Ieri, il “candidato premier” dei 5stelle, Luigi Di Maio, ha, da Torino, minacciato i sindacati “Sindacati si autoriformino o ci pensiamo noi“. Io non sono mai stato un grillino, anzi, li aborro come il qualunquismo puro e la quintessenza della ondivaghezza. Però stavolta non ha torto. I sindacati, lungi da interpretrare il ruolo loro assegnao dalla costituzione agli articoli 39 e 40 della Costituzione:

ART. 39.

L’organizzazione sindacale è libera.
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione
presso uffici locali o centrali, secondo le norme stabilite dalla legge.
È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un
ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati
unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di
lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle
quali il contratto si riferisce.

ART. 40.
Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano

 ormai sono sempre più un mezzo di interdizione dell’azione statale. Eppure il numero di iscritti cala notevolmente (leggi qui e qui e qui) e sempre più la percentuale di iscritti si sposta verso chi non lavora, ossia i pensionati (leggi qui) .

Eppure il peso anche delle piccole sigle sindacali è notevole. E’ sotto gli occhi di tutti come – nella totale assenza di regolamentazione – poche, piccole sigle sindacali, agendo nelle pieghe dell’articolo 40 della Costituzione riescano a bloccare i trasporti di una grande città proclamando, ognuna, uno sciopero di poche ore, ma sfalsato nei tempi. Se, poi si aggiunge, che per la mancata applicazione dell’articolo 39 della costituzione, nella parte ove si prevede la registrazione dei sindacati, ogni “lavoratore” è libero di aderire allo sciopero proclamato anche dal sindacato a cui non è iscritto, il caos è totale.

Aggiungiamo anche che, sempre più, l’azione sindacale NON è volta alla tutela del lavoratore (Il sindacato la dovrebbe perseguire, nell’ambito dell’articolo 41 della Costituzione che sancisce la libertà dell’iniziativa economica privata), bensì nella cieca difesa del posto di lavoro, anche se questo posto di lavoro è improduttivo.

Sarebbe opportuno che, finalmente, si desse attuazione agli articoli della Costituzione che regolano i rapporti sindacali con una legge di attuazione che manca dalla  sua promulgazione e che imponga la registrazione come “sindacati” alle associazioni che intendono tutelare i lavoratori; che imponga la delega e la rappresentanza solo ed esclusivamente per gli iscritti; che permetta, dietro preavviso, solo agli iscritti alla sigla sindacale che ha proclamato lo sciopero, l’astensione dal lavoro. Ma soprattutto una legge che imponga ai sindacati di tutelare i lavoratori, non il posto di lavoro.

Analoga situazione si verifica per i partiti politici. L’articolo 49 della Costituzione, anche questo mai attuato, recita:

“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per con-
correre con metodo democratico a determinare la politica nazionale.”

La mancata attuazione di tale articolo con una legge che spiega cosa debba intendersi per “partito politico” ha dato luogo ad una serie infinita di formazioni nate con lo scopo di eludere il dettato dell’articolo 49 della costiuzione.  Vediamo ogni giorno lo spuntare di “entità” che si fanno chiamare “movimenti”, “associazioni”, “gruppi”, sempre eterodiretti da chi è fuori dalla formazione e non si assume responsabilità. L’accenno a Grillo e Casaleggio dei 5stelle è volutamente casuale.

Anche questa attuazione costituzionale dovrebbe essere una priorità per il Parlamento, ma forse fa comodo a tutti la palude indefinita.

Eppure un modello c’è. Nel 2014 la tanto vituperata Unione europea ha varato il “REGOLAMENTO (UE, EURATOM) N. 1141/2014 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 22 ottobre 2014 relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee

E’ un Regolamento semplice e piano – obbligatorio solo per i partiti che si presentano alla competizione per il Parlamento europeo – che elenca obblighi e doveri di trasparenza dei partiti con la netta scissione nei raporti e attività economiche, fra partiti e fondazioni.

E’ forse una traccia da seguire per regolamentare la melma attuale delle formazioni che si arrogano il dititto di rappresentare gli elettori.

Il problema è serio e coinvolge lo stesso nostro concetto di democrazia che vorremo esportare nel mondo. Purtroppo non è più di moda. Tanti, troppi cittadini di tante, troppe parti del mondo, ormai preferiscono la “democratura” (leggi qui e qui).  Vedi Russia, Turchia, Iran, Cina, alcuni Paesi centroamericani. Per questi popoli, rinunciare a quelle che noi chiamiamo “libertà fondamentali” come la libera candidatura alle cariche elettive, la libera contestazione dell’attività di governo, il libero pensiero, in cambio di sicurezza e sviluppo economico e di ricchezza è un affare vantaggiosoè. Ormai, nell’era dei social e della pancia piena (la “fame” ormai sussiste solo nell’Africa sub sahariana ed in India), l’obiettivo del popolo non  è la libertà di espressione, bensì il capo firmato, l’ultimo modello di smartphone o l’ultima creazione di McDonald. Il distacco fra il popolo e la politica è totale.