Archivi per il mese di: giugno, 2018

Ieri, il Ministro del lavoro Luigi Di Maio al Congresso della UIL, ha rilanciato un argomento caro ai Cinquestelle, la Democrazia diretta. Bisogna riformare l’istituto del referendum abolendo il quorum sotto il quale il referendum non passa. «Per anni i referendum li vinceva chi se ne stava a casa. È arrivato il momento, con l’abolizione del quorum» nel referendum abrogativo, «di fare in modo per cui chi va a votare conta e chi sta a casa si prende le sue responsabilità», ha detto il vicepremier.

In effetti al punto 20 del Contratto per il Governo del cambiamento [a proposito non sono riuscito più a trovarlo sul sito del blog delle stelle, dove è finito?] i partiti di governo affermano: “È inoltre  fondamentale  potenziare  un  imprescindibile  istituto  di  democrazia diretta già previsto dal nostro ordinamento costituzionale: il referendum abrogativo. Per incentivare forme di partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica nazionale occorre cancellare il quorum strutturale – ovvero la necessità della partecipazione alla votazione della maggioranza degli aventi diritto – al fine di rendere efficace e cogente l’istituto referendario. Ulteriore obiettivo di questa proposta, nel solco dello spirito che anima l’articolo 75 della Costituzione, è quello di scoraggiare, in ogni forma, l’astensionismo elettorale, spesso strumentalizzato per incentivare il non voto, al fine di sabotare le consultazioni referendarie.”.

 

Secondo me, l’intento, pur apprezzabile, sortisce effetti contrari al dominio della Democrazia sulla Politica e, oltretutto si scontra con quanto affermato al punto 1 dello stesso Contratto: “intendiamo incrementare il processo decisionale in Parlamento”. E, se passa, l’abolizione dle quorum, sarà proprio il Parlamento ad esser messo fuori gioco.

 

Il Referendum abrogativo è previsto dall’articolo 75 della Costituzione: “E` indetto referendum popolare [cfr. art. 87 c. 6] per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge [cfr. artt. 76, 77], quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.

Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio [cfr. art. 81], di amnistia e di indulto [cfr. art. 79], di autorizzazione a ratificare trattati internazionali [cfr. art. 80].

Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.

La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

La legge determina le modalità di attuazione del referendum.”

 

Quindi per eliminare il quorum c’è bisogno del procedimento di revisione costituzionale con doppia lettura.

 

Ma vediamo la sostanza della questione. La nostra è una democrazia rappresentativa e non una democrazia diretta. Il modo principale di “fare le leggi” è quello della discussione in seno al Parlamento. Lì siedono 630 deputati e 315 senatori, quindi circa un parlamentare ogni 47.000 elettori.

La Costituzione si preoccupa proprio di questo. Per sbugiardare il Parlamento abrogandone una legge, occorre una spinta molto forte da parte dell’elettorato: prima la raccolta di 500.000 firme, poi mobilitare al voto la maggioranza degli elettori (il quorum), infine che, in detta maggioranza, far prevalere i all’abrogazione. La Costituzione, rendendo difficile l’abrogazione di una legge con il referendum ha inteso privilegiare il ruolo del Parlamento rendendo le sue leggi difficili da abrogare.

Immaginate dove andrebbe la centralità del Parlamento se bastassero 30.000 o 20.000 o 10.000 persone che si presentassero alle urne per votare ad un referendum per segnare la vita o la morte di una legge votata in Parlamento.

Anche assegnare una connotazione negativa a chi a votare per il referendum non ci va, è sbagliato. Chi non va a votare, al pari di chi vota no, si fida dell’operato del Parlamento che ha liberamente contribuito ad eleggere

Secondo me, abrogare il quorum è andare contro la Costituzione: 10.000 sì non possono oscurare l’operato del Parlamento.

 

Ma in una cosa Di Maio ha ragione: la “strumentalizzazione del non voto per sabotare l’istituto del referendum”.

Per limitare la portata di questa strumentalizzazione, però, non c’è bisogno di abrogare il quorum.

 

Il quorum pari al 50% +1 degli elettori fu previsto e mantenuto nella Costituzione perché dal 1948 agli anni ’90 l’Italia era fra le prime nazioni al mondo per affluenza alle urne. Percentuali dell’85% non erano rare. Quindi il quorum doveva esser alto.

 

Oggi, invece,  specialmente alle elezioni amministrative, la percentuale si è pressoché dimezzata e questo rende – effettivamente – molto più difficile il raggiungimento del quorum stabilito dall’articolo 75 della Costituzione.

 

Una proposta, non mia, ma che appoggio pienamente, è quella di stabilire un quorum variabile ossia pari al 50% +1 non dell’intero corpo elettorale, bensì degli elettori che si sono recati alle urne nelle elezioni politiche immediatamente precedenti alle votazioni per il referendum di cui trattasi.

Mi sembra un ragionevole compromesso.

 

 

Che i più tirano i meno è verità,
Posto che sia nei più senno e virtù;
Ma i meno, caro mio, tirano i più,
Se i più trattiene inerzia o asinità.
 
Quando un intero popolo ti dà
Sostegno di parole e nulla più,
Non impedisce che ti butti giù
Di pochi impronti la temerità.
 
Fingi che quattro mi bastonin qui,
E lì ci sien dugento a dire: ohibò!
Senza scrollarsi o muoversi di lì;
 
E poi sappimi dir come starò
Con quattro indiavolati a far di sì,
Con dugento citrulli a dir di no.
 

 

Così scriveva Giuseppe Giusti nel 1848. E mi sembra che questo sonetto sia più che mai attuale in questa Italia del 2018 che si muove come nave in gran tempesta, non senza nocchiero, ma con due nocchieri che giocano a chi le spara più grosse.

Il bello è che queste promesse sono chiaramente delle balle, impossibili da realizzare, buone per una campagna elettorale per grulli.

Ci ha detto Salvini come intende espellere 500.000 stranieri? Ci ha detto Di Maio come attuare insieme la flat tax e il reddito di cittadinanza? Assolutamente no!

Per adesso, come ampiamente previsto, i due si dedicano – per nascondere le loro incapacità – a indicare un nemico comune, l’Europa, oppure a fare la voce grossa con le ONG che raccolgono migranti, in una percentuale molto inferiore a quelli che raccolgono le nostre navi militari.

Minacciano l’Unione europea, prendono a parolacce i leader di Francia e Germania osannano quelli del gruppo di Viesegrad che hanno interessi opposti ai nostri, minacciano di sospendere la libera circolazione delle persone, commettendo un clamoroso autogol.

Risultati, per ora, solo aver dirottato una nave con 600 migranti in Spagna, con notevoli costi (due navi italiane di scorta), proprio mentre una nave italiana sbarcava in Sicilia più di mille profughi.

Minacciano, minacciano chi li critica. Ieri è toccato a Saviano, domani potrebbe toccare a noi.

Il bello è che gli italiani abboccano e credono alle favole: i sondaggi danno la Lega in forte crescita e i Cinquestelle in piccolo arretramento. Tutti con Salvini e Di Maio, compatti. Ma perché?

Bisogna riconoscere che i due partiti al governo ci sanno fare, sanno perfettamente, come ha fatto Trump, andare alla pancia della gente.

Ormai il consenso – cioè i voti – si conquista non più con gli ideali, con i programmi strutturati, con progetti definiti, bensì con gli slogan, con le minacce, con l’indicazione di un nemico che, sconfitto il quale, tutti i problemi saranno risolti. Vedi Trump con i messicani. Tanto la memoria collettiva non è mai stata così corta. Chi si ricorda ormai più delle promesse fatte solo qualche mese fa?

I due “gemelli divisi” sono onnipresenti sui social: lì, ormai, si fonda l’informazione di una gran parte del popolo. Una volta si diceva: è vero perché l’ha detto la radio. Oggi si dice: è vero perché l’ho letto su Facebook.

E’ molto triste, ma è così. Se vuoi i voti, li devi cercare con un super attivismo sui social. Anche mediante programmi informatici automatici, come i bot, che amplificano i “like” ricevuti.

Più di un’idea, più di un ideale, vale un “like”.

Provate a postare un commento sgradito ai “leoni della tastiera” chissà perché tutti favorevoli al Governo in carica. Vedrete quanti insulti riceverete.

Ovviamente, e qui è il punto del discorso, questi superattivi su internet sono una minoranza della popolazione ma, col loro attivismo, appaiono come la maggioranza.

 

E le persone che ragionano? Dove sono? Che fanno? Mangiano pop corn con Renzi? Non lo so. Probabilmente pensano ancora con la mentalità del politico di trenta anni fa. Quando era disdicevole lo slogan, quando era obbligatorio lavorare su grandi temi, quando era d’obbligo dire: “Sì, va bene, ma è solo una parte del problema, bisogna guardare il complesso.” E tutto rimaneva fermo.

Se il governo attuale fa pensare al sonno della ragione, la sinistra fa pensare al sonno e basta.

Probabilmente chi la pensa in modo diverso dai due coinquilini al Governo è ancora la maggioranza, ma sta zitta, forse perché non ha nulla da proporre in alternativa.

Gente, svegliamoci! Almeno – se non abbiamo proposte alternative – proviamo a ribattere colpo su colpo, proviamo a smontare le fake news, proviamo a spiegare gli errori degli annunci, proviamo a controbattere! Ognuno con i propri mezzi ognuno nel proprio campo.

Siamo – forse – ancora i più. Non facciamoci tirare dai meno.

Pare che la bozza di conclusioni del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2018 non soddisfi le richieste di Salvini sui migranti e lui minaccia di sospendere la libera circolazione prevista dall’Aquis di Schengen.

Mi chiedo cosa c’entri Schengen, se Salvini lo conosca e, in caso affermativo se il nostro ministro dell’interno, nonché vicepremier non sia masochista.

Cosa sia l’aquis di Schengen è noto a tutti: è quel complesso di norme europee, generate dalla vecchia Convenzione di Schengen per le quali se andiamo dall’Italia alla Francia in auto o in terno non abbiamo bisogno di fare il controllo di documenti in frontiera. In pratica non ci accorgiamo di aver passato la frontiera interna. Lo stesso succede con gli aerei: non c’è controllo di frontiera, ma solo – all’imbarco – il controllo che il nome stampato sul biglietto sia lo stesso del documento di identità. Comunque, chi voglia approfondire, clicchi qui e qui.

Ora, se Salvini sospende l’efficacia dell’aquis di Shengen cosa succede? Succede che chiunque voglia entrare in Italia da un valico stradale, ferroviario o aeroportuale, dovrà sottoporsi al controllo passaporti, come quando si va in un Paese extraeuropeo.

Ovviamente Gli altri Stati europei, per ritorsione, sospenderanno anche essi l’acquis di Shengen per gli italiani. Quindi anche noi, per andare in Francia, Svizzera, Germania, Austria o qualsiasi alto Paese Shengen dovremo fare la fila per il controllo passaporti.

Questo, secondo Salvini renderà più sicuro il nostro Paese rispetto ai migranti.

Ma, ripeto, questo che cosa ci azzecca, come diceva Di Pietro?

Come Salvini e ognuno di noi ben sa, il flusso dei migranti (i tanti o pochi che siano) sbarcati sulle nostre coste sud è diretto a nord.

Praticamente il 90% del flusso dei migranti, sbarcati in Italia, dal nostro Paese si dirige verso nord. Alla frontiera francese (ci ricordiamo di Ventimiglia o di Bardonecchia?) chi deve controllare sono i francesi, visto che i migranti irregolari vengono dall’Italia. Stessa storia per la frontiera con la Svizzera e Austria.

Riattivando i controlli alle frontiere, Salvini fa un favore proprio ai francesi e agli austriaci che non vedono l’ora di ripristinare una frontiera vecchio stile con tanto di controllo passaporti e polizia dispiegata pe rfermare l’onda dei migranti che viene dall’Italia.

Chi ci perde è proprio l’Italia: se cominciamo ad alzare barriere e vincoli burocratici i turisti che vengono da noi potrebbero ripensarci. Noi italiani avremmo una seccatura in più una perdita di tempo in più nel passaggio delle frontiere.

Nulla di tutto ciò toccherà i migranti che, anzi, sarà più facile trattenere in Italia.

Forse Salvini dovrebbe studiare meglio

Sento, leggo, ascolto spesso della GRANDE IDEA di impiantare Hot Spot, sotto l’egida dell’UNHCR, nei Paesi di origine dei migranti. Lo scopo dichiarato è quello di far arrivane in Italia o nell’Unione europea solo chi ha diritto alla protezione internazionale.

L’idea, bella in sè NON è attuabile e vi spiego perché.

Hot spot nei pasi di origine? Ossia nei Paesi “cattivi” che perseguono le persone, che le torturano perché hanno idee contrarie al regime? Nessuno degli degli Stati cd. canaglia accetterà questi hot spot perché non si darà la zappa sui piedi. Acconsentire l’apertura di uno hot spot sul proprio pterritorio equivale ad autodichiararsi “cattivo” e nessuno Stato lo farà.

Apertura di uno hot spot in uno Stato di transito? Nessuno Stato “di transito” lo accetterà. Perché avere uno hot spot che potrebbe consentire a chi ci va di avere un biglietto per l’Europa costituirebbe un formidabile polo di attrazione per milioni di persone. Perché tentare il viaggio pericoloso in gommone se posso andare più facilmente nel Paese X per prendere un biglietto per l’Europa? Ma, visto che la percentuale del riconoscimento della protezione è sotto il 35%, nei Paesi di transito che accetterebbero l’Hot Spot resterebbero tutte le migliaia e migliaia di stranieri che “hanno tentato la sorte”. E queste migliaia di persone, senza casa, senza soldi, senza nulla, oltre a costituire un peso per i poveri Stati africani, ne costituirebbero un elemento di destabilizzazione. Conclusione: nessuno Stato africano accetterà sul proprio teritorio uno hot spot destinato allo screening di aspiranti richiedenti asilo provenienti da altri Paesi.

Ho ancora sotto gli occhi le immense file di aspiranti migranti sotto le nostre ambasciate a Tirana e a Rabat durante le crisi di inizio millennio.

Ancora una notazione: su quali basi giuridiche si fonderà lo screening? Le direttive e i Regolamenti dell’Unione europea (unici strumenti normativi adottabili per gli Stati membri) prescrivono formalmente che tutta la normativa europa si riferisce solo alle domande di protezione internazionale presentate entro i confini dell’Unione europea, escludendo anche le Sedi diplomatiche. (vedi articolo 3 della direttiva 2013/32/UE e l’articolo 2 della proposta di Regolamento della Commissione COM(2016) 467 final, (attualmente al COREPER).

Certo , la normativa UE potrebbe essere modificata, ma ci sarà la volontà? Ci sarà il tempo?

Ultimo, ma non ultimo per importanza, è la pratica inutilità di questi hot spot in Africa per fermare gli sbarchi.

I Migranti non sono stupidi. Sanno perfettamente che le attuali regole UE, almeno per l’Italia, consentono il iconoscimento dell aprotezione internazione solo ad una ristretta percentuale di migranti.

Perché allora giocarsi le carte in uno scrreening sul territorio africano dove, se va male, lì si resta senza nulla in mano e con un broblematico ritorno nel Paese di origine.

Presumo che la maggior parte continuerà a giocarsi le sue carte, dopo la traversata, sul suolo italiano (o di unPaese UE). Se va male, si potrà sempre contare sulla cronica inefficienza ad effettuare le espulsioni ed i rimpatri. Fra il 2013 e 2017, a fronte di 145.155 ordini di rimpatrio, solo 28.800 sono stati eseguiti, aumentando a dismisura lo stock della clandestinità.

Ultimo, ma non per importanza: se un richiedente asilo non passa per gli hot spot in Africa e arriva sulle coste europee chiedendo asilo, la sua domanda non potrà essere solo per questo rifiutata, bensì andrà valutata.

Meglio, quindi, essere clandestini in Italia he spiantati in Africa. E gli sbarchi continueranno.

In questi giorni si assiste al solito balletto di dichiarazioni sulle cifre dei migranti. “Solo il 5% ottengono lo status di rifugiato!” – “Le Commissioni territoriali negano l’asilo al 60% dei richiedenti!“.

Facciamo un po’ di chiarezza.

Innanzitutto le definizioni. Per l’Unione europea – che detta legge sull’argomento – esistono due tipi di protezione, il riconoscimento dello Status di rifugiato  (ex Convenzione di Ginevra del 1951) e il riconoscimento della protezione sussidiaria (ex Direttiva 2011/95/UE). Lo status che ne consgue è praticamente equivalente. Diversa è l’origine. La Convenzione di Ginevra parla di persecuzioni ricevute per ragioni di razza, religione, etc. La Direttiva sulla protezione sussidiaria parla di pericolo grave di morte o persecuzioni derivante principalmente da uno stato di guerra generalizzato nel paese di provenienza. Insiema vanno sotto il nome di “protezione internazionale”

Infine, protezione è concessa allo straniero che non ha diritto alle protezioni descritte in precedenza, ma che, per altre ragioni necessita di un permesso di soggiorno  per “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano” (articolo 5, comma 6 del Testo Unico sull’immigrazione. Decreto Legislatico 286/98).

Definite le situazioni, i dati possono essere reperiti sul sito del Ministero dell’Interno. Se si clicca qui, si arriva alla pagina dove sono rappresentati i dati relativi al fenomeno degli sbarchi e l’accoglienza dei migranti presso le strutture gestite dalla Direzione Centrale dei servizi civili per l’immigrazione e l’asilo. E qui si può apprendere quali siano i numeri, le nazionalità dei migranti sbarcati e le violazioni della solidarietà degli Stati membri UE sull’impegno ad accogliere migranti sbarcati in Italia e Grecia.

E, ancora più importante è fare chiarezza sull’ondivaghezza dell’Unione europea (clicca qui)

Indispensabile, poi, è fare chiarezza sugli esiti dell’esame presso le Commissioni Territoriali deputate a decidere se il singolo migrante ha diritto o meno alla protezione.

I dati sono, come sempre sul sito del Ministero dell’interno (clicca qui).

In estrema sintesi, per l’anno 2016 e 2017, hanno richiesto protezione, rispettivamente 123.600 e 130.000 stranieri

richiedenti protezione 2016 e 2017

 

Per quel che riguarda le decisioni delle Commissioni territoriali, mel 2017, è stato riconosciuto lo status di rifugiato all’8% dei richiedenti, lo status di protezione sussidiaria all’8% dei richiedenti, la protezione umanitaria al 25% dei richiedenti

esiti richieste 2016 e 2017

 

Quindi, in conclusione, al 41% degli stranieri che hanno richiesto protezione, tale protezione è stata accordata.

Discorso a parte meritano i minori che, per il nostro ordinamento, che siano richiedenti protezione o meno, sono inespellibili.

Per le norme europee al riciedente protezione che si è visto negare tale protezione dalle Commissioni territoriali è concesso appello (rectius giudizio di primo grado presso un giudice togato) durante il quale è inespellibile e continua a fruire dell’accoglienza. E’ questo il grande problema che differenzia l’Italia dalle altre nazioni europee. Da noi arrivano, con i gommoni e con i barconi, persona provenienti da Paesi che, in genere, non sono focolai di guerra nè d discriminazioni, bensì solo di povertà. I respingimenti in mare sono giustamente vietati e noi, a differenza dei Paesi dell’Europa continentale, non possiamo far euno screening alle frontiere.

Spero di aver fatto un po’ di chiarezza.

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