Archivi per il mese di: dicembre, 2018

Vivo nella Capitale che, come sapete, non è che ultimamente se la passi molto bene.

Le sue magagne sono sotto gli occhi di tutti e non mi va di rinnovellar dolore.

Purtroppo le magagne di Roma si riflettono sui suoi abitanti che, come dice il Censis, ma ancor di più, son diventati rancorosi, cattivi  ed egoisti . Chi vive lì, lo sa, si va sempre di fretta, un occhio al traffico e l’altro allo smartphone e tutti e due alle onnipresenti buche. Chi va in auto aggiunge il suono del clacson  e qualche vaffa a chi tentenna.

Se si avvicina una persona con l’intento di chiedere qualcosa, spesso la prima reazione è un “no grazie!” e si tira dritto, senza sentire neppure cosa voglia. Panorama deprimente ma tant’è. Ci vivo da trent’anni ed il peggioramento della città e dei suoi cittadini è evidente.

Ma questo è il periodo dell’anno targato “feste di Natale” e da bravo emigrante, cerco di passarlo nella mia città di origine, sul mare, in terronia, ove in questo periodo tornano tutti gli emigrati e si rivedono facce amiche salutate l’anno prima.

Fra un cenone e una serata da amici, il tempo si passa fra lungomare e via principale incontrando gente, magari sorseggiando un aperitivo.

Ma qual è la storia di Natale? Un attimo e inizio: prima della rappresentazione bisogna pur descrivere lo scenario.

Stamattina vado al Municipio per una incombenza burocratica. Esco dal grande portone in stile fascista e mi accingo a godere del sole che splende sul lungomare.

Mi si avvicina un tizio, non molto bene in arnese, protende verso di me un vecchio telefonino, di quelli che si piegano in due e balbetta qualcosa sul non funzionamento dell’aggeggio: tipico modo di agganciare qualcuno per gli scopi più vari. Resisto – mea culpa – lo ammetto, alla tentazione di considerarlo uno scocciatore o peggio e cerco di comprendere quello che, in un italiano un po’ confuso (forse Europa dell’est?), cerca di dirmi. Sempre mia culpa, abituato alla Capitale, ammetto di aver chiuso con la cerniera la tasca ove tengo il portafoglio.

Mi spiega, in vari tentativi, vista la sua non padronanza della lingua che il suo telefonino appena comprato “trenta euro, non posso spendere di più” era caduto a terra e non si riaccendeva. “mi serve per comunicare con la mia famiglia che non è in Italia, aggiunge, son qui per lavorare”.

Non sono un tecnico dei telefonini, ma – non so perché, non so cosa mi spinge – ci provo: vedo che il dorso non è ben chiuso. Con difficoltà cerco di aprirlo dopo che il tizio mi ha assicurato che la batteria era carica. Ho pacchi e buste in mano, c’è una panchina al tiepido sole di dicembre; la diffidenza comincia a sciogliersi. Mi invita a sedermi. Lo faccio. Lo fa anche lui. Dalla sua tasca esce un piccolo giravite. Con questo faccio leva e il dorso del telefonino super low cost si apre. Non è certo un alto di gamma, forse un clone cinese dei vecchi Motorola: nella caduta la SIM si è spostata. La rimetto a posto, rimonto il dorso e…… funziona! Gli occhi del tizio si illuminano: potrà telefonare a casa. Insiste per offrirmi un caffè. Accetto e al bar conversiamo ormai amichevolmente e mi racconta le sue alterne vicende in terra d’origine ed in Italia. Ma questa è un’altra storia.

Dovrebbe essere una storia normale, non tale da meritarsi un posto in un blog. Eppure chi legge e vive in una Città come Roma sa quanto infrequenti sano questi episodi, come fermarsi a parlare con uno sconosciuto, immigrato, sedersi con lui su una panchina, perdere tempo (ma guadagnare esperienza) per tentare di riparargli qualcosa, prendersi un caffè insieme. Salutarsi poi cordialmente. Oggi sono stato toccato dal vento di Natale. Oppure, chissà, la quieta, serena e sonnacchiosa aria della provincia?

 

Tempo di Natale, tempo di festa. Per molti è vacanza. La sera si va a cinema. Molti nuovi film vengono proiettati in questi giorni.
E, purtroppo, anche qui, la maleducazione impera. E inizia chi arriva tardi e, incurante di chi è già seduto, comincia a cercare il suo posto chiamando a voce alta i congiunti….tanto sono solo i titoli di testa.
Poi c’è sempre qualche squillo di telefonino. Io sono un buono. Penso sempre che il proprietario ha dimenticato di spegnerlo. Ma, poi, invece di spegnerlo, comincia la conversazione.
Peggio ancora, durante il film, qualcuno comincia a chattare, incurante che la luce del display rivolta verso chi sta dietro possa disturbare.
Ma il massimo deve ancora venire.
Stasera davanti a me una signora impellicciata continuava a ricevere e mandare messaggi, incantandosi davanti alle immagini ricevute.
Timidamente le ho detto, molto sottovoce, “mi scusi, può spegnere il telefonino che la sua luce dà fastidio?”.
Risposta molto molto rancorosa: “E quante storie! Per qualche whatsapp..” come se il maleducato fossi stato io.
Forse sto invecchiando, ma questa maleducazione, questo mancato rispetto per gli altri non lo sopporto più.
Non riesco a fare il buonista.
Mi vine la voglia, la prossima volta, di dire, a voce alta: “la signora col cappotto blu e la borsa gialla in terza fila spenga il telefonino perché disturba gli altri”. Ma a quel punto disturberei io…
Come fare a difendersi dalla maleducazione e dalla arroganza dilagante?

La legge di bilancio (finanziaria, di stabilità, chiamatela come vi pare) è ancora tutta da scrivere, impantanata nella lunga trattativa con Bruxelles per evitare l’infrazione e i veti incrociati fra Lega e Cinquestelle.

Insomma, siamo al 16 dicembre ed il Governo deve far approvare dal Senato una legge stravolta rispetto a quella approvata dalla Camera. Si impone quindi un terzo passaggio.

Il bello (o il brutto) è che, ad oggi, nessuno, probabilmente neppure il governo sa come riempire le caselline con i numeretti.

Se non ce la fanno per il 31 dicembre scatta l’esercizio provvisorio di bilancio. In parole povere, lo Stato potrà spendere, nel 2019 ogni mese un dodicesimo della spesa mensile prevista per il 2018.

Ossia molto, molto meno delle.mirabolanti promesse che il Governo non riesce ad inserire nella legge di bilancio ferma al Senato.

Un po’ di esercizio provvisorio, quindi, non potrebbe che far bene alle casse dello Stato evitando, in sovrappiù, anche la procedura di infrazione dell’Unione europea.

Chissà….. forse la ruota della fortuna….

Ormai ci siamo. La sua creatura, annunciata da Enrico Mentana nel luglio scorso, sta per vedere la luce. Il 18 dicembre prossimo sarà in linea su tutti gli smatphone. Un giornale leggero, veloce e giovane, così lo ha definito il suo papà. Affidato ad una redazione di “under 33” coordinata dalla “vecchia volpe” Massimo Corcione, amico di “chicco mitraglia” e passato attraverso diverse esperienze giornalistiche da Sky al Tg5.

Ieri, Mentana ha diffuso su Instagram la prima locandina del giornale che in poco più di sei ore ha raccolto oltre 8.000 follower. (http://www.instagram.com/open_giornaleonline)

scusandosi anche per la grafica non proprio eccelsa fornita col precedente post.

L’attesa è grande e la pioggia di follower dimostra che in Italia c’è tanto bisogno di informazione. E’ sotto gli occhi di tutti il panorama informativo del nostro Paese: tutti asserviti al potente (Governo) di turno ovvero a chi paga. Il “tengo famiglia” è il retropensiero che fa del “maanchismo” il leit-motiv della nostra informazione: non si dà la notizia secondo la testa del giornalista, ma si riporta la notizia secondo le diverse versioni di chi “può ciò che si vuole”, così non si scontenta nessuno e si continua a campare.

E il “chi può ciò che si vuole” può anche non essere il Governo, ma l’editore: quanti giornali, cartacei o “on line”, DEVONO seguire pedissequamente la linea dell’editore o del Direttore senza un minimo di libertà? Il risultato è che è inutile leggerli, perché già si conosce quello che c’è scritto. Oppure, proprio per questo, li si legge; come diceva Umberto Eco, la gente legge più facilmente quello che vuole leggere e conosce già; fa meno fatica.

E, sempre Umberto Eco docet, ricordo il grosso guaio informativo in cui ci troviamo: i social. Oltre a tenere in contatto le persone uccidendo visite, compagnie, lettere, cartoline e telefonate, hanno dato voce e rilevanza a quelle che, una volta erano relegate a chiacchiere da bar, buttate fuori da qualche testa il cui unico scopo è quello di dividere le orecchie. E più la notizia è stramba (scie chimiche, gruppo bildemberg, vaccini che causano l’autismo) più la gente, frustrata ed omologata da una vita insulsa, ci crede perché il credere fermamente ad un qualcosa che la massa ripudia, li fa sentire parte di un club esclusivo e superiore, tale da riscattare la loro pochezza.

E i social amplificano le voci false, perché un “like” ad una notizia che va fuori dal coro si mette sempre placando così la spasmodica ricerca di approvazione e di rivalsa sociale che possiede chi posta queste fesserie.

Ma torniamo a Open di Mentana e Corcione. Conosciamo i volti della redazione, 22 giovani scremati da una selezione di 15.000, conosciamo che ognuno avrà lo “zainetto del cronista” con tanto di smartphone, PC, videocamera per essere sempre “man on the spot”, possiamo immaginare, conoscendo (di fama) Mentana e Corcione, quale potrà essere la linea editoriale, ma nulla sappiamo (ancora) di come faranno giornalismo questi ragazzi. Sono sicuro che non verranno mandati allo sbaraglio a chiedere “cosa si prova” a chi sta scavando a mani nude dopo un terremoto o un’alluvione per cercare i propri cari, come – purtroppo – è avvenuto in passato. Sono certo che non faranno una cronaca sotto Palazzo Chigi durante una fumosa riunione di Governo per balbettare contenuti che non possono sapere, magari perché ignoti agli stessi ministri. Come son sicuro che non faranno la cronaca del “salvataggio del gattino”. Spazi già occupati e senza sbocco.

Quale sarà il prodotto che arriverà (gratis) sul nostro telefonino? Basta aspettare qualche giorno e lo sapremo. Ma posso permettermi un suggerimento? C’è un particolare bisogno informativo che deve esser soddisfatto.  Viviamo in un mondo sommerso di notizie. Mai come oggi è vero il detto “Non c’è migliore controinformazione dell’eccesso di informazione”.

Si manifesta sempre più il bisogno di poter distinguere fra una informazione vera e una falsa, bisogno, oserei dire primordiale.  E ciò ha fatto la fortuna dei cosiddetti “debunker” come Paolo Attivissimo e David Puente (quest’ultimo fortunatamente già nella redazione di Open)  che  smascherano le bufale postate volontariamente o involontariamente in rete.

Oltre si avverte prepotente il bisogno della continuità logica del flusso informativo. L’eccesso di informazioni fa presto perdere la memoria della conseguenzialità dei fatti. Nella routine quotidiana chi, di fronte ad una condanna avvenuta cinque anni dopo il fatto, ricorda come il fatto si è generato? Chi ricorda come la marcia delle centinaia di migliaia di profughi del 2015 abbia determinato, oggi, le dimissioni della Merkel? C’è qualcuno che possa ricordare come una Direttiva europea del 2004, partorita nel chiuso della burocrazia di Bruxelles sia stata la causa scatenante, dal 2015 in poi, della escalation del numero dei cittadini non appartenenti all’Unione europea “protetti” e accolti in essa, provocando gli sconvolgimenti sociali che, ora, sono sotto i nostri occhi?

Forse, più che informazione dei fatti, c’è bisogno di informazione sui fatti, di concatenarli, di dar loro causa ed effetto anche in un periodo più lungo, mantenere la memoria storica. Insomma un continuo fact cheking, un po’ quello che fa “Valigia blu”, ma fatto di continuo. Il fatto non finisce, il fatto è solo un segmento di un fatto più vasto, conseguenza del segmento precedente, causa di quello successivo.

Personalmente seguirò Open, ho fiducia nel suo papà. Attorno ad Open – se, come spero, risponderà alle richieste di chiarezza di informazione – si potrà coagulare un consenso informato che riporterà gli italiani a pensare con la testa e non con la pancia.

In bocca al lupo, Open!

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Aggiornamento delle 12.27 dell’11 dicembre: i follower su Instagram sono 18.500….

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