Ho già scritto sul reale scopo della Flotilla. Non è certo diretto a portare una goccia di aiuti [che mai arriverà perché Israele non lo permette], ma è diretto contro gli imbelli e vigliacchi governi di appartenenza.
Sarà chiaro quando la Flotilla incontrerà Israele. Che farà. Escluso che li faccia approdare a Gaza, fermerà con le buone ognuna delle 40 navi, le porterà in un porto israeliano, arrestare gli equipaggi espellendoli subito dopo oppure come accadde nel 2010 con la nave turca Mavi Marmara con morti e feriti?
Nel primo caso i Governi di appartenenza potrebbero anche continuare a girare la testa dall’altra parte. Iniziativa privata, anche disapprovata da alcuni governi, conclusa senza incidenti o vittime. Tutto continua come prima.
Ma Israele ha la capacità di fermare, senza sparare un colpo, 40 agili imbarcazioni tutte insieme?
Il secondo caso, evocato da un ministro israeliano di trattarli come terroristi, ossia sparare ad alzo zero, è molto pericoloso, non solo per gli equipaggi, ma soprattutto per i rispettivi governi che sarebbero costretti a fare i conti con brutali omicidi di pacifici connazionali in acque internazionali, già ora sorvegliati strettamente da droni.
Tale situazione sarebbe foriera di inevitabili ritorsioni, non penso di natura bellica, ma di rottura di rapporti commerciali e di isolamento di Israele, sì.
Esattamente quello che vogliono i volontari della Global Sumud Flotilla.
Se Netanyahu non fosse quel pazzo criminale che invece è, per chiudere senza danni il caso Flotilla dovrebbe agire i questo modo. Attendere che le imbarcazioni entrino nella zona [arbitrariamente] vietata, abbordabile e trainare in un porto strettamente sorvegliato della West band. Far scaricare la merce da (fidati) gazawi. Ottenuto lo scopo, la Flotilla dovrà tornare indietro. I rispettivi governi potrebbero continuare a girare la testa dall’altra parte, “tanto non è successo niente!”. E tutto sarebbe messo a tacere.
Controindicazione [per Nethaniau, non certo per chi sostiene la Flotilla]: dal giorno dopo, visto l’esito, partirebbe 10, 100, 1000 Flotille.
Comunque speriamo bene per la incolumità di chi, ora, sfidando tutto e tutti, è in mare rischiando la pelle.
Sono partiti da diversi porti. 300 persone di tante nazionalità su 40/50 barche/navi cariche di viveri, ma con lo scopo politico di forzare il blocco imposto da Israele. Si troveranno il 4 settembre in un punto convenuto in acque internazionali per poi lentamente, molto lentamente, per tenere accesi i riflettori il più a lungo possibile, si dirigeranno verso la costa di Gaza dove dovrebbero arrivare il 15 settembre.
Che succederà? Proviamo a fare qualche ipotesi, visto che la situazione è ben diversa dalle precedenti che riguardavano una sola nave. E ricordiamoci, come ho già scritto che le parole sono importanti
1) Israele organizza un grande blocco navale. Abborda ognuna delle navi [sono piccole] e le traina in un porto israeliano e senza far scalpore espelle alla chetichella tutti gli equipaggi e gli attivisti e la storia finisce qui. Ma riesce Israele a fronteggiare, senza sparare, 40/50 navi?
2) Israele ordina di tornare indietro. La FLOTILLA non se ne dà cura e avanza. Israele spara [è una nazione in guerra con legge marziale]
Morti, feriti, prigionieri [come con la nave turca di qualche anno fa]. E la storia NON finisce qui. Se per Israele finisce, invece inizia per gli Stati di cui sono cittadini i morti, feriti e prigionieri. Cosa faranno? Li disconosceranno come loro protetti e li indicheranno alla comunità internazionale come criminali, violatori di un blocco navale imposto da un legittimo Stato? Ne dubito per due motivi. Il primo perchè dubito che i 10/15 Paesi interessati possano accordarsi TUTTI in questo modo. Il secondo perché in questo modo, davanti agli elettori, si renderebbero complici del criminale Netanyahu con inevitabili crolli politici.
Oppure, sfidando anche Trump, i governi di questi Paesi, finora ignavi, saranno costretti, finalmente, a seguire l’opinione pubblica che considera Netanyahu colpevole di genocidio e, finalmente prendere quelle misure, economiche, diplomatiche [e forse militari] per isolare e bandire il Governo israeliano dal consesso internazionale, visto che ora ha anche le mani sporche del sangue di attivisti dei loro Paesi?
3) entro il 15 settembre i Governi di cui sono cittadini i componenti della FLOTILLA, li incriminano per reati vari, tipo azione ostile contro Paese alleato 🙂 😀; oppure per assembramento marino 🙂 non autorizzato, o per trasporto di alimenti senza bolla di carico ed ordinano loro di tornare indietro mandando una squadra navale militare a fermarli? Situazione ancora più ridicola , a parte l’impossibile accordo da trovare, che equivarrebbe a segnare i loro nomi fra i “cattivi” a fianco del “cattivissimo” Netanyahu con ripercussioni politiche interne facilmente prevedibili.
Le parole sono importanti, diceva anche Nanni Moretti nel film “Palombella Rossa”.
In questi giorni ascolto parole al vento su Gaza, ebrei, sionisti, antisemiti. Termini spesso usati impropriamente che aumentano la polarizzazione e la confusione. Spulciando i migliori dizionari e enciclopedie, riporto queste definizioni.
SIONISMO Il sionismo è un movimento politico e ideologico che sostiene il diritto del popolo ebraico all’autodeterminazione e alla creazione di uno Stato nazionale in Palestina, nella terra definita “Terra d’Israele” dalla tradizione ebraica. Il termine deriva da Sion, un nome biblico per Gerusalemme.
SEMITA Come aggettivo, riferito a un popolo o a una lingua: “Semita” può indicare un appartenente alle popolazioni semitiche, un gruppo etnico e linguistico del Vicino Oriente e del Corno d’Africa, che comprende popoli come gli Accadi, gli Arabi, gli Aramei, i Cananei e gli Habesha. In questo caso, il termine è spesso usato in riferimento a lingue come l’ebraico, l’arabo, l’aramaico, ecc. Quindi anche gli arabi sono semiti.
EBREO Ebreo” si riferisce alle persone appartenenti al popolo d’Israele (o popolo ebraico), un gruppo etno-religioso la cui identità è legata alla storia, alla cultura e alla religione ebraica. L’origine del termine è incerta ma risale all’ebraico “Ivri”, da una radice semitica che significa “attraversare” o “passare”, e allude all’attraversamento dell’Eufrate da parte degli antenati del popolo ebraico, come Abramo. È ebreo chi è figlio di MADRE EBREA.
ANTISEMITA [secondo Netanyahu e la ultradesta israeliane] Siccome Nethaniau definisce il suo Governo come il governo di TUTTI gli ebrei, chiunque critichi il suo governo è antisemita. Resta il fatto che anche gli arabi sono semiti.
ISRAELIANO La persona, ebrea o meno, sostenitore di Nethaniuau o meno che ha la cittadinanza dello Stato di Israele
SHOAH Termine ebraico con il quale viene indicato lo sterminio degli Ebrei vittime del genocidio nazista, preferito ad olocausto in quanto vi è estraneo il concetto di sacrificio inevitabile.
OLOCAUSTO La Shoah e l’Olocausto sono termini spesso usati come sinonimi per indicare lo sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, ma hanno origini e sfumature diverse. La Shoah, termine ebraico che significa “catastrofe” o “distruzione”, si riferisce specificamente al genocidio degli ebrei da parte dei nazisti. L’Olocausto, termine di origine greca che significa “bruciato interamente”, era originariamente usato per indicare un tipo di sacrificio religioso. In ambito storico, entrambi i termini sono usati per descrivere lo stesso evento, ma “Shoah” è spesso preferito in contesti ebraici e in Europa continentale per la sua connotazione più precisa e legata all’esperienza ebraica.
GENOCIDIO Il genocidio è il crimine internazionale di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Il termine fu coniato dal giurista Raphael Lemkin nel 1944 per descrivere le atrocità commesse durante la Seconda Guerra Mondiale e oggi è definito dalla Convenzione del 1948 e dallo Statuto della Corte Penale Internazionale. Nella Convenzione internazionale per la lotta e la prevenzione del genocidio, tale termine non è usato solo per identificare l’olocausto degli ebrei, ma il crimine commesso verso qualsiasi popolo con lo scopo suddetto (es. Quello della Turchia contro gli armeni)
NAKBA In arabo «la catastrofe» Nome con cui si indica, nella storiografia araba contemporanea, l’esodo forzato di ca. 700.000 arabi palestinesi dai territori occupati da Israele nel corso della prima guerra arabo-israeliana del 1948 e della guerra civile che la precedette.
Io provo vergogna ogni giorno di più per essere un essere umano, un essere umano come i componenti del governo del popolo della shoah per quello che sta facendo a Gaza.
Purtroppo questo folle governo fa partire tutto dall’orribile eccidio perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023.
Ma la storia non è un mucchio di fotografie che possono esser viste una e non le altre o nella sequenza che ognuno sceglie.
La storia è un film continuo che, ineluttabilmente, si snoda giorno per giorno.
In medio oriente dal 1947, quando per decisione ONU che prevedeva due Stati per due popoli, un popolo cacciò l’altro. Un popolo che aveva subito, innocente, un dolore immenso con la shoah, inflisse lo stesso dolore ad un altro popolo innocente che dovette subire la nakba.
La storia prosegue alternando guerre provocate da chi subì la nakba come “Monaco 1972” e massacri, come Sabra e Shatila, voluti e patrocinati da chi subì la shoah.
Poi la storia cambia.
Il popolo che subì la shoah iniziò a trattare la pace con Paesi prima fortemente vicini al popolo che subì la Nakba. Egitto, Giordania furono i primi a siglare la pace. Gli emirati del golfo e l’Arabia Saudita ci stavano arrivando.
Il popolo che subì la nakba rimase più solo, diviso fra due territori, non Stati, alla mercé del popolo che aveva subito la shoah e che nelle elezioni del 2006 finanziò una organizzazione non certo pacifica allo scopo di scalzare la prima organizzazione militare e politica che fino ad allora aveva guidato il popolo della Nakba.
Così invece di due popoli e due Stati, rimasero un popolo e uno stato da una parte e un popolo e due territori dall’altra.
Il popolo della Shoah, forse per il complesso di colpa occidentale, entra nell’immaginario collettivo come una democrazia, mentre il popolo della nakba sono i cattivi dell’immaginario collettivo.
Con quest’aura di santità il popolo della shoah comincia la sua opera di distruzione del popolo della nakba.
In una piccola striscia di sabbia vivono oltre due milioni di persone che da lì non possono uscire se non con il permesso del popolo della shoah. Neppure in mare per pescare al largo il popolo della nakba può andare liberamente. Chi riesce fortunatamente a trovare un lavoro presso il popolo della shoah, deve subire la quotidiana umiliazione alla frontiera che, talvolta, per motivi imprerscrutabili, viene chiusa con relativa perdita del posto di lavoro.
Nell’altro territorio comincia la silenziosa invasione, quasi una sostituzione etnica. Con il pacifico nome di coloni, gli invasori, ben protetti dall’esercito, cacciano gli abitanti dalle loro case, dalle loro terre e di forza si insediano, considerando quelle terre, non del popolo della nakba, bensì come dono divino al popolo della shoah. Oggi ce ne sono ben 300.000, oltre a 200.000 a Gerusalemme est che appartiene al popolo della Nakba.
E non si limitano ad insediarsi, costruiscono strade che uniscono gli insediamenti vietate al popolo della nakba.
La storia continua e il 7 ottobre 2023 un ennesimo episodio della guerra fra il popolo della nakba e il popolo della shoah avvenne. Più di 1000 uomini don̈ne e bambini del popolo della shoah vennero barbaramente trucidati da una formazione terrorista ascrivibile al popolo della Nakba.
Stavolta il popolo della Shoah cambia metodo di reazione. Dopo “Monaco 1972” quando, impiegandoci più anni, uccise ad uno ad uno tutti gli assassini degli atleti olimpici.
No, il Governo del popolo della shoah, va per le spicce, formula l’equazione fra i terroristi e il popolo della Nakba e l’esercito [che eufemisticamente si chiama forze di difesa] del popolo della shoah invade la striscia di sabbia, distruggendo il 90% delle abitazioni, degli ospedali, chiudendo i rubinetti dell’acqua, del gas e dell’elettricità [tanto tutti i rubinetti sono in mano al popolo della shoah]. La striscia di sabbia è sigillata: non entra uno spillo, figuriamoci farina e medicine; le bombe continuano a cadere, i fucili a sparare. Il popolo della nakba è condannato a morire e ad estinguersi. Fin ora 65.000 morti di fame o per le bombe. Anche andare a prendere un po’ di cibo rende il popolo della nakba veri bersagli dei soldati del popolo della shoah.
Ora il governo del popolo della shoah ha un’altra idea: chiudere i due milioni rimanenti del popolo della shoah in campi di concentramento [eufemisticamente chiamati città umanitarie] nei quali entrerebbero shedati uno per uno per separare il popolo dai terroristi e dalle quali non potrebbero più uscire senza il permesso del popolo della shoah. Il più grande campo di concentramento della storia.
E stasera un’altra notizia: il governo del popolo della shoah concede benignamente “un esodo volontario” del popolo della nakba dai loro territori natii al SudSudan, altro stato in guerra dove esiste anche una terribile crisi umanitaria.
In tutto ciò il governo del popolo della shoah si irrita se qualcuno osa bollarlo di genocidio ed anche eminenti esponenti del popolo della shoah si arrampicano sugli specchi della semantica, del significante e del significato per dire che non di genocidio si tratta, bensì di banali crimini di guerra o di “errori tecnici”. E arriva a dire che è il popolo della shoah l’aggredito [1800 morti] e non il popolo della nakba [65.000 morti] e che non è possibile parlare di genocidio, perché le notizie che vediamo ogni giorno sui TG sono false e preconfezionate dal popolo della Nakba, perché non esistono bambini morti per fame perché, generosamente, il popolo della shoah li cura e li nutre, perché tutti i giornalisti del popolo della Nakba sono affiliati ai terroristi, ma il popolo della shoah si guarda bene dal far entrare la stampa internazionale nella striscia di sabbia.
La Convenzione internazionale sulla prevenzione del genicidio, all’art. II afferma che “per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale dei membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.” Dal contenuto si evince che le vittime sono oggetto di tali atti non casualmente, ma per via della loro appartenenza reale o apparente a un gruppo di individui.
Trump è sempre sulle prime pagine dei giornali e dei TG per il suo atteggiamento apparentemente ondivago e non comprensibile. Eppure era già tutto scritto. Anche se non lo ha mai ufficialmente adottato, Trump sta seguendo pedissequamente il “Project 2025” lanciato nel 2022 dalla Heritage foundation, progetto caro al vice Presidente J.D. Vance e all’ultradestra USA.
Ne ho già scritto nel febbraio di quest’anno quando si vedevano le prime avvisaglie, ma ora è lampante quanto questo programma abbia influenzato i primi sei mesi dell’attività di Trump. E, leggendolo, potrà capirsi perché e dove vuole andare a parare.
Per chi volesse ulteriormente approfondire, segnalo il libro di David A. Graham “The Project”, acquistabile su Amazon a questo indirizzo: https://www.amazon.it/dp/8832967006/
Anche se Trump non ha mai ufficialmente “adottato il “Project 2025” della Heritage foundation, molte delle sue azioni sono basate proprio su questo progetto iper conservatore. Il Project 2025 consta di oltre 1000 pagine. Uno dei migliori riassunti trovati in rete è quello dell’autorevole Istituto per gli Affari Internazionali che vi ripropongo integralmente. Lo articolo è del maggio 2024, prima dell’elezione di Trump. Vedrete bene, leggendolo, quante indicazioni del project 2025 sono state già attuate.
The Project 2025: un’agenda conservatrice per il futuro dell’America Il team di Jefferson 22 Maggio 2024
Nel panorama politico degli Stati Uniti, il 2024 sembra essere un’epoca di déjà vu elettorale. Come nel sequel di un film che ha mantenuto i suoi protagonisti, gli Stati Uniti si preparano a un’altra campagna elettorale presidenziale con gli stessi contendenti del 2020. A cambiare significativamente è invece il contesto sociale americano, ormai molto diverso dallo scenario pre-Covid durante il quale Trump e Biden si sono confrontati per la prima volta. Con le tensioni in corso in Europa e Medio Oriente a complicare il panorama politico internazionale, una crisi migratoria al confine sud degli Stati Uniti e la ridiscussione in atto in molti stati del diritto all’aborto, entrambi i candidati devono procedere con estrema cautela. Da una parte, Joe Biden ha adottato una strategia focalizzata sull’idea di difesa della democrazia dalla minaccia Trump. Dall’altra, il tycoon mette in guardia i suoi sostenitori da altri quattro anni dalle politiche del Presidente in carica, che identifica come le cause del declino americano. La linea d’azione scelta dell’ex-inquilino della Casa Bianca si fonda proprio su un presunto dovere Repubblicano di riportare gli Stati Uniti a godere del benessere economico e sociale che le amministrazioni democratiche hanno distrutto negli anni. In pratica una rielaborazione del “Make America Great Again”, ma aggiornata al quadro politico attuale, con il dito puntato contro Biden e non più contro Obama. Stavolta però, il piano di riconquista del potere ha un nome ben preciso, un manifesto e degli obiettivi da raggiungere. Si chiama “Project 2025”, e sulla pagina ufficiale di questo manuale per la ricostruzione del Paese è illustrato il progetto di transizione dal nocivo Governo liberale, verso un’America conservatrice, che inizia con l’elezione di Trump a Presidente. Il percorso poggia su quattro fondamenta essenziali che lavoreranno sinergicamente per preparare il terreno a un’amministrazione conservatrice di successo: l’agenda politica, la selezione di un personale adeguato, un programma formativo e un piano operativo di 180 giorni. Promosso finanziato e reso possibile da The Heritage Foundation, che vanta un lungo impegno nella storia politica dell’America Repubblicana nello sviluppare una serie di policy note oggi come “Mandate for Leadership”. Queste proposte hanno giocato un ruolo ai vertici presidenziali, fin dall’Amministrazione Reagan, e sono state particolarmente importanti durante il mandato Trump. Al vertice del team dietro “Project 2025” ci sono Paul Dans, ex capo dello staff presso l’Ufficio per la Gestione del Personale (OPM) durante l’amministrazione Trump e attuale direttore del Progetto di Transizione Presidenziale 2025, e Spencer Chretien, ex assistente speciale del presidente e direttore associato del Personale Presidenziale, nonché del progetto. Project 2025:i temi di un’agenda conservatrice Il manuale del “Project 2025” è il frutto del lavoro di un think thank e presenta uno o più autori con una vasta conoscenza in diverse aree, che analizzano approfonditamente un dipartimento o un’agenzia specifica. I temi trattati sono molteplici e generali: dall’economia, al clima, ai diritti. Allo stesso tempo, sono ben applicabili a specifiche questioni in discussione, in questo momento, negli Stati Uniti. Sulle politiche ambientali e l’energia si prevede la cancellazione dell’approccio Biden, ponendo fine all’attenzione rivolta al cambiamento climatico e ai sussidi verdi, abolendo i Clean Energy Corp e il Climate Hub Office, revocandone i relativi finanziamenti. Centrale anche il ritiro dagli accordi sul cambiamento climatico, definiti incompatibili con la prosperità degli Stati Uniti. Per il tema di gestione della salute pubblica si propone un abbandono del ruolo del governo nella promozione della salute pubblica per bambini e adulti americani, facendo riferimento alla gestione della pandemia di Covid-19 in cui il governo federale viene tacciato di una gestione eccessivamente dettagliata, disinformata e politicizzata. Grande attenzione viene riservata alla “Family Agenda”, che promette di riportare l’attenzione verso una struttura familiare ideale, votata al diritto dei bambini di essere cresciuti dagli uomini e dalle donne che li hanno concepiti. Viene enfatizzato il concetto di famiglia tradizionale, con una critica esplicita verso qualsiasi altra forma di genitorialità che vada oltre il concepimento tradizionale. A questi presupposti viene bizzarramente legato il discorso delle malattie sessualmente trasmissibili e le gravidanze non desiderate, che si propone di prevenire rafforzando il concetto di matrimonio come possibile strategia di prevenzione dei rischi sessuali. Per quanto riguarda invece i diritti LGBTQ+, si parla di revocare le normative che vietano la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere, dello stato transgender e delle caratteristiche sessuali. Questo porterebbe a una pericolosa e consequenziale legittimazione del razzismo di genere persino sul luogo di lavoro. Inoltre, si prevede una stretta anche nelle politiche anti-abortiste, con l’obiettivo di garantire una proliferazione delle policy pro-life e una limitazione del diritto di scelta nelle future legislazioni. Grande chiusura mostrata anche nelle proposte sulle politiche migratorie, che prevedono una chiusura dei confini e una gestione rigida dell’enorme flusso di immigrati ai confini messicani.
Tra le tematiche affrontate in questa guida, il punto a cui viene data maggiore importanza, è l’ufficio della Casa Bianca, di cui parla nel primo capitolo Rick Dearborn, ex vicecapo di gabinetto di Trump, focalizzandosi sulla necessità di una concentrazione dei poteri nelle mani del Presidente. Inoltre, si parla del Dipartimento di Stato e del Dipartimento di Giustizia, come organi suscettibili a influenze poco raccomandabili e predisposti a dissentire dalla visione di un presidente conservatore. Il progetto e la campagna Trump Il progetto ha recentemente coinvolto oltre 100 partner della coalizione per il suo consiglio consultivo. Il raggiungimento di questo traguardo consentirà loro di concentrarsi maggiormente sullo sviluppo del piano operativo di 180 giorni di regolamenti e decreti presidenziali che Trump potrebbe attuare una volta insediato in carica. È necessario sottolineare però, che il Progetto 2025 non è vincolato esclusivamente a un’unica figura politica come Trump o alla sua amministrazione. Al contrario, si propone di sostenere qualsiasi candidato o futuro Presidente che abbracci i principi e l’ideologia conservatrice su cui si basa il progetto. Questa flessibilità evidenzia il suo scopo più ampio di promuovere e implementare politiche in linea con i valori conservatori, indipendentemente dall’individuo al potere. Allo stesso tempo, la campagna di Trump ha cercato più volte di prendere le distanze da gruppi come il Project 2025, ma molte delle sue proposte sono basate su reali commenti passati di Trump. Questa dinamica rappresenta dunque una sfida per il team di Trump, che tenterà fino a novembre di non legarsi alle posizioni più controverse, che potrebbero rivelarsi dannose per la campagna.