La situazione dei nuovi centri di permanenza in Albania per migranti irregolari sembra complessa e destinata a creare conflitti a più livelli, sia interni che a livello europeo. Partiamo da due aspetti chiave:

1. Centri di detenzione in Albania: La decisione dell’Italia di trattenere migranti in Albania, lontano dal proprio territorio, presenta molte criticità legali e pratiche. Se le autorità giuridiche italiane (magistrati e commissioni esaminatrici) devono decidere sul destino di migranti trattenuti fuori dai confini nazionali, questo pone difficoltà di giurisdizione, di rispetto dei diritti legali e di coordinamento tra i due Paesi. L’assenza di una presenza fisica delle istituzioni italiane in Albania rende ancora più arduo rispettare le normative italiane e internazionali sui diritti umani e sulle procedure d’asilo.
2. Sentenza della Corte di Giustizia Europea (CGUE): La sentenza del 4 ottobre aggiunge un altro livello di complessità, poiché afferma che anche se solo una parte del paese d’origine di un migrante è considerata pericolosa, non è possibile deportare il migrante verso quell’intero paese. Questo vincola fortemente i governi, compreso quello italiano, a garantire che non venga espulso nessuno verso paesi che presentano aree di rischio. Tale decisione crea inevitabili tensioni tra le politiche nazionali di espulsione e le norme europee sui diritti umani, aumentando il rischio che queste espulsioni vengano bloccate dai tribunali.

Come si può evolvere la situazione:
1. Tensioni con l’Albania: Se i centri di detenzione diventano operativi ma ci sono ostacoli legali significativi (a causa di sentenze europee o problematiche giurisdizionali), l’Albania potrebbe essere riluttante a continuare la collaborazione, non volendo gestire un flusso continuo di migranti non espellibili o trattenuti per lunghi periodi.
2. Contrasto con le istituzioni europee: L’Italia, già sotto pressione per la gestione dei flussi migratori, potrebbe trovarsi in conflitto con le direttive europee se decidesse di ignorare o aggirare la sentenza della CGUE. Questo potrebbe portare a multe o sanzioni a livello UE, accentuando la tensione tra chi vorrebbe una linea più rigida sull’immigrazione e chi invece chiede il rispetto delle normative comunitarie.
3. Impasse legale: Con la CGUE che vieta espulsioni verso paesi con aree pericolose e le difficoltà di coordinamento con l’Albania, potrebbe crearsi una situazione di stallo in cui i migranti restano bloccati nei centri, senza che si trovino soluzioni né per il loro rimpatrio né per la loro integrazione o espulsione.
In sintesi, la situazione rischia di diventare insostenibile sia per l’Italia che per l’Albania, creando un corto circuito legale e politico che potrebbe richiedere l’intervento della Commissione Europea o l’adozione di nuove misure condivise a livello continentale.
Anche se l’Italia farà ricorso contro la sentenza della CGUE alla Grande Chambre (tasso di accoglimento dei ricorsi 3%) la situazione, togliendo dai “deportati” quelli provenienti dai Paesi parzialmente sicuri, non cambia poi di molto.
Il Governo Meloni per non fare l’ennesima brutta figura, per un po’ di tempo, manterrà il punto con gran dispendio di denaro pubblico.
Poi…poi i migranti in Albania cominceranno a crescere come a Lampedusa, il malcontento albanese crescerà e il premier Edi Rama potrebbe ripensarci.
