Agosto, tempo di viaggio. Amo la montagna, quella alta.
Pascoli verdi, mucche e buoi che pascolano. O sono yak?
Una buona meta per sfuggire al caldo estivo è rifugiarsi in montagna, in alta montagna. Ma le Dolomiti costano tanto. Perché, allora, non osare di andare più lontano, dove la vita costa parecchio di meno?
Il Ladakh è una regione che, geograficamente, appartiene al Tibet, ma politicamente è in India. Alte montagne, ottimi trek, buona organizzazione e logistica locale. gente ospitale e tranquilla, Vita ancora scandita dai canti dei monaci, dal tea, dalle pittoresche funzioni religiose. Prezzi, per le nostre tasche di occidentali, molto bassi. Paesaggi mozzafiato, deliziosa frescura: il clima è paragonabile alle nostre Dolomiti: caldo secco di giorno, fresco la notte. L’altezza (circa 3.500 metri) impedisce che i monsoni vi arrivino e non è troppo alta per causare disturbi, specie dopo un paio di giorni di acclimatamento.
Lo Zanskar, consigliato per i meno pigri, è una valle a sud del Ladakh, abbastanza isolata e permette esperienze umane ben difficili da provare in luoghi più raggiunti dalla globalizzazione.
Il Kashmir, regione ai confini con il Pakistan, è meno alta e quattro o cinque giorni a bordo delle sontuose houseboat ancorate sul Dal Lake sono un paradiso per gli osservatori di uccelli ed animali acquatici.
Ci son stato diverse volte. Un mio racconto di viaggio, con utili indicazioni su quei luoghi è disponibile in Ebook su Amazon a questo indirizzo:
Un piccolo volumetto, adatto ai bambini in età prescolare o in scuola primaria, che illustra con le immagini un luogo lontano dall’Italia, il Ladakh.
Montagne, strade tortuose, monasteri, monaci tibetani sono i protagonisti di questo volumetto pieno di fotografie.
10 anni fa, su una chiatta, ore sul fiume per arrivare al monastero di Samye, in Tibet.
Una pellegrina si copriva il volto e pregava
Quante volte avete sentito dire – per avvalorare una tesi – “l’ho visto in una fotografia!!!”.
Spesso. però, le fotografie ingannano. Lo stesso soggetto, fotografato da un diverso punto di vista, o con una angolazione diversa e più ampia appare diversissimo.
Quella qui sotto, ad esempio, è una classica fotografia del Potala, il Palazzo del Dalai Lama, a Lhasa, in Tibet, in Cina.
L’immagine ispira solennità e rimanda all’isolamento tipico dell’idea che ci siamo fatti dell’Himalaya.
Beh, la realtà è molto diversa. Le fotografie qui sotto sono state scattate 10 anni fa e rendono una immagine ben diversa del luogo.
E, sinceramente, ho paura a pensare come è – ora – quel luogo.
In Tibet, che esso sia politicamente in India, Nepal o Cina, la maggior parte degli abitanti pratica il buddismo.
Più che una religione, uno stile di vita. Le famiglie, anche per assicurar loro condizioni migliori ed un migliore avvenire spingono i figli ancorché bambini ad entrare nei monasteri. Non che diventino monaci-bambini, ma sono obbligati a seguire le regole dei monasteri, a servire i monaci, a pulire, a fare i lavori più umili. In cambio ricevono una istruzione ed i pasti quotidiani.
Non è difficile vedere gruppi di bambini in tonaca rossa che girano per le strade, curiosi come sono tutti i bambini.
La foto qui sotto è stata scattata a Kathmandu.
Il culto e l’onore reso ai propri cari defunti esiste in ogni parte del mondo. Fa parte dell’innato bisogno degli uomini di ricordare e di essere ricordati. Achille ai Mirmidoni, Foscolo a Pindemonte sono solo due esempi.
Ben diverso però è il sistema usato nei vari tempi e nelle diverse culture per “smaltire” il corpo del defunto.
La nostra cultura tradizionalmente preferisce l’inumazione, anche se in diverse forme fra le tre religioni monoteiste, l’induismo la cremazione, altre praticano ancora l’imbalsamazione.
Esistono altri modi, anche i più strani, specialmente nelle zone di confine fra diverse culture e diverse religioni.
Nell’alto Nepal, ad esempio, il corpo del defunto è considerato alla stregua di una lampadina fulminata. Serve ed è rispettato e amato finché dà la luce e funziona. Quando la luce (=l’anima, l’essenza dell’essere umano) non c’è più l’involucro che conteneva la vita si getta alla stregua di un vestito usato e rotto.
Il corpo dopo tre giorni dalla morte vien preso in consegna dai becchini che lo fanno a pezzi, lo impastano con la farina e lo pongono, a disposizione dei cani, dei corvi e degli avvoltoi in apposite spianate dove in urna bruciano odorose bacche. Scritte beneauguranti sono formate con sassi lungo i costoni o incise nella roccia. Sono luoghi nascosti, inaccessibili ai locali ed ai turisti, luoghi ove si consuma il “ritorno” della carne al ciclo della natura.
Questo per chi può permettersi questo rito. I cadaveri dei poveri vengono gettati direttamente nei fiumi.
Siamo abituati ad associare ad una idea, ad un concetto una immagine. Questo semplifica il corso del pensiero. Ma bisogna stare attenti: le immagini che noi associamo alle idee sono frutto della nostra cultura. Per esempio al concetto “biblioteca” lunghi corridoi di scaffali pieni di libri. E, nella nostra concezione, il libro ha una connotazione grafica ben definita (dorso, copertina, pagine, rilegatura etc.).
Beh, se andiamo in un monastero tibetano, potremo passare di fronte alla loro fornitissima biblioteca senza rendercene conto.
Infatti i libri lì sono fettucce di carta pergamena, non rilegate, consevate fra due tavole di legno e avvolte in drappi multicolori. Eppure contengono una antichissima cultura.
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