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Il Governo Meloni è in carica da (relativamente) poco tempo: ha giurato il 22 ottobre 2022, ma è di gran lunga il Governo che, fin ora (al peggio non c’è mai limite), ha collezionato più figuracce, pastrocchi, retromarce di tutti gli altri. Divisioni interne, si dice. Altri parlano di impreparazione e/o ignoranza e voglia di apparire sui media.

Ho raccolto in questo post solo una serie di provvedimenti a “dir poco” strani che, magari, ne sottintendono altri o sono  frutto della fretta o della improvvisazione.

L’elenco è lungo, se non ci sbrighiamo, facciamo notte.

Ve ne racconto alcuni

  1. Il Caso del Rave Party e Ordine pubblico.
  2. Navi ONG.
  3. Questione del Porto sicuro di sbarco.
  4. Medici NOVAX
  5. Aumento del tetto di circolazione del Contante e uso del POS.
  6. Caro benzina.
  7. Estensione della Flat Tax.
  8. Poutpourry di svarioni vari.
  1. IL CASO DEL DECRETO ANTI RAVE

IL governo si è appena insediato e deve dare subito una prova di machismo: legge e distintivo, povero chi ci capita.

E ci sono capitati  quei non proprio bravi ragazzi che, in migliaia, occupano, vicino Modena, a fine ottobre uno spazio privato, sparano musica tecno a palla, vendono droga e arrosticini senza alcun controllo e parlano della “loro libertà di fare quello che vogliono”. Ovviamente a nessuno piace questo andazzo dove il proprietario dell’area occupata si trova con centinaia di migliaia di euro di danni e qualche “bravo ragazzo” ci può anche lasciare la pelle come accaduto l’anno scorso a Viterbo a Gianluca Santiago.

Qualche provvedimento ci vuole, anche per dimostrare la forza del nuovo Governo che, tramite il Ministro dell’interno produce un Decreto Legge talmente raffazzonato che avrebbe provocato la bocciatura di qualsiasi studente di giurisprudenza.

La norma Anti rave del Decreto legge 31 ottobre 2022 n. 162 è questa:

 “1.    Dopo l’articolo 434 del codice penale è inserito il seguente:

«Art. 434-bis (Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica). – L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.

Chiunque organizza o promuove l’invasione di cui al primo comma è punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000.

Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita.

E’ sempre ordinata la confisca ai sensi dell’articolo 240, secondo comma, del codice penale, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione.».

2.    All’articolo 4, comma 1, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo la lettera i-ter), è aggiunta la seguente: «i-quater) ai soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 434-bis del codice penale.».

3.    Le disposizioni del presente articolo si applicano dal giorno successivo a quello della pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.”

Già ad una prima lettura si intende che il Governo accumuni i partecipanti ai rave ai mafiosi, vista l’entità sproporzionata della pena (da tre a sei anni di reclusione, quando chi uccide una persona in auto in stato di ebbrezza rischia “solo” dai 5 ai 10 anni), superiore all’omicidio colposo che permette sempre intercettazioni telefoniche anche a carico di minori e l’inserimento dei partecipanti nel codice antimafia.

A parte il fatto che in un Decreto Legge AntiRave, riferimenti alla musica o al “RAVE Party” non ce ne sono proprio, ingenerando il dubbio che la norma serva anche ad altri scopo come quello di sanzionare raduni studenteschi (vedi le manganellate alla Sapienza del 25 ottobre 2022 oppure le occupazioni di fabbriche) , all’interno del testo c’è un errore marchiano. E scritto: “…allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica…”. Ora, in diritto le parole sono importanti. Con questa dizione “può derivare”, qualsiasi comportamento potrebbe far scattare il reato (una persona che cammina sotto un muro pericolante, una persona che cammina sul cornicione, una persona che si avvicina troppo alla griglia dove arrostiscono gli arrosticini di contrabbando, una persona che – per vedere meglio – si arrampica sul palo.) tutte situazioni che, al limite potrebbero portare ad un pericolo, ma chi giudica queste azioni come possibili di ipotetico pericolo? Un questurino di passaggio?  Chissà…. La dizione giusta era “Quando dallo stesso deriva un concreto pericolo per l’ordine pubblico”. Ci vuole la concretezza nell’ipotesi delittuosa.

La norma viene dal Viminale, ma, d’altronde che volete pretendere da un ministro che, fino a pochi mesi fa, Prefetto di Roma e quindi supremo garante dell’ordine pubblico nella provincia, l’ordine pubblico se lo fece dettare il 14 luglio 2021 da Bonucci e Chiellini che imposero – in piena pandemia – un corteo, non previsto, anzi vietato, con il pullman dei calciatori vittoriosi agli europei circondati da migliaia di “tifosi” ovanti e assembranti. Reazione del Prefetto (riportata da “Giornale di Sicilia”: «Non era previsto, lo hanno “imposto” Bonucci e Chiellini», ridicolo, non vi pare?). E chi era ancora il Prefetto di Roma quando, il 9 ottobre 2021, in una manifestazione autorizzata in maniera statica (sì, c’era ancora il COVID) si scopre che Giuliano Castellino (leader di Forza nuova e agli arresti domiciliari)  arringava il popolo dal palco col megafono e che gli agenti di polizia non impediscono di andare alla sede della CGIL e devastarla? Sempre l’attuale ministro dell’interno che, evidentemente, nei due episodi soprariportati  ha assunto la figura di Quinto Fabio Massimo, ma, ora, forse coperto dal suo antico ministro, gli è venuta voglia di fare presto, anzi prestissimo.

Fortunatamente a correggere i marchiani errori del Decreto Anti-RAVE ci ha pensato il parlamento: trasformando il folle comma in uno più “onesto”. Dal 31 dicembre 2022  (legge di conversione 30/12/2022 n. 199 la norma “con errori” è diventata questa:

L’articolo 5 è stato così modificato: “1.    Dopo l’articolo 633 del codice penale è inserito il seguente:
«Art. 633-bis (Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica). – Chiunque organizza o promuove l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento, è punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000, quando dall’invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o per l’incolumità pubblica a causa dell’inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi.
E’ sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma, nonché di quelle utilizzate per realizzare le finalità dell’occupazione o di quelle che ne sono il prodotto o il profitto».
9

1-bis.    All’articolo 634, primo comma, del codice penale, le parole: «nell’articolo precedente» sono sostituite dalle seguenti: «negli articoli 633 e 633-bis».10

Le pene sono rimaste le stesse ma circondate da severi paletti quali “il concreto pericolo per la salute pubblica”, “l’inosservanza di norme in materia di sostanze stupefacenti” o “in materia di sicurezza degli spettacoli pubblici”. E tutto ciò ovviamente quando si organizza un Rave Party, non una manifestazione qualsiasi come poteva sembrare dalla prima stesura.

E, ovviamente, il Parlamento ha soppresso il comma 2 che inseriva i partecipanti “fra i mafiosi”.

  • NAVI ONG

Evidentemente questo è un governo cocciuto e impara poco dagli errori che la sua part politica commetteva poco più di 4 anni fa. Allora il ministro dell’interno Salvini, di cui l’attuale ministro dell’interno era il Capo di Gabinetto, per far vedere che era un uomo forte, se la prese, nel 2018/2019 con le navi delle ONG (Organizzazioni non Governative) che – stazionando nel canale di Sicilia prendevano a bordo i naufraghi/profughi provenienti dalla Libia e li sbarcavano in Italia. Anche allora la percentuale di questi naufraghi/profughi era ridicola sulla massa di profughi che arrivavano (non solo via mare) in Italia, circa il 10%. Eppure quello delle navi ong fu il bersaglio scelto dal Salvini e dal Governo giallo-verde. Come tutti si ricordano il risultato fu che andarono a sbattere! Tutti i profughi/naufraghi furono fatti sbarcare, salvo quelli di una nave che, buon cuore, la Spagna si dichiarò disposta ad accogliere. Querele di Salvini contro la Capitana Rakete, vittoria dela Rakete in tribunale. Salvini ha ancora un paio di processi in corso per non aver fatto scendere i profughi/Naufraghi nei porti italiani.

Dalle esperienze negative si prende esempio; qui pare di no. L’attuale ministro dell’interno, forse – chissà – imbeccato dal suo predecessore, ha di nuovo dichiarato guerra alle Navi ONG.

Subito, il 4 novembre 2022, emette un decreto “che vieta alla nave ONG Humanity 1 di sostare nelle acque territoriali nazionali oltre il termine necessario ad assicurare le operazioni di soccorso [non di sbarco] e di assistenza nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali e in precarie condizioni di salute segnalate dalle competenti autorità nazionali”. Quindi sbarchi selettivi: assistenza medica solo a chi sta male e (forse) ai minori, divisione di famiglie e completo disinteresse per la sorte di chi deve rimanere a bordo e della nave che deve ripartire subito con il suo “carico residuo” [di esseri umani].

Dispositivo breve ma oserei dire spaventoso. Ma qualche chicca si trova anche nel preambolo che occupa oltre il 90% dell’intero decreto: salta agli occhi la citazione del Regolamento (CE) 14 settembre 2016, n. 2016/1624, relativo ala guardia di frontiera europea, che, come è facilmente riscontrabile nella sezione EUR-LEX di Europa.eu al link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32016R1624&qid=1673607586771 non è più in vigore dal 31/12/2020.

Strana poi tutta la polemica con la Germania , Paese di Bandiera della nave Humaniti1, con richiesta di informazioni, doglianze sul fatto che le operazioni di soccorso siano avvenute al di fuori della zona SAR italiana senza alcun coordinamento italiano, che le operazioni siano avvenute “in contrasto con lo spirito (sic!) delle norme internazionali, europee e italiane in materia di sicurezza dele frontiere [135 profughi/naufraghi sono un pericolo per le frontiere?] e, soprattutto, una asserita responsabilità a prendersi i profughi da parte dello Stato di Bandiera o a far ricevere la domanda di asilo dal Comandante della nave di bandiera, mai citato fra i luoghi esclusivi dove di può presentare dall’articolo 3 della Direttiva Procedure 2013/32/UE del 26 giugno 3013? o, quando è noto che la responsabilità dello Stato di bandiera si limita a fatti successi sulla nave in acque internazionali, tipo omicidi, rapine, questioni amministrative, e, puranche, matrimoni. Pensate un attimo alla questione dei fucilieri di Marina che il 15 febbraio 2012 avrebbero ucciso due pescatori  indiani pensando fossero pirati (vedi a questo link: https://it.wikipedia.org/wiki/Caso_dell%27Enrica_Lexie#:~:text=19%20febbraio.,che%20in%20una%20normale%20prigione.) l’India non se l’è mai presa con lo Stato italiano, ha tenuto la nave sequestrata per due mesi perle necessarie indagini e l’ha poi rilasciata, La querelle, poi finita bene, era incentrata sull’accusa personale che l’India faceva ai due Marò italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girotti pretendendone la messa in stato di giudizio [ma la motivazione non è mai stata esplicitata] e coinvolgendo solo parzialmente l’Italia nell’errata convinzione che, essendo due militari, fossero alle dirette dipendenza dell’Esercito italiano, pensando che fossero due militari in servizio effettivo, ma il coinvolgimento “penale” dell’Italia cessò quando fu spiegato che i due marò erano in missione antipirateria, prestati dalla Marina, un po’ come due guardie giurate. La situazione è confusa, quindi per le norme internazionali la responsabilità dello Stato di bandiera non è certa per l’accertamento dei fatti criminosi avvenuti in acque internazionali e senza coordinamento statuale. La questione fu, in pratica, risolta con un accordo stragiudiziale in denaro che l’Italia – a titolo di risarcimento – versò alle famiglie delle vittime indiane, visto che il risarcimento per gli incidenti dovrebbe essere contemplato nel contratto di ingaggio.

E la polemica Meloni – Macron? Sterile e controproducente. La Meloni estrapolando da un colloquio con Macron la disponibilità di questi a prendersi una nave. Macron negò l’accordo spiegando che avrebbe offerto solo un aiuto.

Ne vale la pena per 300 persone contro le migliaia che sbarcano?

  • QUESTIONE DEL PORTO SICURO DI SBARCO

C’è una sottigliezza da spiegare, un pertugio ove potrebbe, con grandi perdite, infilarsi il Governo italiano; mi sono studiato la questione e l’ho sottoposta a giuristi e uomini specializzati in legge del mare. Non ne voglio ripetere perché è lunga e complicata. Chi volesse approfondirla la trova su questo stesso blog, all’articolo “Le leggi del mare e i migranti” al link https://sergioferraiolo.com/2022/11/16/le-leggi-del-mare-e-i-migranti/

Riassumo: la competenza è quasi tutta di origine “Nazioni Unite”, di Europa c’è poco (UNCLOS, SOLAS, Convenzioni SAR sono strumenti internazionali extraeuropei e alla quale l’EU aderisce, ma l’egida è delle Nazioni Unite.

Premetto che in tutte le convezioni il soccorso, in caso di naufragio o in caso di pericolo di naufragio (Distress), è sempre obbligatorio da parte di chicchessia, che sia Stato Coordinatore (come noi sempre in Mare nostrum) o che non lo sia. L’obbligo di indicare un porto di sbarco sicuro è più controverso: c’è un buco normativo.

Il casus belli (non previsto dalle convezioni (piuttosto vecchiotte)) è un salvataggio compiuto in una zona SAR (Search and Rescue) di un Paese dove non possono essere sbarcati i naufraghi. Penso alla Libia, da dove scappano e che li tortura, ma penso anche alla Tunisia che non ha ratificato alcune convezioni e restituisce alla Libia o agli altri Paesi dell’Area subsahariana i naufraghi. Insomma una nave privata, non coordinata da alcuno Stato rivierasco come quelle dele ONG che agiscono autonomamente chiedendo il porto sicuro dalle acque libiche, dopo aver compiuto il salvataggio, dopo aver assolto all’obbligo di soccorso, non ha uno Stato rivierasco a cui chiedere un porto di sbarco. In queste condizioni Italia, Grecia, Cipro, Malta, Grecia, Spagna, Croazia sono, sul piano del diritto, sulla stessa linea: hanno gli stessi doveri di indicare il port sicuro di sbarco.

Devo dire però, per verità di narrazione, che qualche anno fa circolava sui tavoli di Bruxelles un documento denominato “COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT For the Council Shipping Working party IMO -Union submission to be submitted to the 7th session of the Sub-Committee on Navigation, Communication and Search and Rescue (NSCR 7) of the IMO in London from 15-24 January 2020 setting out a preliminary draft structure and proposal for a revision of the Guidelines on places of refuge for ships in need of assistance, annexed to resolution A.949 (23)” laddove a pagina 26, (appendice 1 alla sezione 4) si dice che:”Deciding which coastal State’s competent authority to be in the lead. If a PoR is requested when no SAR operation has taken place, the deciding factor should be the Maritime Assistance Service (MAS) declared by the state in whose area of jurisdiction the shipis located. If there is no MAS declared, in the first instance the State with jurisdiction over the waters in 27which the ship is located (eg. through a declared EEZ) should co-ordinate the PoRrequest unless and until an agreement has been reached to transfer coordination to another coastal state”.

Quindi, se la mia traduzione è esatta, quando non c’è una zona SAR di riferimento, il PoR (Place of Refuge) viene spostato allo Stato che ha ricevuto la relativa richiesta e nella cui zona SAR si trova la nave. Pertanto il vuoto normativo sarebbe colmato.

Sinceramente non so se e quando questa “proposta” diventerà norma cogente, o se lo sia già diventata.

Ma la questione è un’altra: conviene politicamente all’Italia, per eliminare il 10% dei profughi/naufraghi, portare avanti tutta questa querelle politico/diplomatica, isolandoci dall’Europa che conta e non ricevendo alcun vantaggio dai Paesi dalla linea dura come Ungheria o Polonia? Non era meglio farli sbarcare e poi affidarsi, come sempre alle loro gambe? Si sa bene che l’Italia è al quarto posto in Europa per domande di asilo: in caso di rilocazione forzata dovrebbe prenderne, non darli. L’Europa è la patria del compromesso: tu ti prendi un po’ di profughi, io dopo un po’ ne lascio entrare qualcuno e non ti rompo le scatole sui tuoi conti pubblici disastrosi.

E, invece no, il 2 gennaio 2023, sulla Gazzetta Ufficiale, compare il “Decreto Legge 2 gennaio 2023 n. 1, recante “misure urgenti per la gestione di flussi migratori” che reca alcune modifiche all’articolo 1 del Decreto legge 21 ottobre 2020, n. 130” (uno dei decreti sicurezza).

Nel testo previgente, nel secondo comma dell’articolo 1 erano inserite le norme “cattive” [divieto di attracco, divieto di transito e sosta nelle acque territoriali etc.]. Il Nuovo decreto legge , invece, le “sospende” se la nave ONG  fa la brava e osserva tutta una serie di prescrizioni dettate dal Governo “autorizzazioni al soccorso [ma non era obbligatorio?] , immediata richiesta di porto di sbarco, divieto di soccorrere, durante il tragitto altra imbarcazione in difficoltà [Ma il soccorso non era obbligatorio?],  fornire tutte le informazioni e gli elementi richiesti prima ancora dello sbarco. Nei casi di violazione si applica al comandante la sanzione amministrativa [applicata quindi dal prefetto, organo più malleabile, e non penale adottata da un magistrato] da 10.000 a 50.000 euro con responsabilità solidale estesa all’armatore e al proprietario [generalmente ignari dell’accaduto: responsabilità oggettiva?], la nave è sottoposta a fermo amministrativo e alla confisca in caso di reiterazione.

Norme come si vede, quasi inapplicabili che, in alcuni casi configurerebbero il reato di “omissione di soccorso”: “Poverini state già affogando, ma non vi possiamo prendere a bordo perché abbiamo già un altro carico di naufraghi e dobbiamo chiedere l’autorizzazione suppletiva, se sarete ancora vivi quando e se arriverà, potremo prendervi a bordo!”

Vedremo il Parlamento cose ne farà.

Ma non è finita: assegnazione del porto sicuro sempre più lontano. Si sta infatti verificando che l’assegnazione del porto di sbarco sia concessa in porti ubicati in Regioni sempre più al  nord e, pare, governate da giunte di sinistra: Taranto, Livorno,  Genova, Ancona o, vedi qui, https://www.dire.it/08-01-2023/857817-opposizioni-governo-navi-ong-migranti-porti-lontani-citta-centrosinistra/;  oppure qui, ove, suo “Post” viene spiegato il problema: https://www.ilpost.it/2023/01/08/navi-ong-ancona/.

Lo scopo è perfido: allungare la sofferenza e allungare il tempo in cui la nave starà assente dal canale di Sicilia.

  • MEDICI NOVAX

Il Decreto Draghi, in piena pandemia, aveva sospeso l’eserizio della professione ai medici che non si fossero voluti far vaccinare. Norma a tempo in attesa che la pandemia COVID svanisse. Il Governo attuale che fa? Invece di starsene buono e aspettare la scadenza naturale del decreto al 31 dicembre 2022, anticipa il loro rientro al 1° novembre 2021: 60 giorni d strizzate d’occhio ai novax. Notate che negli  ospedali ci vanno non certo le persone belle sane e forti, ma quelle deboli , bisognose di cure, anche oncologiche e immunodepressi. Si sono presi critiche gratuite molto facilmente evitabili. Ma – si sa – le strizzate d’occhio al mondo antagonista e novax valgono molto di più.

  • AUMENTO DEL CONTANTE E POS

Fra le primissime misure – attesissime e ritenute indispensabili dagli italiani – c’era l’aumento del limite di circolazione del denaro liquido che quest’anno doveva scendere sotto i 1000 euro. Io non sono un indigente, ma nel mio portafoglio per convenienza o paura di rapine, al massimo girano 3 o 4 pezzi da 50 euro. A chi serve girare “legalmente” con 10.000 euro, come diceva Salvini? Solo a chi non vuole farsi tracciare: chi paga a nero la colf, chi si fa ridipingere a nero una stanza, che si fa aggiustare l’auto senza chiedere fattura (e senza garanzia!!!), ai magnati russi che si fanno belli nelle gioiellerie regalando gioielli alle loro donne senza che ne venga lasciata traccia? Negli altri Paesi, ma i nostri politici sono tutti casalinghi, il contante è quasi scomparso anche al bar: vicino alla cassa, c’è una fessura o un attrezzo dove il cliente infila o  appoggia la carte di credito e il caffè è pagato, alla faccia di Salvini che dice “chi vuol pagare il caffè con la carte di credito è un rompiballe!!!, io voglio pagare come mi pare”. Paga pure come ti pare, ma lascia che anche io possa pagare come mi pare. E, infatti, la norma sul contante è stata dimezzata e ritirata quella sul POS.

E dire che alcune prime giustificazioni del Governo erano che “ce lo chiedeva l’Europa!”. Mica vero! Semplicemente l’Europa aveva chiesto non solo all’Italia, ma a tutti gli Stati membri che volevano rendere obbligatorio l’uso del POS, quali tutele avrebbero adottato nei confronti delle fasce deboli che on potevano permettersi i costi dei conti correnti bancari. Qui in Italia era il contrario: fino ad una certa somma era POS che poteva essere vietato!!!!

Oppure che per le piccole transazioni il POS era troppo oneroso per i commercianti. A parte il fatto che quasi tutte le aziende non prendono commissioni fino a 10 euro di transazione, basta andare a questa pagina di Google per conoscere quanto effettivamente poco costi il POS: https://www.google.com/search?q=POS&rlz=1C1PRFI_enIT946IT947&oq=POS&aqs=chrome..69i57j46i199i433i465i512j46i131i199i433i465i512j69i60j69i65j69i61j69i65l2.13485j0j4&sourceid=chrome&ie=UTF-8

  • CARO BENZINA

Il 24 febbraio 2022 scoppia la guerra fra Russia e Ucraina. Voi tutti sapete che il prezzo delle merci comuni non subito deperibili (grano, olio, petrolio, gas) non lo fa il venditore, ma le Borse (famosa, per il Gas, quella di Amsterdam). Lì gli investitori (raccoglitori di risparmi: sì, nei loro fondi ci sono anche le vostre pensioni) che possono muovere giornalmente migliaia di miliardi hanno scommesso (sulla guerra si scommette facile) che Putin avrebbe, per ritorsione, chiuso i rubinetti del gas vero l’Europa. Allora, per mezzo dei cd. contratti futures, hanno a febbraio comprato a marzo a prezzi da capogiro contratti di futura fornitura di gas, scommettendo sul sicuro rialzo; quando i futures galoppano non si può fermarli: se falliscono, falliscono anche i denari dei contribuenti, pensioni, risparmi che ci sono dentro. Una vota realizzato quello che dovevano realizzare i grandi gruppi speculativi si sono ritirati dal mercato e il prezzo dell’energia (GAS, benzina, petrolio,) è cominciato a scendere.

Il Governo Draghi tentò di metterci una pezza [sappiamo che se aumenta il gasolio su cui tutto viaggia in Italia, tutto aumenta di prezzo] diminuendo le accise sul carburante di 18 centesimi e il prezzo alla pompa scese di 18 centesimi. Il provvedimento era provvisorio e si se bene che, in Italia, quando i prezzi salgono, sono molto restii a salire. Il 31 dicembre – scaduto il decreto Draghi – il prezzo alla pompa è tornato su di 16 centesimi (confermando la lenta discesa dei prezzi) Alte grida di aiuto da parte degli auto trasportatori: il Governo intervenga. La Meloni, ingenua come sempre, ha fatto sapere che non aveva il miliardo al mese per pagare un nuovo abbassamento dele accise. [Ma i soldi per i 12 minicondoni e per l’estensione della flatTax, li aveva e la diminuzione delle accise era scritta nero su bianco nel programma elettorale di Fratelli d’Italia]. Ma si sa, le proteste, specialmente quelle degli autotrasportatori, anche se non siamo in Cile, fanno breccia. Con rapidità il Decreto sulle accise è cambiato: se i prezzi aumenteranno, il Governo ci metterà una pezza.

  • ESTENSIONE DELLA FLAT TAX

Un’altra mossa singolare del Governo è stata quello di aumentare alle partite IVA fino a 80.000 Euro il regime forfettario del 15% di tasse. Lo so che in questo 15% non c’è la previdenza, ma anche io lavoratore dipendente, oltre a pagare l’IPEF nazionale, regionale e comunale, ogni mese pagavo ben 1.500 euro di previdenza.

Ora, per esempio un geometra assunto regolarmente con contratto a tempo indeterminato paga gli esosi scaglioni dell’IRPEF. Chi è a partita IVA no e paga soli il 15%! Qualcuno mi sa spiegare il perché?

  • SVARIONI VARI (poutpourry)

L’Italia deve essere digitale: il Governo vuole fermare l’invio delle prescrizioni delle analisi e delle medicine on-line che tanto tempo e assembramenti aveva fatto risparmiare. Poi fa retromarcia.

Salvini se la prende con i biscotti OREO perché contengono carbonato di ammonio, additivo alimentare usato da decenni per l’alcalinizzazione, la lievitazione e la produzione del cacao in polvere sotto il rigido controllo delle agenzie Italiane ed europee. Mai si è levata voce che facesse male.

Paradossi Covid: ogni cinese che entra in Italia viene “tamponato”, ogni italiano, positivo da 5 giorni, se non presenta più sintomi evidenti pi uscire e rientrare nella comunità.

 La ministra del Turismo (che con la tutela del mare e delle spiagge non c’entra nulla) esordisce chiedendo che tutte le spiagge libere che siano sporche o in preda a tossicomani vengano recintare ed assegnate a gestori privati [Ma sono mai andati a vedere le splendide spiagge libere francesi o spagnole, dove i servizi privati si limitano al bar, al ristorante a qualche campo di pallavolo o racchettoni ed il resto, pulitissimo, è lasciato alla ibera fruizione dei bagnanti?].

Sempre Salvini si dice inorridito per la strage stradale di Alessandria “non basta la prevenzione se si va in 7 in auto”; peccato che quell’auto fosse effettivamente omologata per sette persone a bordo!!!

Dante ha inventato il pensiero di Destra: Il Ministro Sangiuliano oggi ha dichiarato che “Dante è il fondatore del pensiero di destra italiano”. Molte polemiche per tanta ignoranza. Evidentemene nel 1200 non c’erano solo i Guelfi e i Ghibellini, ma anche i fasci e i rossi!!

Chissà perché, ma in questo il Governo non c’entra, vista la mala parata e l’incriminazione del Padre, tutti i figli di Bolsonaro, l’ex Presidente del Brasile, hanno chiesto la cittadinanza italiana. Se si fugge, si va dagli amici.

A Roma passeggiano i cinghiali? Il Governo apre alla possibilità di cacciarli “per motivi di sicurezza stradale anche in aree protette e in città”. L’emendamento sarà attuabile anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto. A coordinare le operazioni sono preposti il Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare dei Carabinieri, che potrà avvalersi dei cacciatori riconosciuti, delle guardie venatorie e degli agenti delle Polizie locali e provinciali munite di licenza. Con la peste suina in atto è pericoloso uccidere i cinghiali in strada e lasciarne lì la carcassa a disposizione degli altri animali. Il Governo non sembra preoccuparsene.

Ovviamente non è un elenco esaustivo, ma sono provvedimenti di cui il governo va fiero. A me sembra ormai di vivere in una nazione barzelletta. Certo, Monti e Draghi non li aveva eletti nessuno, ma non notate alcuna differenza? Per quanto tempo vogliamo continuare con quest Governo a fare figuracce?

Per una volta voglio scrivere di un argomento non serio o, meglio., prendere da un argomento molto serio quello che si chiamano “note di colore”, leggere, lievi, quasi gossip.

Avvenimenti tanti, molti nascosti, non tanto per la loro pericolosità, ma perché mal si adattano ad un avvenimento che coinvolge i Grandi del mondo.

Sono passati trentacinque anni, quasi tutti i protagonisti sono passati a miglior vita ed il termine di secretazione è abbondantemente trascorso, non corro rischi a raccontare qualche aneddoto che più che far sorridere, mostra come i cd. “grandi del mondo” altri non siano che esseri umani come noi.

Per la mia professione sono stato spesso a contatto con i Leader italiani, Europei e mondiali: un po’ di aneddoti li conosco.

Inquadriamo l’avvenimento: dall’8 al 10 maggio del 1987 il Vertice dei sette grandi (il G7) a Presidenza italiana si svolse a Venezia che fu scelta sia perché con la sua conformazione ad isole è ben difendibile e sia perché aveva accumulato l’esperienza del G7 di sette anni prima.

Per l’Italia era un periodo di turbolenze: il Presidente del Consiglio, Amintore Fanfani era dimissionario (in carica solo dal 18 aprile al 29 luglio 1987) perché già erano state sciolte le Camere e convocati i comizi elettorali per il 14 e 15 giugno del 1987 per la loro rielezione. Il Presidente della Repubblica era Francesco Cossiga.

I partecipanti, comunque, furono:

Brian Mulroney per il Canada, Francois Mitterrand per la Francia, Helmut Kohl per la Germania, Amintore Fanfani per l’Italia,

Yasuhiro Nakasone per il Giappone, Margaret Thatcher per il Regno Unito, Ronald Reagan per gli USA e Wilfried Martens per la Comunità europea.

I lavori si svolsero fra la Fondazione Cini all’isola di San Giorgio e la Prefettura.

E il Gossip dove è? Comincia ora. Almeno ora anche i diversamente giovani conoscono i personaggi e le location.

Gli alloggi della Polizia

Vi chiederete quale fu il primo problema? La sicurezza? Gli alloggi dei sette Grandi? I tragitti? No, no, il primo problema fu trovare l’alloggiamento per le forze dell’ordine (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza) che avrebbero dovuto vegliare sulla sicurezza dei Leader. Dove li mettiamo? L’esperienza non serviva perché nel vertice precedente i poliziotti erano ancora militari (la riforma che smilitarizzò la polizia è del 1981) e, come militari, i turni erano allungabili come gomma da masticare. Bisogna tener presente che tutti gli alberghi sulla costa e in prossimità della laguna erano già requisiti dai Leader, dai loro sherpa, dai loro seguiti, dai giornalisti etc. etc. Erano rimasti solo alberghi nell’entroterra veneto abbastanza distanti dai luoghi prescelti per la sorveglianza. Alla distanza si aggiungeva il fatto che il tempo necessario per il percorso “albergo-luogo di servizio”, per i poliziotti ormai civili era computato come tempo di lavoro: si arrivava all’assurdo che, partiti dall’albergo e giunti sul luogo di servizio, il tempo di lavoro era quasi del tutto trascorso. La questione fu risolta da un giovane funzionario che propose di noleggiare navi da crociera da ancorare nei porti limitrofi ai luoghi di servizio in modo da risparmiare tempo e distanza.

Ma il diavolo ci mise la coda: la mattina presto della vigilia del vertice, una delegazione furibonda di sindacalisti della Polizia irrompe in Prefettura per fare forti rimostranze al Prefetto per come erano trattati. Secondo loro la nave era invasa da un puzzo nauseabondo che impediva qualsiasi attività. Strano, la nave era nuova e ben ripulita. Niente, la spiegazione era molto più semplice: i tubi che aspiravano l’aria per il condizionamento della nave attraccata alla banchina erano vicini ad un cumulo di soia fermentata abbandonata lì per caso.  Tolta la soia, pulita la banchina, il problema n.1 era risolto.

L’Università americana

Di fronte la Prefettura di Venezia c’era, e c’è, la “fondazione Peggy Guggenheim” la Casa museo dell’artista omonima, morta nel 1979, ora adibita a museo. A fianco della Fondazione sorge l’edificio di una Università privata americana i cui studenti, spesso, per pagarsi la retta, fungono da guide e sorveglianti del museo. Dalle finestre della Prefettura, separata solo dal Canal Grande, si gode una ottima vista degli edifici del Museo e dell’Università. Da qualche giorno prima del Vertice, stranamente, le imposte delle finestre dell’Università erano sempre serrate, come se non ci fosse alcuno, ma, quando si aprivano per far cambiare l’aria, l’interno era pieno di computer schermi e materiale elettronico. CIA? NSA? DIA? Chi lo sa? Unica cosa visibile erano le antennine puntate direttamente verso la nave militare USA [senza oblò: guerra batteriologica e informatica] ancorata alla fonda proprio davanti San Marco.

Un ulteriore aneddoto: vedevo le classiche barche coperte veneziane che entravano nel canale prospiciente l’Università. “Sa cosa portano?” mi chiese l’ufficiale italiano di collegamento. “No, non armi o strumenti difensivi: ma patatine, popcorn, coca-cola, le fanno venire dalla loro base di Vicenza, non si fidano di quelle acquistate in loco”. Mi venne da ridere.

La sera era in programma la cena in Prefettura. Una semplice cena? No, Una cena piena di problemi.

Già la mattina si rivelò foriera di angustie: mentre i camerieri stavano approntando i tavoli tondi con finissime tovaglie di pizzo bianco, Andreotti e Fanfani chiesero un caffè. Il solerte cameriere arrivò con il grande vassoio di argento, ma i due Leader presero le tazzine e, senza piattino, le posarono sulla candida tovaglia. La faccia del cameriere (e la mia) sbiancò, ma i danni furono – per fortuna – quasi irrilevanti.

Dal caffè mi distrassero problematiche informatiche e telefoniche.  Dovete sapere (eravamo nel 1987, non c’erano i telefonini) che il Presidente USA, ovunque si trovasse, doveva avere a portata di mano un vero e proprio centralino che gli permettesse, tramite ponte radio con la nave militare alla fonda davanti San Marco, di comunicare con l’intero mondo. Il Palazzo della Prefettura, Cà Corner, costruito a metà del ‘500 su un fabbricato preesistente, era attrezzato più per concerti da camera e balli in maschera che per ospitare sofisticati centralini telefonici. Il bello è che i marines non riuscivano a far funzionare l’antidiluviano modem allora in uso con grande divertimento dell’ufficiale di collegamento italiano che conosceva la soluzione, ma li lasciava friggere per un bel po’. Eppure, per i meno giovani la cosa era banale: bastava aggiungere un ATX3. (Se volete sapere cosa sia cliccate qui). Anche qui gli americani si dimostrarono superbi e ignoranti su qualsiasi tecnologia non fosse la loro.

Vergogna

Il tempo della cena stava arrivando e due episodi mi toccarono: la Sicurezza americana perquisì tutti i presenti, compreso il Prefetto, i funzionari, i poliziotti. Poi chiese chi dei poliziotti fosse armato e ad essi distribuì una strana spilla ottagonale dorata: “Se vedo un’arma in mano a chi non ha la spilletta, spariamo a vista! Se c’è una sparatoria tutti i poliziotti si mettano il berretto in modo da indentificarli!”. Per avere Reagan in Prefettura dovemmo sopportare questa scena vergognosa che mi risparmiai perché – unico ad avere il badge per circolare fuori dalla Prefettura – ero andato, con un motoscafo guidato da un poliziotto a prendere l’allora Presidente della Camera Nilde Iotti.

Il “nuclear football”

Ero il più giovane, masticavo un po’ di inglese e mi fu affidato un compito che si rivelò alquanto complesso. Come sapete il Presidente USA è sempre seguito da un Ufficiale dei Marines che porta la “nuclear football”, ossia la famosa valigetta per attivare i codici delle armi nucleari. Il mio compito era convincere l’alto (in tutti i sensi) Ufficiale a deviare dal suo percorso in scia a Reagan, entrare in una stanza dove, comodamente seduto su un divano del ‘600, rimaneva a contatto con il Presidente, separato solo da un muro di cartongesso e da un’altra porta facilmente apribile. Più facile a dirsi che a farsi. Innanzitutto la distanza verticale: il Marine era alto almeno due metri, io sono alquanto bassino: far arrivare il mio scarno inglese all’orecchio del Marine che comprendeva solo lo slang americano non fu impresa facile. Beh, mi attaccai alla valigetta (che era alla mia altezza) e cominciai a tirare verso la stanza assegnata: ci capimmo con lo sguardo. Ebbi modo di osservare bene la valigetta: bruttarella, una 48 ore di finta pelle avvolta in una copertura di tela grigia come se ne vedono tante ai check-in degli aeroporti. Chiesi se potevo ammirarne l’interno, ma – ovviamente – mi fu negato. Almeno feci amicizia con il gigantesco Marine.

All’inizio tutto filò liscio, tranne un “incidente voluto” dalla Thatcher. Il protocollo le imponeva di arrivare in posizione intermedia ma, si sa, le persone più importanti arrivano per ultime. Chissà perché la Thatcher si sporse un po’ troppo dal bordo del motoscafo che la portava in Prefettura e…. si bagnò il vestito con conseguente cambio di abito e conseguente provvidenziale ritardo che le consentì di arrivare ultima.

La cena iniziò in una atmosfera surriscaldata dai vetri blindati serrati e dall’assenza dell’impianto di condizionamento, vietato in un palazzo del ‘500.

La toilette

E qui inizia l’odissea del bagno, sì della toilette. Un palazzo del ‘500 non ha un numero di bagni sufficiente per tutti: al piano ove si svolgeva la cena c’erano tre bagni. Il primo, inagibile per gli ospiti, era occupato da Fanfani e dalla sua terribile moglie; il secondo era proprio dietro al nugolo di marines che accudivano il centralino di cui ho parlato; rimaneva il terzo, un po’ nascosto, proprio a fianco della stanza dove mi trovavo io.

Gli ospiti avevano una certa età e quando si ha una certa età il ricorso al bagno è piuttosto frequente e visto che l’unico bagno disponile non era proprio in vista, immagino che gli augusti ospiti si scambiassero le necessarie indicazioni per arrivarci. Dalla mia postazione sentivo infatti un discreto viavai fino a che “il telegrafo sena fili” commise un errore. Vedo aprire la porta della stanza nella quale mi trovavo e comparire nienteopodimenoche Ronald Reagan con la mano già sulla patta dei pantaloni a significare l’urgenza della bisogna. Aveva sbagliato porta pensando che quella ove mi trovavo era proprio il bagno. Ci fu un attimo di sorpresa: ci guardammo, ricordo la maschera di cerone del Presidente USA che quella di Berlusconi era da dilettante, ma subito la scena cambiò. I due giganteschi agenti del Secret Service si accorsero che la stanza non era vuota, scostarono Reagan bruscamente, mi si pararono davanti con le armi puntate. Altro momento di sorpresa. Lo sguardo, meglio delle parole, chiarì l’equivoco “Oh, Mr. President, you’re looking for the lavatory, aren’t you? You follow me please, I’ll show you!”. Nell’attesa che Reagan espletasse Ie sue necessità feci amicizia con i due giganteschi marine che mi fecero i complimenti per la location.

I NOCS

La cena volgeva al termine, ma dalla sicurezza giunse l’ordine di ritardare perché c’erano movimenti sospetti sui tetti prospicienti.  Ma c’era anche il personale della Prefettura che doveva rientrare a casa, passando la laguna e non avevano di certo il motoscafo a disposizione. Si era fatta anche una certa ora e per dar loro conforto cerco un orario di traghetti ed autobus che, mi dicono, si trovava in una stanza al piano inferiore. Scendo una scalinata, entro nella stanza e, siccome ara buio, accendo la luce. Un urlo belluino precedette la visione di un NOCS (Nucleo operativo centrale di sicurezza) che, in piedi, tuta nera e mephisto di ordinanza puntava il fucile a cannocchiale attraverso la finestra aperta verso l’esterno: gli avevamo rovinato l’appostamento e la mimetizzazione. Fortunatamente i “movimenti sospetti” si rivelarono innocenti veneziani che, incuriositi dall’evento, cercavano di sbirciare l’interno della Prefettura con i suoi augusti ospiti.

E Nakasone?

Come Dio volle la stressante cena finì. Noi superstiti, stanchi, affamati (non avevamo mangiato nulla) cercavamo gli avanzi; qualcuno, stravaccato su di una poltrona, fumava la sua agognata sigaretta, prima vietata. Anche io ero seduto su un puff addentando un tramezzino quando una gentile mano guantata di bianco mi fece toc toc sulla spalla. Mi giro e un compunto giapponese, in perfetto italiano mi disse “Mr. Nakasone vorrebbe sapere se può andar via e se il suo motoscafo è pronto”. Ce lo eravamo dimenticato! Certe volte mi sorprendo: faccio un rapido calcolo: Sì, Nakasone è l’ultimo dei sette Grandi ad andare via, così come l’onnipotente Protocollo aveva deciso; i motoscafi si accostavano alla banchina nello stesso ordine; quindi – se il diavolo non ci aveva messo ancora una volta lo zampino – il motoscafo di Nakasone era giù a dondolarsi in laguna attraccato al molo. “Certo che Mr. Nakasone può andare via. Il suo motoscafo lo sta aspettando nel medesimo luogo in cui l’ha lasciato. Ora l’accompagno”. Superando gli innumerevoli ringraziamenti a mani giunte tipici dei nipponici mi dirigo verso Nakasone, lo invito a scendere, con la sua scorta e i suoi sherpa per lo scalone e mi precipito, per una scaletta di servizio a controllare che tutto fosse a posto. Mi ritrovo con Nakasone come se nulla fosse al bordo del motoscafo, lo aiuto a salire e lo saluto affettuosamente. Era veramente finita.

I fogli dei posti a tavola

Dovete sapere che una cosa complicata è stabilire i posti a tavola: Di solito si parte dal Padrone di casa e poi, alternativamente a destra e a sinistra, vengono posti i commensali secondo l’ordine alfabetico internazionale dei Paesi che rappresentano. Ma stavolta il pranzo del giorno dopo era un po’ più complicato e l’ordine a tavola subiva qualche eccezione secondo gli affari bilaterali da discutere.

La posizione al tavolo per la colazione di lavoro che si sarebbe dovuta svolgere all’isola di San Giorgio alla Fondazione Cini fu stabilita dagli sherpa durante la cena in Prefettura della sera prima.

Noi eravamo tranquilli: la colazione di lavoro all’isola di San Giorgio era sotto l’egida del Cerimoniale Diplomatico degli Esteri e a noi sarebbe toccata una giornata di riposo, salvo imbarcare Fanfani che alloggiava in Prefettura e accontentare la terribile moglie che ne aveva sempre una.

Ma……qualcosa andò storto. Telefonata concitata: all’isola di San Giorgio non riuscivano a trovare il foglio dei posti a tavola. Era rimasta una copia in Prefettura? Da portare velocemente all’isola che la colazione stava per iniziare. La copia c’era. La prendo, faccio un cenno ad un motoscafista e mi ritrovo, in barba a tutti i limiti di velocità lagunari, in una corsa sfrenata nel bacino di San Marco sollevando nuvole d’acqua con il mezzo nautico. Arrivo al pontile di San Giorgio, salto giù, corro dentro la Fondazione Cini verso la sala da pranzo quando una montagna mi si abbatte sulle spalle. Prima che tutto diventi nero faccio a tempo a consegnare il prezioso foglietto ad un funzionario degli Esteri e vedere la faccia rubiconda di una delle guardie del corpo di Reagan che mi aveva salutato con una pacca sulle spalle usando quell’arma impropria della sua mano.

Mi riprendo insegnando alla squadra del secret service come si fa un vero spritz alla veneziana.

Il ritorno in motoscafo in prefettura fu dedicato a sincronizzare le onde della laguna con l’ondeggiamento dovuto alla leggera sbronza.

Cossiga, il rovinapiani.

Finalmente arriva l’ultimo giorno. E, nell’ultimo giorno è tradizione che il Capo dello Stato offra un pranzo agli ospiti stranieri che si sarebbe svolto in un Grande albergo sul Canal Grande. Alle dieci, il Presidente Francesco Cossiga si presentò in Prefettura dove lo attendevano il Presidente del Consiglio dei Ministri Fanfani ed il ministro degli esteri Andreotti. I tre motoscafi per le tre personalità erano già pronti attraccati alla banchina della Prefettura. Ma Cossiga, al solito, aveva altri piani. Entrò nella sala dove lo attendevano Andreotti e Fanfani sventolando i quotidiani del giorno che titolavano sulle proteste dei veneziani stufi di vivere in una città blindata dalle forze dell’ordine italiane e straniere. Con il suo simpatico accento sardo, arringò i presenti: “Basta, non si può continuare così, i veneziani hanno ragione, non ci sono pericoli imminenti, diamo un esempio ché fra poco ci sono le elezioni. Sono solo 200 metri, è una bella giornata di sole, ANDIAMO A PIEDI!!!”; prese sottobraccio Fanfani ed Andreotti e si diresse, spedito, verso le scale.

Altro che “Houston, abbiamo un problema!”: Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Ministro degli esteri soli per le affollate calli di Venezia senza protezione, visto che quell’itinerario non era contemplato!!! Allarme Rosso!!!!

La solita ripida scaletta di servizio mi fece guadagnare metri preziosi rispetto l’augusta discesa per lo scalone d’onore preso dal trio.

Arrivati trafelato alla prima pattuglia, mi qualificai e li pregai di diffondere via radio la notizia del passaggio dalla prefettura al grande albergo del trio di Stato e di “proteggerli”. Fortunatamente il tragitto era molto breve e la sorpresa dei veneziani fece il resto. Il Trio VIP arrivò sano e salvo al Grande Albergo.

Epilogo

Tutto sommato il Vertice andò molto bene, lontanissimo dai fattacci di Genova e dalle contestazioni in altri Stati, non ci furono incidenti, salvo una barca di Mario Capanna che voleva tenere un comizio elettorale nell’isola di San Giorgio e alcune lamentele dei poliziotti e carabinieri che si lamentavano per il ritardo del cambio turno.

Anche se giovane, imparai molto e feci molto e soprattutto….. mi divertii parecchio.

Un Insegnamento? Mai fidarsi a lasciare un incombenza ad altri: chi fa da se fa per tre.

Mi ricordo montagne verdi e le corse di una bambina

Con gli amici miei più sinceri, dei caini dal cuore vero.

Poi un giorno Mi ricordo che in TV dissero che in un lontano Paese un nuovo virus stava facendo strage.

Mi ricordo che ero a New York, sorseggiando un whisky a casa di mia cugina parlando delle primarie americane quando “Breaking News”, il Presidente Trump irruppe nello schermo per dire che il “virus cinese” sarebbe arrivato anche negli USA e che stava pensando di chiudere presto i voli con i Paesi più colpiti, fra i quali l’Italia.

Mi ricordo che riuscii a rientrare tre giorni prima che chiudessero i voli con la paura di infettarmi a bordo dell’aereo.

Mi ricordo che trovai un mondo completamente diverso da quello che avevo lasciato; non faccio a tempo a disfare i bagagli che parole nuove come lockdown, mascherina, tampone, goccioline, aerosol cominciano a circolare velocemente come il virus e diventano familiari.

Mi ricordo che la mia prima mascherina mi fu data da una amica che cucì a macchina strisce di un vecchio lenzuolo a tre strati in modo da poterci infilare dentro la carta assorbente ed elastici da ufficio per appoggiarla sulle orecchie.

Mi ricordo che gli svaghi abituali divennero un tabù, palestre, cinema, teatri, finanche il caffè al bar fu proibito.

Mi ricordo che c‘erano file di auto i cui occupanti aspettavano fino ad otto ore per un tampone.

Mi ricordo che il ricordo dei miei tanti viaggi era, ormai solo un ricordo.

Mi ricordo le furtive uscite nell’immediato circondario per approvvigionarsi di frutta e verdura; i guanti in nitrile che, come le mascherine, non si trovavano, le mani screpolate dall’Amuchina, anch’essa introvabile.

Mi ricordo che trovai su Google la “ricetta” dell’Amuchina e la preparai in casa come un “piccolo chimico”.

Mi ricordo le disinfezioni totali appena tornato a casa.

Mi ricordo che il modulo dell’autocertificazione che cambiava ogni due settimane.

Mi ricordo che si faceva incetta di farina e di lievito (introvabile): tutti cuochi, oltre che tutti virologi

Mi ricordo che il pomeriggio si usciva sui balconi a cantare ed applaudire chi, come medici ed infermieri combatteva negli ospedali a mani nude, si infettava e moriva.

Mi ricordo che alle 17:00 il buon Borrelli alla TV, ogni giorno snocciolava numeri e cifre che salivano e scendevano aumentando la confusione: ancora non eravamo esperti dei saliscendi dovuti ai giorni della settimana.

Mi ricordo che chiunque avesse una qualche competenza su virus e affini passava le giornate ad essere intervistato in TV.

Mi ricordo che si formavano i partiti pro o contro Galli, Crisanti, Burioni, Capua, Viola, Bassetti, Pregliasco.

Mi ricordo che – per parlare con qualcuno – tutti imparammo ad usare nuovi mezzi di comunicazione: Zoom, Meet divennero familiari con le tante teste nello stesso schermo.

Mi ricordo che, a maggio, fu una emozione riprendere lo scooter e andare in centro, bardati di tutto punto, con guanti e mascherina ma felici di quella “piccola libertà” che ci era stata concessa.

Mi ricordo che in estate avemmo l’illusione che la “Grande Paura” fosse passata: “non ce n’è di coviddi”, una estate quasi normale.

Mi ricordo che già a ferragosto, i “reduci dalle discoteche” furono indicati come i nuovi untori e dal ritrovato paradiso si tornò nell’inferno e, stavolta, non solo in Lombardia e Bergamo. La gente moriva anche qui a Roma e nel Sud.

Mi ricordo che “Tizio ha il Covid” non era una condanna a morte, ma ci andava vicino.

Mi ricordo che tornò nelle edicole e nelle librerie aperte “Spillover” di David Quammen.

Mi ricordo che le feste più sentite, Natale, Capodanno, le passammo da soli in casa, al massimo uniti da Zoom.

Mi ricordo che il nuovo anno portò nelle case la speranza del vaccino.

Mi ricordo che ogni Regione fece di testa sua aumentando la confusione: in alcune si veniva chiamati con appuntamento non modificabile anche in città diversa da quella di residenza, in altre si sceglieva data, vaccino, e luogo a la carte.

Mi ricordo che ci fu la corsa a Pfizer e la ripulsa di Astra Zeneca, vittima di una battaglia commerciale e di “effetti collaterali” mai dimostrati.

Mi ricordo che la confusione sui vaccini aumentò molto per le catalogazioni assurde usate dai medici per gli “effetti avversi” dei vaccini: nel numero totale erano compresi anche il mal di testa, la dolenzia al braccio, qualche linea di febbre.

Mi ricordo che sorse il partito dei no-vax che in nome di una presunta libertà di cura contribuirono a diffondere il virus e, soprattutto, ad intasare gli ospedali sottraendo posti a chi aveva bisogno di cure urgenti oncologiche, per incidenti o altre malattie gravi. Movimento presente in tutto il mondo.

Mi ricordo che, ad Aprile 2020, quando si moriva tanto, avevamo 5.000 casi al giorno e 700 morti, a novembre 2020 ne avevamo 34.000 al giorno e lo stesso numero di morti. Nell’aprile scorso, a fronte di 70.000 casi giornalieri, “solo” 170 morti giornalieri. La differenza l’ha fatta il vaccino.

Mi ricordo che gli stessi no-vax, quelli che proprio non potevano sostenere la nocività del vaccino, in nome di una presunta discriminazione, diedero vita al movimento dei no-greenpass, con rivolte, manifestazioni a cui si unirono intellettuali o pseudo tali, personaggi in cerca di notorietà, persone che pensavano di avere solo loro la verità, che, dal loro ricco salotto, disquisivano, in punta di diritto se le misure restrittive violavano la costituzione o no.

Mi ricordo che le dispute da pollaio facevano audience e in TV c’erano solo i duelli fra pro e conto il vaccino, pro o contro il green pass.

Mi ricordo che a dicembre ci fu una nuova mutazione del virus, proveniente dal Sudafrica, chiamata Omicron. Pensavamo fosse una nuova batosta, fu un regalo di Natale; molto più contagiosa, ma non riusciva ad arrivare ai polmoni, si fermava ai bronchi, niente più polmoniti interstiziali.

Mi ricordo che da Gennaio in poi, la variante Omicron reinfettava i guariti ed anche chi aveva fatto tre dosi di vaccino ma, per le persone senza gravi patologie, si risolveva come o poco più di un banale raffreddore.

Mi ricordo che, fortunatamente, arrivò il tempo di eleggere il Presidente della Repubblica.

Mi ricordo che l’elezione fu alquanto travagliata e, nei talk show, i presunti virologi e i presunti costituzionalisti si trasformarono in cultori della politica e dei rapporti fra partiti. Il Covid passò in secondo piano.

Mi ricordo che, a febbraio, la Russia invase l’Ucraina. Tutti i virologi, poi trasformatisi in costituzionalisti, si trasformarono in massa in geopolitici. Del Covid i TV non parlò più nessuno.

Mi ricordo che ….. ho ricominciato a sognare Montagne verdi.

Mi ricordo la prima nuova vera escursione con i vecchi amici caini dal cuore vero.

Spenti i clamori della vittoria italiana agli europei di calcio con le inevitabili code polemiche per la sfilata degli azzurri per le vie di Roma con tanto di assembramenti, voluta ed ottenuta da Bonucci e Chiellini contro il parere delle Forze dell’Ordine (resa dello Stato), mi piace ricordare un articolo del New York Times dell’11 luglio a firma di Jason Horowitz.

Il giornalista, partendo proprio dalla vittoria ai campionati europei, sostiene che il calcio è stata proprio la ciliegina sulla torta della rinascita italiana dopo il Covid.

Nella stessa domenica, Matteo Berrettini è stato il primo italiano a conquistare la finale del torneo di tennis di Wimbledon e, contro Jokovic, non ci ha fatto una brutta figura; le atlete e gli atleti italiani under 23 hanno brillato ai campionati di atletica di Tallin; Papa Francesco, all’Angelus dalla finestra del Gemelli ha magnificato il sistema sanitario italiano. A questi eventi dell’ultima domenica, Horowitz aggiunge la vittoria dei Maneskin alla competizione canora europea ed il fenomeno di Khaby Lame che raggiunto una notorietà planetaria.

Tutto ciò in una cornice di rilancio economico (le previsioni di crescita sono le più alte dell’Eurozona) e di simpatia de partner europei e delle istituzioni comunitarie che, tutti – compresi gli scozzesi e i gallesi – hanno tifato Italia alla finale di Wembley.

Siamo, insomma, circondati da una vasta atmosfera di viva simpatia e curiosità (gli articoli che parlano dell’Italia sulla stampa estera sono aumentati di molto e, nella maggior parte sono positivi) dovuti – forse – al cambio di passo che ha segnato la fine della lunga agonia del Governo Conte II e l’inizio sprint dell’attuale Governo guidato Mario Draghi, la figura italiana più apprezzata nei palazzi europei e mondiali che contano. Pochi si aspettavano gli ultimi dati positivi dell’economia e l’ottimo andamento della campagna vaccinale, a dispetto della continua carenza di dosi di vaccino e i salti acrobatici della comunicazione sul vaccino di Astra Zeneca.

Non sempre i giornalisti sono così teneri con una Nazione. Per esempio, Barney Ronay, sull’inglese Guardian stigmatizza la pessima reazione inglese alla sconfitta. «L’Inghilterra come nazione, non come squadra, deve guardarsi dentro». Perché, scrive Ronay, è successo di nuovo: «I cancelli di Wembley sono stati sfondati, gli inni fischiati, gli steward spintonati, i murales sfigurati (quello di Manchester dedicato a Marcus Rashford, uno dei tre ad aver sbagliato il rigore, ndr), il razzismo messo in mostra sui social media». Più un vario contorno di vandalismi e violenza contro chi o cosa sapeva d’Italia.

Non sarà stata una bella scena nemmeno quella dei calciatori inglesi che si sfilavano la medaglia dal collo come se scottasse più della sconfitta, ma una parte dei loro tifosi ha fatto decisamente di peggio. «C’è un’ovvia conclusione da trarre — scrive Ronay — dai meschini insulti verso i giocatori inglesi di colore. Chiaramente c’è un gruppo di persone, in questo paese, che deve essere identificato, censurato e costretto, a meno di qualche illuminazione divina, a tacere». Ronay è convinto che i signori delle piattaforme social potrebbero farlo senza troppa fatica, se soltanto volessero. Ma questo è soltanto un lato del problema. L’altro è la necessità di «fare un inventario onesto e completo di un Paese in cui il razzismo e il teppismo sono ormai normalizzati per tanta gente».

Certo, Ronay ammette che «è sempre stata un’idea sbagliata che la giovane e bella squadra di Southgate potesse in qualche modo “unire” una nazione che ha profonde divisioni strutturali e sociali. Il calcio è soltanto calcio. Vincere delle partite non è una scorciatoia per l’educazione, la decenza e una leadership adeguata altrove». Ma il mondo del calcio, a suo avviso, sta facendo troppo poco e la politica sa facendo troppo, ma in male. È quasi impossibile trovare un giornalista del Guardian che non detesti Boris Johnson e Ronay non fa eccezione: «Un primo ministro che ha fatto più di ogni altra persona in Gran Bretagna per generare divisione e stupidità, ha spedito un messaggio per condannare la divisione e la stupidità. Una ministra dell’Interno (Priti Patel, ndr) che usa una retorica cinica e divisiva si dice “disgustata” che qualcuno l’abbia presa sul serio».

Insomma, come Italia, stiamo vivendo un periodo “up”, vediamo di non sprecarlo. Siamo attesi a sfide molto difficili: la spendita dei soldi del Recovery Fund, la lotta alla Pandemia del Coronavirus, la ripresa dell’economia e quella dei licenziamenti via Email.

Invece la politica si dilunga in sterili polemiche sull’agonia di una partito che, pure, fu maggioritario nel 2018 oppure su argomenti-bandiera, di elevatissimo valore ideale, ma di scarso appeal sulla gran parte della popolazione.

E’ di oggi l’ultima polemica sul Green Pass dopo la presa di posizione del Presidente francese Macron. Sinistra e Forza Italia si dicono favorevoli a limitare l’accesso ai servizi (treni, ristoranti, cinema) ai soli titolari di un documento che attesti la loro vaccinazione o, comunque, la loro negatività al virus. La destra sovranista e novax, ovviamente è contraria: per loro deve essere tutto aperto e non si può andare contro gli interessi degli esercenti e ristoratori; non si rendono conto che – passata la sbornia della riapertura – prevarrà, nei clienti, la paura di trovarsi accanto un positivo asintomatico con conseguente calo delle presenza e degli incassi.

Abbiamo già passato, esattamente un anno fa questo periodo; potevamo farne tesoro, invece l’abbiamo sprecato al grido di “NON CE N’E’ COVIDDI!!” e ci siamo ritrovati tutti più chiusi e più poveri.

Speriamo di non dover ripetere, ancora una volta, “Quem Iuppiter vult perdere dementat prius!

Da ieri possiamo non indossare la mascherina quando siamo all’aperto ed almeno ad un metro da altre persone.

Come è semplice questa frase. Lineare. Un precetto semplice da seguire. Hmmm, mica tanto. Ieri e oggi ci avete provato? Allora condividete la mia esperienza, alquanto faticosa.

La mattina mi alzo, come al solito. Dopo le abluzioni mi accingo ad uscire per recarmi al lavoro o per altre attività. Apro la porta di casa e mi trovo in uno spazio chiuso, il pianerottolo condominiale. Devo mettere la mascherina, specialmente se prendo l’ascensore. Esco dal portone e posso toglierla. Colazione al bar. Mi siedo al tavolino e ordino il cappuccino e cornetto mattutino: li consumo come al tempo in cui il COVID-19 era sconosciuto. Entro nel bar per pagare; spazio chiuso: devo indossare la mascherina. Ma, alla cassa mi viene voglia di un altro, rapido, caffè; mi avvicino al bancone e, per sorbirlo, mi abbasso la mascherina. Esco dal bar e me la tolgo fino alla stazione del bus o della Metro. Per salire sul mezzo di trasporto devo rimetterla.

In Ufficio devo tenerla o posso toglierla? E’ un luogo chiuso, dovrei tenerla, ma se ho la fortuna di avere una stanza tutta per me, potrei toglierla, almeno fino a che non entra qualcun altro.

Ho il frigo vuoto. Chiedo mezz’ora di permesso e vado a fare la spesa. Per strada cammino senza mascherina, appena entro nel supermercato devo rimetterla. E al mercato rionale? Luogo di assembramento, specialmente vicino ai banchetti. Dovrei indossarla.

Basta, questo è solo l’inizio della giornata, vi lascio immaginare come prosegue.

E, in tutto questo, per mettere e togliere la mascherina, la tocco infinite volte. Nulla di pericoloso, a patto di non mettere le mani in bocca.. o nel naso… o negli occhi.

Sì, all’aperto è molto molto difficile contagiarsi, ma che fatica seguire le regole. Eppure queste regole, oltre ai vaccini, ci hanno consentito di abbattere drasticamente il numero di contagi.

Vedremo come andrà a finire.

Uno dei casini più grossi dell’Italia – l’abbiamo viso durante la pandemia – è l’arcano del riparto delle competenze fra Stato e Regioni disposto (ma sarebbe meglio dire lasciato nell’indisposto) dalla riforma del “titolo quinto della Costituzione” voluto dalle leggi 1/1999 e 3/2001 che riformano l’ambito di competenza fra Stato e Regioni.

Leggi sciagurate, volute da un Governo di Sinistra per scongiurare i colpi del federalismo d Bossi e di quello che , allora, era la Lega, che hanno creato un immenso contenzioso su conflitti di competenza davanti alla Corte Costituzionale lasciando il sistema normativo italiano nel limbo dell’imponderabile.

Ricordiamo tutti il conflitto (o lo scaricabarile) fra Stato centrale e Regione Lombardia sulla competenza a chiudere in “zona rossa” i comuni della bergamasca nel marzo del 2020.

Ricordiamo tutti i continui conflitti fra le Regioni  (del nord a trazione leghista) che vogliono – attente agli interessi  degli imprenditori – aprire le attività economiche e il Ministro della Salute che- invece – tende a chiudere per evitare contagi.

Sappiamo bene che – spesso – la richiesta aperturista delle Regioni è solo di facciata, per acquisire consensi, ma – dietro le quinte- è una richiesta di chiusura.

Sappiamo bene che la Corte Costituzionale, unico Organo titolato ad esprimersi – manca di coraggio e non ha mai dato una interpretazione univoca e definitiva sul confine delle competenze fra Stato e Regioni.

Però….però.. qualcosa si muove. Bisogna guardare nelle “premesse” e non nel Dispositivo, ma la Corte Costituzionale, nel merito si è pronunciata.

Con Ordinanza n. 4 del 14 gennaio 2021, la Corte costituzionale – nel conflitto fra un provvedimento di chiusura di esercizi pubblici per evitare contagi di Coronavirus  e l’impugnativa della Regione Val d’Aosta – accoglie le ragioni dell’avvocatura di Stato e che fa proprie e ritiene:

  • che infatti la pandemia in corso ha richiesto e richiede interventi rientranti nella materia della profilassi internazionale di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera q), Cost.;
  • che sussiste altresì «il rischio di un grave e irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico» nonché «il rischio di un pregiudizio grave e irreparabile per i diritti dei cittadini» (art. 35 della legge n. 87 del 1953);
  • che difatti la legge regionale impugnata, sovrapponendosi alla normativa statale, dettata nell’esercizio della predetta competenza esclusiva, espone di per sé stessa al concreto e attuale rischio che il contagio possa accelerare di intensità, per il fatto di consentire misure che possono caratterizzarsi per minor rigore; il che prescinde dal contenuto delle ordinanze in concreto adottate;

Anche se non nel dispositivo, la Corte Costituzionale si è pronunciata nel senso di attribuire – per tutto ciò che riguarda la pandemia causata dal Coronavirus – allo Stato la competenza predominante per gli atti e le norme volte a contrastare la pandemia stessa.

Se ben sfruttata, questa ordinanza è un viatico per il Governo nazionale ad essere più deciso nella sua azione ed uno stop alle Regioni per il loro sporco gioco di essere aperturisti di facciata e prudenti nel privato.

Dall’otto dicembre dello scorso anno è stato attivato il cosiddetto cash back di Stato. Una iniziativa a metà fra la lotteria ed il rimborso spese per la quale, fino al giugno 2022 sono stati stanziati oltre quattro miliardi di euro.
Come tutti sappiamo, per partecipare, bisogna registrarsi tramite SPID o “carta d’identità digitale” (CIE) sulla piattaforma IO e relativa App. Poi è necessario inserire il numero delle carte di credito che si intende usare e anche  del Bancomat (questo due volte se la carta di debito è anche abbinata ad un circuito di carte di credito come Maestro o simili).
Dopo qualche incertezza iniziale ora il sistema funziona bene, ma lo scopo di questo post è capire se ne vale la pena.
Innanzitutto io ritengo che il cash back (peraltro ideato molto prima della pandemia) non è un incentivo a spendere tour court, bensì un incentivo a mutare il sistema di pagamento: dal contante alla carta di credito.
Indubbiamente è una cosa positiva: i pagamenti sono tracciabili, si diminuisce l’evasione fiscale e, una volta al mese, l’estratto conto spietatamente ti rinfaccia tutte le spese, utili e inutili che siano.
Altro effetto utile, anche se “collaterale” è l’impennata di italiani registrati al Sistema di identità digitale (SPID) ormai indispensabile per accedere a numerosi siti della pubblica amministrazione.
Questi i lati sicuramente positivi.
Ma la maggior parte si è registrata su IO per il cash back non tanto per quello che ho scritto sopra, bensì per il “vil denaro” da guadagnare.
Che, riflettendoci, non è poi tanto quanto si potrebbe immaginare.
Se si oltrepassa lo sbandierato slogan della restituzione del 10% di quanto speso, i soldini che si vedranno saranno pochini.
Il meccanismo del rimborso ha un doppio paletto.
Primo: su ogni spesa il rimborso sarà del 10%, ma solo fino ad una spesa di 150 euro. In altre parole, se fai un acquisto di 150 euro o di 850 euro, al massimo ti saranno accreditati 15 euro.
Secondo paletto: per ogni semestre di riferimento, il massimo rimborso non potrà superare, nel totale, 150 euro. In altre parole, se – ne semestre – hai totalizzato 10 acquisti da 150 euro ciascuno, hai già totalizzato il massimo del rimborso. Oltre non puoi andare. E, comunque, per avere anche un minimo rimborso, devi effettuare, nel semestre, almeno 50 transazioni “fisiche” (quelle on line, su Amazon o simili, non valgono).
C’è anche il Supercashback, che premia con 1.500 euro i primi 100.000 utenti che, nel semestre, abbiano totalizzato il maggior numero di transazioni, indipendentemente dal loro importo.
1500 euro sono una bella cifra e, all’apparenza, 100.000 premiati al semestre sembra un numero abbastanza semplice da raggiungere.
Non ne sarei tanto sicuro.
Io uso, in media, la carta di credito (o bancomat) più di una volta al giorno, ma l’app IO mi dice che davanti a me ho oltre 1.350.000 utenti che l’hanno usata più volte di me. (Come hanno fatto non so, forse – d’accordo con gli esercenti – spezzettano gli acquisti.) Quindi anche usando la carta di credito quasi due volte al giorno nessuna possibilità di prendere il premio di 1500 euro.
Insomma bisognerà accontentarsi di 150 euro a semestre (450 euro in tutto, più quello che si è riuscito a totalizzare con il cash back di Natale).
Basta non farsi prendere dalla “fregola” di salire ad ogni costo in classifica facendo acquisti inutili che vanificano il massimo rimborso di 150 euro a semestre.

Il link alle “istruzioni ministeriali” è qui:
https://io.italia.it/cashback/


Sempre che il “concorso” continui. Pare che lo interromperanno a fine giugno 2021 per destinare i fondi dei due semestri successivi ai “ristori” per le categorie danneggiate dai provvedimenti restrittivi per contenere la pandemia da Covid-19.

Oggi è il secondo giorno dell’anno, il secondo giorno di gennaio. Le “feste” son passate ma non del tutto. Lo strascico si sente e, poi, deve ancora venire la befana. Questi primissimi giorni di gennaio li ho sempre chiamati “giorni bianchi“.

Bianchi perché non hanno una loro precisa definizione.

Bianchi perché sono come una intera pagina ancora da scrivere.

Bianchi perché, in genere non si hanno programmi, vanno come vengono.

Bianchi perché arrivano dopo una settimana di feste e precedono l’ultima che tutte porta via.

Bianchi perché, dai tempi della scuola, sono giorni liberi, forse vuoti. 

Bianchi perché, se lavori, tendi a prenderli come ferie, non per fare qualcosa, come a ferragosto, ma per stare. Per stare a casa, per stare con i parenti, per stare senza far niente.

Quest’anno sono bianchi bianchi. Si è aggiunto il Covid, zona rossa, hanno detto. Niente cenoni, niente veglioni. Una fugace visita, Un ospite forse illegale, una rapida presenza.

Solo, “ho rimasto solo” come il titolo di una canzone degli anni sessanta. Prendi un libro, ma poi pensi. Pensi a te stesso, pensi a quello che avresti potuto fare e non hai fatto, non perché piove, ma perché…..

Allora ripieghi sulle piccole cose, vai a rivedere quella ricetta che non ti è chiara, ma che non farai mai; prepari un piatto diverso dai soliti croccantini per il tuo gatto.

Rivedi persino le istruzioni della lavatrice che hai comprato sei anni fa e non hai mai letto; o il ponderoso libretto esplicativo dei due flash che hai comprato per la macro fotografia alla quale sai che mai ti applicherai.

C’è la TV, c’è internet, pallidi palliativi per riempire la noia di questi giorni bianchi. Anche il tran tran dei giorni gialli, arancioni e rossi sembra più eccitante.

Il 7 gennaio arriverà presto. Il tuo calendario interno ricomincerà ad essere in sincrono con quello appeso al muro e la vita ricomincerà a correre, lasciando ai giorni bianchi solo la nostalgia per un tempo di cui potevi appropriarti e non l’hai fatto.

Caro Governo, Cari Ministri, Caro Commissario straordinario, Cari Presidenti di Regione,

oggi è il primo giorno del nuovo anno. Nella speranza di tutti, se il 2020 è stato l’anno della pandemia del Coronavirus, questo nuovo anno dovrà essere l’anno del vaccino, l’anno della riscossa.

A parte le castronerie dei no-vax, già qualcosa di non proprio positivo si vede nella più grande campagna vaccinale mai organizzata al mondo: un vaccino dato sulla linea del traguardo deve, invece, fare un altro giro perché l’EMA e la FDA non lo “certifica”, eppure uno Stato, fino a ieri appartenete all’Unione europea, lo usa già. Si era detto che gli acquisti dei vaccini sarebbero stati centralizzati dall’Unione europea, eppure almeno uno Stato Membro ha fatto un acquisto ulteriore di dosi.

A quanto ho capito ogni Stato decide in piena autonomia la lista di priorità per vaccinarsi e, in Italia, ogni Regione farà lo stesso.

Ho avuto modo di leggere, sul sito del Ministero della Salute, il “Piano per la vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19”. Il “Piano” inizia bene, ma poi si perde abbondando in “tempi futuri” e in “tempi condizionali” non rispondendo ai legittimi quesiti che i tutti i cittadini in questi giorni si pongono.

Le linee guida, per la prima fase sono condivisibili e oggettivamente giuste: prima chi, per lavoro, è a contatto con il virus, ossia operatori sanitari e medici, poi i soggetti più fragili che tanti morti hanno finora sofferto, anziani ospiti nelle RSA e ultraottantenni (che, come indicato dal piano sono già 4 milioni e mezzo, una bella cifra). Tutte categorie ben determinate, scelte per la pericolosità dell’impegno e per l’età avanzata.

Il lavoro da compiere è immane: raggiungere, secondo alcuni criteri (quali?), TUTTI i quasi sessanta milioni di italiani, raggiungerli due volte, dir loro dove andare a vaccinarsi e quando.

Infatti, subito dopo le categorie più protette, il piano si fa più fumoso: chi viene dopo? Gli ultrasessantenni (un bel numero, 13 milioni e mezzo)? Le persone con comorbilità cronica (7 milioni e mezzo)?  Le forze dell’ordine? I professori? Gli studenti che nel tragitto scuola casa si infettano e contagiano a casa, genitori e nonni?

Questo per categorie che, come afferma il Piano, non sono “mutualmente esclusive”, ossia ci può essere un ultrasessantenne con patologia diabetica.

Non mi permetto di chiedere una tempistica precisa: so che dipenderà dall’arrivo e dalla quantità dei vaccini, ma – ritengo – che i cittadini debbano conoscere da chi li governa se e come sono state precisate le modalità di composizione delle liste di priorità nelle vaccinazioni.

Saranno i “medici di base” a compilarle premettendo quelli con patologie? Sarà il Servizio Sanitario nazionale che, solo in base all’anzianità anagrafica, chiamerà (e come?) i cittadini alla vaccinazione indicandone le due date ed il luogo? Bisognerà prenotarsi?

 Ognuno di questi metodi comporta una delicata ed attenta pianificazione.

Ma non tutti hanno familiarità e confidenza con i medici di base. Ma non tutti sono registrati con telefono o Email al Servizio Sanitario Nazionale, pochissimi sono iscritti al Registro sanitario elettronico.

Anche se – per le ragioni di cui sopra – penso sia ora impossibile conoscere con precisione il “quando”, è indispensabile che la classe politica e/o amministrativa descriva nei particolari fin d’ora il “come” vaccinerà il circa 60 milioni di cittadini che non sono sudditi che possono essere lasciati in ignorante attesa.

Insomma la domanda è questa: come saranno compilate le liste di vaccinandi? Come avverrà il contatto fra la Sanità pubblica e il cittadino? Chi e come dirà al cittadino quando e dove andare per assumere il vaccino?

Qui il Piano per la vaccinazione è molto, troppo fumoso. Manca di notizie certe e di trasparenza.

 Sul sito di Palazzo Chigi è stato attivato un contatore dei vaccini inoculati, censisce il passato, quanti sono stati vaccinati (e, al 31 dicembre, 17.000 vaccinati su 450.000 dosi di vaccino consegnate non mi sembra un risultato brillante) ma non risponde alla domanda posta.; fornisce solo il totale delle persone già vaccinate distinte per età, sesso e regione. Nulla sul futuro. Nulla su quante e come saranno vaccinate le prossime persone.

Un silenzio, la mancata rapida risposta a queste domande che ormai tutti i cittadini si pongono, potrebbe ingenerare la convinzione che chi deve provvedere non ha la minima idea di come fare e l’unico suo progetto è spendere soldi per le “primule” o, nella confusione, precostituire corsie preferenziali per i “soliti noti”, come è già successo in Campania.

Non vogliamo frasi generiche, tipo “ci saranno XXX punti di vaccinazione”, vogliamo sapere dove sono, quali sono le priorità decise nelle liste e come tali liste verranno confezionate.

Fateci un primo regalo. Una chiara, esaustiva, pubblica risposta.

Stupiteci con una chiara ed efficace comunicazione!!

Con i migliori auguri per il nuovo anno e di buon lavoro.

Grazie per l’attenzione

Se mi chiedessero di definire l’anno 2020 con una sola parola non avrei dubbi. Non certo per distinguermi dai titoloni di giornali di questi giorni “2020, anno disgraziato” oppure “2020, anno sventurato”, per non dire “di merda”, io ho un’altra parola. Non dimentico certo i 70.000 morti, le centinaia di attività imprenditoriali spazzate via, i nuovi poveri, etc. etc. ma su questi temi sono piene le pagine dei giornali. Non mi va di ripetere concetti sui cui i migliori giornalisti si sono espressi molto meglio di quello che posso scrivere io. Dando per assodato i lutti e le disgrazie che questo 2020 ha portato e che hanno tutta la mia attenzione, il mio sentimento e il mio cordoglio, io definirei il 2020 un “anno interessante”.

Sì, interessante, perché ha portato alla luce molti aspetti nascosti del nostro “io” nascosto, dei nostri comportamenti, dei nostri comportamenti. Cosa ci lascia questo 2020?

Non c’è un punto preciso da dove cominciare. Sono tutti connessi con il pensiero dominate rivolto al Coronavirus che ha dominato, senza rivali, l’intero anno.

Abbiamo cominciato presto, a gennaio, con le cronache che riportano notizie da un paese, la Cina, e da una città, Wuhan, che la maggior parte di noi non aveva mai sentito nominare, anche se ha oltre 8 milioni di abitanti ed è uno delle principali città di quell’ancor misterioso Paese. Ancora “abboffati” dalla fine delle festività di fine 2019 abbiamo appreso che a Wuhan si era sviluppato un virus misterioso, molto potente che uccideva o faceva ammalare molto gravemente i suoi abitanti.

Ma era un Paese lontano e anche il perentorio avvicinarsi della malattia sortì solo un impeto di orgoglio: due turisti cinesi trovati positivi al nuovo virus furono subito scoperti ed isolati a Roma. Ok, trovati ed isolati. Come siamo bravi!!!! Tutto OK, ci permettiamo anche di andare a prendere i nostri connazionali in Cina e riportarli qui, una novella Dunkerque, conclusa con grande successo. Una pietra sopra e non pensiamoci più. Non pensarci più fino alla tragica notizia proveniente da un paesino sconosciuto del Nord, Codogno. Da lì in poi i fatti sono noti e non mi ci dilungo.

Mi soffermo invece sulle conseguenze di questi fatti. Il 7-8 marzo si chiude la Lombardia. Il 9 marzo il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte firma il primo provvedimento di chiusura generale. Il primo lockdown italiano. Una esperienza unica. Mentre, soprattutto nel Nord, in Lombardia e nel bergamasco, nostri concittadini a centinaia venivano ricoverati o ,peggio, morivano in solitudine, senza una carezza dei parenti, nel resto d’Italia ci siamo trovati chiusi in casa per due mesi. Autorizzati ad uscire solo per necessità di spesa alimentare o salute. Negozi chiusi. Abbiamo sperimentato anche l’autocertificazione, modulo, alle prime un po’ ballerino, dove riportare preventivamente i nostri “necessari” spostamenti.

All’inizio la “novità” fu accolta bene, il sentimento di appartenenza si rafforzò come testimoniano i canti collettivi dai balconi e il gradimento del Governo aumentò di molto.

L’azione del Governo fu decisa, senza (apparenti) titubanze e i cittadini la approvarono. Fu chiaro a tutti che, come ai tempi del Boccaccio e del Decamerone, il distanziamento sociale era l’unica arma contro il virus. Sparirono per oltre un mese mascherine chirurgiche e il flaconcino di Amuchina raggiunse prezzi di affezione. Eppure nel marzo 2020 dimostrammo una inconsueta maturità. Nelle case si rimisero in uso le macchine da cucire, YouTube era pieno di tutorial su come cucire le mascherine partendo da una vecchia federa. Imparammo ad usare metodi di comunicazione alternativi come le video conferenze in Zoom, praticamente sconosciuto prima. Acronimi come DAD divennero familiari e gli insegnanti fecero il miracolo, senza alcuna preparazione specifica e senza preavviso, di mutare il loro rapporto con la classe dalla contiguità fisica all’immaterialità dello schermo, neppure fossimo nel romanzo “il Sole nudo” di Isaac Asimov.

Certo i giornali davano maggiore risalto alla creatività e alla resilienza che alla disperazione di negozianti e ristoratori, da un momento all’altro privati della loro fonte di reddito.

Comunque al sud, almeno per le fasce “garantite” il primo lockdown fu  trascorso senza particolari problemi, soprattutto perché i casi di “positività al virus” erano pochini. Ma, a parte Zoom, mascherine, Amuchina, non uscire di casa, nuovi poveri, cosa ha portato il lockdown? Cosa ci ha fatto scoprire di noi stessi?

Probabilmente due sentimenti contrapposti. Il primo la diffidenza del contatto. Ormai, dopo mesi e mesi se un’altra persona ci viene (troppo) vicino, istintivamente siamo a disagio e ci allontaniamo. Le distanze interpersonali italiane si sono avvicinate a quelle nordiche.

Il secondo è la speculare “mancanza di coccole”. Da quanto tempo non ci salutiamo con un bacio? Con un abbraccio? Con una stretta di mano? È interessante per ognuno di noi capire quanto questi atteggiamenti, una volta spontanei, ci mancano. Mancheranno meno in una famiglia, dove l’affetto è più forte della paura del contagio, mancheranno di più nei single. Ecco, forse una riflessione su quanto questi gesti ci mancano servirebbe.

Abbiamo imparato a comunicare con mezzi nuovi, scelto di usare mezzi diversi per apprendere ed informarci. Internet è stato il protagonista. I fornitori di beni e servizi on-line hanno visto i loro profitti schizzare alle stelle al contrario dei negozi fisici. Molto è cambiato nei servizi di informazione. Fino alla pandemia, i giornali on line erano un invito ad acquistare quelli cartacei: la quasi totalità degli articoli era gratis, quelli a pagamento la minoranza. Oggi la proporzione si è invertita. Giornali come “La Stampa” hanno la quasi totalità degli articoli a pagamento. Le offerte di abbonamento “di prova” per qualche mese a 1 o 2 euro si sono moltiplicate. Ormai per leggere ed informarsi on line bisogna abbonarsi, anche se i prezzi a regime sono molto più alti di quelli da tempo offerti da testate estere, più abituate a questo sistema. Per esempio il New York Times offre da sempre l’intera lettura on line a 2 euro al mese.

Jeff Bezos, il patron di Amazon ha conseguito profitti stratosferici ma, attraverso Amazon Marketplace, molti negozi chiusi hanno potuto appoggiarsi alla più grande piattaforma di vendita on-line. E molti esercenti, impossibilitati a vendere fisicamente, hanno aperto anche un negozio on line. Sul web ormai è possibile comprare anche una pinza venduta dal ferramenta sotto l’angolo.

Non solo beni fisici, ma anche spettacoli, film, concerti. A Netflix si sono affiancate innumerevoli piattaforme ove è possibile guardare, con un prezzo – per ora risibile – film, concerti, spettacoli, comodamente a casa nostra.

La domanda è: quando la pandemia sarà finita, torneremo indietro? O lo streaming continuerà ad affiancare gli spettacoli “in presenza”? Ossia, il teatro, il cinema torneranno ad essere luoghi di incontro, o come per le partite di calcio, la fetta più consistente di introiti verrà tramite la cessione dei diritti TV e/o streaming?

Abbiamo, poi, assistito anche a cose riprovevoli. Appena finito il lockdown stretto è sorto, forse come reazione, il “diritto all’aperitivo” o il “diritto alla movida”. Pur sapendo che negli ospedali i malati morivano come mosche, molti urlavano il proprio diritto a riunirsi, a bere in collettività la mitica bevanda arancione, a passeggiare in gruppo…

Ancora più riprovevole è stato durante l’estate, l’uso politico della pandemia. L’uso corretto del distanziamento e delle mascherine, finalmente disponibili, e la disciplina dimostrata fino ad allora in estate, sortirono i loro frutti. L’epidemia sembrò scomparire. Ma sorsero le critiche strumentali volte a dimostrare che la “cosiddetta pandemia” era stata poco più di una influenza, che le mascherine erano ormai inutili come il distanziamento, che l’emergenza era finita, che il Governo si era assunto poteri incostituzionali (povero articolo 16 della Costituzione che disciplina la libertà di circolazione). La protesta fu cavalcata dalla destra, supportata anche da “autorevoli pareri” giuridici (Sabino Cassese)  sull’inutilità dello “stato di emergenza”  e medici (Alberto Zangrillo) sulla “morte clinica” del virus.

Visto che critiche venivano da così alte persone, i movimenti no-vax, ripresero vigore con manifestazioni di piazza dove rivendicavano il loro diritto ad affermare le cose più strampalate, comunque con il denominatore comune dell’inesistenza del virus, ora propalato ad arte per inoculare i microchip di Bill Gates, ora per montare le antenne 5G che ci avrebbero ridotti a zombie. Ed il pericolo dei no-vax è ancor oggi tale che l’Istituto Superiore di Sanità ha sentito il dovere di pubblicare un lungo elenco di FAQ per smentire le loro castronerie e sta pensando di introdurre l’obbligatorietà del vaccino per i dipendenti pubblici.

Le manifestazioni della destra quelle dei no-vax, insieme alla “pazza estate” fatta di discoteche, selfie, abbandono delle protezioni, assembramenti e pazza gioia, prima pian piano, poi sempre più velocemente ha fatto rialzare il numero dei contagiati e dei morti.

Così la cosiddetta “seconda ondata” è stata accompagnata da un forte contrasto antigovernativo. Il Governo è apparso molto più titubante di fronte alle pretese delle Regioni. Ogni provvedimento restrittivo ha dovuto essere contrattato con ogni singola Regione che teneva il punto sulla contrarietà a nuove chiusure, principalmente per motivo di consenso elettorale, salvo, poi, a chiedere al Governo di agire, lasciando a quest’ultimo il lavoro sporco e impopolare. E così il Governo Conte ha subito un drastico calo della popolarità e appare, ora, alla mercè di un partitino al 2% dei consensi che ambisce alla massima visibilità e chiede qualche poltrona in più per mantenere la fiducia all’esecutivo che ad agosto dell’anno scorso contribuì a creare.

Se non fosse per il momento tragico che stiamo attraversando, il solito teatrino della politica italiana non ci dovrebbe stupire: tante volte abbiamo visto queste manfrine.

Ma la turbanza del Governo, la sua mancanza di decisione è stata talvolta criticata in riferimento alle cosiddette democrazie illiberali (o democrature) come quelle della Turchia, della Korea del Sud, di Singapore e anche di Ungheria e Polonia, per non parlare della Cina. Si è detto che esse avevano sconfitto il virus perché c’è un solo organo che comanda e, nell’emergenza, non si era fatto problema di comprimere (ancora di più) i diritti fondamentali della popolazione.

Mettiamo a confronto i grafici tratti da un autorevole sito web dei Paesi cosiddetti illiberali e le democrazie occidentali europee

democrazie illiberali

democrazie mature

Come si vede dalla curva dei nuovi casi (per milione di abitanti), fra democrazie illiberali e democrazie europee la differenza è solamente geografica. Oggi le europee, democrazie o democrature sono tutte sui 200 casi per milione. Molto più giù le asiatiche. Che il miglior risultato possa dipendere dalla manipolazione dei dati, da propaganda o dalla posizione geografica è possibile, ma nulla è dimostrato.

È invece abbastanza assodato che la voglia di democrazia illiberale stia crescendo, e anche prima della pandemia. La tentazione di affidare – una volta eletto – tutte le preoccupazioni e le decisioni ad un uomo solo è affascinante, specialmente nelle classi meno istruite e con meno memoria storica, dopo l’infelice balletto di competenze fra Regioni e Governo centrale, derivante dall’infausta riforma del Titolo V della Costituzione del 1999, che ha paralizzato decisioni che, invece, andavano prese con rapidità

Gran voce alle spinte verso una democratura ha dato, almeno in Italia, un fatto che con la democratura c’entra poco, la Brexit.

L’uscita del Regno unito dall’Unione europea è sempre stata salutata con favore dalla nostra destra “euroscettica” che all’Unione imputa solo l’imposizione delle misure di stabilità e sorvola sugli enormi benefici del Mercato unico e dell’Euro che mantiene a galla la nostra moneta comune nonostante l’enorme debito pubblico accumulato. La Destra ha sempre sostenuto la necessità di imitare i britannici per ottenere un referendum per l’uscita dell’Italia dall’Euro e/o dall’Unione europea per poter attuare la cosiddetta svalutazione competitiva in cui gli imprenditori si arricchiscono e il reddito fisso piange (ricordate i primi anni ’80 in cui l’inflazione raggiunse quasi il 20%. Nel 1991 ottenni un mutuo per comprare la prima casa e fui contento di ottenere un tasso di interesse dell’11%, lontanissimo da quello attuale dell’1% garantito dal “cappello” dell’Unione europea.) Peccato che la Destra sorvoli sia sulla richiesta della Scozia di referendum per il distacco dal Regno Unito e per il successivo ingresso nell’Unione europea sia sul comportamento deli amati Governi Ungherese e Polacco che – a parole – sono super euroscettici, ma non pensano neppure ad uscirne perché perderebbero i sostanziosi contributi e vantaggi che l’Unione europea assicura.

Ma torniamo a quello che quest’anno è accaduto: il divorzio fra Regno Unito e Unione europea si è formalizzato, escludendo, in extremis, il pericoloso no-deal. Ma perché il Regno unito ha voluto fortemente tale divorzio fin dal referendum del 2016? In effetti – secondo molti analisti – la decisione non poggia su solide basi oggettive, quanto sull’orgoglio e sul nazionalismo pompati dal partito conservatore per mantenere il potere. Anche la tanto decantata “Questione della pesca” con i pescherecci che sventolavano la Union Jack sul Tamigi lamentando una “sleale concorrenza” da parte di pescherecci dei Paesi UE, oggettivamente non è rilevante visto che l’apporto della pesca nel bilancio dell’Regno Unito è inferiore al 2%. Probabilmente la decisione poggia sulla mancanza di competitività del Regno Unito. Facile prevedere un suo ulteriore declino economico e politico, specialmente con l’inevitabilmente prossima uscita di scena della Regina Elisabetta II. Le spinte centrifughe di Scozia e Irlanda del Nord diventeranno inarrestabili con il distacco di questi due Paesi dal Regno unito ed il loro ritorno in seno all’UE. A meno che il progetto dei Tories non sia quello di trasformare quello che rimane del Regno Unito in un paradiso fiscale, sul modello Montecarlo o Bahamas, non si prevede un futuro roseo per Inghilterra e Galles.

Siamo ormai alla fine di questo 2020 e anche le feste di Natale sono diventate oggetto di polemica. Le misure, faticosamente contrattate dal Governo con le Regioni, che hanno diviso l’Italia in fasce colorate di rosso, arancione e giallo, non hanno sortito gli effetti sperati. Una flessione della curva dei contagi e del rapporto tamponi/positivi si è avuta solo nelle regioni colorate in rosso. In quelle arancioni e gialle no: troppo blando il distanziamento, dovuto alla necessità di non penalizzare troppo l’economia.

Approfittando della chiusura dei negozi e aziende nel lungo filotto di festività natalizie e fine d’anno, il Governo ha reintrodotto un blando lockdown totale e quasi totale, ma con eccezioni molto molto vistose, come la pantomima delle visite, con autocertificazione, di non più di due persone, una sola volta al giorno, a parenti o amici, con impossibilità di un reale controllo. Vedremo attorno al 15 gennaio se queste blande misure hanno sortito qualche effetto. Per ora la curva è in salita.

Ma il nostro atteggiamento è cambiato. Non più disciplinati e attenti, ma scettici e pronti a condurre una vita normale, vista la scarsa probabilità di incorrere in un controllo e di essere sanzionati. (969 sanzioni su 64.119 controlli nel giorno di Santo Stefano appaiono pochini, almeno a vedere la quantità di gente per le strade).

Eppure anche queste blande misure sono state oggetto di critiche da parte dell’opposizione “Non togliamo il Natale ai bambini!” tuona il leader della Lega mentre negli ospedali muoiono ogni giorno più di 800 persone e la curva dei contagi si impenna. La cosa preoccupante è che, ormai, forse stressati da questi dieci mesi di pandemia siamo portati a credere (voglia di democratura?) a chi urla di più e a chi sostiene – a parole i nostri desideri di una vita normale, dimenticando che, fino al termine della vaccinazione, l’unico rimedio è quello conosciuto fin dai tempi di Boccaccio e del Decamerone: distanziamento e mascherina.

Eppure, io lo ricordo benissimo, quante volte abbiamo pensato di voler evitare i cosiddetti “doveri delle feste”: regali, shopping, pranzi con 20 persone, veglioni etc etc; per una volta ne abbiamo l’opportunità. Sfruttiamola, facciamo esperienza, Abbiamo avuto altri Natali, avremo altri Natali.

E la speranza di una vita normale ora c’è: da ieri è iniziata la campagna vaccinale. E’ stata, oltre al Recovery Fund, una vittoria dell’Unione europea (anche se l’euroscettica Ungheria si è rivolta alla Russia e la Germania ha bypassato l’UE per una ulteriore fornitura – furi sacco – di vaccini con la tedesca BionTech. Gli ingenti fondi stanziati per la ricerca hanno dato i loro frutti. Le fasi della ricerca sono state ripetute in contemporanea e non in sequenza da diverse industri farmaceutiche e, in 10 mesi, il vaccino è arrivato. Sono insorti, però, i no-vax “il vaccino non è sicuro”, “non è possibile ottenere un vaccino in così poco tempo”, “dentro ci sono i microchip di Bill Gates” urlano i laureati all’università di Facebook. Perché accade questo fenomeno? Perché, come disse Umberto EcoI social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli”, quelle che erano, una volta, chiacchiere da bar, diventano pensiero dominante? Probabilmente per una voglia di essere “diversi”, di “stare sotto i riflettori”. Se si conduce una vita scialba, aderire ad una teoria diversa dal pensiero comune ti diversifica, ti fa partecipe di un segreto e di una verità diversa e, come succede agli adepti delle sette, ti fa sentire partecipe di una comunità “superiore” e questa sensazione diventa virale e appetibile.

Certo la politica non aiuta. L’opposizione, in difficoltà con le sue idee anti europee dopo la concessione di 205 miliardi di euro all’Italia per il Recovery Fund, la sospensione del “patto di stabilità” e l’arrivo dei vaccini comprati e gestiti dall’Unione, soffia ancor di più sulle idee care ai no vax. Il leader della Lega, non più di 20 giorni fa, sosteneva che si vaccinerà solo se il “vaccino è sicuro”, sottintendendo che esso potrebbe essere “non sicuro” e giocando sulla distinzione “non sicuro” (porta conseguenze negative indesiderate) e “non efficace” (non fa male, ma non protegge dal virus). Questo dà voce ai no vax e le prime avvisaglie si avvertono fra il personale delle RSA che, pare non si voglia vaccinare in percentuale rilevante. Forse si tratta solo di voler “alzare l’asticella” per ottenere benefici economici, forse di una errata convinzione, vedremo.

La vera causa di tutti questi problemi e dell’insofferenza alle limitazioni – secondo me – è la mancanza del ricordo o dell’abitudine alle privazioni. Ormai la stragrande maggioranza della popolazione italiana è cresciuta nel benessere. Quante volte abbiamo detto “La nostra generazione è la prima a non aver sopportato una guerra!” Se la memoria arriva indietro fino ai 6/7 anni di età, chi ha memoria della guerra ha oggi quasi 90 anni. La guerra, i lutti, l’olocausto, le privazioni, i rifugi antiaerei, la sensazione forte della precarietà della sopravvivenza sono solo ricordi di racconti dei genitori ormai quasi tutti deceduti. Non è da poco il generale atteggiamento iperprotettivo che i boomers hanno avuto con i loro figli.

Da qui il folle pensiero che esista un diritto inalienabile all’aperitivo o alla movida, il folle disinteresse per chi, non più giovane, potesse esser contagiato dagli assembramenti dei giovani fortunatamente indenni dal contagio, gli 800 morti giornalieri.

Forse dobbiamo ripensare ai metodi educativi italiani.

Ma la concezione dell’anno, come periodo di tempo definito è una convenzione umana basata sull’orbita della Terra intorno al Sole, ma i criteri potrebbero essere diversi. Il continuum temporale non si infrange nella notte del 31 dicembre mostrando una soluzione di continuità.

Tanti fatti, tante riflessioni sorte nel 2020 troveranno soluzione o sviluppo nel 2021; potranno essere smentite o confermate.

Il Covid-19 sparirà? La vaccinazione avrà buon fine? Il Governo Conte cadrà per opera di Renzi o per sé stesso? Il Regno unito proseguirà la sua crisi? Salvini continuerà a fare figuracce e a macinare consensi?

Posso rispondere solo con le parole di un nostro poeta:

“Venditore.  Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?

Passeggere. Almanacchi per l’anno nuovo?

Venditore. Si signore.

Passeggere. Credete che sarà felice quest’anno nuovo?

Venditore. Oh illustrissimo si, certo.

Passeggere. Come quest’anno passato?

Venditore. Più più assai.

Passeggere. Come quello di là?

Venditore. Più più, illustrissimo.

Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?

Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.

Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?

Venditore. Saranno vent’anni, illustrissimo.

Passeggere. A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?

Venditore. Io? non saprei.

Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?

Venditore. No in verità, illustrissimo.

Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?

Venditore. Cotesto si sa.

Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?

Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.

Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?

Venditore. Cotesto non vorrei.

Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?

Venditore. Lo credo cotesto.

Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?

Venditore. Signor no davvero, non tornerei.

Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?

Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.

Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?

Venditore. Appunto.

Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?

Venditore. Speriamo.

Passeggere. Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.

Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.

Passeggere. Ecco trenta soldi.

Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.”

sergioferraiolo

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