Archivi per il mese di: Maggio, 2018

La situazione politica ed economica non è diversa oggi da tre giorni fa. Perché, allora tre giorni fa c’è stato il crollo in borsa e la fiammata dello spread? Anche oggi siamo senza governo, anche oggi abbiamo un presidente del Consiglio in carica per gli affari correnti e ben due aspiranti premier in panchina. Anche oggi abbiamo la prospettiva che due partiti populisti e anti Europa varino il loro governo. Eppure oggi sui mercati c’è bonacia, la borsa recupera e lo spread scende. Che è cambiato?

Nulla, ovviamente.

Salvo che…..

Salvo che due giorni fa il Tesoro doveva rinnovare un po’ (un po’ tanti) BTP quinquennali e biennali che, guarda caso, proprio qualche giorno fa hanno raddoppiato il loro rendimento con un raddoppiato esborso del Tesoro e delle nostre tasche.

E anche altro. Nella famosa crisi del 2011 lo spread raggiunse e superò i 560 punti, ma l’impennata più repentina lo ebbe lo spread sui titoli a 10 anni. Quell a due anni e a cinque anni ebbero un aumento del rendimento più contenuto. Tradotto, significa che la fiducia nel sistema Italia era ancora alto nel breve periodo, ma gli investitori erano preoccupatissimi sul lungo periodo.

Tre giorni fa, invece, la fiammata, oltre 300 punti, ha riguardato indistintament tutte le categoie di BTP: a due, a cinque e a dieci anni.

Ma, esaurita, con danni per il nostro portafoglio, l’asta del Tesoro che dovrà rimborsare fra due e cinque anni i titolari di BTP ad un tasso doppio. Un ottimo affare per chi ha comprato, un pessimo affare per noi italiani.

Qual è la morale? L’Italia è troppo fragile. Il suo spaventoso debito pubblico mina la sua fiducia sul mercato. Qualsiasi voce stonata – come la rivelazione del famoso “piano B” dell’aspirante ministro dell’economia Paolo Savona – può essere tranquillamente usata dalla speculazione per fare buoni affari. Basta un piccolo pretesto, basta una voce e la fragile fiducia che l’Italia si è riconquistata negli ultimi anni va in frantumi e i software automatici delle borse si orientano tutti insieme su “VENDERE!!!” con un effetto moltiplicatore da non credere.

Solo una forte Unione europea, una forte BCE, può salvaguardare la nostra economia, rafforzando la fiducia sull’Italia, unendola a quella di tutti gli altri Stati membri.

Quindi, stiano attenti gli attori di questo teatrino politico. Una parola di troppo e la speculazione riparte. Non vorrei che ci fosse puzzo di aggiotaggio e di insider trading. Il mio portafoglio, con i miei euro guadagnati con il sudore non lo sopporterebbe.

Caro Salvini, Gentile Senatore,

non c’è dubbio, l’è proprio un gran rebelot! Mai ci eravamo trovati in questa situazione. Non parlo di responsabili, ma – certo – Ella ne è un prim’attore.

Con tutti i problemi che abbiamo, ci siamo impantanati proprio sull’Europa, non sul ministro per gli Affari europei, ma su presunte idee folli del candidato al Dicastero dell’Economia. E questo candidato per lei è inamovibile in quanto “costituisce l’architrave della squadra di governo”.

Se mi consente, vorrei svolgere alcune considerazioni. Il Prof. Savona è una degnissima persona con un pessimo carattere e che cambia spesso idea (veda qui quando ipotizzava una tragedia finanziaria un Governo Lega-Cinquestelle). Ha le sue idee, ma non penso che sia un pazzo. Sono sincero, anche io appartengo alla schiera di chi crede che la Sua impuntatura sia stata un pretesto per rompere.

Ma siamo nel campo delle congetture. Invece vorrei parlare di fatti e di Europa.

Caro Senatore, mi dispiace dirlo, ma qui convengo con lei. Non mi piace questa Europa, questa Europa di strapagati burocrati, chiusi nei loro comodi uffici lontani dalla gente in quel luna park che, per loro, è diventata Bruxelles.

Si accorgerà, se mai andrà al Ministero dell’interno, di quanto sia cieca e ottusa e bugiarda la Commissione nel campo dell’immigrazione e dell’asilo, pronta a sanzionare per un nonnulla e girarsi dall’altra parte di fronte al dramma degli sbarchi e dei clandestini.(veda qui e anche qui). Sulla difficoltà dei rimpatri ne parli col Capo della Polizia.

Ottusa nel rigore della sola salvaguardia dei conti che vanno bene ad economie agiate e che si trastullano con l’unico problema di come impiegare il tempo, dimenticando i principi solidaristici dei Trattati.

Un Governo che li sappia contestare sarebbe il benvenuto.

Ma, e qui sta un MA grosso come una casa.

Lei giura e spergiura di non voler uscire dall’Europa e di non voler abbandonare l’Euro. Mi fa piacere che abbia cambiato idea rispetto a questo video.(clicca qui).

Ella ha ora sostenuto che si andrà sui tavoli europei a perorare la causa italiana in modo più efficace di quanto fatto dai precedenti governi. Ottimo! Ma Ella ha anche sostenuto che bisogna, comunque, avere un piano B (una Italexit) nel caso che l’Europa non ci dia ascolto.

E qui si scatena la reazione degli eurocrati, dei mercati, delle banche e dei cd. poteri forti.

Perché? Perché, caro Salvini, purtroppo, l’Europa ci concederà molto molto poco. E, soprattutto, non si può andare in Europa dicendo “O si gioca a modo mio, o me ne vado con il pallone” perché – caro Senatore – in Europa il pallone non è il suo. Dovrebbe saperlo. Ella, anche se con poca frequenza e prendendosi i rimbrotti da i suoi colleghi eurodeputati, è eurodeputato e dovrebbe conoscere i meccanismi europei.

Anche io ho frequentato i palazzi della Commissione e del Consiglio e potrà convenire con me che le posizioni vengono decise a prezzo di lunghe ed estenuanti trattative, non certo lancia in resta. E, poi, mi lasci dire, il suo programma di richieste è veramente “esoso” trattandosi più che altro della volontà di non rispettare accordi già sottoscritti. Mancare alla parola data, sia pur dai Governi precedenti, è considerato a Bruxelles un fatto gravissimo considerando la rigida mentalità dei Paesi nordici. Se si vuole una deroga per le nostre aziende che soffrono (giustissimo nel merito, per carità!) si va – usando una espressione a lei cara – “con il cappello in mano” promettendo che questa deroga servirà per migliorare i nostri conti e il nostro PIL.

Nei tavoli europei ormai dominano le decisioni a maggioranza. Abbiamo alleati che ci possano sostenere? Se si riuscisse a portare le nostre questioni al Consiglio europeo probabilmente avremmo bisogno di ben di più per ottenere il Consensus, praticamente l’unanimità.

E’ ovvio quindi che per le cancellerie europee che preparano il Consiglio e per gli organi europei stessi, il suo “piano B”, altro non sarà che il piano A, l’unico che – alla fine – potrà scegliere.

Capirà, quindi, il perché di tanta paura e tanto strepito da parte dell’Europa e di tanta paura da parte dei mercati.

Purtroppo, e dico purtroppo, la nostra capacità di contrattazione è fortissimamente legata all’enormità del debito pubblico che ci impone prima di tutto di sperare in una “chiusura d’occhi” da parte dell’Europa sullo stato dei nostri conti. Insomma, il debito pubblico è quella enorme palla al piede che ci impedisce e impedirà anche a lei di alzare la voce a Bruxelles.

Sommessamente mi permetto di ricordare – basta seguire una riunione del COREPER – che nell’Unione europea tutti i tavoli e tutti i dossier sono collegati: io cedo su questo se tu cedi su quello. Nessuno mi toglie dalla testa che l’atteggiamento benevolo tenuto fin ora dalla Commissione sui nostri conti derivi dal nostro sobbarcarci l’ondata di migranti.

 

Quindi, mi dirà, bisogna sopportare le angherie europee? Non è che bisogna sopportarle. Ne saremo costretti, purtroppo.

Qualcuno ci ha provato ad andare lancia in resta e – facendo una pessima figura – ha dovuto cambiare idea e tornare sui suoi passi. La storia insegna. Nel luglio del 2015, Tsipras, leader greco, sfidò l’Europa. Forte del 61,31% dei voti a lui favorevoli nel referendum rispose con un sonoro NO! alle richieste dell’Europa proponendo – anche a costo di uscire dall’Eurozona – un programma molto più morbido. L’Europa rispose picche. Il braccio di ferro fu risolto dalle migliaia e migliaia di cittadini greci che appena la minaccia di uscire dall’Eurozona divenne concreta, presero d’assalto i bancomat, dimostrando con chiarezza di preferire l’Euro alla Dracma. (Ho riassunto la vicenda qui).

Tsipras fu costretto a sottoscrivere un memorandum molto più severo.

Caro Senatore, vuol fare la medesima fine? Sì, lo so, Ella dice che l’Italia non è la Grecia. E forse questo non è un vantaggio: ricorda quello che si diceva nel 2011, quando il suo partito governava con Berlusconi? L’Italia è sì troppo grande per fallire, ma è anche troppo grande per essere salvata. Detto in parole più semplici: oltre un certo punto l’Italia verrà lasciata senza salvagente e affonderà senza aiuto. Ah, a proposito, in questa dannata situazione, Ella lo saprà, il Quantitative easing, che ci ha permesso di continuare a far finta di nulla sta per finire.

 

Mi raccomando, gentile Senatore, est modus in rebus. Se andrà al Governo, in Europa ci vada con un po’ più di umiltà. Vedrà che otterrà più risultati.

Mattarella ha spiegato cosa è successo. Ha spiegato che le elezioni del 4 marzo hanno visto come primo partito i Cinquestelle e come componente della prima coalizione la Lega.

Ha spiegato che ha dato un primo incarico esplorativo al Presidente del Senato Casellati per vedere se Cinquestelle e Lega potevano trovare un accordo. Esito negativo.

Ha spiegato che ha dato un secondo incarico esplorativo al Presidente della Camera Fico per vedere se fra Cinquestelle e PD poteva trovarsi un accordo. Esito negativo.

Poi è scoppiato l’amore fra Cinquestelle e Lega che hanno imposto il loro metodo di lavoro: prima il programma concordato fra i partiti e poi il nome del candidato premier. E’ irrituale, perché l’art. 93 della Costituzione afferma che il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e questi stila il programma di governo che deve avere la fiducia delle Camere (art.94 Cost.).

Pur di avere un Governo, Mattarella ha lasciato correre, finché Di Maio e Salvini, segretari di Partito, gli hanno fatto il nome di Giuseppe Conte, semisconosciuto professore.

Quindi – nonostante le contrarie affermazioni dei due partiti che su tale argomento hanno più volte criticato i governi precedenti – un candidato Presidente del Consiglio NON eletto e tecnico.

Dopo qualche titubanza, Mattarella ha accettato e Conte ha accettato l’incarico.

Ora l’articolo 92 della Costituzione prevede che il Presidente della Repubblica nomina i ministri su proposta del Presidente del Consiglio.

Cosa che non è avvenuta. Al povero Conte è stata consegnata, oltre al cd. “contratto di governo” già preconfezionato, anche una lista di ministri su cui il candidato Premier non ha potuto metter becco, tanto che oggi a discutere con Mattarella sono andati Di Maio e Salvini, mica Conte.

Il povero Conte ha rinunciato all’incarico e Mattarella ha dato le spiegazioni che potete conoscete e potete leggere cliccando qui o vedere e sentire cliccando qui.

Ha parlato di spread , di fedeltà all’Europa, di un ministro che auspica l’uscita dall’Euro, della salita dei costi dei mutui etc. etc.

Ma Mattarella è un gentiluomo e non ha detto la cosa principale, il motivo istituzionale conforme alla Costituzione, da cui è scaturito il contrato che ha indotto il Candidato Premier Giuseppe Conte a rinunciare all’incarico.

Come ho già scritto l’articolo 95 della Costituzione afferma “Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri.”

L’articolo 92 della Costituzione afferma che “il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i ministri.”

Ecco, a questo  punto il Presidente Mattarella se non fosse un gentiluomo, avrebbe dovuto aggiungere a quello che ha detto anche un altro concetto: “Il Candidato Presidente Giuseppe Conte, visto che mi ha detto di aver ricevuto dalla Lega e dal Movimento Cinquestelle un programma preconfezionato, visto che non ha la facoltà di scegliere i suoi ministri dato che per una mia perplessità su un ministro, invece che con lui, ho dovuto parlare con i segretari di partiti, non risponde alle caratteristiche richieste dall’articolo 95 e dall’articolo 92 della Costituzione, non è idoneo alla carica di Presidente del Consiglio.”

Ma Mattarella è troppo un gentiluomo per prendersela con un povero cristo di Giuseppe Conte.

 

 

Oggi pomeriggio il braccio di ferro fra il nascente Governo 5stelle/Lega e il Presidente della Repubblica ha tenuto banco fin quasi a far temere ombre sulla nascita stessa del nuovo Governo.

Ci si chiede perché Mattarella, di fronte al muro compatto Salvini-Di Maio, voglia tenere il punto sull’inclusione o meno di Paolo Savona nella compagine ministeriale. Se pure le perplessità di fronte alla scelta del Presidente del Consiglio incaricato son state superate di fronte al persistere della volontà dei sostenitori del Governo nascente, perché il Colle persiste nel negare a Paolo Savona la dignità inferiore di ministro del Tesoro?

Le ragioni delle perplessità son note. Paolo Savona, una volta ministro del Governo  europeista Ciampi, è approdato a posizioni decisamente euroscettiche e anti euro, come testimonia anche il suo libro in uscita fra poco e di cui sono state rese note le bozze.

La sola possibilità della sua nomina ha fatto crollare la Borsa (-4,7% nell’ultima settimana) e fatto salire lo spread a +216%.  L’Unione europea non lo vuole.

Ma Di Maio e Salvini hanno fatto della lotta a Bruxelles una loro bandiera. E allora?

Non so – stasera – come finirà, ma faccio appello alla mia memoria di fatti recenti di scontri fra governi europei e l’Unione europea.

Nel 2015 – ricorderete – si svolse un duro braccio di ferro fra la Grecia, in forte crisi economica, quasi in default  da una parte e  l’Unione europea e il Fondo Monetario Internazionale dall’altra.

Nel giugno 2015 l’Unione europea e il FMI proposero (imposero) alla Grecia un durissimo programma di austerity come condizione per la concessione di un prestito/salvagente.

Tsipras, premier greco, rifiutò e il 28 giugno 2015 il Parlamento greco approvò la convocazione di un referendum consultivo sul programma di aiuti e Tsipras annunciò che si sarebbe dimesso in caso di vittoria dei sì. Il referendum si svolse il 5 luglio e il 61,31% dei votanti boccia le richieste dei creditori.

L’11 luglio successivo Tsipras, forte dell’ottimo risultato, presenta ai creditori un programma alternativo, di gran lunga più morbido.  L’Unione europea e l’FMI rispondono che o la Grecia accetta o sarebbe uscita dall’eurozona. Perché Tsipras accettò il diktat e sottoscrisse un memorandum di condizioni molto peggiori di quelle precedentemente proposte dai creditori?

Il perché è molto semplice: dai primi di luglio i bancomat greci furono presi d’assalto dai cittadini con l’intento di tesaurizzare gli euro depositati sui conti correnti non fidandosi del ritorno alla Dracma. Questa fiumana di gente che preferiva l’Euro alla Dracma convinse Tsipras a tornare sui suoi passi e offrire il collo all’Unione europea e all’FMI.

Mossa che si è rivelata positiva visto che, al netto della restituzione del debito, l’economia greca gira bene.

Qual è la morale? Senza alcuna vena ideologica, la morale è che l’Italia non si è creata alleati in Europa, è debole ed appesantita dal colossale debito pubblico.

Insomma un match fra Italia e Unione europea – purtroppo – non avrebbe storia tanto è grande la divergenza delle forze.

Spero di non dover vedere le file di italiani al bancomat.

 

Nel Contratto per il Governo del cambiamento “sottoscritto” da Lega e Movimento Cinquestelle sono previste due modifiche costituzionali parecchio rilevanti.

L’imposizione del vincolo di mandato ai parlamentari e la loro riduzione di numero.

L’innovazione viene presentata come rimedio al brutto andazzo dei “voltagabbana” che cambiano gruppo parlamentare nel corso della legislatura e come risparmio sulle spese della politica. Questo è vero. Ma – come si dice – il rimedio è peggiore del male e va a discapito della SUPREMAZIA DEL PARLAMENTO e del suo processo decisionale, visto nello stesso “contratto” al punto 1 come bandiera del nuovo Governo.

In due parole spiego perché.

L’articolo 67 della Costituzione spiega che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. La Costituzione ha voluto favorire i “voltagabbana”? Sicuramente no. Ha privilegiato il bene supremo in una democrazia, ossia la libertà di coscienza, la possibilità – magari in votazioni su argomenti non previsti dal programma – dal votare in dissenso dal partito di appartenenza. Perché – nel caso di mutamenti nella politica di partito – il singolo parlamente deve essere obbligato a seguire i vertici?

Ma le motivazioni di cui sopra non sono neppure le più importanti. Introducendo il “vincolo di mandato”, ossia l’obbligo per ogni parlamentare di conformarsi sempre e comunque alla volontà del partito e del suo Capo, si uccide il Parlamento che, a parole, il “contratto di governo” vuole privilegiare. Se ogni parlamentare deve votare come stabilisce il responsabile del partito, a che serve il parlamentare? A che serve il suo voto? Basterebbe che, ogni qual volta bisogna decidere su un provvedimento, si attribuisca alla volontà del responsabile di ogni partito il numero di voti corrispondenti a numero dei suoi parlamentari. I parlamentari potrebbero anche andare a casa.

Introdurre il vincolo di mandato significa solo rafforzare la partitocrazia che Lega e Cinquestelle oggi – a parole – vogliono combattere.

Certo, se si dimezza il numero di parlamentari, le spese della politica dimunuiscono. Diminuiscono, non si dimezzano, perché le spese per l’apparato, i servizi, le biblioteche, la tipografia etc. etc, rimangono. Ma non è questo il motivo: diminuire il numero dei parlamentari significa diminuire la democrazia e aumentare il ruolo dei partiti. Mi spiego: nel sistema attuale, per essere eletti – visto che ci sono in palio 630 posti alla Camera e 315 al Senato – per essere eletti sarà sufficiente per ogni candidato “farsi conoscere ed apprezzare” da un numero di elettori che sarà senza dubbio minore dell’ipotesi in cui i posti in palio siano 315 alla Camera e 200 al Senato. Insomma, diminuendo il numero dei parlamentari, la lotta per essere eletti sarà più serrata e ce la farà solo chi è appoggiato dal Partito e dal Capo che compila le liste elettorali. Le possibilità per un “indipendente” di essere eletto diminuiranno drasticamente e la partitocrazia si rafforzerà.

Il 28 marzo scorso scrissi questo post “povera Italia. I vincitori litigano e se la prendono con l’Europa” dove supponevo che Lega e Cinquestelle, per mascherare le reciproche diffidenze e differenze, indicavano l’Europa come nemico, cattivo e arcigno che con i suoi burocrati vuole affossare il cambiamento. Peccato che combattere contro l’Europa, contro i Trattati da noi sottoscritti, contro la Commissione votata a larga maggioranza anche da tutti gli eurodeputati italiani, contro le Direttive e i regolamenti che ci penalizzano senza offrre, in cambio, il riordino dei nostri scassati conti pubblici, sia parecchio, molto controproducente.

Ah, non dimentichiamo che il nostro debito pubblico sopravvive grazie al quantitative easing della Banca Centrale europea.

 

Roma, ormai, è quasi come Kabul. Le auto non esplodono, ma vengono incendiate.

La storia si ripete spesso nel mio quartiere, Pontelungo Ponte della Ranocchia, prima periferia romana oltre S.Giovanni.

Abito qui da oltre 10 anni e gli episodi incendiari si susseguono con cadenza periodica.

Un pazzo? Vendette personali? Semplice vandalismo? Non lo so. So che, a questo punto, preferisco spendere i soldi di un posto auto/moto in un garage pubblico che lasciare il mio veicolo sula pubblica via.

Quello che mi fa riflettere sul degrado della città è che gli episodi incendiari nella zona si susseguono con regolarità da quando son venuto ad abitare nella zona, ma il colpevole non è stato trovato (è stato cercato?) e agisce ancora impunito da oltre 10 anni.

Le immagini sono degli ultimi due episodi, in via Gaspare Finali e in via Antonio degli Effetti.

davsdr

Penso sia tempo di migrare.

 

Sarà il tempo, sarà il degrado, sarà l’incuria, ma – fra poco – davanti alla Basilica di S.Croce in Gerusalemme – andremo a mietere il grano.

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Oggi sono andato a fare un giro nella nuova stazione della Metro C di San Giovanni a Roma, inaugurata ieri con circa sette anni di ritardo, che fa arrivare la linea C sulla linea A.

Ne avevo già parlato (clicca qui) esprimendo alcuni dubbi sulle capacità di trasporto e, soprattutto sul timore del maggior affollamento dei vagoni causato dalle migliaia di passeggeri che, dalla linea C, si sarebbero riversati sulla già strapiena linea A.

La conferma, o la smentita, la avremo domattina, all’ora di punta.

Per la esplorazione cerco di iniziare dalla stazione limitrofa “Lodi”. Scendo le scale. Fortunatamente gli architetti hanno abbandonato le pareti rivestite di travertino della linea A, caratteristiche ma porose e attira sporco. Le scale scendono fra due pareti di plastica traslucida grigio/celestino non molto modaiole.

Dopo i tornelli scendo ancora più giù e arrivo alle gallerie dei treni che scorrono parallele come sulla linea A. Qui due sorprese.

La prima: l’alveo delle rotaie non è accessibile, come nelle metropolitane più moderne la banchina finisce contro una parete di vetro che rende impossibili cadute sui binari. Ci sono porte scorrevoli che si aprono in corrispondenza di quelle dei vagoni, una volta che il treno si ferma in stazione.

La seconda: sulle altre linee della Metro i treni corrono nelle gallerie parallele uno in un senso verso un capolinea e l’altro nel senso inverso verso il capolinea opposto.

Qui no, non c’è un verso: i treni (forse perché non c’è un incrocio per scambiare i treni) vanno avanti e indietro su ogni linea. Quindi, su ogni banchina, si può prendere il treno sia per l’attuale capolinea di S.Giovanni, sia per l’opposto capolinea di Pantano/Monte Compatri. Bisogna stare attenti agli avvisi dati dall’altoparlante o sul tabellone (tabellino) luminoso.

Forse perché solo da ieri la stazione “Lodi” non è più il capolinea, su tutte e due le banchine campeggia ancora in grande la scritta “Direzione Pantano/Monte Compatri”, generando non poca confusione.

La frequenza delle corse non è veloce, fra i 12 e i 14 minuti. Prendo il convoglio sperando di non sbagliare direzione ed in tre minuti arrivo alla nuova stazione di San Giovanni. Esco, la banchina è un po’ stretta per la folla e cerco la scala mobile dell’uscita. Il piano dei treni è veramente basso. Trenta metri sotto il livello del suolo. Le pareti sono rivestite di pannelli che ricordano la storia di Roma ed il livello a cui si ci trova.

Trovo l’uscita e le scale. Beh, l’ampiezza del vano scale è occupato per oltre due terzi dai gradini e per il rimanente (poco) spazio da una sottile scala mobile che difficilmente permette la salita in fila per due. E sono 30 metri da salire.

Arrivo al piano stazione e ammiro la parte museale con le teche che espongono il materiale ritrovato durante gli scavi. Suggestivo, non c’è che dire.

Al piano stazione un’altra sorpresa: si esce dai tornelli e per prendere la linea A bisogna riattraversare i tornelli, ma con lo stesso biglietto.

Pare che la disposizione di non permettere l’accesso diretto sia dovuta al timore di eccessivo affollamento sulle banchine.

Per una stazione dalla così lunga gestazione, mi sarei aspettato di più.

Vedremo le prossime, ma non tanto presto. La “talpa” di scavo è stata da poco attivata vicino al mercato di via Sannio e, vicino al Colosseo c’è questo cartello inequivocabile: per costruire le due prossime stazioni, e relative gallerie, sono stati previsti ben 83 mesi, circa 7 anni. Ricordo che il Colosseo fu costruito in otto anni.

Bah…

Per due stazioni ci vogliono 83 mesi.

POST SCRIPTUM DEL 14 MAGGIO 2018 (il giorno dopo)

Mi ero ripromesso di verificare oggi di persona. Non ci sono andato.

Riporto comunque un articolo di Repubblica.it (clicca qui) di Cecilia Gentile: “Regge lo scambio tra C ed A alla nuova stazione San Giovanni inaugurata sabato scorso. Questa mattina la vera prova del fuoco. Per fronteggiarla Atac ha dispiegato un esercito tra personale di stazione e vigilanti. I convogli della A passano ogni 2-3 minuti. La linea C arriva ogni 12 riversando in banchina folle oceaniche. Effetto imbuto ai tornelli per la A dai quali per il momento è necessario ripassare. La ressa defluisce in tre minuti. Ma alle 8.20, orario caldissimo, ci vogliono tre convogli successivi per liberare la banchina della A. In superficie invece il 77 che deve collegare direttamente la C con la A senza attraversare Termini passa al ralenti“.

Non c’ero, non commento, ma – da frequentatore abituale della linea A, anche della stazione di S.Giovanni – mi sento di poter dire che nella famigerata ora di punta, dalle 7.45 alle 8.45, la banchina del Metro A, direzione Battistini, non è MAI vuota, altro che tre convogli.

Proverò di persona fra qualche giorno, quando i riflettori, e l’assistenza dell’ATAC, saranno spenti.

 

sergioferraiolo

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