ci hai ridotti?

Il simbolo del sindaco Raggi

Oggi, nel mio blog, ospito un post di Beppe Grillo del 2011. Era il 30 luglio, lo Spread saliva e saliva. Nessuno voleva più i BTP. L’Italia da tutti era giudicata sull’orlo del default.

Cosa fa Beppe Grillo, papà politico dei Cinquestelle? Scrive a Napolitano, allora Presidente della Repubblica,

Ecco il testo della lettera, regolamente pubblicata il 30 luglio sul blog di Beppe Grillo a questo indirizzo: http://www.beppegrillo.it/lettera-a-giorgio-napolitano/.

“Spettabile presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
quasi tutto ci divide, tranne il fatto di essere italiani e la preoccupazione per il futuro della nostra Nazione. L’Italia è vicina al default, i titoli di Stato, l’ossigeno (meglio sarebbe dire l’anidride carbonica) che mantiene in vita la nostra economia, che permette di pagare pensioni e stipendi pubblici e di garantire i servizi essenziali, richiedono un interesse sempre più alto per essere venduti sui mercati. Interesse che non saremo in grado di pagare senza aumentare le tasse, già molto elevate, tagliare la spesa sociale falcidiata da anni e avviare nuove privatizzazioni. Un’impresa impossibile senza una rivolta sociale. La Deutsche Bank ha venduto nel 2011 sette miliardi di euro dei nostri titoli. E’ più di un segnale: è una campana a martello che ha risvegliato persino Romano Prodi dal suo torpore. Il Governo è squalificato, ha perso ogni credibilità internazionale, non è in grado di affrontare la crisi che ha prima creato e poi negato fino alla prova dell’evidenza. Le banche italiane sono a rischio, hanno 200 miliardi di euro di titoli pubblici e 85 miliardi di sofferenze, spesso crediti inesigibili. Non sono più in grado di salvare il Tesoro con l’acquisto di altri miliardi di titoli, a iniziare dalla prossima asta di fine agosto. Ora devono pensare a salvare sé stesse.
In questa situazione lei non può restare inerte. Lei ha il diritto-dovere di nominare un nuovo presidente del Consiglio al posto di quello attuale. Una figura di profilo istituzionale, non legata ai partiti, con un l’unico mandato di evitare la catastrofe economica e di incidere sulla carne viva degli sprechi. Ricordo, tra i tanti, l’abolizione delle Province, i finanziamenti pubblici ai partiti e all’editoria e le grandi opere inutili finanziate dai contribuenti, come la Tav in Val di Susa di 22 miliardi di euro. Gli italiani, io credo, sono pronti ad affrontare grandi sacrifici per uscire dal periodo che purtroppo li aspetta, ma solo a condizione che siano ripartiti con equità e che l’esempio sia dato per primi da coloro che li governano. Oggi non esiste purtroppo nessuna di queste due condizioni.
In un altro mese di luglio, nel 1943, i fascisti del Gran Consiglio, ebbero il coraggio di sfiduciare il cavaliere Benito Mussolini, l’attuale cavaliere nessuno lo sfiducerà in questo Parlamento trasformato in un suk, né i suoi sodali, né i suoi falsi oppositori. Credo che lei concordi con me che con questo governo l’Italia è avviata al fallimento economico e sociale e non può aspettare le elezioni del 2013 per sperare in un cambiamento. In particolare con questa legge elettorale incostituzionale che impedisce al cittadino la scelta del candidato e la delega invece ai partiti. Queste cose le conosce meglio di me. Lei ha una grande responsabilità a cui non può più sottrarsi, ma anche un grande potere. L’articolo 88 della Costituzione le consente di sciogliere le Camere. Lo usi se necessario per imporre le sue scelte prima che sia troppo tardi. Saluti.”

Beppe Grillo”

Insomma, Beppe Grillo chiede al Presidente della Repubblica di far valere il suo potere per sfiduciare un Governo, a suo dire, inefficace a scongirare il default, scegliendo una personalità di alto prestigio.

Non vi sembra di riconoscere qualcosa di attuale?

 

 

 

 

 

 

 

sergioferraiolo

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