Nel Contratto per il Governo del cambiamento “sottoscritto” da Lega e Movimento Cinquestelle sono previste due modifiche costituzionali parecchio rilevanti.
L’imposizione del vincolo di mandato ai parlamentari e la loro riduzione di numero.
L’innovazione viene presentata come rimedio al brutto andazzo dei “voltagabbana” che cambiano gruppo parlamentare nel corso della legislatura e come risparmio sulle spese della politica. Questo è vero. Ma – come si dice – il rimedio è peggiore del male e va a discapito della SUPREMAZIA DEL PARLAMENTO e del suo processo decisionale, visto nello stesso “contratto” al punto 1 come bandiera del nuovo Governo.
In due parole spiego perché.
L’articolo 67 della Costituzione spiega che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. La Costituzione ha voluto favorire i “voltagabbana”? Sicuramente no. Ha privilegiato il bene supremo in una democrazia, ossia la libertà di coscienza, la possibilità – magari in votazioni su argomenti non previsti dal programma – dal votare in dissenso dal partito di appartenenza. Perché – nel caso di mutamenti nella politica di partito – il singolo parlamente deve essere obbligato a seguire i vertici?
Ma le motivazioni di cui sopra non sono neppure le più importanti. Introducendo il “vincolo di mandato”, ossia l’obbligo per ogni parlamentare di conformarsi sempre e comunque alla volontà del partito e del suo Capo, si uccide il Parlamento che, a parole, il “contratto di governo” vuole privilegiare. Se ogni parlamentare deve votare come stabilisce il responsabile del partito, a che serve il parlamentare? A che serve il suo voto? Basterebbe che, ogni qual volta bisogna decidere su un provvedimento, si attribuisca alla volontà del responsabile di ogni partito il numero di voti corrispondenti a numero dei suoi parlamentari. I parlamentari potrebbero anche andare a casa.
Introdurre il vincolo di mandato significa solo rafforzare la partitocrazia che Lega e Cinquestelle oggi – a parole – vogliono combattere.
Certo, se si dimezza il numero di parlamentari, le spese della politica dimunuiscono. Diminuiscono, non si dimezzano, perché le spese per l’apparato, i servizi, le biblioteche, la tipografia etc. etc, rimangono. Ma non è questo il motivo: diminuire il numero dei parlamentari significa diminuire la democrazia e aumentare il ruolo dei partiti. Mi spiego: nel sistema attuale, per essere eletti – visto che ci sono in palio 630 posti alla Camera e 315 al Senato – per essere eletti sarà sufficiente per ogni candidato “farsi conoscere ed apprezzare” da un numero di elettori che sarà senza dubbio minore dell’ipotesi in cui i posti in palio siano 315 alla Camera e 200 al Senato. Insomma, diminuendo il numero dei parlamentari, la lotta per essere eletti sarà più serrata e ce la farà solo chi è appoggiato dal Partito e dal Capo che compila le liste elettorali. Le possibilità per un “indipendente” di essere eletto diminuiranno drasticamente e la partitocrazia si rafforzerà.
[…] Quello che invece contrasta molto con il totale spirito di servizio alle istituzioni che pervade la proposta di legge che ho sopra richiamato è la volontà più volte richiamata dal vertice pentastellato e inserita nel Contratto per il Governo del Cambiamento (punto 20, pag.35) di voler inserire in costituzione il vincolo di mandato per i parlamentari eletti nel “movimento” per evitare il trasformismo. Già ne ho parlato nel mio blog e mi sembra la negazione della democrazia. […]
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