Patrik Zaki ha ottenuto la grazia.
Tornerà in Italia.
Ma, se per Patrik è una bella notizia, la concessione della grazia, nel contesto generale dei diritti civili, non è proprio una bella notizia.
Ricapitoliamo. La settimana scorsa Patrik Zaki è stato condannato in via definitiva (senza possibilità di appello) a tre anni di reclusione per aver scritto (accuse risibili da noi) che la minoranza cristiano copta (alla quale egli stesso appartiene) è discriminata in Egitto.

È questo il punto nodale: scrivere queste cose in Egitto è e resta reato.
Patrik Zaki ha ottenuto la grazia, ma la grazia si concede ad un condanbato, ad un colpevole, non ad un innocente.
Visto che la sentenza di condanna è inappellabile, per la legge e la giustizia egiziana, Zaki, rimane condannato e colpevole.
Ciò significa che il suo comportamento è stato giudicato illegale dalla giustizia e che chiunque altro scriva le stesse cose sarà giudicato colpevole e condannato. Senza il paracadute dei riflettori della solidarietà internazionale che, per fortuna, su Zaki non si sono mai spenti.
Chissà se verremo mai a sapere del perché della grazia: implicito riconoscimento dello errore? Scambio con il caso Regeni? Interessi economici?
In ogni caso una brutta pagina per i diritti civili. Sentenza definitiva di condanna (il regime non si può neppure blandamente criticare) ma accompagnata da un gesto di clemenza, la grazia, prodromico a chissà quali richieste.


Chiedere ad Eni, Fincantieri, ect….
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