Archivi per il mese di: gennaio, 2019
L’altra sera ho visto a cinema un non indimenticabile film francese, il gioco delle coppie, su letteratura e tradimenti.
Tradimenti a parte, la trama racconta di un editore incerto se passare o meno al libro elettronico, l’Ebook, in quanto nostalgico e amante del fruscio e dell’odore della carta.
Non essendo il film trascendentale, la discussione post film si è spostata proprio sul confronto libro cartaceo ed Ebook.
La maggioranza era nettamente a favore del libro tradizionale, ma quando ho cominciato a chiedere le motivazioni sono rimasto un po’ stupito. Certo il campione non era statisticamente rappresentativo, troppo sbilanciato verso una età non più verde e verso una solida cultura, purtuttavia non riuscivo a comprendere le motivazioni, più estetiche e nostalgiche (abitudinarie) che pratiche.
Il libro è il libro. Adoro il profumo ed il fruscio della carta. Mi piace andare avanti e indietro e rileggere passi già letti. Mi piace vedere il libro, il suo dorso, la copertina. Mi piace guardarlo e ripercorrere le emozioni che mi ha regalato. Il libro è un’emozione.
Rispetto tutte queste opinioni, ma mi sembra che tutte vadano a convergere sul “vestito” del libro e non sul suo contenuto. Chissà se, quando si passò dal papiro alla pergamena, ci fu chi avversò tale “innovazione” esprimendo il suo favore per il lento svolgersi del papiro che, un giro per volta, manifestava nuove parole. Oppure se ci fu chi respinse i nuovi supporti preferendo la tattilità delle tavolette di cera o di quelle di terracotta.
Ancora, esiste chi disdegna le “edizioni economiche” o le “edizioni tascabili” per la qualità inferiore della carta o della stampa.
Secondo me è il contenuto che conta. La Commedia di Dante è divina sia nell’edizione illustrata da Gustave Dorè sia in quella in brossura. Chissà se qualcuno sposa una donna per il suo vestito e non per ciò che quel vestito contiene.
E, visto che di “vestito” si tratta, fatemi spiegare perché io preferisco leggere il “corpo” del libro su un E-reader, Kindle o Kobo o altri che sia.
- Amo leggere. Ho la casa (piccola) piena di libri. Non c’entrano più; odio buttarli. Ora con il Kindle ho una enorme biblioteca nell’Hard disk del computer.
- Un libro medio in brossura raggiunge e supera il mezzo chilo; un Kindle pesa 205 grammi sia che contenga un libro, sia che ne contenga 1.000.
- Spesso leggo in viaggio, sul treno o in vacanza: nel Kindle entrano più di mille libri. Se son di più vanno in cloud o sull’Hard disk.
- Se sono presbite (ahi, l’età), non devo mettere gli occhiali se leggo e toglierli ogni volta che qualcuno mi chiama: semplicemente ingrandisco il carattere tipografico che, anzi, posso scegliere secondo i miei gusti.
- A differenza dei telefonini o dei tablet posso leggere anche sotto l’ombrellone: lo schermo non riflette la luce.
- La retroilluminazione è diretta verso il retro del Kindle e non verso i miei occhi: leggo per ore senza stancarli.
- Gli Ebook costano meno dei libri normali. L’acquisto è semplicissimo: vado su Amazon con il mio account, scelgo il libro, pago con carta di credito e, se sono in ambiente Wi-Fi, me lo trovo subito già pronto su tutti i miei dispositivi, altrimenti me lo scarico come qualsiasi file e lo inserisco nel Kindle. Il Kindle legge anche i miei file di testo e i miei .pdf.
- Dentro ci trovo già il dizionario inglese ed italiano: se non conosco il significato di una parola dell’Ebook, la tocco e mi si apre la finestra con il significato o la traduzione. Mi piace un passo del libro? Lo evidenzio e posso salvarmelo come nota o condividerlo via Email o pubblicarlo su Facebook. Ovviamente posso inserire quanti segnalibri voglio per ritrovare più facilmente il passo che volevo rivedere.
- Il Kindle misura 16,5 x 11,5 x 0,85 cm., entra nella tasca posteriore dei pantaloni. Puoi averlo sempre con te come il telefonino.
- E se me lo sono dimenticato e proprio mi vien voglia di continuare a leggere quel romanzo che tanto mi intriga, accendo il telefonino o il computer, avvio l’app Kindle, seleziono quel romanzo che stavo leggendo che si aprirà proprio alla pagina sulla quale avevo smesso. Insomma, il libro è indipendente dal Kindle. In qualunque parte del mondo sono, con un computer o un telefonino collegato ad internet, col mio account Amazon, posso leggere e continuare a leggere ogni Ebook acquistato.
- Se perdo il Kindle e ne acquisto uno nuovo, o una nuova versione, tutti i miei libri mi vengono scaricati automaticamente dal cloud.
- Con gli Ereader, come il Kindle, se mi viene la voglia di scrivere un libro, posso farlo e pubblicarlo istantaneamente nella biblioteca di Amazon, scegliendo il titolo che voglio e il prezzo che voglio far pagare, senza intermediari come editori o rivenditori. Resta da vedere se, poi, il pubblico lo comprerà.
Io ci ho provato. Ne ho pubblicati diversi (li trovate cliccando qui) e, devo dire, che si vendono, forse anche per i prezzo molto basso: 1 euro.
Tutto oro? Naturalmente no.
E’ un fatto che – dopo un inizio esplosivo – negli ultimi anni, secondo i pochi dati disponibili, l’ascesa degli Ebook va rallentando (incremento solo del 3,2% nelle vendite, ma diminuzione del 15% dei titoli pubblicati) secondo i dati dell’Associazione Italiana Editori (AIE) che proprio oggi pubblica il suo rapporto sullo stato dell’Editoria.
Perché? Secondo me la causa principale è il prezzo.
L’Ebook ad Amazon o a chi lo produce non ha un costo marginale: la piattaforma informatica è sempre quella. I libri cartacei, invece, costano un tot per la carta, un tot per la stampa, un tot per il trasporto, un tot per il rivenditore. La differenza di prezzo non corrisponde a queste diversità. Gli Ebook di grido, quelli dei titoli in classifica costano circa due terzi del prezzo del cartaceo con le classiche limitazioni dell’Ebook: non puoi prestarlo, non puoi trattarlo come una cosa materiale. Il prezzo è troppo alto rispetto alle spese.
E così, per gli Ebook sta succedendo quello che è successo per il software, per i film, per la musica. Gli Ebook vengono craccati, piratati e offerti gratis su internet. Ho già detto che anche io sono fra quelli che pubblicano Ebook. Come molti internauti ho un “Google alert” sul mio nome: Inserisco una stringa di lettere (in questo caso il mio nome e cognome) e Google mi invia una Email ogni qualvolta il mio nome appare su una nuova pagina. Ebbene, spesso gli avvisi di Google alert riguardano copie dei miei Ebook su pagine che non sono Amazon e che permettono un download gratuito. Se c’è chi perde tempo per rendere disponibili i miei libri non certo famosi, ritengo che i best sellers si trovino gratis con facilità. Gli autori e gli editori digitali dovranno fare la scelta di chi produce film e musica (cessione dei diritti a terzi che li “pubblicano” in abbonamento, vedi Netflix o Prime, o iTunes o Spotify) o chi produce software, abbassando, e di molto i prezzi.
Se si continua con l’alto prezzo imposto dall’autore o dall’editore estraneo alla piattaforma informatica di vendita, dubito che gli Ebook sostituiranno mai il libro cartaceo.
C’è poi la classica crisi di abbondanza. Su internet anche l’asino può dire la sua e può pubblicare un Ebook senza alcuna spesa: ci sono migliaia e migliaia di nuovi titoli ogni anno: tutti quelli che avevano il classico libro nel cassetto lo hanno pubblicato. È venuto meno il filtro dell’editore, la sua garanzia. Accanto a Ebook pregevoli c’è tanta, tanta spazzatura. Purtroppo un libro si giudica solo dopo averlo letto e pagato.
E voi che ne pensate?
Preferite gli Ebook o, ancora, i libri cartacei?
Fra qualche mese andremo alle urne per rinnovare il Parlamento europeo.
I movimenti sovranisti di tutta Europa si stanno attrezzando per nuove alleanze in modo da ridurre il più possibile i poteri dell’Unione ed espandere quello dei singoli stati.
I nostri partiti, alleati in Italia per forza e non per ideologia, non fanno eccezione: ognuno per la sua strada, cercano alleanze.
Salvini è appena volato in Polonia per cercare alleanza con il leader della destra ultraconservatrice di Diritto e Giustizia (PIS), quel Jaroslaw Kaczynski di tendenze molto poco democratiche. Ora semplice deputato, ma che controlla la politica polacca epurando i giornali e sottomettendo i giudici al governo mandando in pensione quelli sgraditi; giudici poi reintegrati dalle istituzioni europee. Bell’alleato!!! Sì, proprio quell”alleato”, membro fondatore del “Gruppo di Visegrad” che rispose picche alla richiesta di Salvini sulla redistribuzione dei migranti sbarcati in Italia.
L’altro dioscuro, Di Maio, è andato, se possibile, oltre. Ha offerto aiuto ai gilet gialli, movimento francese che, partendo da rivendicazioni economiche (tasse sulla benzina), si è reso responsabile di numerose volenze (feriti, blocchi stradali, sfondamento del portone del Ministero francese dei Rapporti con il Parlamento con una ruspa) tanto che dal Governo francese sono considerati sovversivi e, quasi, terroristi.
A memoria di osservatore dell’Europa, è un fatto senza precedenti: esponenti di un governo dell’Unione europea incoraggiano una rivolta in corso in un altro paese dell’Ue. Non si era mai visto!
Ricordo che il Decreto Salvini, in Italia, prevede pene fino a sei anni per il solo blocco stradale. Capisco la delusione per le ultime scelte di Macron, ma scegliere la violenza non mi pare un buon biglietto da visita per un alleato.
Fortunatamente pare che dalla Francia abbiano snobbato l’invito di Di Maio.
Giriamo pagina per un altro argomento che delinea benissimo la linea “molto democratica” del Governo.
Nei giorni scorsi, sotto silenzio per le feste, è venuto fuori che la ministra per la salute, Giulia Grillo , prima di azzerarlo, ha provveduto a schedare, anche tenendo conto dei precedenti orientamenti politici, i trenta membri del disciolto Consiglio Superiore della Sanità. Si tenga conto che il Consiglio superiore della Sanità è un organo di consulenza tecnica e scientifica del Ministero della salute italiano. Svolge funzioni sia consultive sia propositive nei confronti del dicastero ed esprime pareri tecnico-scientifici, ove richiesto (e, comunque, ogni volta sia obbligatorio per legge), a beneficio del ministro, delle direzioni generali del ministero, oltre che dell’Autorità giudiziaria, ove quest’ultima ritenga necessario interpellarlo per dirimere contenziosi (così Wikipedia). Insomma dovrebbe essere avulso da scelte politiche: se io ho bisogno di un medico, voglio che sia bravo a prescindere se abbia simpatie verso un certo o un altro partito.
Chissà, forse la ministra ignora che l’articolo 3 della Costituzione, sulla quale ha giurato, impedisce discriminazioni sulla base di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Se non vado errato una schedatura simile è reato. La ministra si difende, ma il documento eccolo qui, sotto gli occhi di tutti: invece di titoli scientifici appaiono le tendenze o i trascorsi politici: http://www.giuliagrillo.it/documento_integrale/?fbclid=IwAR0R9USEAYwhOc4R5TSftNCX5DwzQtqe0oEOR8cxym9iDoYfMrR4r7ZkYzs . Lontani i tempi di “Onestà! Onestà!”, vero?????
Di ieri è un’altra “perla” del Governo: stavolta ha agito bene, ma ha dovuto rinnegare quanto ha urlato in campagna elettorale sul salvataggio delle banche venete, MpS, Banca Etruria operato dai Governi Renzi e Gentiloni. Odo ancora le urla dei Di Maio e Di Battista: “Mai e poi mai soldi pubblici per salvare le banche!”, al limite si salvano i risparmiatori (precisazione inutile e molto di comodo, visto che già da anni se una Banca fallisce i correntisti fino a 100.000 euro godono della salvaguardia e della garanzia del fondo interbancario). Al limite ci perde chi ha investito in capitale di rischio, tipo azioni, obbligazioni e derivati; ma chi lo fa sottoscrive di essere a conoscenza del rischio
Beh, dopo che la BCE ha commissariato la Cassa di Risparmio di Genova (CARIGE), per impedirne il fallimento, il Governo ha, in una notte approvato un decreto legge salvagente che , come ha spiegato il Sole24ore, Il nuovo decreto è identico in ogni dettaglio (dalle regole sulle garanzie dello Stato fino ai meccanismi, con burden sharing, per la nazionalizzazione) al testo del Dl 237/2016, quello approvato dall’allora neonato governo Gentiloni per i salvataggi di Mps, Pop Vicenza e Veneto Banca.
Non è vero, urlano i Grillini, per tacitare la base, abbiamo salvato i risparmiatori. FALSO. Con i soldi pubblici hanno salvato la banca.
E’ bastato poco agli arrabbiati grillini che vedono nelle banche la quintessenza della casta per fare retromarcia. Il Ministro dell’economia Giovanni Tria ci ha messo molto poco a convincere i suoi colleghi di governo affinché il lasciar morire la CARIGE non diventasse “la nostra piccola Grecia”. Le banche, infatti, non sono più (o solo più) il rifugio dei risparmi. Vista la fuga di capitali verso l’estero e il grande flop dell’asta dei BTP Italia riservata alle sole persone fisiche, che BOT non ne comprano più, le banche sono diventate gli unici acquirenti dei BOT e BTP emessi dalle esangui casse del Tesoro. Se fallisce una banca, alla scadenza dei Titoli di Stato, essa non sarà più in grado di rinnovarli. Il Tesoro dovrà cercare nuovi acquirenti alzando il tasso di remunerazione. Conviene di più, è più economico salvare la banca. Se fallisce una banca può fallire lo Stato. Purtroppo orrenda, amara e molto spiacevole verità di cui anche chi voleva rivoltare o Stato come una scatoletta di tonno si è dovuto render conto.
Come si cambia per non morire….
Ecco, queste, coperte dall’ovattata realtà delle feste gli ultimi passi del Governo che, con i nostri voti, abbiamo contribuito a mandare al potere.
Se vi piace, condividete.
Io ricordo che quando eravamo al liceo mangiavamo pane e politica. Io ricordo che allora – parlo dei primissimi anni ’70 – il personale era politico. Il fuoco era dentro di noi. Che Guevara e Almirante erano i fari delle opposte fazioni. Non passava avvenimento che, nelle scuole, e poi nelle università, non si discutesse in infinite assemblee anche se si trattava di fatti lontanissimi. Ricordo di aver preso una “nota” perché partecipai ad una manifestazione in favore della scarcerazione della attivista nera Angela Davis. Chi ricorda più ora chi era Angela Davis? Eppure anche a lei si deve se i neri americani oggi hanno più diritti.
Io ricordo che sentivamo come nostro dovere comprendere la realtà politica che ci circondava e, parimenti, nostro dovere, dire la nostra, a favore o contro.
Io ricordo che partecipavamo alle battaglie per i diritti civili. Manifestazioni per il divorzio, per l’aborto per i diritti degli omosessuali erano pane quotidiano. C’era chi militava in un campo, chi militava in un altro, ma tutti pervasi dallo stesso fervore di essere presenti, di tenere il punto, di far sentire la nostra opinione.
Io ricordo che gli appuntamenti elettorali erano un momento topico, nel quale convincere anche una sola persona dell’altra parte alle proprie idee era una battaglia, una vittoria, una sconfitta.
Io ricordo che facevamo le pulci ad ogni provvedimento legislativo, stigmatizzando quelle norme che, a nostro parere, erano contro le nostre idee.
Poi…. Poi qualcosa è andato storto.
Io vedo ora una rana bollita a poco a poco, insensibile alle compressioni delle libertà, insensibile alle violazioni dei diritti umani.
Io vedo ora una massa di gente attaccata al telefonino, il cui unico scopo è porre un like ad un argomento che interessa. Al massimo un cuoricino se l’argomento interessa un po’ di più.
Io vedo ora una massa che plaude ad una idea sol perché riportata su tre titoli di giornali o quattro retweet o che porta un centinaio di like. Ovviamente il plauso è completamente avulso da una qualsiasi attività del proprio cervello.
Io vedo ora passare nel silenzio generale avvenimenti che anni fa avrebbero suscitato un putiferio: vedo nel silenzio passare un ministro dell’interno che arroga competenze di altri ministri, vedo ora un “capo politico”, vice presidente del Consiglio, quindi personalità di spicco del Governo, offrire solidarietà e aiuto (su piattaforma telematica gestita da privati) ad un movimento violento straniero che ha l’unica caratteristica di essere anti-governativa.
Io vedo ora lo sport preferito da poltrona; no non è la playstation: protetti dall’anonimato è sparare cavolate, insulti, dileggi, calunnie da codice penale contro bersagli ritenuti di parte avversa. La cosa, purtroppo, viene giudicata normale.
Io vedo ora quello che fu il principale partito di governo, dibattersi, da un anno, in una lotta fratricida che ne erode ogni giorno di più il consenso, pensando solo a lotte intestine che al bene della nazione.
Io vedo ora partiti nati dalla scissione di quello che fu il principale partito di Governo, beccarsi al loro interno come i capponi di Renzo e scindersi vieppiù, forse attratti dall’imitare la particella elementare.
Sì, sono incazzato nero per l’apatia generale. Spero di ricevere numerosi insulti; almeno così, significa che qualche coscienza si è risvegliata. Ma ci spero poco.
Gentile ministro #Salvini, so perfettamente che, sui migranti, lei deve tenere il punto per fare sì che la, Italia non diventi l’unico punto di sbarco di tutti i migranti che fuggono non dalla guerra ma dalla fame. Mi permetta, però, un consiglio dettato dalla lunga esperienza in questo campo. Eviti di dire bugie. Hanno le gambe corte. Ormai ogni italiano sa che il ministro dell’interno non ha alcun potere di chiudere i porti, competenza che spetta al suo collega Toninelli che, furbescamente sta zitto. Né risulta che il furbacchione Toninelli abbia mai emanato ordinanza di chiusura porti.
Ella, signor ministro, ha l’autorità di vietare lo sbarco per ragioni di ordine o sicurezza nazionale. So bene che non lo farà mai: stante l’obbligo di motivazione, è difficile sostenere nero su bianco che 34 disperati, fra cui molti bambini, possano, con il loro ingresso sul territorio nazionale, mettere a repentaglio l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale. Il Consiglio d’Europa e la Corte di Giustizia la bacchetterebbero.
E allora, perché questi proclami da ducetto?
Mi permetta un consiglio, si dedichi a qualcosa di piú consono alla sua funzione di ministro dell’interno. Ella dice che in Italia ci sono tanti irregolari. Provi, secondo la legge, a rendere effettiva la espulsione. Troppo difficile, vero,?
I giornali di questi giorni riportano i nuovi annunci dei dioscuri sul ponte di comando della nostra italietta: ridurre il numero dei parlamentari, ridurre il loro stipendio!!!! Questa è la parola d’ordine, quasi pensando al Parlamento come l’aula sorda e grigia di mussoliniana memoria. Il fine promesso è quello, molto sentito dalle masse e foriero di consensi elettorali, di ridurre i costi della politica e di dare un altro colpo alla casta.
Purtroppo non è così. Riducendo il numero dei parlamentari non si dà un colpo alla casta, ma un forte colpo alla democrazia.
Vi spiego, in autorevole compagnia con il Post, perché.
L’Italia cambia spesso il sistema elettorale, dal 2006 abbiamo le liste bloccate, quindi candidati scelti dalle segreterie dei partiti, ma non è uesto il peggio. Andiamo con ordine. Facciamo il discoro per la Camera dei Deputati. Per il Senato è analogo.
Dal sito del Ministero dell’interno, si scopre che l’Italia, è divisa in ventisette circoscrizioni più la Val d’Aosta. Queste circoscrizioni comprendono 46.505.350 elettori. Di questi, il 4 marzo 2018, si sono recati alle urne 33.923.321 persone, pari al 72,94% del corpo elettorale. Facendo un conto spannometrico – visto che la Camera è composta da 630 deputati, si fa presto il conto che è eletto un deputato ogni 73.818 elettori.
Per farsi eleggere, quindi, ogni candidato, imposto o meno dai partiti, deve farsi conoscere – in media – da oltre 70.000 persone, impresa titanica, visto che i comizi la forma di propaganda più economica, i comizi, non si usano più. Il candidato, ammesso che l’elettore possa scegliere fra le liste bloccate, deve spender soldi per una campagna sui social, per una campagna sui media televisivi e radiofonici etc.. Hmmm, se non hai un partito forte alle spalle che ti finanzia, col cavolo che ce la fai.
Vediamo che succede se si riduce il numero dei Deputati.
La legge elettorale dovrà necessariamente cambiare. Se invece di 630 deputati si eleggono, poniamo, 400 deputati, o si deve allargare l’estensione territoriale delle circoscrizioni o se ne deve diminuire il numero. In ogni caso, fermo restando il numero degli elettori – se si devono eleggere, poniamo, 400 deputati – ogni candidato dovrà spiegare il suo programma e farsi conoscere non più da poco più di 73.000 elettori, bensì da 116.263 elettori. Capite bene che le possibilità di farsi conoscere, di spiegare il proprio programma, di convincere il frettoloso elettore a votare per lui, diminuiscono drasticamente.
Senza un forte partito alle spalle, che ti finanzia la campagna elettorale, le tue possibilità di farti conoscere, di spiegare il tuo programma sono ridotte al lumicino. A fronte di un irrisorio risparmio, ma solo sugli stipendi di 230 deputati, perché i costi degli apparati rimarrebbero identici, si darebbe un fiero colpo alla democrazia rappresentativa voluta dalla nostra Costituzione per elevare a regola lo strapotere dei partiti che scelgono e finanziano i candidati.
Corre l’obbligo di spendere due parole sull’obiezione più comune dei fautori della riduzione del numero dei parlamentari: il nostro è uno dei parlamenti più numerosi al mondo. Il Congresso degli Stati uniti d’America è composto da un numero di membri assai minore: la Camera dei Rappresentanti da 435 membri, il Senato da soli 100 membri a fronte di una popolazione USA di 325 milioni di persone, ben superiore a quella italiana di poco più di 60 milioni di abitanti.
Il paragone non è pertinente. Non si possono confrontare i cavoli con le mele, diceva la mia maestra di scuola elementare. Gli Usa sono uno Stato federale. Negli USA il 90% delle questioni e delle competenze è di pertinenza del parlamento dei singoli Stati e del Governatore. Al Congresso appartiene una competenza alta e residuale su affari che interessano l’intera nazione o affari di politica estera o di difesa dello Stato federale.
Chi difende la fantasia della riduzione dei numero dei parlamentari in Italia, poi, non vi dice, o non conosce, il lavoro, nascosto e duro, delle Commissioni parlamentari, divise per materi, che sbozzano e danno forma compiuta ai progetti di legge da portare all’Assemblea (Aula). Se si riducono i parlamentari, si riduce anche l’efficienza delle Commissioni con la inevitabile conseguenza di rendere le leggi sempre più oscure e criptiche, buone per essere interpretate secondo il volere del Governo.
Volete un esempio: la legge di bilancio 2019, (LEGGE 30 dicembre 2018, n. 145 Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021. (18G00172) (GU n.302 del 31-12-2018 – Suppl. Ordinario n. 62 ) approvata dal Parlamento senza passare per le Commissioni. Ci capite qualcosa? Vi sfido.
Quindi, attenzione a chi vi dice che diminuendo i parlamentari si riducono le spese per la politica. Il prezzo è ben più alto: la riduzione della democrazia e l’aumento della partitocrazia.
Se il mio discorso vi convince, diffondete e condividete: siamo in un periodo pericoloso per la democrazia, pronti ad affiancarci a Paesi come l’Ungheria e la Turchia dove la democrazia è stata sostituita dalla democratura.
Oggi i giornali riportano che, nelle intenzioni dei Cinquestelle, a gennaio sarà portato nell’Aula parlamentare un progetto di riforma costituzionale che interessa l’Istituto del Referendum come strumento di democrazia diretta. Bisogna riformare l’istituto del referendum – dice Di Maio – abolendo il quorum sotto il quale il referendum non passa. «Per anni i referendum li vinceva chi se ne stava a casa. È arrivato il momento, con l’abolizione del quorum» nel referendum abrogativo, «di fare in modo per cui chi va a votare conta e chi sta a casa si prende le sue responsabilità», ha concluso il vicepremier. Inoltre, i Cinquestelle vogliono introdurre il referendum propositivo ed abolire il divieto di referendum per i trattati internazionali (e le leggi finanziarie?).
Per chi vuole approfondire, questi sono i progetti di legge (con i relativi link alle schede e ai testi) delle proposte presentate dai Cinquestelle:
- S.852 – 18ª Legislatura
Sen. Gianluca Perilli (M5S) e altri
Modifica dell’articolo 75 della Costituzione, concernente l’introduzione di un vincolo per il legislatore di rispettare la volontà popolare espressa con referendum abrogativo
10 ottobre 2018: Presentato al Senato
23 ottobre 2018: Assegnato (non ancora iniziato l’esame)
- C.1173 – 18ª Legislatura
On. Francesco D’Uva (M5S) e altri
Modifica all’articolo 71 della Costituzione in materia di iniziativa legislativa popolare
19 settembre 2018: Presentato alla Camera
18 dicembre 2018: In corso di esame in commissione - C.998 – 18ª Legislatura
On. Francesco Silvestri (M5S)
Modifiche all’articolo 75 della Costituzione, concernenti i requisiti per l’indizione e la soppressione del quorum per la validità del referendum abrogativo
25 luglio 2018: Presentato alla Camera
Da assegnare - C.985 – 18ª Legislatura
On. Valentina Corneli (M5S)
Modifica all’articolo 75 della Costituzione, concernente l’ammissibilità del referendum abrogativo sulle leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali
24 luglio 2018: Presentato alla Camera
Da assegnare - C.984 – 18ª Legislatura
On. Anna Bilotti (M5S)
Modifica all’articolo 75 della Costituzione, concernente la soppressione del quorum per la validità del referendum abrogativo
24 luglio 2018: Presentato alla Camera
Da assegnare - S.588 – 18ª Legislatura
Sen. Giovanni Endrizzi (M5S)
Modifica all’articolo 75 della Costituzione concernente la soppressione del quorum strutturale del referendum abrogativo
5 luglio 2018: Presentato al Senato
Da assegnare - S.589 – 18ª Legislatura
Sen. Ugo Grassi (M5S)
Modifica all’articolo 75 della Costituzione concernente la soppressione del quorum strutturale del referendum abrogativo
5 luglio 2018: Presentato al Senato
Da assegnare - S.587 – 18ª Legislatura
Sen. Stefano Lucidi (M5S)
Modifica all’articolo 75 della Costituzione, concernente l’ammissibilità del referendum abrogativo sulle leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali
5 luglio 2018: Presentato al Senato
Da assegnare
In effetti al punto 20 del Contratto per il Governo del cambiamento [a proposito non sono riuscito più a trovarlo sul sito del blog delle stelle, dove è finito?] i partiti di governo affermano: “È inoltre fondamentale potenziare un imprescindibile istituto di democrazia diretta già previsto dal nostro ordinamento costituzionale: il referendum abrogativo. Per incentivare forme di partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica nazionale occorre cancellare il quorum strutturale – ovvero la necessità della partecipazione alla votazione della maggioranza degli aventi diritto – al fine di rendere efficace e cogente l’istituto referendario. Ulteriore obiettivo di questa proposta, nel solco dello spirito che anima l’articolo 75 della Costituzione, è quello di scoraggiare, in ogni forma, l’astensionismo elettorale, spesso strumentalizzato per incentivare il non voto, al fine di sabotare le consultazioni referendarie.”.
Secondo me, l’intento, pur apprezzabile, sortisce effetti contrari al dominio della Democrazia sulla Politica e, oltretutto si scontra con quanto affermato al punto 1 dello stesso Contratto del Governo del Cambiamento: “intendiamo incrementare il processo decisionale in Parlamento”. E, se passa l’abolizione del quorum, sarà proprio il Parlamento ad esser messo fuori gioco.
Il Referendum abrogativo è previsto dall’articolo 75 della Costituzione: “E` indetto referendum popolare [cfr. art. 87 c. 6] per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge [cfr. artt. 76, 77], quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio [cfr. art. 81], di amnistia e di indulto [cfr. art. 79], di autorizzazione a ratificare trattati internazionali [cfr. art. 80].
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
La legge determina le modalità di attuazione del referendum.”
Quindi per eliminare il quorum c’è bisogno del procedimento di revisione costituzionale con doppia lettura.
Ma vediamo la sostanza della questione. La nostra è una democrazia rappresentativa e non una democrazia diretta. Il modo principale di “fare le leggi” è quello della discussione in seno al Parlamento. Lì siedono 630 deputati e 315 senatori, quindi circa un parlamentare ogni 47.000 elettori.
La Costituzione si preoccupa proprio di questo. Per sbugiardare il Parlamento abrogandone una legge, occorre una spinta molto forte da parte dell’elettorato: prima la raccolta di 500.000 firme, poi mobilitare al voto la maggioranza degli elettori (il quorum), infine che, in detta maggioranza, far prevalere i sì all’abrogazione. La Costituzione, rendendo difficile l’abrogazione di una legge con il referendum ha inteso privilegiare il ruolo del Parlamento rendendo le sue leggi difficili da abrogare.
Immaginate come sarebbe sminuita la centralità del Parlamento se bastassero 30.000 o 20.000 o 10.000 persone che si presentassero alle urne per votare ad un referendum per segnare la vita o la morte di una legge votata in Parlamento.
Anche assegnare una connotazione negativa a chi a votare per il referendum non è corretto. Chi non va a votare, al pari di chi vota no, si fida dell’operato del Parlamento che ha liberamente contribuito ad eleggere.
Secondo me, abrogare il quorum è andare contro la Costituzione: 10.000 sì non possono oscurare l’operato del Parlamento, per non parlare della facilità con cui, nell’epoca attuale si manipola l’opinione pubblica intorno a slogan che nulla hanno a che fare con le leggi sottoposte a referendum.
Bene ha fatto la Costituzione a vietare il referendum su leggi tributarie. Sarebbe scontato l’esito di un referendum abrogativo di una legge che istituisce una tassa o una imposta.
Ma in una cosa Di Maio ha ragione: la “strumentalizzazione del non voto per sabotare l’istituto del referendum”.
Per limitare la portata di questa strumentalizzazione, però, non c’è bisogno di abrogare il quorum.
Il quorum pari al 50% +1 degli elettori fu previsto e mantenuto nella Costituzione perché dal 1948 agli anni ’90 l’Italia era fra le prime nazioni al mondo per affluenza alle urne. Percentuali dell’85% non erano rare. Quindi il quorum doveva esser alto.
Oggi, invece, specialmente alle elezioni amministrative, la percentuale si è pressoché dimezzata e questo rende – effettivamente – molto più difficile il raggiungimento del quorum stabilito dall’articolo 75 della Costituzione per ché l’astensionismo fisiologico (che non vuol dire né SI né NO) si somma all’astensionismo che vuol dire NO.
Una proposta, non mia, ma che appoggio pienamente, è quella di stabilire un quorum variabile ossia pari al 50% +1 non dell’intero corpo elettorale, bensì degli elettori che si sono recati alle urne nelle elezioni politiche immediatamente precedenti alle votazioni per il referendum di cui trattasi.
Il quorum sarebbe quindi proporzionale alle persone che, in quel periodo si recano alle urne per le elezioni più importanti, quelle politiche.
Mi sembra un ragionevole compromesso.
Ma sull’argomento referendum e quorum ci ritorneremo.