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Seppur attutito dall’interesse per le elezioni amministrative, ha fatto scalpore sulla stampa l’intervista e le rivelazioni di Frances Hauger che ha raccontato come Facebook e consorelle (Instagram e WhatsApp) siano stati usati dai proprietari al fine di accumulare ricchezze, modificando gli algoritmi per privilegiare i post che provocano il maggior numero di risposte, in genere quelli propalatori di odio e fake news.

Insomma, una vigilanza al contrario: più post di odio, più risposte, più traffico sulla rete, più occhi guardano e cliccano sui banner pubblicitari, più Facebook guadagna.

E provoca danni rilevanti, come raccontato dai media sulla depressione che Instagram provoca sulle adolescenti che “rifiutano” il proprio corpo dopo ore passate a guardare i piccoli filmati, i “reel” pieni di corpi statuari di modelle.

E’ un dato di fatto che queste Compagnie transnazionali (per il loro peso, dovrei dire sovranazionali) sono “di fatto” sciolte da qualsiasi legge, tanto che è difficilissimo far pagare loro le giuste tasse sui loro introiti. Ed è anche difficilissimo perseguire eventuali reati.

I casi più frequenti sono le valanghe di post di odio rivolti verso una specifica persona: anche se non arrivano agli estremi di calunnia o diffamazione, la quantità enorme della valanga di post moltiplica di molto l’effetto dirompente sulla personalità della vittima.

Si pensi non solo alla valanga di insulti che ti sommerge, ma anche alle cose più gravi come il revenge porn: il postare video girati nell’intimità di un amore ormai finito ed esposti per vendetta al palcoscenico della rete: questa pratica ha causato non pochi suicidi.

Anche se tali comportamenti sono sanzionati, l’individuazione del colpevole avviene sempre dopo che il video o i post sono ormai di dominio pubblico, la velocità di replicazione è altissima. Cancellare un post che offende qualcuno o un video che mostra – contro la sua volontà – una fanciulla discinta è inutile quando il post o il video è stato visto da migliaia di persone.

La diffusione dell’odio da tastiera è di molto agevolata dalla possibilità di comparire sui social in modo anonimo. Non solo, chi provoca vere e proprie campagne d’odio usa anche metodi “non convenzionali” come l’uso di robot informatici, i “BOT” che moltiplicano all’infinito l’effetto della campagna d’odio.

Il fatto è che le leggi sono ancora “nazionali”, mentre Facebook, Instagram, Tik Tok etc. sono entità avulse dai confini tracciati sulla carta geografica.

Né è possibile ipotizzare, visti i miliardi di post e video che vengono ogni giorno immessi sulla rete, un controllo preventivo degli stessi.

Una cosa, però, è certa, anche se impossibile da realizzare, se non con l’accordo di tutti gli Stati del mondo: se ogni utente fosse costretto ad accedere ai social con il suo vero nome e cognome, l’entità del fenomeno si ridurrebbe di molto.

Già sento le alte urla di chi grida alla “censura” anche se si tratta solo di chiamare ognuno alle responsabilità personali.

Assolutamente non pretendo di ipotizzare un web in cui TUTTI i partecipanti ai social siano presenti con il loro vero nome e cognome. So che è impossibile. E c’è il precedente di autori che pubblicano i loro libri sotto pseudonimo, però ben conosciuto dall’editore.

Neppure voglio scatenare una caccia all’odiatore da tastiera che impegni risorse e tempo della Polizia di Stato che ha ben altri reati da contraste.

D’altronde – per chi non è presente sui social – il problema non si pone. Se io non ho account su Facebook, Instagram, Tik-Tok e simili non subirò mai shitstorm o valanghe di post di odiatori o dei loro “compari” bot.

A meno che gli altri media (TV o giornali) riprendano la campagna d’odio.

Il fatto è che – ormai – esser presenti sui social oltre che un diritto è molto utile per gli indubbi vantaggi che essi procurano, come mantenere i contatti con amici sparsi per il mondo oppure presentare la propria attività, come fotografie e video. D’altra parte, ripeto, gli effetti perversi, come il revenge porn, possono costare vite umane.

Quello a cui aspiro è un obiettivo minoretogliere terreno agli odiatori, diminuire il fenomeno entro limiti che facciano meno paura. Ma mi mancano le idee certe sulle possibilità tecniche.

È oggi normale, quando si ci iscrive ad un sito in cui si può fare E-commerce oppure siti che permettono scambi di servizi, indicare il proprio indirizzo Email e/o il proprio numero di telefono, sul quale viene inviato un codice da rinviare al sito al quale si ci vuole iscrivere. In questo modo il gestore del sito – a parte l’obbligo di conservazione dell’IPaddress e del MacAddress da parte dei provider – avrà una corrispondenza univoca del “cliente” di un numero di telefono (di una SIM) e di un indirizzo d posta elettronica. È proprio qui dove verrei arrivare. Costringere chi si iscrive (dall’Italia) a Twitter, Facebook, Instagram, Tik-Tok etc. a fornire riscontri univoci.  Non ci potrà essere più di un account associato ad una coppia di SIM e indirizzo Email.

In questo modo l’odiatore da tastiera – a meno di non avere un numero infinito di indirizzi Email e di numeri telefonici (il cui titolare è ben conosciuto dalla Polizia) – che vuole mantenere l’anonimato troverà di molto ristretto il numero di account con i quali iscriversi ai social.

Un numero di telefono-un account e qui iscriversi con un nome fasullo è ancora possibile, ma il numero degli “anonimi” diminuirà di molto e, comunque, il suo nome avrà una “catena” ben definita che lo lega alla SIM.

So bene che questi “paletti” possono essere saltati da chi accede da IP fasulli esteri o da chi ha SIM estere o creando una VPN. Ma quanti saranno? Molto meno di adesso. Come faranno i bot ad essere univocamente accoppiati ad una SIM?

Che io sappia, gli odiatori da tastiera nostrani operano dall’Italia e l’italiano non è una lingua molto usata sul WEB mondiale.

Se la cosa fosse possibile, potremmo avere una sensibile riduzione dei “produttori” di odio, di shitstorm et similia ed anche i propalatori di fake news dovrebbero avere un certo ritegno a diffondere le loro panzane.

Ma non so se la cosa sia tecnicamente possibile o se a tale idea incontri ostacoli giuridici. Probabilmente, come ogni cosa nuova, si vedano le polemiche sul Green Pass, ci sarà chi griderà alla compressione dei diritti civili, ma se si potesse dimostrare un reale vantaggio, gli ostacoli politici potrebbero essere superati. L’importante è fornire ai nostri politici un quadro chiaro ed esauriente della tesi esposte.

E qui chiedo il vostro parere. Il parere di chi è più esperto di me.

E se vi ho convinto, vi invito a diffondere questa idea.

L’altra sera ho visto a cinema un non indimenticabile film francese, il gioco delle coppie, su letteratura e tradimenti.

Tradimenti a parte, la trama racconta di un editore incerto se passare o meno al libro elettronico, l’Ebook, in quanto nostalgico e amante del fruscio e dell’odore della carta.

Non essendo il film trascendentale, la discussione post film si è spostata proprio sul confronto libro cartaceo ed Ebook.

La maggioranza era nettamente a favore del libro tradizionale, ma quando ho cominciato a chiedere le motivazioni sono rimasto un po’ stupito. Certo il campione non era statisticamente rappresentativo, troppo sbilanciato verso una età non più verde e verso una solida cultura, purtuttavia non riuscivo a comprendere le motivazioni, più estetiche e nostalgiche (abitudinarie) che pratiche.

Il libro è il libro. Adoro il profumo ed il fruscio della carta. Mi piace andare avanti e indietro e rileggere passi già letti. Mi piace vedere il libro, il suo dorso, la copertina. Mi piace guardarlo e ripercorrere le emozioni che mi ha regalato. Il libro è un’emozione.

Rispetto tutte queste opinioni, ma mi sembra che tutte vadano a convergere sul “vestito” del libro e non sul suo contenuto. Chissà se, quando si passò dal papiro alla pergamena, ci fu chi avversò tale “innovazione” esprimendo il suo favore per il lento svolgersi del papiro che, un giro per volta, manifestava nuove parole. Oppure se ci fu chi respinse i nuovi supporti preferendo la tattilità delle tavolette di cera o di quelle di terracotta.

Ancora, esiste chi disdegna le “edizioni economiche” o le “edizioni tascabili” per la qualità inferiore della carta o della stampa.

Secondo me è il contenuto che conta. La Commedia di Dante è divina sia nell’edizione illustrata da Gustave Dorè sia in quella in brossura. Chissà se qualcuno sposa una donna per il suo vestito e non per ciò che quel vestito contiene.

E, visto che di “vestito” si tratta, fatemi spiegare perché  io preferisco leggere il “corpo” del libro su un E-reader, Kindle o Kobo o altri che sia.

  • Amo leggere. Ho la casa (piccola) piena di libri. Non c’entrano più; odio buttarli. Ora con il Kindle ho una enorme biblioteca nell’Hard disk del computer.
  • Un libro medio in brossura raggiunge e supera il mezzo chilo; un Kindle pesa 205 grammi sia che contenga un libro, sia che ne contenga 1.000.
  • Spesso leggo in viaggio, sul treno o in vacanza: nel Kindle entrano più di mille libri. Se son di più vanno in cloud o sull’Hard disk.
  • Se sono presbite (ahi, l’età), non devo mettere gli occhiali se leggo e toglierli ogni volta che qualcuno mi chiama: semplicemente ingrandisco il carattere tipografico che, anzi, posso scegliere secondo i miei gusti.
  • A differenza dei telefonini o dei tablet posso leggere anche sotto l’ombrellone: lo schermo non riflette la luce.
  • La retroilluminazione è diretta verso il retro del Kindle e non verso i miei occhi: leggo per ore senza stancarli.
  • Gli Ebook costano meno dei libri normali. L’acquisto è semplicissimo: vado su Amazon con il mio account, scelgo il libro, pago con carta di credito e, se sono in ambiente Wi-Fi, me lo trovo subito già pronto su tutti i miei dispositivi, altrimenti me lo scarico come qualsiasi file e lo inserisco nel Kindle. Il Kindle legge anche i miei file di testo e i miei .pdf.
  • Dentro ci trovo già il dizionario inglese ed italiano: se non conosco il significato di una parola dell’Ebook, la tocco e mi si apre la finestra con il significato o la traduzione. Mi piace un passo del libro? Lo evidenzio e posso salvarmelo come nota o condividerlo via Email o pubblicarlo su Facebook. Ovviamente posso inserire quanti segnalibri voglio per ritrovare più facilmente il passo che volevo rivedere.
  • Il Kindle misura 16,5 x 11,5 x 0,85 cm., entra nella tasca posteriore dei pantaloni. Puoi averlo sempre con te come il telefonino.
  • E se me lo sono dimenticato e proprio mi vien voglia di continuare a leggere quel romanzo che tanto mi intriga, accendo il telefonino o il computer, avvio l’app Kindle, seleziono quel romanzo che stavo leggendo che si aprirà proprio alla pagina sulla quale avevo smesso. Insomma, il libro è indipendente dal Kindle. In qualunque parte del mondo sono, con un computer o un telefonino collegato ad internet, col mio account Amazon, posso leggere e continuare a leggere ogni Ebook acquistato.
  • Se perdo il Kindle e ne acquisto uno nuovo, o una nuova versione, tutti i miei libri mi vengono scaricati automaticamente dal cloud.
  • Con gli Ereader, come il Kindle, se mi viene la voglia di scrivere un libro, posso farlo e pubblicarlo istantaneamente nella biblioteca di Amazon, scegliendo il titolo che voglio e il prezzo che voglio far pagare, senza intermediari come editori o rivenditori. Resta da vedere se, poi, il pubblico lo comprerà.

Io ci ho provato. Ne ho pubblicati diversi (li trovate cliccando qui) e, devo dire, che si vendono, forse anche per i prezzo molto basso: 1 euro.

Tutto oro? Naturalmente no.

E’ un fatto che – dopo un inizio esplosivo – negli ultimi anni, secondo i pochi dati disponibili, l’ascesa degli Ebook va rallentando (incremento solo del 3,2%  nelle vendite, ma diminuzione del 15% dei titoli pubblicati) secondo i dati dell’Associazione Italiana Editori (AIE) che proprio oggi pubblica il suo rapporto sullo stato dell’Editoria.

Perché? Secondo me la causa principale è il prezzo.

L’Ebook ad Amazon o a chi lo produce non ha un costo marginale: la piattaforma informatica è sempre quella. I libri cartacei, invece, costano un tot per la carta, un tot per la stampa, un tot per il trasporto, un tot per il rivenditore. La differenza di prezzo non corrisponde a queste diversità. Gli Ebook di grido, quelli dei titoli in classifica costano circa due terzi del prezzo del cartaceo con le classiche limitazioni dell’Ebook: non puoi prestarlo, non puoi trattarlo come una cosa materiale. Il prezzo è troppo alto rispetto alle spese.

E così, per gli Ebook sta succedendo quello che è successo per il software, per i film, per la musica. Gli Ebook vengono craccati, piratati e offerti gratis su internet. Ho già detto che anche io sono fra quelli che pubblicano Ebook. Come molti internauti ho un “Google alert” sul mio nome: Inserisco una stringa di lettere (in questo caso il mio nome e cognome) e Google mi invia una Email ogni qualvolta il mio nome appare su una nuova pagina. Ebbene, spesso gli avvisi di Google alert riguardano copie dei miei Ebook su pagine che non sono Amazon e che permettono un download gratuito. Se c’è chi perde tempo per rendere disponibili i miei libri non certo famosi, ritengo che i best sellers si trovino gratis con facilità. Gli autori e gli editori digitali dovranno fare la scelta di chi produce film e musica (cessione dei diritti a terzi che li “pubblicano” in abbonamento, vedi Netflix o Prime, o iTunes o Spotify) o chi produce software, abbassando, e di molto i prezzi.

Se si continua con l’alto prezzo imposto dall’autore o dall’editore estraneo alla piattaforma informatica di vendita, dubito che gli Ebook sostituiranno mai il libro cartaceo.

C’è poi la classica crisi di abbondanza. Su internet anche l’asino può dire la sua e può pubblicare un Ebook senza alcuna spesa: ci sono migliaia e migliaia di nuovi titoli ogni anno: tutti quelli che avevano il classico libro nel cassetto lo hanno pubblicato. È venuto meno il filtro dell’editore, la sua garanzia. Accanto a Ebook pregevoli c’è tanta, tanta spazzatura. Purtroppo un libro si giudica solo dopo averlo letto e pagato.

E voi che ne pensate?

Preferite gli Ebook o, ancora, i libri cartacei?

 

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