Il culto e l’onore reso ai propri cari defunti esiste in ogni parte del mondo. Fa parte dell’innato bisogno degli uomini di ricordare e di essere ricordati. Achille ai Mirmidoni, Foscolo a Pindemonte sono solo due esempi.

Ben diverso però è il sistema usato nei vari tempi e nelle diverse culture per “smaltire” il corpo del defunto.

La nostra cultura tradizionalmente preferisce l’inumazione, anche se in diverse forme fra le tre religioni monoteiste, l’induismo la cremazione, altre praticano ancora l’imbalsamazione.

Esistono altri modi, anche i più strani, specialmente nelle zone di confine fra diverse culture e diverse religioni.

Nell’alto Nepal, ad esempio, il corpo del defunto è considerato alla stregua di una lampadina fulminata. Serve ed è rispettato e amato finché dà la luce e funziona. Quando la luce (=l’anima, l’essenza dell’essere umano) non c’è più l’involucro che conteneva la vita si getta alla stregua di un vestito usato e rotto.

Il corpo dopo tre giorni dalla morte vien preso in consegna dai becchini che lo fanno a pezzi, lo impastano con la farina e lo pongono, a disposizione dei cani, dei corvi e degli avvoltoi in apposite spianate dove in urna bruciano odorose bacche. Scritte beneauguranti sono formate con sassi lungo i costoni o incise nella roccia. Sono luoghi nascosti, inaccessibili ai locali ed ai turisti, luoghi ove si consuma il “ritorno” della carne al ciclo della natura.

Questo per chi può permettersi questo rito. I cadaveri dei poveri vengono gettati direttamente nei fiumi.