Archivio degli articoli con tag: manovra

Anche oggi rubo a Repubblica.it un articolo (del simpaticissimo e bravo Stefano Cappellini, (curatore della fortunta rubrica “hanno tutti ragione”).

Già ieri ho riportato un lungo articolo sulle “incresciose” gaffes del Cerchio Magico di (o della) Meloni

Ma la conferenza stampa, due volte rimandata, del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, era troppo importante per commentarla da solo e ho chiesto (?) a Stefano Cappellini di aiutarmi con la sua esperienza.

E la sua esperienza è servità: nell’articolo non troverete quello che la (o il?) Meloni ha detto, bensì quello che non ha detto o ha volutamente travisato.

Così, giusto per farsi una idea di chi ci governa. Buona lettura e grazie mille ancora a Stefano Cappellini e a Repubblica.it

Fronte aggrottata mentre ascolta le domande più sgradite, smorfie dopo le risposte più piccate, rimozioni, salti logici, reticenze, benaltrismi e qualche oggettiva falsità. Tre ore abbondanti di melonismo puro alla conferenza stampa di fine anno, ormai inizio, senza mai perdere la calma ma neanche la posa vittimista che è la cifra naturale della presidente del Consiglio: la destra discriminata, anche ora che tutto decide e dispone, i poteri occulti all’opera – Meloni torna a denunciarli ma poi aggiunge incredibilmente: non chiedetemi di essere più precisa – le accuse di doppio standard alla sinistra, nonostante la presidente del Consiglio dimostri di essere campionessa nell’uso dei due pesi e due misure. Picco la risposta sul caso Degni: parlando del magistrato della Corte dei conti, nei guai perché sui social si è espresso contro il governo, Meloni chiede alla sinistra se sia giusto che persone nominate in ruoli super partes si comportino da militanti politici, proprio lei che – solo per citare il caso più clamoroso e ferale per le istituzioni – ha insediato alla seconda carica dello Stato Ignazio La Russa, che rivendica il diritto di partecipare agli eventi di partito, il suo, e di intervenire nel dibattito pubblico con la medesima libertà di quando era un dirigente del Msi e di An.

Europa, guerre, banche

Meloni si appoggia spesso su dati errati, come quando rivendica all’Italia una crescita superiore alla media europea, e sposta l’asse delle risposte quando si rende conto che una replica centrata e pertinente la esporrebbe ad accuse di incoerenza o al contropiede degli avversari. Qui il capolavoro è il passaggio sulla disponibilità di Fratelli d’Italia a far parte della nuova maggioranza europea dopo il voto della prossima primavera. Lei risponde di no. Anzi, per non farsi scavalcare a destra da Matteo Salvini, aggiunge che continua a lavorare a una nuova, e fantomatica, maggioranza alternativa. Poi, però, spiega che è pronta a votare per la futura Commissione, come se le due questioni potessero essere distinte. Sofismi. Arrampicate. Equilibrismi. Solo sui teatri di guerra, Ucraina e Medio Oriente, le affermazioni sono nette e senza scappatoie. Non risponde sulla tassa sugli extraprofitti bancari, di fatto ritirata dopo i problemi in maggioranza, infilando solo una sequela di provvedimenti presi da altri governi e altre forze politiche a presunto vantaggio degli istituti bancari.

Mes e mistificazioni

Sul Mes se la cava con logica di pacchetto: pacchetto di mistificazioni. La prima è forse la più clamorosa: “Sulla ratifica del Mes non potevo che rimettermi all’aula”. Affermazione surreale in bocca alla leader del partito di maggioranza relativa, di cui lei è presidente e la sorella coordinatrice, e alla presidente del Consiglio di un governo che ha usato il Parlamento come un votificio ricorrendo con frequenza record a decretazione e fiducie, la stessa che all’inizio della discussione della manovra ha addirittura chiesto alla maggioranza di non presentare alcun emendamento. Improvvisamente, sul Mes il Parlamento diventa sovrano e non influenzabile. Ma Meloni fa di più e chiede: “Perché il governo Conte ha sottoscritto un accordo quando sapeva che non c’era una maggioranza in Parlamento per ratificarlo?”. Qui la confusione è doppia. Intanto perché si addebita assurdamente a un governo della passata legislatura di non aver tenuto conto dei numeri di un Parlamento, quello attuale, che non era ancora stato eletto. E poi perché Meloni dice comunque il falso: fu proprio il precedente Parlamento a invitare il governo a firmare il trattato che modificava il Mes con un atto formalmente votato dall’aula nel dicembre 2019. Anche sui balneari di fatto non risponde, come già sulle banche, rimuove i richiami di Mattarella e attribuisce al governo il merito di aver fatto il primo studio per verificare la compatibilità delle norme chieste dall’Europa con il quadro italiano. Si tratta, per capirci, dello stesso studio che, pur di dimostrare che non c’è scarsità del bene, e cioè che in Italia la quota di coste in concessione non è alta, ha riscritto la geografia aumentando di circa 3mila chilometri le coste nazionali: da circa 8mila km a 11mila.

Pozzolo e le nostalgie mussoliniane

Meloni dice di non condividere le accuse sulla mediocrità della classe dirigente di Fratelli d’Italia, ma poi in realtà la sposa in pieno anche perché capisce bene quanto possa aiutarla la narrazione della fuoriclasse circondata da incapaci: spiega dunque che non è disposta ad affrontare una vita che comporta responsabilità pesanti se gli altri intorno a lei non si dimostrano all’altezza di tali responsabilità. Come se i Pozzolo fossero arrivati in Parlamento a sua insaputa. Ovviamente non risponde alla domanda sulle nostalgie mussoliniane e le teorie no vax del deputato pistolero. È un metodo. Presentarsi sempre come la vittima, anche dei colleghi di partito.

Fin qui l’articolo del bravissimo Stefano Cappellini.

Chioso io: che aspettiamo a svegliarci e a mandarli fuori a calci (politici)?

Devo ammettere che sono abbastanza sconcertato. Che l’Europa potesse interferire con le faccende interne nazionali è risaputo. Che l’Europa non amasse molto Salvini è noto. Non lo ama, non perché “sovranista” o uso a “chiudere i porti”. L’Europa non ama Salvini perché portatore di turbolenze e di disparità fra dichiarazioni e azioni: mai ha detto “usciamo dall’Europa”, ma sempre ha sostenuto di andare a Bruxelles (invero quasi mai) a “battere i pugni su tavolo”. Mai Salvini detto di voler uscire dall’Euro, ma ha sempre detto di voler usare una politica in deficit, molto molto contraria ai patti sull’Euro sottoscritti dal nostro Paese. Insomma, il succo di Salvini sull’Europa è: Noi stiamo bene in Europa purché l’Europa giochi con le nostre regole, forse dimenticando che gli attori europei son 27 + Commissione + Consiglio + Parlamento.

VI ricordate la manovra dello scorso anno? Sforeremo al 2,4%!!!!! Dicevano, poi, con la coda fra le gambe scesero al 2,04%. E la procedura di infrazione? “minaccino quanto vogliono, noi la manovra correttiva on la faremo mai!!!” . Poi la fecero.

E questo “stress” all’Europa, e ai mercati non sta bene. La prima regola per i mercati è la stabilità. Possono accettare un fatto dirompente come la Brexit purché condotta con le modalità annunciate fino alla fine. E, fin ora queste modalità sono state quelle imposte dalla Unione europea.

Anche le giravolte sull’immigrazione: prima approvi, il 28 giugno 2018, le conclusioni del Consiglio europeo in cui vien detto chiaramente che i singoli Stati membri possono accedere a prendersi i migranti sbarcati in Italia solo in regime di volontarietà e che il Regolamento di Dublino verrà modificato solo “per consenso” ossia all’unanimità e poi fai la voce grossa contro i partner europei che non si prendono i migranti e non modificano Dublino.

Insomma, ci vuol poco a capire che le cancellerie europee, la Commissione  il Parlamento abbiano fatto il tifo pe rl’uscita di scena di Salvini, considerano non un fascista, non un antidemocratico, ma un frte perturbatore  della scena comunitaria.

Però… però non immaginavo una festa e un tripudio cos’ grande per l’ancora “annunciata” nascita di un Governo “Conte-bis” ancora tutto da fare e che si annuncia un po’ come un “pastrocchio” con un Segretario PD che non lo voleva e che voleva le elezioni, con un senatore dello stesso partito, Renzi, che, il 20 agosto, subito prima dell’annuncio delle dimissione del Conte 1, tende la mano agli odiati “cinquestelle” in nome del comune interesse di non andare al voto per mantenere la poltrona, fortemente minacciata da una consultazione popolare. Con lo stesso segretario PD, trascinato al nuovo Governo, che, in nome di una discontinuità, chiedeva che cambiasse almeno il Presidente del Consiglio. Nulla: da Trump all’Unione europea, allo stesso PD, conte veniva imposto di nuovo.

Anche dall’altra parte le cose non sono molto limpide. Il Capo politico dei Cinquestelle, dopo aver affermato che non rinnega alcunché dell’azione del precedente Governo (sic!) vuole rimanere come vice premier, come ministro di peso e mantenere la sua squadra. Meno male che l’hanno zittito, sennò avrebbe preteso anche Viale dei Giardini, piazza della Vittoria e l’invio di cinque armate (pentastellate?) dall’Alaska alla Kamciacta. Poi ha preteso che alla fine, dopo il giuramento da Mattarella, tutta la squadra dei ministri venga sottoposta al giudizio della fantomatica “Piattaforma Russeau”, moderna sibilla che risponde, docile come un cagnolino, confermando il quesito posto dai capi.

Il povero Conte, accontentato il figlio che voleva un telefonino nuovo, sta ora impazzendo per  trovare la quadratura del cerchio e nulla si sa con precisione del programma.

Eppure…. Eppure, qualcosa è accaduto: il sovranista Trump elogia Conte, il commissario Ue uscente al bilancio Gunther Oettinger, notorio “falco” della stabilità e della austerità, elogia il nascente Governo e, udite udite, che Bruxelles “”è pronta a fare qualsiasi cosa per facilitare il lavoro del governo italiano quando entrerà in carica e per ricompensarlo”, ha aggiunto, affermando che “ci sarà più spazio per una politica sociale, anche se i socialdemocratici sanno bene che il debito illimitato nell’eurozona è un danno per tutti”. Per ricompensarlo, capite?

Queste sono persone e le persone, si sa, esprimono giudizi di convenienza, come le agenzie di rating (Fitch, Moody’s, Standard e Poor..).

Ma anche i mercati, i cui indici non sono fatti da persone, ma da fredde medie sule quantità di titoli scambiati, dati quindi oggettivi, festeggiano: oggi lo spread è a 167, quota che non si vedeva dal Governo Gentiloni e anche la borsa festeggia. L’asta dei Btp ha reso agli investitori solo l’1% contro il 3% al quale eravamo abituati: le casse del tesoro respirano.

Non capisco questo sbilanciamento su un progetto di governo che, forse, non è ancora nemmeno un progetto.

Ma capita a volte di trovare un tesoro in mezzo alla strada. Non mi faccio domande perché so che, se questo tripudio, e il nascente Governo, dura fino a Natale avremo:

  1. una manovra più semplice, senza attriti con Bruxelles,
  2. più soldi per gli investimenti
  3. Una deroga dagli impegni sul finanziamento in deficit

Insomma, più soldini che, se spesi bene, potrebbero rilanciare la nostra asfittica economia.

Non mi sembra poco e, date le premesse, ancora non mi sembra vero.

Post scriptum delle 18.20 che conferma la necessità di stabilità e di coerenza che hanno l’Europa e i mercati: dopo le esternazioni dei Di Maio che raddoppia i suoi “punti ineludibili” del programma e minaccia la possibile mannaia del voto sulla piattaforma Russeau, lo spread balza su di dieci punti e la borsa brucia tutti i guadagni accumulati.

Per favore, toglietelo di mezzo!

Ma, alle 20.50 una agenzia AdnKronos riporta l’irritazione di Conte per le esternazioni di Di Maio. Insomma sculaccia il bambino che vuol prendersi il pallone e giocare solo con le sue regole..

Conte dopo essersi affrancato da Salvini cerca di affrancarsi anche da Di Maio?

Speriamo….

Vuoi vedere che è lui l’uomo della provvidenza?

La legge di bilancio (finanziaria, di stabilità, chiamatela come vi pare) è ancora tutta da scrivere, impantanata nella lunga trattativa con Bruxelles per evitare l’infrazione e i veti incrociati fra Lega e Cinquestelle.

Insomma, siamo al 16 dicembre ed il Governo deve far approvare dal Senato una legge stravolta rispetto a quella approvata dalla Camera. Si impone quindi un terzo passaggio.

Il bello (o il brutto) è che, ad oggi, nessuno, probabilmente neppure il governo sa come riempire le caselline con i numeretti.

Se non ce la fanno per il 31 dicembre scatta l’esercizio provvisorio di bilancio. In parole povere, lo Stato potrà spendere, nel 2019 ogni mese un dodicesimo della spesa mensile prevista per il 2018.

Ossia molto, molto meno delle.mirabolanti promesse che il Governo non riesce ad inserire nella legge di bilancio ferma al Senato.

Un po’ di esercizio provvisorio, quindi, non potrebbe che far bene alle casse dello Stato evitando, in sovrappiù, anche la procedura di infrazione dell’Unione europea.

Chissà….. forse la ruota della fortuna….

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