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Pericle – Discorso agli Ateniesi, 431 a.C.

Pericle
Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.

Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.

Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.

Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.

E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.

Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.

Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.

Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Pericle – Discorso agli Ateniesi, 431 a.C. (*)

Tratto da Tucidide, Storie, II, 34-36

(*) Errata corrige: inizialmente era stata indicata la data del 461 a.C., riportata da diverse fonti, ma in realtà il discorso, secondo Tucidide, è stato pronunciato all’inizio della Guerra del Peloponneso (431 a.C. – 404 a.C.)

Comincio oggi una serie di post dove voglio raccontare le più esilaranti  balle elettorali, ossia le mirabolanti promesse che i leader e candidati alle elezioni politiche del 25 settembre 2022 cominciano a diffondere agli elettori pensando che questi siano come Pinocchio davanti al Gatto e la Volpe che gli promettono il Paese di Bengodi. Cercherò di pubblicare un nuovo post, ogni volta che leggerò una di queste colossali fandonie. Continuate a seguirmi.

Tanto, Va tutto bene.

Per doveri di età cominciamo da Berlusconi. Ieri 22 agosto 2022, il vecchio leader di Forza Italia ha promesso che in caso di vittoria – per abbassare il carico fiscale e per permettere a tutti l’acquisto di una casa –  abbatterà al 2% l’aliquota dell’imposta di registro per l’acquisto della prima casa. Illusione? NO!!! Il fatto è che l’aliquota al 2% per l’acquisto della prima casa esiste, ed è legge, ormai da decenni. Non solo, ma l’aliquota del 2% non è calcolata sul prezzo reale della compravendita, ma sul valore catastale, notevolmente più basso. Promessa facile, anzi, già realizzata!!!.

Continuiamo con Salvini. Ieri sera, 22 agosto, nella trasmissione di Paolo Celata su La7, ha tentato di spiegare l’arcano della Flat Tax che non è Flat, ma progressiva. Salvini, controllate il video che ho linkato, afferma che già oggi alle partite IVA con introiti inferiori  a 65.000 auro annui si applica una tassa fissa del 15%. La prima fase dell’introduzione della nuova Flat Tax consisterà nell’alzare questo limite a100.000 euro. Così le partite IVA che hanno introiti fino a 100.000 euro annui pagheranno, al massimo 15.000 euro invece dell’aliquota marginale del 43% secondo la tabella progressiva valida per tutti noi comuni mortali e che riporto qui sotto:

Visto che anche ad occhio, con tale proposta si provoca una diminuzione di entrate fiscali per lo Stato, i giornalisti presenti hanno chiesto a Salvini con quali risorse intendesse coprire il “buco”.

La risposta è stata esilarante. Potete sentirla nel video che ho linkato, ma, nella sostanza è questa e degna del festival della barzelletta: “Non c’è alcun bisogno di coperture ,si paga da sola, perché gli interessati, che pagheranno meno tasse saranno invogliati a lavorare e produrre di più e quindi il gettito fiscale si alzerà da solo!!”.

Lascio a voi i commenti.

E finiamo con la Meloni: sempre ieri, si è detta favorevole agli “aiuti di Stato” vietati, in via di principio dall’Unione europea. Ha poi promesso di imporre un tetto agli stipendi ai manager delle aziende di Stato, specialmente quelle in perdita, perché li paghiamo noi con le nostre tasse.

Ineccepibile la proposta del tetto agli stipendi dei manager di Stato pagati con le nostre tasse. Peccato, che, come la tassa del 2% di Berlusconi, questo tetto c’è già. Il Governo Renzi, anni fa, ne stabilì il massimo ammontare in 240.000 euro lordi annui. Quest’anno, il ministro dell’Economia, Daniele Franco ha dato un’altra sforbiciata, imponendo non solo che nei 240.000 euro annui debbano rientrare tutti gli extra e altre prebende non comprese nello stipendi, ma stabilendo anche diverse fasce di fatturato cui commisurare gli stipendi.

Io posso capire che i Leader politici non siano addentro alle questioni tecniche (e perché no?), ma queste uscite denotano soprattutto una scarsissima competenza a scegliersi i collaboratori e consulenti, competenza principe di chi vuol governare.

Mah, ne vedremo delle belle. Continuate al leggermi sul blog e io continuerò ad informarvi. E, se vi piace diffondete. Non vogliamo essere come Pinocchio con il Gatto e la Volpe.

Alla mia non più verde età, dopo una vita passata a votare per la sinistra, mi convinco sempre di più che quello che manca nel panorama politico italiano è una seria forza di destra. L’esistenza di quest’ultima, pur non riuscendo spostare la mia intenzione di voto, farebbe un gran bene non solo all’assetto politico della Nazione, ma anche alla sinistra che, almeno, avrebbe una entità con cui confrontarsi ed, eventualmente, alternarsi, nel buon governo della Nazione.

Mentre in Germania hanno fatto un serio percorso di confronto con quello che lì è successo quasi un secolo fa con il nazismo è, ormai, qualcosa di digerito e superato, in Italia, ancora oggi – nell’immaginario politico – destra è ancora sinonimo di fascismo.

Questa associazione ha impedito il formarsi, nel nostro Paese, di una destra seria che si contrapponga alla sinistra, in un gioco politico democratico che non neghi l’Unione europea e garantisca i diritti fondamentali.

In Italia, una volta c’era il Movimento Sociale Italiano (MSI) troppo legato al passato regime fascista (con Giorgio Almirante) troppo tardi portato su posizioni più democratiche da Gianfranco Fini, ormai già ampiamente fagocitato nell’orbita Berlusconi, prima di essere espulso dalla vita politica dalle vicende giudiziarie.

E poi venne Berlusconi, con il partito personale, Forza Italia, il partito degli imprenditori e di Confindustria, ma troppo legato agli interessi del fondatore con un profluvio di leggi ad personam per poter essere credibile.

Oggi c’è Fratelli d’Italia che, nell’ultimo anno, stando ai sondaggi, ha quadruplicato i propri consensi per la forza della sua Leader, Giorgia Meloni, coerentissima a parole, ma troppo coinvolta in alleanze con frange neofasciste e populiste (nella peggiore accezione del termine) per poter essere considerata democratica. Eppoi, Bertinotti insegna, è facile prendere consensi stando all’opposizione, non sporcandosi le mani, contestando le scelte necessitate, ma impopolari dell’esecutivo.

Non ho citato ancora la Lega, oggi il più “antico” partito politico italiano perché su di esso voglio spendere due parole.

Non mi dilungo sulle origini della Lega tradizionale volta alla secessione e quella, molto diversa, di oggi, orto personale di un uomo solo, Matteo Salvini, e partito nazionale (potete trovarle qui e qui).

Oggi la Lega è un partito fortemente radicato sul territorio (specialmente al Nord) con numerosi Presidenti di Regione e Sindaci. Gli amministratori locali della Lega, specialmente durante la pandemia, forse con l’eccezione di quello lombardo, Fontana, hanno dimostrato un ottimo collegamento col Governo nazionale e, in genere, a sentire i cittadini da essi amministrati, dimostrato una buona capacità di amministrare il territorio. Insomma, a sentire uno di Modena o di Rovigo, nessuno dei due si lamenta.

Nel panorama politico di una Nazione la presenza di una destra seria che faccia da contraltare alla sinistra è necessaria nel pendolo della democrazia. L’ho già detto e lo ripeto. E una destra seria ed europeista oggi in Italia avrebbe verdi praterie davanti a sé. Purtroppo, se poco di male si può dire degli amministratori regionali della Lega, altrettanto non si può per i vertici politici nazionali e per i parlamentari, probabilmente scelti con la logica della “prevalenza del cretino” per non far ombra al Capo. Gente come Alberto Bagnai, Claudio Borghi o Paolo Savona hanno idee poco compatibili con la realtà di fatto. Forse per attirare il fascio dei riflettori postulano idee irreali e assurde come l’uscita dall’Europa e dall’Euro. Idee che – se attuate – porterebbero l’Italia alla rovina come stanno danneggiando Paesi ben più solidi di noi come il Regno Unito.

Ma è soprattutto nel suo vertice che la Lega trova il suo punto debole, nel Segretario Matteo Salvini. Non si può negare che Salvini sia una incredibile “macchina di voti” che ha portato la Lega dal 3% quasi al 30%, anche se con mezzi – l’infernale “Bestia” di Luca Morisi, l’uso disinvolto dei social, il cavalcare (senza proporre alternative) il malessere sociale – eticamente discutibili.

Ma è nelle scelte più propriamente politiche che Salvini è caduto. Possiamo ricordare l’estemporaneo uso del “cuore di Maria” e del rosario? Oppure i video con ballerine (residuo Berlusconi?) con lui in costume da bagno al Papeete? La richiesta dei “Pieni Poteri”? Tutte cose che fecero cadere il Governo giallo/verde con i Cinquestelle.

Ma non solo. Salvini, responsabile del maggior partito di Centrodestra, nelle elezioni regionali ed amministrative degli ultimi due anni non è riuscito a trovare candidati, non dico autorevoli, ma neppure credibili, quasi sbeffeggiati dagli elettori. Vogliamo ricordare le gaffes di Lucia Borgonzoni (desaparecida?) in Emilia? O più recentemente, chi ricorda ancora, tal Luca Bernardo a Milano e tal  Enrico Michetti a Roma?

Il massimo, il climax della sconclusionatezza (per usare per usare un eufemismo) Salvini lo ha raggiunto nella scorsa settimana nella “tenzone” per l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Intestandosi una (opinabile) maggioranza in Parlamento [nessuno ce l’ha visto che il “gruppo misto” è maggior partito italiano] e quindi di Kingmaker, invece di sedersi ad un tavolo con il centrosinistra, pur alleati di Governo, ha bruciato almeno un nome al giorno, dopo esser stato “bloccato” per giorni da una improbabile candidatura di Silvio Berlusconi.

Da Marcello Pera a Letizia Moratti a Carlo Nordio, fino a bruciare, con disinvolto discredito delle istituzioni, la seconda carica dello Stato, la Presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, con conferenza stampa, a scrutinio ancora in corso, in cui parlava già dei candidati dell’indomani, fino all’improvvida uscita nella serata di venerdì 28 gennaio in cui annunciando, senza averlo concordato il nome di una eccezionale servitrice dello Stato, la responsabile del DIS, Elisabetta Belloni, senza contare i “candidati” non ufficializzati, ma fatti solo trapelare “per vedere l’effetto che fa”.

Quello che rimane, una volta depositatasi la polvere della stretta attualità, è l’immagine di un uomo senza idee, senza una linea politica, innamorato solo della sua immagine, teso a promuovere solo sé stesso a discapito del Paese e delle responsabilità che lui stesso si era assunto, autoproclamandosi leader del Centro-destra e Kingmaker del nuovo Capo dello Stato, ripetendo i giorni del Papeete che avevano fatto dubitare della sua sanità mentali.

Gli americani, con riuscita similitudine, dicono “Comprereste da quest’uomo un’auto usata?” Più seriamente, vi piacerebbe essere governati da quest’uomo?

Ma scendendo a livello di partito, dopo l’incredibile ascesa di consensi e il suo successivo ridimensionamento, quanto male fa Salvini alla Lega, impedendole di essere un normale partito di destra, in grado di competere ad armi eticamente pari con gli altri? Quanto Salvini impedisce alla Lega di essere intesa come un’alternativa credibile, come i neo-gollisti in Francia?

Ritengo molto difficile che Salvini possa, con questo andazzo, aspirare a vincere alle prossime elezioni politiche, anche perché, dal 2018, le ha perse tutte. Anche chi, nel suo diritto, ha idee ascrivibile a quelle che, una volta, erano principi della “destra”, penso che abbia delle serie remore a votare – a livello nazionale, alle elezioni politiche – un partito governato da un uomo simile. Quanto ci metteranno “colonnelli” della Lega a capirlo e a metterlo in condizioni di non nuocere? Hanno già dimostrato di poterlo fare quando le idee separatiste di Umberto Bossi condizionavano l’espandersi dei consensi di quel Partito. O, forse, la Lega si accontenta dei successi già avuti nelle Regioni, che risalgono ormai a qualche tempo fa, non certo nell’immediato passato.

Già i “cespugli” come “Coraggio Italia” di Brugnaro e Toti cominciano a rumoreggiare e porre pesanti distinguo.

La Lega sta perdendo una occasione storica di occupare uno spazio politico libero in Italia fin dalla Costituzione. Potrebbero amaramente pentirsene: scegliere la formidabile capacità di raccogliere voti di Salvini rispetto ad una credibilità istituzionale può costare caro.

Ma, a proposito di Costituzione, c’è un’ ultima considerazione che vorrei proporre. L’articolo 49 della nostra Costituzione (mai attuato) afferma che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Ma da nessuna parte troviamo una regolamentazione dei partiti politici. Ognuno come gli pare – si dice – saranno gli elettori a scegliere.

Abbiamo un variegato mondo di forme di partito, da quelli i cui vertici sono scelti da periodici democratici congressi ai quali la base invia i propri rappresentanti, a quelli in cui il padre padrone domina e sceglie chi finanzia il partito, a quelli in cui l’eletto domina e comanda a vita convocando ad libitum una pseudo assemblea.

I partiti politici sono importanti e necessari [vedi la metamorfosi dei Cinquestelle che da movimento antipartito si sono trasformati in un partito quasi tradizionale].

Una regolamentazione dei partiti politici è una esigenza sentita, tanto che l’Unione europea ha emanato un Regolamento, il  n. 1141/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee. I partiti che vogliono presentarsi alle elezioni del Parlamento europeo devono conformarsi a tale regolamento che prevede una base democratica che controlli il vertice e precise norme sul finanziamento.

Perché non lo adottiamo anche in Italia per le competizioni elettorali nazionali?

Io non capisco, non capisco proprio. I dati sul Coronavirus oggi sono da tragedia: 37.809 nuovi casi, 446 morti, terapie intensive al collasso. Malati messi fra i banchi delle chiese. Molto peggio della scorsa primavera.

Eppure le Regioni continuano a battagliare contro il Governo. Proprio le stesse Regioni che, meno di un anno fa pretendevano l’autonomia più completa e differenziata, ora, in barba alla legge sul Servizio Sanitario nazionale, pretendono che sia il Governo centrale a prendere le odiose decisioni di chiusura. Non solo questo, le Regioni pretendono che, a fronte di situazioni oggettivamente diverse fra le Regioni, il Governo debba attuare misure omogenee, uguali per tutte le regioni, in modo da non poter distinguere fra Regioni “buone” o “cattive”.

A me sembra troppo. Sembra una speculazione politica sulla pelle di noi cittadini. Una battaglia che, in questo momento di tragedia, non ha alcun fondamento.

Ovviamente Lega e Fratelli d’Italia soffiano sul fuoco. Senza fare proposte concrete, bombardano il governo di accuse assurde. Lo hanno dileggiato durante tutta l’estate al grido “IL COVID è clinicamente morto!”, “Basta Stato di emergenza” e, ora, accusano il Governo di non prendere misure univoche e stringenti.

Maledetta sia la riforma del Titolo V della Costituzione che, con la modifica dell’art. 117 dà allo Stato e alle Regioni la competenza concorrente in materia sanitaria. Oggi le Regioni se ne approfittano per pretendere autonomia quando fa loro comodo e per scaricare sul Governo centrale le responsabilità quando si tratta di prendere decisioni impopolari.

È un balletto che deve finire. Quando la pandemia sarà finita, bisognerà porre mano alla nuova riforma dell’art. 117 della Costituzione e porre un punto fermo alla competenza fra Stato e Regioni per evitare questi orrendi balletti.

Invito tutti i lettori a riconsiderare chi votare alle prossime elezioni regionali. Di questi buffoni ne abbiamo piene le tasche.

In questa ultima parte, dopo la storia del numero dei parlamentari nella Costituzione, delle ragioni addotte (e smentite) dai promotori sull’asserito risparmio, e del presunto troppo elevato numero di parlamentari italiani rispetto agli altri Paesi descritti nei post precedenti, cercherò di spiegare i “guasti nascosti” che la riduzione dei parlamentari porterebbe al sistema costituzionale italiano.

Il primo problema che la riforma proposta porta al sistema è l’aumento del deficit di rappresentatività. Se in Italia gli elettori alla data del referendum sono 51.559.898 (fonte Viminale) significa che ora c’è un deputato per ogni 81.000 elettori e un senatore per ogni 163.000 elettori. Se dovesse vincere il Sì ci sarà un deputato per ogni 128.000 elettore e un senatore per ogni 257.000 elettori. Questo è un dato di fatto. La nostra è una democrazia rappresentativa che si rispecchia nel Parlamento e, con la possibile vittoria del SI’, il Parlamento sarebbe molto meno rappresentativo del corpo elettorale. Tenete a mente questi numeri perché ci torneremo.

Molti studi hanno dimostrato che non cambiando il sistema elettorale (infatti il referendum cambia solo il numero dei parlamentari) ci sarebbero molte distorsioni all’interno delle circoscrizioni e dei collegi con regioni che eleggeranno un numero di parlamentari, in rapporto all’elettorato, inferiore a quello eletto in altre regioni. Per farla facile, ci sarebbero regioni che conteranno più di altre regioni. Bisognerebbe correggere subito questa distorsione: non è possibile che lo stesso numero di elettori di una regione elegga un minor numero di rappresentanti. Non entro nel merito di questi tecnicismi, pur importanti, ma voglio evidenziare un altro aspetto, secondo me, molto più grave.

In Italia, in pratica, non c’è un sistema elettorale o, meglio, cambia ad ogni consultazione: Mattarellum, porcellum, rosatellum ed, ora, un innominato sistema proporzionale con sbarramento che, comunque, stenta a vedere la luce e giace, come proposta indefinita presso le Commissioni parlamentari.

Tutti questi sistemi elettorali hanno un punto in comune e neppure quello in gestazione se ne differenzia: le liste sono bloccate, ossia l’elettore deve supinamente votare la scheda che gli sottopone il partito, non può scegliere il candidato che verrà eletto a seconda dei voti ricevuti dal partito in ragione del posto in lista ricevuto sempre dal partito. In pratica noi votiamo il partito e, in seconda battuta, i candidati scelti dai Segretari dei partiti. Per questo si dice che, da noi, i parlamentari sono nominati e non scelti dall’elettorato. Quindi, non solo i candidati vengono scelti dai partiti, ma anche le chances di elezione sono determinate dal posto in lista e non dalle preferenze ricevute. Quindi la diminuzione dei parlamentari non è affatto una garanzia di avere un Parlamento formato da Deputati e Senatori più competenti e seri.

Non ti riconosci nella lista: fattene una tu, vien detto. Pare facile, ma già ora, per diventare deputato, bisogna farsi conoscere da 81.000 elettori. Se dovesse vincere il SI’, per essere eletti bisognerebbe farsi conoscere da 128.000 elettori. Sempre più difficile, quasi impossibile, senza il contributo della macchina organizzativa del partito.

Ma non è finita. C’è un altro aspetto, forse ancora più grave. Una volta eletti – ora – i parlamentari sono “ostaggi” dei partiti, non avendo – come abbiamo visto – alcuna possibilità di farsi eleggere senza l’aiuto di questi ultimi. Il ricatto l’abbiamo visto più volte: il Segretario di partito dice al deputato: “o voti come ti dico o non ti ricandido”. Su 630 deputati e 315 senatori abbiamo assistito talvolta a fiere ribellioni di parlamentari che anteponevano la loro coscienza alla disciplina di partito. Su 400 deputati e 200 senatori tale possibilità sarà molto, molto più difficile: i ribelli saranno emarginati, non avranno la possibilità di costituire gruppi autonomi  (i Regolamenti di Camera e Senato non sono oggetto del Referendum) e saranno “dimenticati” alle successive elezioni.

Aumenterà a dismisura il potere delle Segreterie dei partiti. Un piccolo manipolo di potenti, senza problemi, potrà governare una Assemblea ridotta di numeri e, quindi, di potere.

Dalla democrazia rappresentativa passeremo ad una oligarchia di Segretari di partito di cui il Parlamento sarà solo il coro. E i “paletti”, le riforme di contorno promesse, la riforma dei Regolamenti parlamentari, la riforma elettorale? Boh, forse, dico forse, ci penseranno. Dopo. Chissà. Forse…

Senza contare che, in assenza di riforme concorrenti, il peso dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica (tre per regione) aumenta di molto rispetto a quello dei Parlamentari “ridotto” dalla legge tagliaparlamentari in aperto spregio al “peso” voluto dall’articolo 83 della Costitzione.

E questi sono pericoli che non voglio correre.

Alla fine di questa disamina, abbiamo visto:

  • che il numero dei Parlamentari, più o meno, è sempre quello fissato dai Padri costituenti,
  • che il risparmio può essere assimilato ad ogni legislatura ad una tazza di caffè per ogni italiano (salvo che per la prima, dove il risparmio se lo è già mangiato il costo del Referendum),
  • che il taglio lineare dei parlamentari non produce, di per sé una maggiore efficienza del Parlamento, le cui cause sono da ricercarsi altrove e che, anzi, il taglio dei parlamentari potrebbe accentuare le disfunzioni;
  • che il numero dei parlamentari è in linea con le democrazie più simili alla nostra in Europa e nel mondo
  • che la riduzione dei parlamentari potrebbe produrre gravissime disfunzioni alla rappresentatività dell’elettorato, delle Regioni e produrrebbe sicuramente un amento del peso dei Delegati regionali rispetto al Parlamento nell’elezione del Presidente della Repubblica.

E, allora, perché dovremmo votare Sì? Solo per compiacere un partito che sta scomparendo, fa queste battaglie contro la casta solo per sentirsi vivo, solo per riempire qualche minuto dei telegiornali?

Avete visto in questi ultimi giorni che gli altri partiti si disinteressano molto del problema, non perché sia un problema poco interessante o poco importante, ma non possono dire “votate NO” così, dopo che, per calcoli politici assolutamente differenti nelle 4 votazioni al disegno di legge costituzionale hanno votato prima no o poi sì o prima Sì e poi No.

Spero che il corpo elettorale, come sempre succede, si riveli più intelligente dei politici che li governano.

Dopo il racconto del numero dei parlamentari nella Costituzione, delle ragioni addotte (e smentite) dai promotori sull’asserito risparmio, descritti nei post precedenti, in questa terza parte vorrei smontare le motivazioni dei Cinquestelle sull’assunto che, così “l’Italia potrà allinearsi agli altri Paesi europei, che hanno un numero di parlamentari eletti molto più limitati”.

Ossia, dicono i promotori del Referendum, l’Italia ha un numero di Parlamentari spropositato sia rispetto alla popolazione, sia rispetto ai Parlamenti degli altri Stati europei ed extraeuropei.

Sull’elevato numero interno dei Parlamentari si può ribattere che tale numero, nonostante la riforma del 1963, e nonostante la crescita della popolazione di oltre 14 milioni di persone dal 1947, è rimasto sostanzialmente invariato dai tempi della formazione della Carta Costituzionale ed è, quindi, diminuito il rapporto popolazione/rappresentanti. Ma i promotori del referendum sostengono anche che l’Italia ha un numero di parlamentari molto superiore a quello di altri Paesi.

Innanzitutto non si possono sommare mele e fichi. Il numero dei parlamentari dipende, infatti dalla forma costituzionale che il singolo Paese si è dato. Se è uno Stato centralista, se il governo è decentrato, se è un Paese federale etc.etc. Quindi, per ogni confronto, è necessario un considerevole numero di distinguo e precisazioni.

La balla più grossa che ho sentito è il confronto con gli Stati Uniti d’America che, a fronte di oltre 328 milioni di abitanti avrebbero una Camera dei rappresentanti composta da soli 435 membri e un Senato composto da soli 100 membri. Sostenere questa bufala è colpevole perché significa ignorare che Camera e Senato negli USA sono solo gli organi “federali” del Paese. I cittadini americani, quando parlano o pensano allo Stato, non pensano allo Stato federale, bensì pensano ad uno dei 50 Stati che compongono la Federazione.

E ogni Stato nazionale USA ha il suo Parlamento, con competenze molto maggiori delle nostre Assemblee regionali, E ogni Stato , a sua volta, è diviso in Contee, ognuna con la sua Assemblea, e le Contee , a loro volta sono divise in Comuni, ognuno con i proprio consiglio (Vedi più compiutamente a questo link). E ogni assemblea, statale, di Contea o comunale, può imporre tasse proprie. Il fatto è che noi europei, quando guardiamo agli Stati Uniti tendiamo a guardare solo al Governo federale che, è quello che meno interessa agli americani perché ha solo competenze che riguardano la generalità dei 50 Stati (poche) e questioni di difesa o politica estera (quelle che hanno più appeal per noi europei). Potrei dire che il cittadino americano, fra comuni, contee, Stato nazionale e Stato Federale, è quello che ha più rappresentanti di tutti, esattamente il contrario di chi propaga la fake news di una più ridotta rappresentanza.

In Francia (popolazione circa 67 milioni) L’Assemblea Nazionale, (eletta per 5 anni) è formata da 577 membri noti col nome di Deputati, eletti in un collegio elettorale uninominale a doppio turno. Il Senato francese, eletto a suffragio indiretto da circa 150.000 grandi elettori (sindaci, consiglieri comunali, delegati dei consigli comunali, consiglieri regionali e deputati) dura in carica sei anni ed è composto da 346 senatori.

In Germania (popolazione 83,2 milioni) la Camera de Deputati (Bundestag) è attualmente composta da 709 membri (il numero totale è variabile per uno specifico sistema elettorale in cui si vota disgiuntamente il candidato e il partito) e dura in carica quattro anni.  Il Senato (Bundesrat) è composto di soli 69 membri ed è  l’organo attraverso il quale i Länder partecipano al potere legislativo e all’amministrazione dello Stato federale  e si occupano di questioni relative all’Unione europea. Qui si nota una profonda differenza con il nostro Senato. Il Senato tedesco non è una Camera paritaria con il Bundestag, bensì rappresenta, con vincolo di mandato, la volontà dei vari Lander, perché la Germania è uno stato federale. Ogni Land ha poi il suo parlamento nazionale per un totale nazionale di ben 1821 membri.

In Spagna (popolazione quasi 47 milioni), i Parlamento (Le Cortes Generales) sono composte da Camera (350 deputati) e Senato (266 senatori) e durano in carica quattro anni.

Il Governo locale, in Spagna non è uniforme, Si va da “Regioni” che possono essere assimilate a quelle italiane a veri e propri Stati che rivendicano la loro indipendenza come la Catalogna, (vedi questo link) dotata di un vero e proprio Parlamento locale e che acquisisce competenze di rango superiore, derivanti da accordi con il Governo centrale. Alla larga, si può pensare a quello che succede da noi con la Provincia autonoma di Bolzano.

In Gran Bretagna la Camera dei comuni (organo legislativo) è composto da 650 membri. il numero dei membri della Camera dei Lord non è fisso; ad agosto 2019 era composta da 772 eligible members (membri idonei, che possono partecipare alle sedute). Dei membri idonei, 659 sono membri a vita (il cui titolo non passerà ai figli), 87 sono membri ereditari e 26 Lord spirituali. La Camera dei Lord non ha potere legislativo, ma consultivo. Bisogna, però, considerare che nel Regno unito (praticamente Stato federale) esiste anche il Parlamento della Scozia (129 membri), del Galles (60 membri) e dell’Irlanda del Nord (90 membri) che compensano la mancanza dei ”senatori” con potestà legislativa.

E abbiamo quindi sfatato la fake news che voleva che l’Italia avesse un numero di parlamentari spropositato rispetto agli altri Paesi. Anzi, se al Referendum dovesse vincere il sì, l’Italia sarebbe all’ultimo posto come numero di parlamentari fra le nazioni simili.

Continua….domani

Se nella prima parte abbiamo fatto un po’ di storia sul numero dei parlamentari e sulle supposte ragioni addotte dai promotori della legge, in questa seconda parte cerco di smontare alcune delle motivazioni poste dai Cinquestelle a fondamento della loro proposta [risparmio ed efficienza]. La motivazione principale è il risparmio delle Casse dello Stato dovuto alla minore spesa per lo stipendio dei parlamentari “tagliati”.

I Cinquestelle hanno stimato il risparmio per lo Stato di oltre 500 milioni di euro. Tale risparmio è stato più volte smentito, in quanto calcolato su una intera legislatura di cinque anni e al lordo delle tasse [se diminuisci una massa stipendiale, riduci anche l’introito IRPEF da questa generato].

Calcoli univoci, vedi WallStreet Italia a questo link, stimano un risparmio netto di 57 milioni l’anno, che ad un singolo sembrano tanti, ma costituiscono appena lo 0,007% della spesa annua dello Stato. Anche sull’intera legislatura, al netto delle tasse [solo così è possibile considerare il risparmio reale], la diminuzione di spesa arriva sì e no a 285 milioni, poco più della metà di quello [500 milioni] reclamizzato dai Cinquestelle che calcolano il risparmio sul lordo degli stipendi, non considerando che diminuendo gli stipendi diminuisce anche il gettito IRPEF.

Se si tiene conto che il costo del Referendum che andremo ad affrontare, fra spese vive e compensi aggiuntivi ai componenti delle circa 63.000 sezioni elettorali, ammonta a circa 300 milioni di euro, ecco che ci siamo giocati il risparmio di una intera legislatura.

Seconda motivazione: aumentare l’efficienza delle Camere. Su questo aspetto il punto interrogativo è grande quanto una casa: meno parlamentari rendono il Parlamento più efficiente?

Qui un po’ vi dovete fidare. Chi mi conosce sa che, come tecnico di Ufficio legislativo, ho passato venti anni della mia carriera professionale nel Senato e nella Camera di cui – ormai – conosco anche i più reconditi meccanismi.

Il problema principale del Parlamento non è il numero dei suoi membri, bensì le regole che si è dato, i famosi Regolamenti, che hanno rango di leggi costituzionali.

Il Regolamento della Camera è a questo link.

Il Regolamento del Senato è a questo link.

Il principale problema, mai affrontato, che genera confusione e ritardi, è quello della convivenza fra Commissioni, il cui calendario è deciso dal Presidente della stessa e l’Aula, il cui calendario è deciso, all’unanimità, dalla Conferenza di Capigruppo.

Chiunque abbia studiato un po’ di “educazione civica” sa bene che una legge, per essere approvata, deve passare il vaglio di ben quattro letture, Commissioni [merito e pareri] e Aula della Camera e Commissioni [merito e pareri] e Aula del Senato. Il lavoro delle Commissioni è importantissimo: è lì che la materia viene sbozzata e preparata per la votazione dell’Aula, ma il lavoro delle Commissioni spesso è interrotto dai lavori dell’Aula che chiama a raccolta i Parlamentari per il voto. Non escludo, non ho fatto i calcoli, che con la riduzione del numero dei parlamentari sarà impossibile – per carenza di numero legale – il lavoro contemporaneo di Aula e Commissioni con il risultato di un blocco totale del Parlamento.

Spesso, lo avete letto sui giornali, il testo di una legge viene chiamato dall’Aula, quando non è ancora finito il lavoro delle Commissioni per esser completamente rimpiazzato da un maxi emendamento sostitutivo su cui il Governo pone la fiducia.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: leggi incomprensibili composte di un solo articolo e di centinaia di commi, illeggibili, per nulla chiare e suscettibili di interpretazioni varie, come – ad esempio – la legge di bilancio 2019,  (LEGGE 30 dicembre 2018, n. 145 Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021. (GU n.302 del 31-12-2018 – Suppl. Ordinario n. 62 )   approvata dal Parlamento senza passare per le Commissioni. Ci capite qualcosa?  Vi sfido.

Questi problemi anzidetti, non verranno certo diminuiti o eliminati dal taglio netto dei parlamentari, ma verranno senz’altro amplificati per mancanza “di forza lavoro”.

Senza eliminare una parte dei Parlamentari, un miglior risultato poteva essere ottenuto approntando il lavoro del Parlamento – come si fa in tante altre parti del mondo, compreso il Parlamento europeo – per “sessioni”: per tre settimane lavorano solo le commissioni che, nella quarta settimana, riversano il loro lavoro, pronto e pulito, al vaglio dell’Aula.

Con la riforma di un taglio netto dei parlamentari non si risolverà, poi, alcuno dei problemi che affliggono il nostro Parlamento come l’ostruzionismo, la presentazione di migliaia di emendamenti da parte di un solo parlamentare [ricordate Calderoli e la sua macchina “produciemendamenti”?]. Non si risolverà la transumanza dei parlamentari da un Gruppo all’altro. Gli uffici di supporto ai gruppi parlamentari, pagati con le nostre tasse, rimarranno uguali a quelli di adesso, non essendo – per loro – previsto nulla nel referendum.

Il costo della macchina “Parlamento” rimarrà praticamente uguale.

I Parlamentari, che siano 600+315 o 400+200, potranno comunque essere assenteisti o stakanovisti, bravi o mezze calzette, animati da buoni propositi o solo dall’attaccamento alle poltrone. Questo taglio non incide assolutamente sulla qualità dei parlamentari.

Prima di tagliare i Parlamentari, si riformino i regolamenti, per esempio tornando al disposto costituzionale dell’art. 72 che dispone che i disegni di legge siano approvati “per articoli” e non per commi o sottocommi, o parole immesse nei testi.

Infine, c’è qualcuno, anche quotidiani nazionali, che affermano che il Parlamento abbia troppi parlamentari perché ora ci sono le Regioni e il Parlamento europeo. Veramente le Regioni e le assemblee regionali erano state previste anche dalla Costituzione del 1947 ed anche la loro potestà legislativa, basta guardare gli originali articoli 117 e 118 (poi modificati nel 2001). Ritenere che il Parlamento europeo sia in competizione e contrasto con i Parlamenti nazionali significa non conoscere che Il trattato di Lisbona ha definito per la prima volta il ruolo dei parlamenti nazionali in seno all’Unione europea. I parlamenti nazionali, ad esempio, possono esaminare i progetti di legge dell’UE per controllare se rispettano il principio di sussidiarietà, possono partecipare alla revisione dei trattati dell’UE, oppure possono prendere parte alla valutazione delle politiche dell’UE in materia di libertà, sicurezza e giustizia. Il trattato di Lisbona ha inoltre specificato che il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali dovrebbero definire insieme l’organizzazione e la promozione di una cooperazione interparlamentare efficace e regolare in seno all’Unione europea.

Di conseguenza, il Parlamento europeo ha adottato nel 2009 (vedi link qui) e 2014 (vedi link qui) risoluzioni che trattano specificamente dello sviluppo delle relazioni tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali.

Continua…..domani….

Il 20 e 21 settembre saremo chiamati ad esprimerci su un referendum confermativo di una legge costituzionale i cui scopo è molto limitato: tagliare il numero dei parlamentari. I Deputati scenderebbero da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. La legge costituzionale è stata approvata nelle prescritte quattro letture e, siccome non ha sempre raggiunto la percentuale di sì dei due terzi di una delle Camere, la Costituzione permette, con la richiesta di alcune modalità, che il popolo abbia l’ultima parola in un referendum senza quorum. Per intenderci, se andasse a votare una sola persona e quella persona votasse NO, la legge non sarebbe approvata.

Chi mi segue sa perfettamente che io non sono favorevole a questa riforma; spesso su questo blog ho spiegato le ragioni e richiamato l’attenzione. Visto che la data si avvicina e questa data, in caso di vittoria dei sì, potrebbe essere foriera di inconvenienti seri sul funzionamento del Parlamento, proprio in direzione contraria degli auspici dichiarati dai promotori (i Cinquestelle), forse è meglio tornare sull’argomento.

Facciamo un po’ di storia.

Forse non tutti sanno che il numero attuale di parlamentari non fu fissato dalla Costituzione del 1947 (qui il link)

La costituzione originaria, agli articoli 56 e 57 affermava che “La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale, in ragione di un deputato ogni 80.000 abitanti o frazione superiore a 40.000” e che “il Senato della Repubblica è eletto a base regionale. A ciascuna regione è attribuito un senatore per 200.000 abitanti. Nessuna regione può avere meno di sei senatori. La Valle d’Aosta ne ha uno”.

L’articolo 60 introduceva uno sfasamento temporale sulla durata delle Camere. La Camera di deputati era eletta per cinque anni, il Senato per sei.

Facile fare il conto di quanti deputati fosse composta la prima Camera, visto che la popolazione italiana nel 1947 era di 45.910.000 persone: 45.910.000/80.000 = 574 membri (numero non dissimile dall’attuale). Più complicato fare il computo dei senatori perché bisognerebbe conoscere la popolazione di ogni regione nel 1947 e considerare le modifiche territoriali intervenute (Molise che si divide dagli Abruzzi, Trieste che ritorna nel territorio italiano).

Ci viene in soccorso il “Sito storico del Senato” che a questo link ci dice che i senatori, nella prima legislatura erano 369 (con sole 4 donne!!), numero non dissimile dall’attuale.

Poi, nel 1963, con legge costituzionale 9 febbraio 1963, n.2, il numero dei deputati fu fissato negli attuali 630 e i senatori negli attuali 315. Nel 2001 furono aggiunti i rappresentanti degli italiani all’estero.

Ma veniamo ai giorni nostri e alle ragioni che hanno spinto il partito che voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, i Cinquestelle, ad operare in un campo più istituzionale per minarne l’attività.

Non sarebbe giusto non passare in rassegna le ragioni, o le pseudo ragioni poste alla base della proposta di legge.

Il Disegno di legge, (ricordiamoci, presentato il 4 aprile 18, pochi giorni dopo la costituzione del Governo Lega – Cinquestelle) ormai approvato ed in attesa del Referendum, (n. 214 al Senato e n.1585 alla Camera) prevede (a questo link il testo) che il numero dei deputati scenda da 630 a 400 ed il numero dei senatori da 315 a 200.

La motivazione, posta dai presentatori, a base della proposta è la seguente: “Coerentemente con quanto previsto dal programma di governo [Lega-Cinquestelle], si intende pertanto riportare al centro del dibattito parlamentare il tema della riduzione del numero dei parlamentari, con il duplice obiettivo di aumentare l’efficienza e la produttività delle Camere e, al contempo, di razionalizzare la spesa pubblica. In tal modo, inoltre, l’Italia potrà allinearsi agli altri Paesi europei, che hanno un numero di parlamentari eletti molto più limitato.”

Quindi efficienza e riduzione della spesa, ma a scapito della funzione più importante, direi quasi sacra, della rappresentatività del popolo italiano.

Continua…..domani! Continuate a seguirmi, se vi va

Caro Segretario Zingaretti, il PD – giustamente – nelle prime tre votazioni al Parlamento sulla legge costituzionale “tagliaparlamentari” si espresse con un convinto NO!. Troppe ed evidenti sono le distorsioni che questo taglio lineare senza contrappesi porta all’attività parlamentare a cominciare dall’impossibilità per Aula e Commissioni di funzionare contemporaneamente. Il PD ha ben in testa che altre sono le cause di un non perfetto funzionamento del Parlamento: in primis i Regolamenti parlamentari, difficili da cambiare perché hanno rango di leggi costituzionali, le assurdità della conferenza dei capigruppo che deve decidere all’unanimità etc etc. Purtroppo alla quarta votazione il PD, pur di formare il nuovo Governo ha ceduto alla chimera populista dei Cinquestelle del “fantastico risparmio” (?) e della punizione della Casta e ha votato SI’, circondando, comunque il suo assenso a precise condizioni di riforme legislative che dovevano andare di pari passo, a cominciare da quella elettorale. Ci è andata male. Ci hanno fregato. La legge elettorale è di là da cominciare i primi passi, il resto delle riforme? Missing. A queste condizioni è lecito ritirare, con onore, la parola data e tornare sulle posizioni di prima. Inadimplendi non est adimplendum. Un taglio dei parlamentari non accompagnato da altre riforme è deleterio e pericoloso. Che chi si riconosce nel PD voti NO al referendum
Caro Segretario Zingaretti, non si renda complice di questo attentato alla democrazia, alla rappresentatività, all’autonomia del parlamento che diverrà un manipolo di nominati succubi delle segreterie dei partiti. La prego. Dia una chiara indicazione di votare NO al ReferendumCostituzionale

L’Italia sembra sempre di più il finale di Otto e mezzo di Fellini.  Non lo avrei mai creduto. Siamo stati i primi in occidente colpiti dal Coronavirus, questo virus sconosciuto. Primi in Occidente a fare qualcosa di veramente nuovo: il lock down, imitato da tutti i Paesi europei, anche da quelli che, dapprima, avevano irriso, e poi si sono adeguati.

Ottima performance nella fase uno.

Orgoglioso del mio Governo.

Poi…. Poi, quando la morsa dell’economia disastrata è stata più dolorosa del dolore per i morti portati via dai camion militari, è successo qualcosa di nuovo e di deprecabile. Ci siamo sbracati.

Succube della nuova e dura Confindustria, il Governo ha perso la bussola che lo aveva guidato fin allora.

Liberi tutti … ma con cautela. Vi ricordate Antonio Ferrer nei “Promessi sposi”? “Adelante, Pedro, cum judicio”, ossia avanti, ma non troppo.

Assembramenti, movide, calca, tutto tornato come prima, più di prima, regole nei ristoranti ignorate.  Raccomandazioni a voce. Fatti zero.  Manifestazioni politiche a Roma e a Milano, feste di piazza, funerali, esplosioni di gioia per avvenimenti sportivi, biasimati, ma non proibiti o contrastati. E i risultati si vedono. I contagi risalgono. Mondragone, Bartolini, Porto Empedocle, San Raffaele, ma la parola d’ordine è minimizzare, diluire, rassicurare: sono asintomatici, sono “cluster” delimitati. Ma i numeri non mentono: a giugno il numero di positivi risale. In Germania hanno avuto il coraggio di richiudere. In Italia no.

Ormai la Confindustria detta legge: tutto aperto perché l’economia deve riprendere vigore. E se queste riaperture portano una nuova risalita dei casi?

Ma non è solo la situazione sanitaria. Si sono evidenziate le divisioni fra i cd. scienziati. Manifesti firmati da una parte che afferma che la pandemia è finita; altri medici illustri che dicono di stare attenti, che il virus non è mutato, gettando nella confusione gli italiani che pensavano che la scienza fosse indenne da prese di posizione politiche. Lite continua fra gli scienziati su qualcosa di sconosciuto, su qualcosa che fino a cinque mesi fa non era neppure citato sulle riviste scientifiche. E il numero di casi risale non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Ma la stampa ufficiale dice che è finita: via con i consumi, via con le movide, via con lo stare azzeccati, perché tanto “il virus ha perso forza, al massimo vi prendete una influenza”. Gilet gialli e arancioni, saldati con i sovranisti, manifestano urlando che il COVID1 è una invenzione di Bill Gates che viaggia sui 5G e il Governo tace.

Il Governo? Imbalsamato nella impossibile convivenza fra PD e Cinquestelle, lavorato ai fianchi dal fuoco amico di Renzi e Calenda. Un Governo che si regge solo sul concetto del “male minore”: se andiamo via arrivano i sovranisti di Salvini e Meloni. Quanto può durare?

L’Unione europea, la vituperata Unione europea, ha messo in campo una serie di interventi mai visti: MES senza condizioni, SURE e Recovery Fund, ma il Governo fa lo schizzinoso. Stiamo con le pezze al culo e chiediamo soldi a fondo perduto, neppure la condizione di restituirli al tasso dello 0,1% vogliamo. Il MES?  Un prestito con le uniche condizionalità della restituzione e dell’uso per la sanità, un prestito al tasso dello 0,1%. No, non lo vogliamo: vogliamo il recovery Fund a gratis. E – badate – del Recovery Fund c’è solo il nome, per ora. Non si sa neppure di quanti soldi si tratta e a quali condizioni verranno erogati.

Ci hanno detto che i soldi del Recovery Fund possiamo utilizzarli per qualsiasi investimento vogliamo, basta che non lo usiamo per sussidi o interventi elettorali a pioggia. E il Governo che fa? Lo useremo per abbassare l’IVA, dice Conte. Una mancia ai commercianti, vietato dall’essenza stessa del Recovery Fund.

Le opposizioni? Follia anche per loro. Le loro proposte: flat tax e soldi a pioggia, quando il Vice presidente della Commissione europea ci ha detto chiaramente di usare quei soldi, come moltiplicatore, per investimenti “cocenti”: ILVA, Alta velocità, ristrutturazione completa della giustizia.

E’ proprio vero: gli Dei accecano chi vogliono perdere.

E vi stupite se il flusso dei miliardi che ogni giorno lascia il nostro Paese aumenta?

L’orologio del destino avanza, il tempo passa e l’Italia è ferma.

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