Pare accertato che “Bella Ciao” non era fra i canti partigiani e non fu mai cantato da essi.
Cominciò ad essere famoso solo negli anni ’60.
Nel testo: “«Una mattina mi son svegliato o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor.
O partigiano portami via o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao o partigiano portami via che mi sento di morir.
E se io muoio da partigiano o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao e se io muoio da partigiano tu mi devi seppellir.
Seppellire lassù in montagna o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao seppellire lassù in montagna sotto l’ombra di un bel fior.
E le genti che passeranno o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao e le genti che passeranno mi diranno che bel fior.
E questo è il fiore del partigiano o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao e questo è il fiore del partigiano morto per la libertà.»”
Nl testo, dicevo, non c’è alcun riferimento a ideologie politiche, solo un grido per la libertà perduta a causa dell’invasor e la voglia di combattere l’invasore.
Tanto è vero che, almeno alle origini non aveva connotazioni politiche è dato dal fatto che fu cantata anche al congresso che elesse Benigno Zaccagnini alla Segreteria della DC, movimento non certo di sinistra.
Quello che è certo che la Destra, non si sa perché, se l’è pesa con questa canzone che, ripeto, è solo un grido di libertà contro l’invasore, e – furia di dire che sia un canto comunista – magari qualcuno ci crede.
E la connotazione politica “a sinistra” di Bella ciao è un fatto tutto italiano. La canzone famosissima nel mondo è cantata sempre quando si lotta contro un invasore, un po’ come il canto degli ebrei in “Và Pensiero” di Giuseppe Verdi:” Saluta le rive del Giordano, E le torri distrutte di Sion! Oh mia Patria, così bella ma perduta, Oh ricordo così caro, ma così doloroso.”
Ma non solo…..
Tra le innumerevoli esecuzioni spicca anche quella del musicista bosniaco Goran Bregović, (non certo uomo di sinistra) che la include regolarmente nei propri concerti, e che ha dato al canto popolare un tono decisamente balcanico (contro l’invasione della Bosnia).
Durante le proteste dell’ottobre 2011, il movimento Occupy Wall Street, gli indignados a stelle e strisce, intonò Bella ciao.[56]
Il candidato socialistaFrançois Hollande ha scelto il canto popolare dei partigiani dell’Emilia-Romagna per concludere un suo discorso in occasione delle elezioni presidenziali 2012, tra gli applausi della folla.[57]
Bella ciao, in italiano, è stata anche cantata a Parigi dall’attore comico francese Christophe Alévêque durante le commemorazioni funebri delle vittime della strage avvenuta nella sede del settimanale satirico francese Charlie Hebdo: nel corso di una cerimonia pubblica di sostegno del giornale (trasmessa in diretta l’11 gennaio 2015 da France 2),[60] e durante il funerale del fumettista Bernard Verlhac, detto “Tignous” (trasmesso in diretta da BFMTV).
Nella rivoluzione sudanese del 2018 e 2019 alcuni ribelli hanno intonato la canzone, realizzando anche una cover del brano.[63]
Nel 2019 viene fatta una canzone inglese, Do it now, con un nuovo testo sulle note di Bella ciao per i cambiamenti climatici.
Sempre nel 2019, viene cantata all’aeroporto di Barcellona dai manifestanti per l’indipendenza della Catalogna per protestare contro le condanne inflitte a dodici leader catalani.[64]
Nel 2019 anche i manifestanti cileni cantano e suonano Bella ciao mentre si ritrovano in Plaza Italia per protestare contro il presidente Sebastián Piñera e per chiedere riforme economiche e cambiamenti politici.[65]
Durante l’invasione russa dell’Ucraina del 2022, una versione in lingua ucraina è stata cantata da diversi soldati come forma di resistenza ed opposizione agli invasori russi.
Nel settembre 2022 viene cantata una versione in lingua persiana di Bella Ciao durante le proteste antigovernative in seguito alla Morte di Mahsa Amini.
Come si vede, le occasioni più varie, di destra di sinistra accumunate solo dal desiderio di libertà contro l’invasore.
Per concludere, eccone qualche esempio. Domani cantiamola a squarciagola, non perché siamo comunisti o di sinistra, ma perché il 25 aprile 1945 ci siamo liberati dall’invasor
C’è solo l’imbarazzo della scelta nel riferire le ultime “perle” di questo pseudogoverno
Da dove iniziamo? Dalle gite turistiche imposte alle navi ONG per arrivare al più lontano porto sicuro?
Dalla guerra su tutto l’orbe terracqueo agli scafisti o presunti tali, visto che ci siamo accorti che parecchi “scafisti” che abbiamo arrestato altro non sono che poveri diavoli messi con la forza al timone dai veri trafficanti?
Oppure dal nuovo nemico, il nuovo responsabile degli sbarchi che siamo noi, perché gli sbarchi avvengono perché l’opinione pubblica è favorevole agli sbarchi e ai salvataggi?
Oppure dalle vittime delle fosse ardeatine, uccisi, secondo la premier, “solo perché italiani”. A parte la pratica impossibilità per i tedeschi di compiere la turpe rappresaglia contro cittadini spagnoli, britannici o tedeschi, la premier “dimentica” di dire che le liste non furono compilate da tedeschi, bensì da italiani fascisti che vi inserirono ebrei e antifascisti.
Neppure sui rapporti con l’Europa so da dove cominciare.
Forse dalla manifesta soddisfazione della nostra Presidente del Consiglio per le conclusioni del Consiglio europeo sull’immigrazione? Peccato che il documento ufficiale del Consiglio europeo releleghi l’immigrazione fra le “varie ed eventuali” con cinque righe ove rimanda tutto a giugno. Rinvio ormai di prassi.
Oppure dell’isolamento in cui siamo stati posti o dalle valle sulla comunicazione? Il Governo ha sostenuto che l’Europa rivedrà la posizione italiana sul PNRR fra un mese, modo elegante di riferire l’amara verità: LA Commissione ha bloccato I trasferimenti PNRR perché non abbiamo raggiunto gli obiettivi programmati e, secondo il Ministro Fitto non li raggiungeremo.
Oppure vogliamo raccontare della contrarietà espressa sulla fine dei motori a scoppio entro il 3035 con la scusa che la filiera della automobile è il perno dell’industria italiana? Forse una volta. Oggi non esistono più case automobilistiche italiane. Stellantis, ex Fiat con sede in Olanda si è già schierata per il passaggio all’elettrico. Siamo ancora forti nella componentistica, ma, caro Governo, le auto elettriche, come quelle tradizionali hanno anche esse i freni, gli interni, i cruscotti etc. etc. Perché allora assumere questa posizione perdente e continuare a spendere I soldi delle bollette elettriche degli italiani per montare colonnine di ricarica a bassa intensità che impiegano 7 ore a ricaricare una autovettura? Roba inutile.
Parliamo sempre di falsità della comunicazione. Ieri il Consiglio dei ministri, prima nazione al mondo, ha votato il divieto di produzione, commercializzazione e assunzione di “alimenti” artificiali, che proprio artificiali non sono: è ormai prassi medica comune per curare gravi ed estese lesioni, prendere alcune cellule staminali (indifferenziate) del paziente, farle riprodurre e applicare la nuova pelle, identica alla precedente sulla parte ustionata. Ecco, il procedimento della “carne artificiale” è proprio questo, con cellule staminali prese da un muscolo di un bovino e fatte riprodurre, molto meno traumatico di quello descritto dall’attuale maggioranza come derivato direttamente da Frankstein o da Maga Magò.
Per carità di patria accenno solamente ad alcune uscite parecchio infelici come dichiarare che la procreazione eterologa è peggio della pedofilia. Oppure sviare l’attenzione da un problema attuale e urgente come la trascrizione nei registri dello stato civile di bambini già nati all’estero da genitori del medesimo sesso con l’aiuto del seme o dell’utero altrui ad una lotta senza senso contro le unioni omosessuali.
O il nuovo codice degli appalti? Draghi aveva dato al Consiglio di Stato il compito di scriverlo per rientrare, entro il 31 marzo 2023, nella tempistica del PNRR. Il Consiglio di Stato ha terminato la sua opera nel dicembre scorso. Il Governo ha impiegato questi 3 mesi per liberalizzare del tutto u subappalti, per elevare la soglia oltre la quale è vietato l’affidamento diretto. Sì, andrà tutto più veloce, ma si sono dimenticati di aumentare i controlli, almeno quelli a posteriori. Corruzione e cemento depotenziato a gogò.
Ovviamente i gestori di stabilimenti balneari e gli “ambulanti” continuano a svolgere tranquillamente la loro attività incuranti dell’infrazione (che pagheremo tutti noi) per violazione alle regole della concorrenza.
Certo che questo Governo appare alquanto strampalato. Alcuni suoi provvedimenti sono privi di logica o perseguono una logica tragica per la Nazione. Non parliamo poi delle dichiarazioni dei suoi esponenti che farebbero minor danno a tacere.
Ma la realtà supera la fantasia con provvedimenti che dicono e non dicono, e, nel silenzio, lasciano intravvedere qualcosa di molto pericoloso. Ricordate il testo del Decreto legge sui Rave Party dove i Rave Party non erano nominati ma poteva applicarsi anche alle manifestazioni (e botte) delle università?
A proposito delle università…. A Firenze il 18 febbraio si pestano studenti di idee politiche contrapposte: non è chiaro chi abbia iniziato, se quelli di sinistra per impedire un volantinaggio di quelli di destra o quelli di destra a cui non piacevano quelli di sinistra. Quelli di sinistra hanno avuto la peggio. Chi, come me, ha i capelli bianchi, di scene come questa, negli anni ’70, ne ha viste tante: botte per motivi politici ci son sempre state. Che i ragazzi si interessino di politica è cosa buona e giusta, che si trascenda in forme violente è sbagliato. La violenza va sempre condannata. Una preside fiorentina ha scritto ai suoi studenti stigmatizzando la violenza, ma ancor di più il silenzio del Governo sull’accaduto. Ha, in pratica, ricordato che il fascismo iniziò non con la marcia su Roma, ma con i manganelli e l’olio di ricino mai condannati da chi allora era al Governo.
Era una buona occasione per il Governo di un Paese che, nella Costituzione, contiene il bando del fascismo di uscire dal silenzio e appoggiare la preside nel suo sforzo educativo.
E il ministro dell’istruzione parlò. Ma parlò per condannare la lettera della preside, giudicata inopportuna e minacciando provvedimenti contro di lei se avesse continuato. Tipico discorso dei tempi andati, quello di minacciare chi esprime le proprie idee. Se stava zitto avrebbe fatto miglior figura: sono partite svariate petizioni che hanno raccolto migliaia di firme a sostegno della preside e il caso è diventato nazionale accrescendo di molto il clamore.
L’Italia, lo sappiamo, ha quasi ottomila chilometri di coste e spiagge alle quali ambiscono indigeni e turisti. E – ovviamente – nel nostro Paese c’è una anomalia tutta nostra. Ho visitato le spiagge francesi, spagnole, greche, tutte spiagge libere. Gli “stabilimenti” ci sono, ma limitati ad una piccola fetta di spiaggia in prossimità della strada costiera dove offrono i loro servizi come ristoranti, spogliatoi, bar. Il resto è spiaggia libera. Da noi, invece, lungo la strada costiera una lunga fila di stabilimenti contigui, senza alcuno spazio fra di essi per accedere alla spiaggia: la loro concessione arriva fino ai canonici cinque metri dalla battigia nei quali non è permesso sostare. Un affare da milioni di euro; sapete benissimo quanto costi un giorno di lettino e ombrellone. Ma da questo “grande affare” lo Stato ricava solo pochi spiccioli perché i canoni delle concessioni sono bassi e fermi da anni favorendo in modo abnorme chi la concessione la ebbe a suo tempo.
Per accontentare chi li ha votati, il Governo costringerà tutti noi a pagare per l’infrazione comunitaria come successe per le quote latte.
Poi ci sono gli svarioni. Il Governo ce l’ha a morte col reddito di cittadinanza. Non mi esprimo sul merito. Ma, nella sua furia iconoclasta cosa fa il Governo? Nella legge di Bilancio 2023, al comma 318 dell’articolo 1, dispone “318. A decorrere dal 1° gennaio 2024 gli articoli da 1 a 13 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, sono abrogati.” Bene. Abrogato il reddito di cittadinanza, ma abrogando gli articoli da 1 a 13, il Governo ha abrogato anche le sanzioni per i “furbetti” che hanno ottenuto il beneficio senza averne i requisiti. Un gigantesco condono. Abrogate le norme (articoli 7, 7bis e 7ter, non ci sono più le sanzioni per chi ha imbrogliato. E non è finita. Nella sua costruzione il reddito di cittadinanza, assumendo il nome di pensione di cittadinanza (art.1 del D.L.), sostituiva quello che una volta si chiamava pensione sociale. Abrogato anche quello: i vecchietti indigenti non avranno più un sostegno dallo Stato. Vedremo che farà il Governo.
Ma non è finita qui. Sull’assenza di assistenza al barcone prima dell’impatto, il Governo si è trincerato dietro le condizioni del mare forza 6/7 che avrebbero impedito l’uscita dei mezzi SAR della Capitaneria di porto. Valutazioni discrezionali. Ma c’è un ex medico della Polizia, ora impegnato nelle associazioni di volontariato e soccorso che la pensa diversamente: “abbiamo compiuto salvataggi con condizioni di mare peggiori!”. Che fa il ministro? Usa il metodo Valditara. Un giornale riporta, virgolettate, le sue dure parole desunte da una agenzia: «il Viminale sottoporrà all’Avvocatura dello Stato le gravissime false affermazioni diffuse da alcuni ospiti in occasione della trasmissione “Non è l’Arena” al fine di promuovere in tutte le sedi la difesa dell’onorabilità del governo, del Ministro Piantedosi, di tutte le articolazioni ministeriali e di tutte le istituzioni che sono da sempre impegnate nel sistema dei soccorsi in mare». Il Giornalista Enrico Mentana sottolinea “A me queste sembrano minacce!”.
Ho paura che queste “cronache” continueranno, perché la nostra memoria è sempre più corta ed è meglio che certe cosse vengano fissate per esser ricordate, nel bene e nel male.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Pericle – Discorso agli Ateniesi, 431 a.C. (*)
Tratto da Tucidide, Storie, II, 34-36
(*) Errata corrige: inizialmente era stata indicata la data del 461 a.C., riportata da diverse fonti, ma in realtà il discorso, secondo Tucidide, è stato pronunciato all’inizio della Guerra del Peloponneso (431 a.C. – 404 a.C.)
Oggi voglio tornare sul tema dei rifiuti solidi urbani. Sono stato qualche mese lontano da Roma e mi è sembrato che, altrove, il problema sia un po’ meno un problema.
Ma il ritorno nella Capitale ripropone il tema in tutta la sua attualità.
Le città – in un modo o nell’altro – si organizzano, ma il tema è sempre quello: a noi cittadini vengono imposti paletti ed incombenze, ma il costo della tassa su rifiuti continua a salire.
Ci sono città che hanno ancora il sistema di raccolta a cassonetti, altre sono passate al “porta a porta” seppur non sempre con le medesime modalità.
Ogni metodo di raccolta ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. Ne scriverò poi.
Ma vediamo, nella pratica come si svolge la vita di un cittadino rispettoso delle norme e che “tiene a cuore” l’ecologia e la vita del pianeta.
Io sono single e come tutti i single spesso non mangio a casa. E questo, forse non si sa, per lo smaltimento rifiuti è un piccolo dramma.
Per i non romani ricapitolo la situazione nella Capitale. Tranne che in poche parti del centro storico, non c’è la raccolta differenziata porta a porta, ma i cassonetti per le strade.
Quello marrone per l’organico, con l’obbligo dei sacchetti superbiodegradabili; quello bianco per la carta; quello blu per la plastica (non tutta) e il metallo; quello grigio per i rifiuti non riciclabili; la campana verde per il vetro (ricordatevi di non mettere anche il sacchetto nella campana).
Sorvolo sullo scempio e sui cumuli di immondizia attorno ai cassonetti non svuotati per intrattenervi sul dramma del single (ossia una persona sola) che deve dividere i suoi (pochi) rifiuti ogni giorno in cinque sacchetti diversi. Eh, sì, ogni giorno: ho una casa molto piccola e non posso tenermi i sacchetti aperti, pena l’intervento dei Vigili del fuoco per la puzza che, dopo il primo giorno, promanerebbe, spargendosi per il quartiere.
Cominciamo dal facile.
Decido di prepararmi per cena una pasta con il sugo e un hamburger vegetale. A pranzo ero fuori, ho risolto con un tramezzino per i cui rifiuti se la vedrà il bar.
Allora, prendo il pentolino per il sugo, ci metto un po’ d’olio e uno spicchio d’aglio. Le parti scartate dell’aglio mi fanno aprire un sacchetto per l’organico biodegradabile. Mi accorgo di aver messo, forse, un po’ troppo olio e non so dove buttarlo. Nel lavello? Nel gabinetto? Pare sia vietato; bisognerebbe “conferirlo al consorzio obbligatorio olio esausto”. La legge vieta di smaltirlo nelle fogne. Ma a Roma non è previsto alcun servizio. Sono costretto a trasgredire.
Apro un barattolo di pomodori pelati. Beh, il contenitore è metallo, facile, apro un sacchetto per i rifiuti metallici, sciacquo il contenitore (acqua sprecata) e ce lo metto dentro. Vorrei condire il sugo con un po’ di capperi e di alici, così finisco quei due barattolini in vetro che ho nel frigo. Sì, li svuoto, e cerco di smaltirli. In quello che conteneva le alici c’è rimasto un dito d’olio. Non è fritto. Posso buttarlo nelle fogne? Chissà. Tutti e due son di vetro ma hanno l’etichetta di carta che dovrei staccare. Passo i due barattolini sotto l’acqua (che spreco!), ma l’etichetta sembra attaccata con una super colla. Ci rinuncio e li metto in un altro sacchetto per i rifiuti in vetro.
La pasta. L’acqua bolle e svuoto il pacco nella pentola. Mi rimane in mano una confezione vuota in plastica. Altro sacchetto, per la plastica. Ma sarà plastica riciclabile? Chissà.
Passo all’hamburger vegetale, prodotto biologico chiuso in una bolla di plastica rigida, a sua volta contenuta un involucro di carta. La carta va nella busta di carta che raccoglie altra carta. Poi, la solita domanda, la confezione a bolla di plastica dove va smaltita? Nella plastica riciclabile o nell’indifferenziata? Le scritte sulla confezione si dilungano sulle proprietà nutritive, sulle kilocalorie, ma non dicono dove gettarla.
Finisco di cenare e mi ricordo che l’indomani devo consegnare delle foto e dei documenti che ho sul computer ad un amico. Ho comprato una minuscola pennetta USB per la bisogna. Osservo la confezione: la pennetta sarà tre centimetri per uno. Ma è “affogata” in una bolla di plastica dura, a sua volta incollata su un cartoncino dove, per di più sono stampate, in minuscoli caratteri, le istruzioni d’uso. Quindi aprendo – con le forbici, con le mani non ce la faccio – la confezione perdo le istruzioni. Poco male, so come si usa la pennetta USB. Peccato, però, mi perdo l’indirizzo web del produttore che, leggo sui resti, mi avrebbe fatto scaricare gratuitamente un programmino per le immagini. Ma non divaghiamo. Ho fra le mani un rifiuto misto: resti della bolla di plastica saldamente incollati al cartoncino. Dove li butto? Uso la monetina?
Bel dilemma. Ci bevo sopra l’ultimo sorso di una bottiglia di vino che avevo in casa. Anche qui il problema di togliere l’etichetta di carta prima di smaltirla.
Sono stato solo due ore in casa e ho aperto cinque contenitori: per la plastica, per l’indifferenziata, per la carta, per il vetro, per l’organico e ho sempre il dubbio di aver diviso bene e il rimorso per l’olio fritto nello scarico.
I sacchetti di plastica che ho usato per i rifiuti, secondo me, contengono più plastica del contenuto, forse no perché ho usato una busta di carta per i rifiuti cartacei e una busta di mais per quelli organici, forse sì perché le altre buste son grosse, non ne ho altre. I sacchetti per l’immondizia sono ancora più grandi. Insomma, spesso mi sembra – fra acqua sprecata e sacchetti per i rifiuti – di inquinare più dei rifiuti che produco. Senza contare che i sacchetti per l’organico, come si dice a Roma sono una sòla. Sono fatti di amido di mais e non reggono a tutti i rifiuti organici: provate a metterci dei limoni spremuti o avanzi di pesce o di salsa di pomodoro: dopo poco tempo si squagliano letteralmente diffondendo i rifiuti nel bidoncino domestico. Se la tua città ha ancora i cassonetti, ti sbrighi e lo butti nel cassonetto dell’organic, ma se vivi in una città che raccoglie l’organico ogni 2/3 giorni non puoi usare i sacchetti di mais, pena l’impestamento di tutta la tua casa.
Ora i sacchetti sono pieni. Bisogna smaltirli. Il come dipende dalla tua città.
Se è attiva la raccolta porta a porta, dovrai portare al portone o mettere nel secchione condominiale il sacchetto corrispondente alla raccolta di quel giorno e tenerti gli altri sacchetti in casa “in attesa che venga quel giorno” in cui saranno raccolti. Devi avere almeno un balconcino dove accumularli, specialmente se sei una famiglia numerosa. Sacchetti ben chiusi, mi raccomando, perché la plastica, la carta con residui di cibo puzza. E puzza tanto.
Se invece ci sono ancora i cassonetti, devi scendere con due tre sacchetti e gettarli nel cassonetto corrispondente.
Ho scritto prima che ambedue i sistemi hanno pregi e difetti.
La raccolta porta a porta ha – come ho già scritto – il grave difetto di non permetterti di svuotare tutti i rifiuti nello stesso giorno e ti impone di possedere uno spazio per lo stoccaggio dei rifiuti in attesa che arrivi il giorno giusto. Non sia mai che, nel giorno dedicato ai rifiuti organici tu debba partire dopo pranzo: il sacchetto dove e quando lo getti? Rimarrà a casa tua fino al prossimo turno. Un po’ come, nel Monopoli, andare in prigione senza passare dal via. I cassonetti sono senz’altro più comodi, a patto che vengano svuotati e vengano svuotati da autocompattatori che rispettino la destinazione specifica dei rifiuti.
Vi racconto “una cosa di Roma”. Fino a qualche anno fa, gli autocompattatori erano autocarri con un equipaggio di tre persone: uno alla guida e due che posizionavano i cassonetti, provvedendo anche al “carico” dei sacchetti eventualmente caduti dai cassonetti.
Oggi no. L’autocompattatore conta il solo autista che, con l’ausilio di una telecamera, si posiziona a fianco del cassonetto prescelto e, tramite bracci meccanici, carica il cassonetto e lo svuota nell’ampio contenitore. Questo in teoria, perché i bracci meccanici non pare funzionino molto bene: non si contano i cassonetti che cadono da tre metri di altezza e i sacchetti che dai cassonetti non vanno a finire nell’autocompattatore, bensì si spargono per terra. Tanto che è necessario un secondo passaggio di autocarro più piccolo con cassone scoperto con equipaggio di due/tre persone con il compito di raccogliere i sacchetti sparsi (e gettati alla rinfusa nel cassone senza riguardo al contenuto) e di rialzare i cassonetti caduti e (molto) ammaccati.
Non ho finito. Non esiste un concetto univoco di cosa mettere nei sacchetti. Faccio qualche esempio. Qualche città continua a definire i rifiuti derivanti dagli alimenti come “organico”. Altri allargano il concetto di questi rifiuti allargandolo ai rifiuti “compostabili” senza comunque avere una definizione univoca. Faccio un esempio: la carta va conferita con la carta solo se è pulita. I contenitori per le pizze, tanto per fare un esempio, si possono conferire con la carta solo se non ci sono residui di pomodoro o mozzarella, se no vanno nel compostabile, ma solo se c’è l’apposita scritta.
La plastica. La plastica non va tutta nella plastica, ma solo i “contenitori”. Approfondendo la questione si scopre che la plastica riciclabile è solo quella per la quale i produttori pagano il contributo al consorzio per lo smaltimento. Questione di soldi, quindi. Infatti – fino a qualche tempo fa – forchette, coltelli e piatti di plastica – non si potevano inserire nello smaltimento “plastica”. Ora sì perché si sono aggiustati con il suddetto consorzio.
Meno male che c’è Sant’Indifferenziato. Secondo le varie “istruzioni per l’uso” distribuite dai Comuni non è ben chiaro cosa sia l’indifferenziato, se non la categoria residuale dopo aver escusso quella della carta, della plastica/metallo, dell’organico/compostabile e della carta. Ma cosa sia in concreto nessuno lo sa: oggetti i cui componenti di plastica e metallo non siano separabili? Oggetti i cui produttori non si siano “aggiustati” con il Consorzio? Molto pragmaticamente, gli utenti intendono che “indifferenziato” siano tutti i rifiuti non differenziati, ossia tutto insieme (grande valvola di sfogo).
Come si è visto non è un problema di semplice risoluzione, anzi, più si va avanti al grido “salviamo il pianeta” più il problema dei rifiuti si aggrava, con la risalita esponenziale della TARI e la sporcizia che regna per le strade.
Ma non c’è un altro modo? Una differenziazione a valle, per esempio? Una norma che intervenga sul Packaging, imponendo che esso non contenga plastica o altre sostanze inquinanti, che siano vietate le “bolle di plastica” usate per contenere le pennette USB in bella mostra sugli scaffali dei negozi?
Mi ricordo che, quando ero bambino, e in casa eravamo in cinque, non si riempiva più di un secchio al giorno con tutti i rifiuti. Mi ricordo che il latte era venduto in bottiglie di vetro con il “vuoto a rendere”, ossia dovevi riportare le bottiglie vuote se non volevi pagare il costo della bottiglia. Stesso discorso per l’acqua minerale, comunque appannaggio di pochi: si beveva l’acqua del rubinetto; le bottiglie di plastica semplicemente NON esistevano.
Le persone diversamente giovani ricorderanno che quello che ora fanno negozi “ecologici” era la normalità cinquanta anni fa: la pasta, i fagioli, praticamente ogni cosa, erano venduti a peso o a quantità, senza il rutilante packaging odierno. Meno contenitori meno rifiuti.
Lascio a voi queste note. Sarei felice di conoscere cosa ne pensiate.
Cinque anni fa una coppia di persone dello stesso sesso non aveva alcun diritto. Oggi ci sono le unioni civili.
Cinque anni fa le volontà di un malato sul proprio fine vita non avevano alcun valore. Oggi c’è il biotestamento.
Cinque anni fa si pagava l’IMU sulla prima casa. Oggi la pagano solo i proprietari di case di lusso.
Cinque anni fa i genitori di persone con disabilità non avevano alcuna certezza per il futuro dei loro figli. Oggi c’è la legge sul “Dopo di noi”.
Cinque anni fa non esistevano misure universali contro la povertà. Oggi c’è il Reddito d’Inclusione.
Cinque anni fa i reati ambientali non erano punibili. Oggi c’è la legge sugli ecoreati.
Cinque anni fa tonnellate di cibo in eccesso venivano sprecate. Oggi, con la legge sullo spreco alimentare, è più semplice destinarle a fini di solidarietà sociale.
Cinque anni fa non c’era l’Autorità nazionale anticorruzione. Oggi c’è.
Cinque anni fa non c’era il codice antimafia. Oggi c’è.
Cinque anni fa non c’era il reato di omicidio stradale. Oggi c’è.
Cinque anni fa dieci milioni di dipendenti sotto i 1.500 euro non ricevevano alcun aiuto. Oggi ricevono 80 euro al mese in più.
Cinque anni fa datori di lavoro disonesti potevano far firmare alle loro dipendenti un documento per poterle “dimissionare” in caso di gravidanza. Oggi le “dimissioni in bianco” sono impossibili.
Cinque anni fa il PIL era a -2,4. Oggi è +1,6.
Cinque anni fa gli occupati in Italia erano 22 milioni. Oggi sono 23 milioni. Un milione di posti di lavoro in più (la metà a tempo indeterminato).
Cinque anni fa non c’era la legge sulla ciclabilità. Oggi c’è.
Cinque anni fa i miliardi recuperati dall’evasione fiscale erano 12. Oggi sono 20.
Cinque anni fa 100mila docenti erano precari. Oggi sono di ruolo.
Cinque anni fa per ottenere il divorzio bisognava aspettare tempi lunghissimi. Oggi c’è il divorzio breve.
Cinque anni fa nessuno credeva che i lavori per la Variante di Valico, per il Quadrilatero, per la Salerno-Reggio Calabria sarebbero terminati. Oggi sono terminati.
Cinque anni fa punire il caporalato era complicato. Oggi c’è una legge apposita.
Cinque anni fa non c’era il processo civile telematico. Oggi c’è.
Cinque anni fa non c’era la riforma del Terzo settore. Oggi c’è.
Cinque anni fa non c’era il bonus cultura per i 18enni. Adesso c’è.
Cinque anni fa i docenti non ricevevano alcun sostegno per la loro formazione. Oggi hanno una card da 500 euro.
Cinque anni fa non c’era la responsabilità civile dei magistrati. Oggi c’è.
Cinque anni fa non c’era il bonus bebè. Oggi c’è.
Cinque anni fa non c’era la dichiarazione dei redditi precompilata. Oggi c’è.
Cinque anni fa non c’era il cumulo gratuito delle pensioni. Oggi c’è.
Cinque anni fa i furbetti del cartellino proliferavano nella totale impunità. Oggi per legge rischiano il licenziamento immediato.
Cinque anni fa chi investiva in cultura non aveva alcuna agevolazione. Oggi c’è l’Art Bonus.
Cinque anni fa non c’erano giorni gratuiti per l’ingresso nei musei. Oggi si entra gratis ogni prima domenica del mese.
Cinque anni fa non c’era un piano nazionale per la Banda ultra larga. Oggi c’è.
Cinque anni fa l’imposta sul reddito delle società (IRES) era al 27.5%, ora è al 24%.
Scalfari a Bersani (da Repubblica di oggi, 31/12/2017): “Tu poni una sterminata quantità di temi di cui occuparsi, ma se le cose elettoralmente ti andranno bene secondo i sondaggi attuali….la tua sinistra arriva ad un massimo del 7%. Non è granché, ma qualora, senza troppe domande, rientraste nel PD, dove fra le altre cose ritrovereste la Bonino e, forse, Pisapia, il vostro ex partito supererebbe la destra ed anche i grillini. Fossi in te un pensierino ce lo farei e qualcuno dei vostri certamente lo farà e voi rischiate di ridiventare delle schegge ognuna delle quali, fono a un paio di mesi fa, rappresentava il 2 o il 3 percento.”.
La crisi catalana sta assumendo caratteristiche ricorsive, come se ognuna delle parti cercasse un pretesto per tornare indietro.
Ricapitoliamo i fatti. A giugno il Parlamento catalano approva una legge che prevede uno sconclusionato referendum senza quorum (sì, se fossero andate a votare solo 100 persone, il loro voto avrebbe prevalso su tutti i milioni di catalani) che poneva il quesito se si volesse la indipendenza dalla Spagna. La legge prevede anche che, in caso di vittoria dei sì, entro 48 ore ci sarebbe stata la dichiarazione ufficiale di indipendenza. Il referendum fu convocato per il 1° ottobre.
Subito il Governo spagnolo e la Corte Costituzionale dichiararono che il referendum era illegittimo e quindi da considerarsi nullo.
Da giugno a ottobre solo schermaglie:
Da una parte si continuava a riaffemare la nullità del referendum ed, in caso di inadempienza, il ricorso allo art. 155 della costituzione sulla revoca della autonomia catalana. Dall’altra, a muso duro, si continuava verso il referendum, nonostante che molte aziende cominciassero a trasferirsi fuori dalla Catalogna e la comunità internazionale facesse chiaramente intendere di non riconoscere il nuovo Stato e che giammai esso sarebbe entrato nella UE.
Il primo ottobre abbiamo visto in diretta lo svolgimento non proprio regolare del referendum con alcuni seggi chiusi dalla guardia civil, le schede autostampate da internet, votanti in pellegrinaggio fra i seggi guidati da una app che segnalava quelli liberi.
Nonostante ciò, il Governo catalano proclamava la vittoria del sì, ma dal parlamento catalano non arrivava la dichiarazione di indipendenza, ma Puidgemont dichiarava la Catalogna indipendente ma….dopo un minuto sospendeva la indipendenza stessa.
Cominciava così un balletto di domande di Madrid e di non risposte di Barcellona: “Avete dichiarato la indipendenza?”. “Il popolo catalano ha votato sì”. “Ma l’indipendenza è stata dichiarata?”. “Madrid opprime la Catalogna” . Il tutto condito con una serie di ultimatum e penultimatum con giravolte da fare invidia alle veroniche di un Torero.
Ieri la svolta. Sì, no, forse. Tutti i media spagnoli, tutti trasmettevano verso le 13 una breaking new “È sicuro, alle 13.30, Puidgemont cede, scioglierà il parlamento catalano e indirà nuove elezioni per scongiurare la abolizione della autonomia catalana. O, forse, no. I minuti passano, la dichiarazione viene rinviata.
Poi alle 17 Puidgemont se ne esce che non può indire nuove elezioni perché Madrid non ha fornito le necessarie garanzie (quali?).
L’ovvia conseguenza sarebbe stato una serie di consultazioni su queste garanzie.
E, invece, no.
Allora diciamo che la grande novità di oggi, 27 ottobre è che entrambe le parti hanno fatto esattamente quello che avevano detto che avrebbero fatto 26 giorni fà: il parlamento catalano ha dichiarato l’indipendenza ed il senato spagnolo ha applicato l’art.155 revocando tutti i poteri al governo e al consiglio catalano e advocandoli al governo spagnolo.
In più il Governo spagnolo ha già indetto nuove elezioni in Catalogna per il 21 dicembre.
Secondo me Puidgemont intenderà queste elezioni come riedizione concordata del referendum e tutto ricomincerà da capo.
Il rosatellum bis non mi piace, ma…. è stato approvato con una larghissima maggioranza del Parlamento, organo sovrano. Può non piacere questo Parlamento, democraticamente eletto con il sigillo della Corte Costituzionale che tale lo ha dichiarato.
Si chiede a Mattarella di non firmarla ma il Presidente ha già detto che, a meno che una legge sia palesemente incostituzionale, lui ha il dovere di firmarla.
Possono non piacere la legge elettorale, il Parlamento, il Presidente della Repubblica. Legittimo, allora si vota qualcun altro. È la democrazia, bellezza! E, o usi l’arma del voto o ti dimetti, come ha fatto Grasso.
Non c’è altra via. Altri “dissenzienti totali” si diedero in passato alla lotta armata, ma non mi pare proprio il caso e, comunque, non solo non raggiunsero il loro scopo, ma fecero una brutta fine