Archivio degli articoli con tag: partiti politici

I risultati elettorali hanno preso forma. Si sa chi ha vinto e chi ha perso. Chissà quale governo ci tocccherà. Ormai, sia pur appena finita, la campagna elettorale è solo un ricordo.

A futura memoria, ho pensato di raccogliere in un Ebook disponibile su Amazon al  prezzo di 0,99 euro le mie impressioni e i miei ricordi di questa feroce campagna elettorale. Se na dimenticare che se c’è campagna elettorale e dialettica significa che siamo in democrazia.

L’Ebook è disponibile a questo indirizzo https://www.amazon.it/Quella-campagna-brutta-sporca-cattiva-ebook/dp/B07B77TGY3/

Anche Berlusconi, come i Cinquestelle, annuncia di voler imporre agli eletti del suo partito il “vincolo di mandato”

E’ una emerita bufala. Anche se accettato dal candidato, questo vincolo è nullo perché contrario alla Costituzione. Infatti, l’articolo 67 della nostra Carta costituzionale recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato“.

Quindi anche se l’eletto che si è sottoposto al vincolo dovesse, nel corso della legislatura, cambiare partito, nulla dovrà a Berlusconi o ai Cinquestelle, a meno di un cambiamento della  Costituzione.

L’assenza di vincolo di mandato ha, però, una sua logica per la quale i nostri padri costituenti hanno previsto la “libertà” degli eletti..

Se il vincolo di mandato fosse vigente, il Parlamento sarebbe inutile e sarebbe inutile anche il Governo, perché ogni parlamentare sarebbe obbligato a votare solo ed esclusivamente le leggi proposte dal suo partito con il quale ha il vincolo di mandato. Al posto del Parlamento, basterebbe una piccola riunione dei segretari di partito per definire quali leggi proporre e votare.

Nella vita politica della nostra nazione conterebbe solo la volontà dei segretari di partito. Ma forse è questo che vogliono Borlusconi e i grillini.

Anche oggi abbiamo un Parlamento di nominati ma, almeno, essi non hanno l’obbligo giuridico di votare secondo il volere del segretario del Partito. Non voglio vivere in un Paese in cui la Carta fondamentale sancisce lo strapotere dei Partiti

Ricordo, infine, che l’unica norma costituzionale che riguarda direttamente i partiti politici è l’articolo 49, secondo il quale tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere “con metodo democratico” a determinare la politica nazionale.

Se siete d’accordo, condividete…

 

Riporto un bell’articolo di Repubblica , con qualche mio commento, sulle roboanti promesse elettorali. La più costosa è la carta dell’abolizione della riforma pensionistica che porta la firma Monti-Fornero, capace di scatenare un ammanco sui conti pubblici a regime (nel 2025) di circa 80 miliardi. Ma anche l’introduzione di una “flat tax” – ovvero di un’aliquota unica sui redditi Irpef – ha un peso non da poco, che oscilla tra i 30 miliardi del “modello Berlusconi” ai 40 miliardi della proposta targata Lega. Al valzer delle promesse che sta caratterizzando questa campagna elettorale in vista del voto del 4 marzo non si è sottratto neppure il Pd di Matteo Renzi, che ha tentato la sortita a effetto con l’abolizione del canone Rai: vale 1,8 miliardi.

Da questa baraonda non si sono sottratti neppure i Cinquestelle, con il loro pallino del rddito di cittadinanza con copertura inesistente e con il rischio di scatenare una guerra fra chi ha una pensione alta (indipendentemente dagli anni di contributi) e chi ha una pensione bassa (indipendentamente dagli anni di contributi) Ecco la tabella, in continuo aggiornamento, delle promesse avanzate dai partiti in vista delle urne e del loro costo per il bilancio pubblico, qualora dovessero diventare leggi del nuovo Parlamento. Ricordo che lo Stato italiano, ogni anno, prima ancora di tirare furori un euro per finanziare qualsiasi cosa, deve trovare 80 miliardi di euro per finanziare gli interessi da pagare sul debito pubblico. Da qui l’evidente impossibilità del mantenimento delle promesse.

Addirittura, i vescovi italiani hanno definito «immorale» un tale modo di agire, il quadro si fa ancor più chiaro. E, meno male che l’ultimo sondaggio SWG ci dice che solo il 25% degli italiani crede a queste promesse.

Il rischio è che si allontani ancra di più la distanza fra i cittadini e i partiti con una colossale autodelegittimazione da parte di questi ultimi.

I PROGRAMMI A CONFRONTO: PROPOSTE E COSTI
Le promesse in campagna elettorale Chi avanza la proposta? Quanto costa alle casse dello Stato?
TASSE
Introduzione flat tax Berlusconi e Lega 40 miliardi nella versione Lega, circa 30 nel modello Berlusconi. Da Notare che sarebbe anche incostituzionale perché non informata a criteri di progressività, come detta la costituzione. La Flat tax significa che i poveri continano a pagare (fino al 20 %o 23% secondo le varie versoni) quello che pagavano prima. I ricchi, la cui aliquota è ore quasi del 50% pagherebbero la metà (sempre il 20 o il 23%). Secondo i promotori, i soldi liberati andrebbero a finanziare nuovi posti di lavoro. Secondo me prenderebbero la via delle isole Cayman.
Abolizione Irap Berlusconi 23 miliardi. Il gettito è sceso nettamente dopo il 2015, con gli sconti inseriti nella legge di Stabilità di allora (prima si era sui 30 miliardi)
Abolizione tasse su successioni e donazioni Berlusconi Oltre 720 milioni di gettito nel 2016, in crescita del 6% fino a novembre del 2017
No-Tax area elevata Cinque stelle Elevare l’esenzione dalle tasse da 8.100 a 10.000 euro (circa 2,7 milioni di contribuenti con oltre 20 miliardi di redditi). Il programma prevede anche la riduzione delle aliquote Irpef e abolizione di studi di settore, spesometro, split payment ed Equitalia
PENSIONI e WELFARE
Abolizione Fornero Lega e Berlusconi 80 miliardi a regime nel 2025. Le semplici correzioni degli “effetti deleteri” come da intesa di Arcore (esenzione precoci e congelamento a 67 anni), circa 12 miliardi
Pensione alzata fino a 1.000 euro per tutti, casalinghe incluse Berlusconi 7 miliardi
Pensione minima a 780 euro Cinque stelle Da finanziare con i tagli alle pensioni sopra 5mila euro (componente retributiva). Anche se molti, troppi economisti per non dar loro ascolto, hanno giurato e spergiurato che anche tagliando a zero le (poche) pensioni sopra i 5.000 euro non si riuscirebbe a coprire la spesa. Verrebbe poi in essere una guerra sociale fra chi ha la pensione bassa perché ha pochi anni di contributi versati (baby pensionati) o perché (quando si poteva) è andato in pensione con 20 anni di contributi e chi, lavorando per oltre 42 anni, ha un apensione alta perché se la è guadagnata (quando vigeva il il sistema retributivo) e non se la è rubata.
Quota 100 e 41 di contributi Cinque stelle (e Forza Italia in parte) Pensionamento bloccato: significa 59 anni di età e 41 di contributi. Spesa molto alta
Introduzione redditi anti-povertà Berlusconi
Cinque stelle
Il reddito di dignità di Berlusconi costerebbe 29 miliardi e investirebbe 2 milioni di famiglie. Stesso costo per il reddito di cittadinanza di M5S che tuttavia contesta le stime e si attesta a 15 miliardi
FAMIGLIA E FIGLI
Assegno universale Renzi Pd Assegno collegato ai figli: parte da 250 euro netti mensile fino a 2 anni e scende a 100 euro da 18 a 25 anni. L’assegno universale si riduce gradualmente dopo i 55 mila euro.

Verrebbero aboliti gli attuali assegni familiari e le detrazioni per i figli a carico, oltre ai vari bonus. Costo da finanziare: 9-10 miliardi

Quoziente familiare Cenni in Forza Italia, Cinque Stelle, Lorenzin Il sistema francese abbatte l’imponibile familiare in base ai componenti. Costo: 30 miliardi
Natalità Cinque Stelle Iva agevolata per i prodotti neonatali e più detrazioni per assumere colf e badanti (con 17 miliardi di risorse sul piatto)
Asili nido gratis Meloni, Grasso, Cinque stelle, Lorenzin 300 milioni
VARIE
Abolizione canone Rai Renzi Pd 1,8 miliardi per 20 milioni di utenti che pagano 90 euro l’anno
Abolizione tasse universitarie Grasso LeU 1,9 miliardi per 1,6 milioni di studenti
Abolizione bollo prima auto Berlusconi 3 miliardi per 20 milioni di proprietari auto

Stiamo assistendo, in questa prima fase della campagna elettorale a mirabolanti promesse dal costo talmente stratosferico che anche un bambino sa che non potranno mai esser realizzate.

Molte di queste promesse sono incentrate sulle pensioni e vanno dalla diminuzione dell’età pensionabile alla totale abolizione della cd. Legge Fornero, il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201

Non potrà mai essere. La riforma delle pensioni è il principale caposaldo su cui si regge la residua fiducia che l’Unione europea, la nostra principale creditrice, ancora ripone nel nostro Paese. Torniamo allo stato pre-Fornero e la Troika ci piomberà addosso. E non sarà tenera. Nessuno ha fornito una copertura plausibile.

Quello che accumuna tutte le promesse strampalate fatte fin ora è una netta nuova spesa o una netta minore entrata. Lo scopo dichiarato di tutte queste promesse è aumentare la propensione al consumo, ora stagnante. Più soldi la gente ha in tasca, più spende, più aumenta la produzione, più aumenta il PIL. Quindi l’obbiettivo è anche quello di promettere soldi che non siano tesaurizzati, bensì spesi.

Mi permetto di entrare anche io nell’agone delle promesse con una proposta che ha il pregio di non essere una nuova spesa o una minore entrata, bensì solo l’anticipazione di una spesa già liquida e certa che lo Stato si rifiuta di erogare in tempi brevi. Il costo, quindi è solo dei minori interessi che lo Stato guadagna differendo la spesa.

Mi riferisco alla cd. liquidazione, che per i privati prende il nome di TFR (trattamento di fine rapporto) e per i dipendenti dello Stato prende il nome di TFS (Trattamento di fine servizio).

E’ un istituto tutto italiano, una retribuzione differita che il datore di lavoro tiene da parte per il dipendente e gliela eroga al termine del rapporto di lavoro. Per i dipendenti pubblici il TFS ha anche una natura previdenziale, in quanto il dipendente versa il 2,5% dei contributi, al contrario del dipendente privato i cui contributi sono versati per intero dal datore di lavoro.

Per tradizione, la liquidazione, visto che – in genere – arriva in tarda età, è spesa quasi subito, immettendo denaro liquido nel sistema economico. La spesa principe di chi riceve la liquidazione è l’acquisto, totale o parziale della abitazione per i figli, o la ristrutturazione della propria abitazione, o l’acquisto di un’auto nuova. Tutto denaro fresco che, speso, innesca una spirale virtuosa nella produzione.

Invece lo Stato che fa? Per i suoi dipendenti se la tiene stretta e la eroga con molto ritardo. Ritardo consentito da leggi dello Stato.

 

Per dimostrarlo devo raccontare una storia non breve e un po’ tecnica, ma se vi fidate, potete saltare tranquillamente alle conclusioni.

 

Si iniziò con il  D.L. 28/03/1997, n. 79   (1° Governo  Prodi) che dispose (art.3) che il trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici che avessero cessato il rapporto prima del raggiungimento dell’età massima (non c’era ancora la legge Fornero) , fosse erogato dopo 24 mesi dalla cessazione del servizio. Quindi chi rimaneva fino all’età massima riceveva tutta la liquidazione dopo 12 mesi, chi andava prima riceveva tutta la liquidazione dopo 24 mesi.

Ci si mise poi il D.L. 31/05/2010, n. 78 (Governo Berlusconi IV)  che intervenne (art. 7) stabilendo nuovi criteri, sempre per i dipendenti pubblici. La liquidazione viene corrisposta:

  1. in un unico importo annuale se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente pari o inferiore a 90.000 euro;
  2. in due importi annuali se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente superiore a 90.000 euro ma inferiore a 150.000 euro. In tal caso il primo importo annuale è pari a 90.000 euro e il secondo importo annuale è pari all’ammontare residuo;
  3. in tre importi annuali se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente uguale o superiore a 150.000 euro, in tal caso il primo importo annuale è pari a 90.000 euro, il secondo importo annuale è pari a 60.000 euro e il terzo importo annuale è pari all’ammontare residuo.

Ovviamente restò fermo quanto previsto dalla normativa allora vigente in materia di determinazione della prima scadenza utile per la erogazione, ovvero del primo importo annuale, con conseguente riconoscimento del secondo e del terzo importo annuale, rispettivamente, dopo dodici mesi e ventiquattro mesi dal riconoscimento del primo importo annuale.

 

Infine, l’ultima norma, il Comma 484 della legge. 27/12/2013, n. 147, “legge di stabilità 2014” (Governo Letta I) che dispone la riduzione degli importi erogabili. Non più “subito” 90.000 euro, bensì solo 50.000.

 

Ora, indipendentemente dal giudizio su liquidazioni oltre i 150.000 euro che, comunque, devono essere corrisposte perché “guadagnate” seguendo le leggi attuali e non “rubate”, la situazione è questa: un Dirigente dello Stato che vuol andare via per lasciare il posto ad un giovane disoccupato usufruendo della possibilità concessa dall’articolo 24, comma 10, della già citata legge Fornero (ossia andare in pensione con 62 anni di età e avendo versato più di 42 anni e 10 mesi di contributi, ma dal 2019 saranno 43 anni e un mese di contributi) riceverà la sua liquidazione che, ricordo, non è un regalo, ma una retribuzione differita alla quale ha partecipato versando il 2,5%, secondo questo schema:

  1. dopo 24 mesi dal collocamento in pensione: 50.000 euro
  2. dopo 36 mesi dal collocamento in pensione il 50% del rimanente
  3. dopo 48 mesi dal collocamento in pensione il rimanente 50%.

Quindi i soldi messi in salvadanaio verranno riscossi interamente dopo 4 anni, a meno di non far guadagnare le banche cedendo il credito.

 

Visto che queste somme sono già contabilizzate come debiti certi ed inseriti nel bilancio dello Stato perché non erogarle subito? Non si tratta di nuove spese, ma solo di spese ritardate. Pensate quante case potrebbero essere compravendute, quante auto comprate e prodotte, quale impulso all’economia potrebbe essere fornito eliminando questo folle e colpevole ritardo nell’erogazione delle liquidazioni.

 

 

Il 10 gennaio scorso ho avuto la fortuna di assistere alla presentazione della riedizione di “Moniti all’Europa” di Thomas Mann, arricchito da una presentazione di Giorgio Napolitano.

Si parlava del grande scrittore tedesco, fuggito all’estero durante il nazismo; si parlava delle sue opere, dei suoi discorsi radiofonici ai tedeschi per metterli in guardia contro gli eccessi del nazismo. Si parlava di Germania, della Repubblica di Weimar, del nazismo, ma si intendeva Italia e prossime elezioni politiche del 4 marzo.

L’età media dei relatori e della platea era di circa ottanta anni, ma che piacere ascoltare un lucidissimo Sergio Zavoli (95 anni) un arcicompetente Paolo Mieli, uno stimolante Massimo Cacciari, un chiarissimo Giorgio Napolitano che spazia, nonostante i 92 anni, da Weimar al concetto di borghesia e di classe operaia; delle differenze di traduzione di dei Romanzi Thomas Mann al suo chiamarsi fuori dal nazismo, ma senza rinnegare le sue precedenti convinzioni.

Ecco, questa è la cultura, due ore di interventi “pesanti”, al di là della cronaca e della storia, ma che affondavano nelle cause e nei perché, volate via come se fossero cinque minuti, pura goduria delle orecchie e del cervello. Ma anche rimpianto perché queste menti, incommensurabilmente superiori a quelle di politici odierni, ben poco potranno fare ancora per il nostro Paese, ormai in balia di semplici mestieranti.

Etica della politica di Mann, o etica della responsabilità, come ricordato da Cacciari: “la politica deve essere realistica e indicare i mezzi per raggiungere gli scopi che ogni partito di prefigge”, se no son chiacchiere.

Meraviglioso e quasi godurioso il duetto fra Napolitano e Cacciari sulla “alleanza fra borghesia classe operaia” unite dal comune scopo di far progredire la nazione, la prima con il cervello la seconda con le braccia. Ambedue scomparse.

 

Ma la cosa che ricordo di più dell’incontro – forse per le similitudini con l’oggi – è il ricordo dello “anno orribile” 1923, quando, in Germania, in piena Repubblica di Weimar, ad agosto, il Governo formato da Gustav Stresemann sembrò risollevare il Paese e porre un argine al nazismo e alle forze populiste che lo sostenevano, ultimo baluardo della legalità democratica. Era un governo di coalizione con il Zentrum e i socialisti.  Ma una scissione della sinistra – e qui ho visto gli occhi dei relatori arrossarsi per lacrime represse – nel novembre dello stesso 1923 portò alla caduta del Governo. Da qui iniziò la caduta libera della Germania verso forze populiste e dittatoriali che fece sprofondare l’Europa nell’olocausto della II Guerra mondiale.

 

Purtroppo i segni, anche oggi, sono evidenti e senza neppure riandare alla Repubblica di Weimar e a Thomas Mann.

Infatti, nell’incontro, è stato evocato anche Max Weber e i suoi discorsi contro l’Uomo forte (allora Bismarck) che esautorava la centralità del Parlamento. Il Parlamento deve essere, invece, un luogo fondamentale della democrazia. Il Parlamento è il luogo deputato a fare emergere le élite: gli uomini migliori si faranno in parlamento. La centralità del parlamento deve essere assoluta: qui si deve svolgere la lotta (pacifica), qui deve venir fuori il leader (il parlamento non è affatto antitetico al carisma). Il parlamento è utile perché, una volta selezionato il leader carismatico, pone comunque i limiti della legalità costituzionale, funzione di controllo del parlamento.

Purtroppo Il popolo è portato affettivamente a sottomettersi al carisma del signore, il quale è dotato di virtù soprannaturali (eroismo, ecc.) che non sono mai esistite se non nella sua autoconvinzione e pubblicità. La sottomissione avviene in maniera emozionale e non razionale. Appena perde le sue qualità, il popolo non obbedisce più all’eroe carismatico che perde di colpo il suo potere; se le masse non percepiscono più come tale il suo potere, questo “duce” cade immediatamente. Viene così meno il concetto razionale della competenza e della democrazia, ossia associarsi attorno ad una idea (vedi articolo 49 della nostra Costituzione) e non attorno al carisma di uomo.

E quanti esempi abbiamo avuto di questa tesi di Max Weber. Da Mussolini a Hitler, fino a Berlusconi e Renzi, senza tralasciare uomini politici che hanno fatto del “carisma personale” il loro biglietto da visita, Grillo prima di tutto, senza altra garanzia che mirabolanti promesse, senza alcuna base giuridica.

 

Questo il quadro politico attuale in cui, per ripicche personali si ci divide e divisi si va alle elezioni con la matematica sicurezza di perdere, contro avversari che, messe da parti le naturali divergenze sulle marginalità, fanno gruppo unico e compatto di fronte all’elettore.

Quale sarà il destino dell’Italia? Weimar o una “democratura”?

Comunque vada, come disse qualcuno più competente di me “prepariamoci alla notte gelida che ci attende”.

Moniti all’Europa

Sia con il vecchio “porcellum”, sia con la nuova legge elettorale avremo un parlamento di nominati e non di eletti. L’elettore avrà ben poche possibilità di incidere con il suo voto sulla scelta dei candidati. Anche il 4 marzo il segno sulla scheda sarà unico. Con una sola croce “sceglieremo” (sic!) sia il candidato del collegio uninominale, sia la lista proporzionale del medesimo partito. In altre parole, se nel nostro collegio uninominale il partito giallo ha presentato una eminente personalità, ma a lui è collegata una lista proporzionale di persone poco dabbene, se vogliamo “scegliere” l’eminente personalità, il nostro voto andrà anche alle persone poco dabbene.

I sistemi elettorali nel mondo sono i più vari, nessuno è perfetto e non me ne voglio occupare. Piuttosto perché non attuiamo finalmente una norma della nostra Costituzione che dorme da 70 anni?

Se i candidati sono scelti dai partiti politici è necessario che questi siano organizzazioni trasparenti per indirizzar ei cittadini al voto.

L’articolo 49 della nostra Costituzione (mai attuato)  afferma che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Ma da nessuna parte troviamo una regolamentazione dei partiti politici. Ognuno come gli pare – si dice – saranno gli elettori a scegliere.

Abbiamo un variegato mondo di forme di partito, da quelli i cui vertici sono scelti da democratici congressi ai quali la base invia i propri rappresentanti, a quelli in cui domina e sceglie chi finanzia il partito, a quelli in cui domina e sceglie il guru fondatore.

L’alibi della politica alla mancata attuazione della regolamentazione dei partiti politici è sempre stato quello di garantire la piena libertà di associazione, senza vincoli dello Stato, salvo quelli relativi alla spendita del denaro pubblico derivante da finanziamenti o “rimborsi elettorali”.

Eppure la necessità di una regolamentazione è sentita, proprio per garantire i cittadini. Tanto sentita che, almeno per le elezioni del Parlamento europeo, l’Unione europea ha sentito il bisogno di dettare alcune regole. Solo i partiti che le rispettano potranno presentarsi alla competizione elettorale. Le regola sono abbastanza recenti e contenute nel Regolamento  n. 1141/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014 , relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee.

Il Regolamento parte dalla funzione, non molto diversa da quella prevista dalla nostra Costituzione, assegnata dai Trattati ai partiti “che i partiti politici a livello europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea e a esprimere la volontà politica dei cittadini dell’Unione”.

Ma, subito, distingue fra “partiti politici” e fondazioni politiche”. I primi, senza scopo di lucro che persegue fini politici, le seconde con funzioni, diciamo cos’, di “supporto”.

L’aspetto fondamentale è che per esistere e svolgere i propri compiti di aggregazione ed indirizzo partiti politici e fondazioni devono essere registrati presso un apposito registro istituito presso l’Unione. E, per registrarsi deve dimostrare di avere numerosi requisiti, fra i quali, importanti quelli di democrazia e trasparenza. Sono tanti, ma mi piace riportare alcuni di quelli previsti dall’articolo 4. Devono esser specificati: le modalità per l’ammissione, le dimissioni e l’esclusione dei suoi membri, e l’elenco dei partiti che ne fanno parte; i diritti e i doveri connessi con tutti i tipi di partecipazione e i diritti di voto corrispondenti; i poteri, le responsabilità e la composizione dei suoi organi direttivi, specificando per ciascuno di essi i criteri di selezione dei candidati e le modalità della loro nomina e della loro revoca dall’incarico; i suoi processi decisionali interni, in particolare le procedure di voto e i requisiti in materia di quorum; la sua concezione della trasparenza, in particolare per quanto riguarda contabilità, conti e donazioni, il rispetto della vita privata e la protezione dei dati personali; la procedura interna di modifica del suo statuto.

Già questo è importante, ma non basta.

Il Regolamento prevede l’istituzione di una Autorità indipendente di controllo “ai fini della loro registrazione, del loro controllo e dell’irrogazione di sanzioni a essi applicabili a norma del presente regolamento”.

I Partiti sono soggetti ad obblighi di bilancio e rendicontazione presso l’Autorità e devono indicare i finanziamenti ricevuti e da chi sono stati erogati.

In mancanza, l’Autorità indipendente ha il potere di cancellare il partito politico dal registro.

Perché  non lo copiamo anche in Italia?

 

Oggi il “candidato premier” dei Cinquestelle, Luigi Di Maio, con forza, ribadisce un vecchio mantra dei grillini: “multa pesante per chi cambia partito nel corso della legislatura“. Il vecchio mantra è anche una vecchia “fake news”. Non hanno imparato nulla nel corso dei 5 anni di legislatura. Anche se sottoscritto dal candidato, l’irrogzione di una multa (più correttamente una penale, trattandosi di un contratto privato) E’ NULLA, NON VALE NIENTE perché è contraria alla legge e alla Costituzione. Infatti, l’articolo 67 della nostra Carta costituzionale recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato“.

Quindi anche se l’eletto Cinquestelle che ha sottoscritto la volontà di sottoporsi alla “multa” se cambia partito nulla dovrà ai Cinquestelle.

Poi Di Maio sembra, forse, rendersene conto e afferma che, quando saranno al Governo, proporranno l’abolizione del vincolo di mandato. A parte il fatto che dovranno far passare una legge di riforma costituzionale, cerchiamo di capire perché i nostri padri costituenti non hanno voluto il vincolo di mandato.

Se il vincolo di mandato fosse vigente, il Parlamento sarebbe inutile e sarebbe inutile anche il Governo, perché ogni parlamentare dovrebbe votare solo ed unicamente le leggi proposte dal suo partito con il quale ha il vincolo di mandato. Al posto del Parlamento, basterebbe una piccola riunione dei segretari di partito per definire quali leggi i loro “nominati” devono votare. Anche oggi abbiamo un Parlamento di nominati ma, almeno, essi non hanno l’obbligo giuridico di votare secondo il volere del segretario del Partito. Non voglio vivere in un Paese in cui lla Carta fondamentale sancisce lo strapotere dei Partiti

Ricordo, infine, che l‘unica norma costituzionale che riguarda direttamente i partiti politici è l’articolo 49, secondo il quale tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere “con metodo democratico” a determinare la politica nazionale.

Se siete d’accordo, condividete…

 

Ieri, il “candidato premier” dei 5stelle, Luigi Di Maio, ha, da Torino, minacciato i sindacati “Sindacati si autoriformino o ci pensiamo noi“. Io non sono mai stato un grillino, anzi, li aborro come il qualunquismo puro e la quintessenza della ondivaghezza. Però stavolta non ha torto. I sindacati, lungi da interpretrare il ruolo loro assegnao dalla costituzione agli articoli 39 e 40 della Costituzione:

ART. 39.

L’organizzazione sindacale è libera.
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione
presso uffici locali o centrali, secondo le norme stabilite dalla legge.
È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un
ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati
unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di
lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle
quali il contratto si riferisce.

ART. 40.
Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano

 ormai sono sempre più un mezzo di interdizione dell’azione statale. Eppure il numero di iscritti cala notevolmente (leggi qui e qui e qui) e sempre più la percentuale di iscritti si sposta verso chi non lavora, ossia i pensionati (leggi qui) .

Eppure il peso anche delle piccole sigle sindacali è notevole. E’ sotto gli occhi di tutti come – nella totale assenza di regolamentazione – poche, piccole sigle sindacali, agendo nelle pieghe dell’articolo 40 della Costituzione riescano a bloccare i trasporti di una grande città proclamando, ognuna, uno sciopero di poche ore, ma sfalsato nei tempi. Se, poi si aggiunge, che per la mancata applicazione dell’articolo 39 della costituzione, nella parte ove si prevede la registrazione dei sindacati, ogni “lavoratore” è libero di aderire allo sciopero proclamato anche dal sindacato a cui non è iscritto, il caos è totale.

Aggiungiamo anche che, sempre più, l’azione sindacale NON è volta alla tutela del lavoratore (Il sindacato la dovrebbe perseguire, nell’ambito dell’articolo 41 della Costituzione che sancisce la libertà dell’iniziativa economica privata), bensì nella cieca difesa del posto di lavoro, anche se questo posto di lavoro è improduttivo.

Sarebbe opportuno che, finalmente, si desse attuazione agli articoli della Costituzione che regolano i rapporti sindacali con una legge di attuazione che manca dalla  sua promulgazione e che imponga la registrazione come “sindacati” alle associazioni che intendono tutelare i lavoratori; che imponga la delega e la rappresentanza solo ed esclusivamente per gli iscritti; che permetta, dietro preavviso, solo agli iscritti alla sigla sindacale che ha proclamato lo sciopero, l’astensione dal lavoro. Ma soprattutto una legge che imponga ai sindacati di tutelare i lavoratori, non il posto di lavoro.

Analoga situazione si verifica per i partiti politici. L’articolo 49 della Costituzione, anche questo mai attuato, recita:

“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per con-
correre con metodo democratico a determinare la politica nazionale.”

La mancata attuazione di tale articolo con una legge che spiega cosa debba intendersi per “partito politico” ha dato luogo ad una serie infinita di formazioni nate con lo scopo di eludere il dettato dell’articolo 49 della costiuzione.  Vediamo ogni giorno lo spuntare di “entità” che si fanno chiamare “movimenti”, “associazioni”, “gruppi”, sempre eterodiretti da chi è fuori dalla formazione e non si assume responsabilità. L’accenno a Grillo e Casaleggio dei 5stelle è volutamente casuale.

Anche questa attuazione costituzionale dovrebbe essere una priorità per il Parlamento, ma forse fa comodo a tutti la palude indefinita.

Eppure un modello c’è. Nel 2014 la tanto vituperata Unione europea ha varato il “REGOLAMENTO (UE, EURATOM) N. 1141/2014 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 22 ottobre 2014 relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee

E’ un Regolamento semplice e piano – obbligatorio solo per i partiti che si presentano alla competizione per il Parlamento europeo – che elenca obblighi e doveri di trasparenza dei partiti con la netta scissione nei raporti e attività economiche, fra partiti e fondazioni.

E’ forse una traccia da seguire per regolamentare la melma attuale delle formazioni che si arrogano il dititto di rappresentare gli elettori.

Il problema è serio e coinvolge lo stesso nostro concetto di democrazia che vorremo esportare nel mondo. Purtroppo non è più di moda. Tanti, troppi cittadini di tante, troppe parti del mondo, ormai preferiscono la “democratura” (leggi qui e qui).  Vedi Russia, Turchia, Iran, Cina, alcuni Paesi centroamericani. Per questi popoli, rinunciare a quelle che noi chiamiamo “libertà fondamentali” come la libera candidatura alle cariche elettive, la libera contestazione dell’attività di governo, il libero pensiero, in cambio di sicurezza e sviluppo economico e di ricchezza è un affare vantaggiosoè. Ormai, nell’era dei social e della pancia piena (la “fame” ormai sussiste solo nell’Africa sub sahariana ed in India), l’obiettivo del popolo non  è la libertà di espressione, bensì il capo firmato, l’ultimo modello di smartphone o l’ultima creazione di McDonald. Il distacco fra il popolo e la politica è totale.

 

Chissà Camillo Benso conte di Cavour cosa penserebbe dell’Italia di oggi……

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sono occhi d'ambra lucida tra palpebre di viole, sguardo limpido di aprile come quando esce il sole

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ALESSANDRA BARSOTTI - FOTOGRAFIE

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