Archivi per il mese di: novembre, 2018

scrivo da Kerman, in Iran. Sono in vacanza con un gruppo di Avventure nel mondo e caso ha voluto che, per i previsti lunghi voli e tragitti in bus, fra gli altri Ebook, mi sia portato l’ultimo libro di Federico Rampini “Quando inizia la nostra storia” preso da Amazon il giorno prima di partire. Ho usato un po’ il primo capitolo, dedicato all’Iran, come guida.

Forse perché Rampini è giornalista ed è anche americano, all’aeroporto le formalità del visto in arrivo (Teheran) sono state per molto più veloci, non più di 5 minuti: l’addetto al quale abbiamo mostrato la Email di riscontro della richiesta di visto in arrivo ha stampato il “visto” e ci ha restituito il mucchietto di fogli insieme ai passaporti senza neppure accoppiarli.

La gentilissima addetta alla assicurazione sanitaria ci ha chiesto se la avevamo e, alla nostra risposta positiva, non ha voluto neppure guardarle.

Polizia quasi inesistente.

Cambio. Confermo che sia all’aeroporto, sia nelle banche non siamo riusciti a cambiare i nostri Euro con i Ryals al cambio ufficiale di 47.000 Ryals per Euro. Più che di mercato “nero” (ossia nascosto) della valuta, parlerei di mercato “parallelo”. Sulle vie di Teheran ci sono, alla luce del sole, negozi di cambio che espongono, sui display elettronici, il tasso praticato: siamo sui 163.000 Ryals per euro. (Dopo 15 gg a Shiraz era circa 150.000 Ryals per euro) Il gasolio 3.000 Ryals, la benzina 10.000 Ryals.

Una abbondante cena per 7 in un buon ristorante ci viene sui 4 milioni di Ryals. Una camera doppia in un albergo 3 stelle sui 12 euro 25 euro se l’albergo era quattro stelle.

La rivoluzione partirà dalle donne e non solo da quanti centimetri di capelli lascia scoperto il jihab. A Teheran e a Eshfan ormai lo portano solo sulla nuca o appeso allo chignon alto.

Sono le donne ad avvicinarci a chiedere e a voler avere contatti. Spinto da questa novità, ho provato un gesto che mai avevo tentato in un paese musulmano, anche tollerante, come il Ladakh o il Kashmir: sorridendo ho guardato fisso negli occhi ogni donna. Nessuna ha abbassato lo sguardo. Quelle con il chador (30%) magari rispondevano solo ricambiando il sorriso. Quelle vestite normalmente, solo con il foulard, rispondevano (rispondono, visto che sono ancora in Iran) al sorriso e allo sguardo diretto. Come fosse un segnale, la maggior parte si fermava per un saluto, per una foto, per un selfie, per un semplice “da dove venite?”.

E il clero ha paura delle donne. A Qom la guida obbligatoria (il funghetto, così chiamano lì gli esponenti del clero) ci stava radunando ed aspettava con impazienza che due donne del nostro gruppo si avvicinassero. Appena ha compreso che si stavano scambiando i biglietti di visita con alcune ragazza iraniane, è andato su tutte le furie ed è corso a rincorrerle riportandole indietro bofonchiando ad alta voce “Questo è un luogo sacro, non un posto per scambiarsi informazioni!”. Non ci ha più lasciati e, dopo una visita frettolosa della moschea ci ha negato il permesso di rimanere da soli all’ interno, quasi cacciandoci fuori. Non ha avuto paura di trasgredire le regole che vietavano di fotografare all’interno della moschea (ci ha permesso di usare le nostre reflex), ma ha avuto paura del contatto fra una iraniana e una forestiera. Non ho trovato uguale curiosità per l’occidente nei maschi iraniani.

Sì, la rivoluzione verrà dalle donne.

Anche la nostra guida, una iraniana di un quarantina d’anni, pur svicolando con un sorriso, le domande più scabrose sullo Stato teocratico, non ha avuto alcuna esitazione a illustrare i rapporti omosessuali e le libagioni nei dipinti della residenza dello Scià a Esfahan.

Ci ha detto che un insegnante guadagna 13 milioni di Ryals, un alto dirigente il doppio e che le sanzioni hanno portato una quadruplicazione dei prezzi.

Ci ha raccontato che nei paesi se un ragazzo e una ragazza si parlano, subito i genitori si incontrano e il matrimonio non combinato si celebrerà non oltre due settimane. A Teheran e a Esfahan o a Shiraz la situazione è molto simile alla nostra con fidanzamento e libere frequentazioni (sempre che un religioso non li prenda di mira) . Per la crisi economica l’età del matrimonio si è spostata in avanti: 25/28 anni per le donne, oltre i 30 per gli uomini. Bisogna pur mettere i soldi da parte per la casa…

Ci ha anche raccontato che a Teheran e Esfahan esistono diversi casi di convivenza more uxorio, ma sono molto malvisti.

Vige l’aurea regola del ;occhio non vede, cuore non duole”.

Purtroppo le rigide regole sussistono ma sono sempre meno applicate. Ma, purtroppo, qualche guardiano della rivoluzione o guardiano della fede quando litiga con la moglie o con il capo, magari ha voglia di rifarsi con una povera coppia che si tiene per mano.

Bello il ponte dei poeti dove ci hanno invitato a cantare, sfruttando la perfetta acustica delle arcate, “o sole mio”. Peccato che il fiume non c’è più, deviato per portare le sue acque ai campi agricoli riarsi.

Di Trump e delle sanzioni ho parlato con un ex-dipendente ENI (faceva lo interprete inglese/farsi) .Era molto preoccupato perchè la Europa è debole e non osa contraddire Trump. Fra l’America e l’Iran, sosteneva, l’Europa preferisce sempre l’America. Era informatissimo. Ho parlato con lui il giorno dopo le elezioni di midterm. Era molto deluso del risultato non brillantissimo dei democratici, ma fiducioso che fra due anni Trump vada a casa. “Intanto il petrolio lo venderemo alla Cina, anche se non ci piace.

Per le strade la polizia praticamente non si vede, solo qualche militare nei bazar.

Un po’ asfissianti i controlli sulle strade, non per noi, però: ogni 50/100 km. Il nostro autista deve fermarsi e portare i suoi documenti alla stazione di polizia. Sul nostro bus privato non è mai salito un poliziotto.

Gli iraniani ci coccolano e sono il popolo più affettuoso che abbia mai visto; e di popoli ne ho visti tanti.

La pulizia regna sovrana. Primo paese dell’oriente (medio o estremo) dove si beve l’acqua del rubinetto e si mangia tranquillamente la verdura cruda.

Le strade, almeno quelle di grande comunicazione, fanno invidia alle nostre migliori.

Storia e siti archeologici stupendi.

Ma lasciatemi qualcosa per la prossima volta.

Un video sul mio viaggio potete trovarlo qui:

Il termine Heimat non sempre ha traduzioni soddisfacenti in altre lingue. Possiamo tradurlo con “piccola patria” o “piccola comunità in cui gli appartenenti sono legati da vincoli di vicinato o di affetti”. Il termine è proprio della Austria e Germania e insito ha un certo valore, per me negativo, di chiusura ed esclusione di chi non appartiene alla piccola comunità. Ed è esattamente il contrario degliideali dell’Unione europea.

Sempre caro alle popolazioni del nord Italia, fin ora forse l’unico esempio era l’impossibilità di votare per le elezioni amministrative per chi non fosse residente da almeno cinque anni in Alto Adige.

Ma i casi di chiusura nell’Italia del nord si stanno moltiplicando. Non solo nei confronti degli stranieri. Vedi il caso della mensa scolastica del Comune di Lodi per accadere alla quale – pagando la tariffa minima – il Sindaco ha chiesto agli stranieri il pressoché impossibile da reperire certificato di nullatenenza nei Paesi di origine.

Ora la discriminazione di Heimat si applica anche agli Italiani.

In Alto Adige in numerosi comuni un cittadino italiano non può acquistare un alloggio se non prova di risiedere in quel luogo da almento quattro anni.

In Friuli Venezia Giulia ha approvato una riforma della normativa sull’edilizia popolare (l.r.1/2016). Per poter fare domanda, o per richiedere il contributo sull’acquisto della prima casa, anche se si è italiani, si dovrà risiedere nella Regione da almeno 5 anni.

Lo scopo è ovvio, preservare la ormai ricca comunità dall’inquinamento del “diverso” escludendolo anche da quelle provvidenze pensate per i più bisognosi.

Stiamo attenti, la secessione, abiurata  dalla Lega, sta diventando realtà. L’Europa di Shuman, De Gasperi, Spinelli e Adenauer è sempre più lontana.

 

sergioferraiolo

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