Caro amico, ti scrivo, così mi distraggo un po’
E siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò
Da quando sei partito c’è una grande novità
L’anno vecchio è finito, ormai
Ma qualcosa ancora qui non va
C’era o, meglio, in qualche modo c’è ancora, il Presidente del consiglio più serio, competente e stimato che avessimo mai avuto. E non poteva dare fastidio a lungo, visto che a marzo od aprile 2023 si sarebbe votato comunque.
Tutti i partiti (salvo uno) insieme. L’unione fa la forza e, quando la forza è guidata dall’,intelligenza, i risultati si vedono: centri vaccinali efficienti manco fossimo in Svizzera, fondi europei a profusione, l’,imbarazzo della scelta di come spenderli. L’economia tirava, eh! Una crescita del PIL mai vista. Una guerra a poche centinaia di chilometri da noi e il Governo prende una decisione univoca!
Tutto bene amico mio? Eh no.
I vecchi capetti sentivano montare l’invidia e diminuire i voti prossimi venturi e, allora, che si fa?
Il solito giochetto. Una scusa e il governo cade. Cade ma non troppo, lo costringono a dimettersi senza togliergli la fiducia (i media stranieri hanno unninfarto) in modo che fino ad novembre, quando il nuovo governo si sarà formato, il vecchio/attuale avrà tolto un po’ di castagne dal fuoco per permettere ai “nuovi” di sedersi al banchetto senza noiose incombenze.
E, caro amico, mi piange la penna, ma quello che sto per raccontarti è ancora peggio.
Comincia la campagna elettorale.
Le coalizioni si formano e si sfasciato. C’è chi bacia come Giuda il compagno per poi subito andarsene a fare comunella con chi, solo qualche mese prima, non sarebbe mai andato.
Due partiti che parevano fondersi a “sinistra” ora si guardano in cagnesco.
Non è che a destra vada meglio. Quello che era il maggior partito ha una emorragia di ministri ed esponenti di primo piano, nei sondaggi dimezza i consensi e si tiene a galla solo con o soldi del capo.
Quello che era il frontman, l’acchiappavoti col mohjto in mano è in caduta libera e “si diverte” a portar sfiga.
Ora, caro amico, veleggia in alto una biondina della Garbatella che, per farsi conoscere, dice di sè di essere una donna (sì vedeva già, ma con questa storia del sesso liquido non si può mai sapere), una mamma (vabbè, fatti suoi) e di chiamarsi come si chiama (temeva giochetti dell’anagrafe?).
Ma, caro amico, la penna piange ancora di più ora che devo raccontarti i programmi di questa gente.
C’era una canzone che diceva parole, parole, parole. Ecco, aggiungiamoci promesse, promesse, promesse ed avrai il quadro completo.
Promesse nuove?
Macché, le ho confrontate con quelle del 2018, mai realizzate (se le avessero realizzate ora dovrebbero scervellarsi per trovarne di nuove).
La flat tax (promessa già dal Caimano 30 anni fa), il ponte sullo stretto (promessa di 50 anni fa e che, senza nemmeno iniziare l’opera ci è già costata 280 milioni di progetti e penali).
Via la legge Fornero che,ad onta della stessa promessa di 4 anni fa, è ancora viva. In pensione a 60 anni con 20 anni di contributi. Via il green pass (che già non c’è più).
Si vince facendo gli occhi di tigre! (Qui la stampa estera è stata ricoverata per un secondo infarto) .
Basta, non voglio affliggere, smetto.
No, una ultima cosa, te la voglio raccontare: uno dei partiti politici se l’è presa con un fumetto per bambini (e qui la stampa estera è defunta definitivamente). Peccato, non ha potuto leggere il profluvio di tweet di un candidato (che nel precedente tentativo di corsa a sindaco di un’isola non ha ricevuto nemmeno un voto) che, lui divorziato, indefessamente professa la indissolubilità del matrimonio.
Eh, sì caro amico, finisco di scriverti perché volevo seguire il discorso di un ex giornalista che ha raccolto attorno a sè, formando un partito tutti i novax, nopass, notass, gilet arancioni e, forse, ma non sono sicuro, ex generali.
Ma tu sta tranquillo che qui vatuttobene.
https://sergioferraiolo.com/2022/08/09/va-tutto-bene/
Ormai “ridurre i consumi di energia” è il mantra che si sente ogni giorno. Ridurre la dipendenza di gas dalla Russia. Consumare di meno per sfuggire alla speculazione, anche essa responsabile dell’impennata dei prezzi delle bollette, ormai poco sostenibili.
Mettere un tetto al prezzo del gas contraddicendo tutta la filosofia mercantilistica dell’Unione europea?
Razionare il gas o l’energia elettrica?
L’Unica “certezza” che trapela da Palazzo Chigi è la riduzione della temperatura a 19 gradi negli uffici pubblici e nelle abitazioni private, nonché la riduzione di un’ora sul massimo dell’accensione dei termosifoni e, anche negli appartamenti privati, la riduzione di uno – due gradi. Inoltre è ipotizzato una diminuzione della illuminazione pubblica (stradale, vetrine, insegne)
Secondo il Governo, attuando queste misure, l’impatto della carenza di gas (e, conseguentemente di elettricità) potrà essere mitigato a livelli più sostenibili.
Badate che la questione è più seria del solito. Non si tratta solo caro prezzi. Se così fosse chi ha soldi paga, chi non ha soldi non si riscalda o ha sussidi dal Governo.
In questo caso si tratta di carenza di materia prima. Non siamo più in un sistema a risorse infinite. Se l’anno scorso abbiamo consumato, poniamo, 100, quest’anno dobbiamo acconciarci a consumare 60. Consumare 61 non sarà possibile, perché la torta è finita: c’è solo il razionamento.
Ma queste misure saranno effettivamente applicate? Potranno esserci controlli? Secondo me, no.
Quali sono le norme attuali?
Come è noto, il territorio nazionale è suddiviso in sei zone in funzione delle temperature medie annue: si va dalla zona A, più mite, fino alla zona F, dove è possibile tenere accesi i riscaldamenti anche per tutto l’anno. Per conoscere date e fasce orarie in cui è possibile accendere gli impianti termici in relazione alla propria zona climatica di appartenenza, ci si riferisce ai dati della tabella A allegata al D.P.R. n. 412/’93. Una volta individuata la lettera di appartenenza, nel rispetto della legge vigente, ci si dovrà attenere alle relative date di messa in funzione degli impianti. In base alla propria zona climatica, si provvederà alla relativa manutenzione in tempo per l’accensione degli impianti termici.

Per sapere a quali località corrispondono le zone climatiche cliccare qui: https://www.pmi.it/pubblica-amministrazione/riforma-pa/181442/confedilizia-online-orari-per-riscaldamenti.html
E, all’interno di ogni fascia, non possono essere superati i 20 gradi centigradi.
Questa è la teoria. Passiamo ora alla pratica.
La prima obiezione è che non esiste un termostato in ogni stanza per verificare la temperatura. Nella maggior parte dei casi la temperatura potrà essere rilevata all’origine, con parecchia diminuzione della temperatura stessa nelle ultime stanze servite.

Andiamo con ordine: uffici pubblici. Nella mia vita lavorativa ne ho frequentati parecchi. In situazioni normali la differenza di temperatura fra i vari ambienti è notevole e ben superiore ai due gradi. C’è sempre la stanza più fredda in cui nessuno vuol lavorare e quella troppo calda dove si suda e non si lavora.
Un impianto termico immette acqua calda in tubi di un edificio che può avere anche centinaia di elementi radianti. Ovviamente il primo elemento radiante riceverà acqua appena uscita da brucatore e, quindi, molto calda. Gli ultimi riceveranno acqua pressoché tiepida perché posti alla estremità opposta della colonna montante rispetto al bruciatore.
Quale temperatura rilevare? Obbligo di spegnimento preventivo dei radiatori posti più vicino al bruciatore? Estensione dell’orario per quelli posti più lontano? Qualcuno sarà addetto al controllo?
Nei condomini privati con impianto centralizzato la situazione è analoga. Ognuno di noi è testimone delle liti in assemblea perché il calore non arriva oppure ne arriva troppo.
Per esperienza personale, poso dire che i miei termosifoni (secondo piano) sono pienamente caldi quasi due ore dopo l’accensione del bruciatore posto sulla sommità del palazzo (cinque piani). Quindi io ho già due ore in meno di riscalamento giornaliero rispetto a chi abita al quinto piano, proprio sotto il bruciatore.
La situazione è mutata qualche anno fa con l’introduzione dei contabilizzatori di calore posti su ogni elemento radiante. I contabilizzatori di calore sono apparecchietti che registrano il reale consumo energetico, in questo modo consente a ogni unità immobiliare collegata all’impianto centralizzato di pagare soltanto la quantità di energia utilizzata. Le valvole termostatiche, invece, permettono di gestire la temperatura, usando un’apposita manopola per impostare un valore da 1 a 5 per aumentare o diminuire il calore trasmesso dal termosifone.

Ma non ci siamo con le direttive del Governo: anche i contabilizzatori di calore possono incidere in modo approssimativo sulla temperatura (cosa diversa dalla quantità di calore). Abito a Roma: vi assicuro che i 20 gradi (visualizzati da un termometro mio estraneo all’impianto che non ne possiede di suo) vengono raggiunti solo dopo ore di accensione con la manopola a 5.
I numeri da 1 a 5 sulla manopola servono a poco: con 1 o 2 o 3 sono appena tiepidi e ben lontani dai 19 gradi previsti.
Per gli impianti autonomi negli appartamenti, ovviamente, il rispetto della temperatura e degli orari è rimessa solo al buon senso del proprietario. Non mi risulta che vengono fatti controlli con termometro negli appartamenti.
Passiamo all’illuminazione pubblica. Gli ultimi giorni sono stati pieni di investimenti di pedoni e ciclisti sulle strade per diminuire ulteriormente il livello dell’illuminazione pubblica.
Poi, non facciamo di ogni erba un fascio: ci sono città già risparmiose che hanno sostituito tutta l’illuminazione pubblica con lampade a LED, notoriamente pochissimo voraci di energia. E ci sono città che mantengono la vorace illuminazione con lampade al sodio o a addirittura a incandescenza, specialmente nei centri storici.
Il taglio orario e di intensità riguarderà tutti i sistemi indiscriminatamente?
Insegne pubbliche o vetrine: sì consumano, ma contribuiscono efficacemente alla carenza dell’illuminazione pubblica, spesso nascosta dalle fronde degli alberi e aumentano la sicurezza dei passanti.
L’unica norma con qualche efficacia sarebbe l’obbligo, per i negozi, di tenere la porta chiusa per evitare dispersioni di calore. Norma osteggiata dagli esercenti, sia per areazione anti-Covid sia per non far sembrare il negozio chiuso.
Con queste premesse ritengo, purtroppo, che le misure annunciate dal Governo siano la solita legge manifesto senza conseguenze pratiche.
Prepariamoci al gelido inverno che ci attende, senza dimenticare la crisi idrica.
Continuo nella mia opera di raccolta delle Balle Elettorali di questa Campagna elettorale 2022. Per un confronto con le Balle elettorali della Campagna elettorale 2018, per vedere quante (poche) e quali promesse siano state mantenute, c’è il mio libretto (Ebook o cartaceo) disponibile a questo indirizzo: https://www.amazon.it/dp/B0B9CHBCQ6 . La versione Ebook è gratis fino al 30 agosto 2022.

Nel precedente post – mi rendo conto – ho parlato di Balle Elettorali di tre esponenti della Destra. Per “par condicio” mi tocca parlare delle Balle del Centrosinistra.
Ebbene, Enrico Letta, il 23 agosto, al Meeting di Rimini – con gli altri contendenti – ha parlato di istruzione e ha promesso di estendere il Programma Erasmus anche alla scuola superiore. [vedi la notizia delle 13.41 – Letta: non usiamo l’Europa come capro espiatorio] Ovviamente dirà di essersi confuso, darà la colpa ai giornalisti, ma il programma Erasmus (rectius Erasmus+) per le scuole superiori esiste da anni e anni.

Riciccia il ponte sullo Stretto di Messina
Fra le promesse elettorali riciccia il ponte sullo stretto di Messina. La storia va avanti dal 1650. Su Wikipedia ci sono pagine e pagine sui progetti, sulle speranze, sulle possibilità di realizzare il fantastico progetto.
Non ve le riassumo. E’ troppo lungo, ci vorrebbe un libro. Se volete, potete leggerle direttamente al link https://it.wikipedia.org/wiki/Ponte_sullo_stretto_di_Messina.
Vi riassumo solo le conclusioni: nell’ottobre 2005 l’Associazione Temporanea di Imprese Eurolink S.C.p.A. vinse l’appalto di contraente generale per la realizzazione dell’opera. L’Eurolink batté la cordata concorrente guidata dalla capogruppo Astaldi. L’offerta finale risultò essere pari a 3,88 miliardi di euro; prevedeva un tempo di realizzazione di 5 anni e 10 mesi. Il contratto di assegnazione fu firmato il 27 marzo 2006.
Il contratto prevedeva il diritto di recesso senza penali da parte della Stretto di Messina S.p.A. nel caso in cui il progetto definitivo o quello esecutivo risultassero sostanzialmente differenti rispetto all’offerta presentata.
Non se ne fece nulla e, nel 2012, il governo Monti stanziò 300 milioni per il pagamento delle penali, e quindi la definitiva chiusura del progetto del ponte sullo stretto di Messina. In conformità alla legge 221/2012, il 1º marzo del 2013 il contratto di appalto è decaduto.
Personalmente non sono affatto contrario, in astratto, alla realizzazione del ponte. In definitiva sono meno di tre chilometri.
Ma le difficoltà sono enormi: il territorio è sismico e montuoso. Un ponte a più campate o un tunnel si rivelano, già dai progetti, irrealizzabili. La campata unica, focus del progetto vincitore dell’appalto è di oltre 3.300 metri, di molto il più lungo del mondo. Il costo stimato (nel 2005) è di 3,88 miliardi di Euro. Nel 2021, per effetto dell’inflazione il costo lievita a 4,4 miliardi, senza contare l’inflazione a due cifre del 2022 e quella che verrà nei cinque anni e dieci mesi previsti per costruirlo. Ma si sa che i tempi previsti sono, appunto, previsti e valgono quanto le previsioni meteo.
Queste le difficoltà.
Ma c’è dell’altro. Il ponte risolverebbe i problemi di mobilità e ridurrebbe i tempi per raggiungere le varie località siciliane? Vediamo gli orari ferroviari e la guida Michelin.
Fra Napoli e Reggio Calabria il tempo di percorrenza in treno varia da 5 a 7 ore con una distanza di 491 KM (in auto ci vogliono quasi 5 ore).
Bene, facciamo finta che ci sia già il ponte. In 20 minuti si passa (ci sono kilometri di svincoli e controsvincoli) e si ci trova a Messina.
Ipotizziamo che il nostro viaggiatore voglia andare all’estremità dell’isola, a Trapani. Sono poco più di 320 kilometri: in treno ci vogliono circa otto ore, in auto poco più di quattro ore.
Lo stesso se volesse andare a Siracusa: 160 Km. In treno ci vogliono dalle due ore e cinquanta alle tre ore e venti. In Auto poco più di di due ore.
E se volesse andare ad Agrigento? (264 Km?) in treno dalle 4 alle 5 ore. In auto circa 3 ore e mezzo.
Vista l’imponderabilità attuale della fattibilità del ponte sullo stretto, non sarebbe meglio spendere quei soldi (oltre 6 miliardi di Euro) per velocizzare il raggiungimento da Messina delle altre destinazioni siciliane?
Rifare soprattutto le linee ferroviarie e rifare anche le strade? Sono soldi che cadrebbero sempre sul territorio e soprattutto di sicuro effetto. Rifare una linea ferroviaria, rifare una strada sono progetti che danno vantaggi ad ogni chilometro di realizzazione: se finiscono i soldi a metà della realizzazione del progetto, comunque metà strada o metà linea ferroviaria sono pronti e fruibili.
Se finiscono i soldi a metà della realizzazione del Ponte, nessuna utilità ne può conseguire.
Non sarebbe meglio lasciare la realizzazione del ponte come la ciliegina sulla torta di un sistema stradale e ferroviario finalmente efficiente?

Per oggi ci fermiamo qui. Se venite a conoscenza di altre Balle colossali, segnalatemelo.
Continuate a seguirmi, anche se #VaTuttoBene
Comincio oggi una serie di post dove voglio raccontare le più esilaranti balle elettorali, ossia le mirabolanti promesse che i leader e candidati alle elezioni politiche del 25 settembre 2022 cominciano a diffondere agli elettori pensando che questi siano come Pinocchio davanti al Gatto e la Volpe che gli promettono il Paese di Bengodi. Cercherò di pubblicare un nuovo post, ogni volta che leggerò una di queste colossali fandonie. Continuate a seguirmi.
Tanto, Va tutto bene.

Per doveri di età cominciamo da Berlusconi. Ieri 22 agosto 2022, il vecchio leader di Forza Italia ha promesso che in caso di vittoria – per abbassare il carico fiscale e per permettere a tutti l’acquisto di una casa – abbatterà al 2% l’aliquota dell’imposta di registro per l’acquisto della prima casa. Illusione? NO!!! Il fatto è che l’aliquota al 2% per l’acquisto della prima casa esiste, ed è legge, ormai da decenni. Non solo, ma l’aliquota del 2% non è calcolata sul prezzo reale della compravendita, ma sul valore catastale, notevolmente più basso. Promessa facile, anzi, già realizzata!!!.
Continuiamo con Salvini. Ieri sera, 22 agosto, nella trasmissione di Paolo Celata su La7, ha tentato di spiegare l’arcano della Flat Tax che non è Flat, ma progressiva. Salvini, controllate il video che ho linkato, afferma che già oggi alle partite IVA con introiti inferiori a 65.000 auro annui si applica una tassa fissa del 15%. La prima fase dell’introduzione della nuova Flat Tax consisterà nell’alzare questo limite a100.000 euro. Così le partite IVA che hanno introiti fino a 100.000 euro annui pagheranno, al massimo 15.000 euro invece dell’aliquota marginale del 43% secondo la tabella progressiva valida per tutti noi comuni mortali e che riporto qui sotto:

Visto che anche ad occhio, con tale proposta si provoca una diminuzione di entrate fiscali per lo Stato, i giornalisti presenti hanno chiesto a Salvini con quali risorse intendesse coprire il “buco”.
La risposta è stata esilarante. Potete sentirla nel video che ho linkato, ma, nella sostanza è questa e degna del festival della barzelletta: “Non c’è alcun bisogno di coperture ,si paga da sola, perché gli interessati, che pagheranno meno tasse saranno invogliati a lavorare e produrre di più e quindi il gettito fiscale si alzerà da solo!!”.
Lascio a voi i commenti.
E finiamo con la Meloni: sempre ieri, si è detta favorevole agli “aiuti di Stato” vietati, in via di principio dall’Unione europea. Ha poi promesso di imporre un tetto agli stipendi ai manager delle aziende di Stato, specialmente quelle in perdita, perché li paghiamo noi con le nostre tasse.
Ineccepibile la proposta del tetto agli stipendi dei manager di Stato pagati con le nostre tasse. Peccato, che, come la tassa del 2% di Berlusconi, questo tetto c’è già. Il Governo Renzi, anni fa, ne stabilì il massimo ammontare in 240.000 euro lordi annui. Quest’anno, il ministro dell’Economia, Daniele Franco ha dato un’altra sforbiciata, imponendo non solo che nei 240.000 euro annui debbano rientrare tutti gli extra e altre prebende non comprese nello stipendi, ma stabilendo anche diverse fasce di fatturato cui commisurare gli stipendi.
Io posso capire che i Leader politici non siano addentro alle questioni tecniche (e perché no?), ma queste uscite denotano soprattutto una scarsissima competenza a scegliersi i collaboratori e consulenti, competenza principe di chi vuol governare.
Mah, ne vedremo delle belle. Continuate al leggermi sul blog e io continuerò ad informarvi. E, se vi piace diffondete. Non vogliamo essere come Pinocchio con il Gatto e la Volpe.
