Argomenti alla moda sono il sovranismo, prima gli italiani, fuori lo straniero e speriamo di non arrivare di nuovo – dopo l’incubo nazista – a temi come la superiorità della nostra civiltà o, addirittura, della nostra razza.
C’è davvero chi crede a queste stupidaggini che vanno contro tutte le conquiste dei diritti dell’uomo dopo l’immenso bagno di sangue delle guerre del secolo scorso.
Ma non voglio parlare di temi etici, quanto di fatti di base, oggettivi: non solo nella vecchia Europa, ma anche nel mondo, anche se ci sono etnie diverse, ormai c’è una sola cultura, frutto dei continui rimescolamenti ed è impossibile ripristinare l’originaria cultura di un dato Paese.
Meglio di me può spiegarlo Yuval Noah Harari con il suo libro “Sapiens. Da animali a Dèi: breve storia dell’umanità.” Spero non se ne abbia a male se cito alcuni passi di un libro che mi sembra indispensabile leggere per capire un po’ come siamo fatti.
All’alba dei tempi, in effetti:
“I Sapiens dividono istintivamente l’umanità in due parti, “noi” e “loro”. “Noi” siamo persone come te e me, che abbiamo in comune la lingua, la religione, i costumi. Ci sentiamo tutti responsabili gli uni degli altri, ma non responsabili di quanto accade a “loro”. Da “loro” siamo sempre stati distinti, a “loro” non dobbiamo niente. Non vogliamo vederli nel nostro territorio, e non ci importa un bel niente di ciò che può accadere nel loro territorio. Si può dire che “loro” sono a malapena degli esseri umani.”
Ma gli uomini – prima divisi in tribù isolate – cominciarono ad interagire, accumunate dai fattori di aggregazione come il danaro, il commercio, la religione. Alcune tribù – per i motivi più diversi – non si accontentarono di scambi, ma sopraffecero e conquistarono le altre. Da più di 6.000 anni assistiamo alle alterne e caduche vicende del vincitore sul vinto che – a sua volta – viene sconfitto da altra “tribù”. Le tribù si trasformarono in clan, i clan in regni, i regni in Stati, gli Stati in Imperi. Ma la vicenda non cambia. Dagli Ittiti che nel II millennio avanti Cristo conquistarono rapidamente tutta l’Anatolia ma che, altrettanto rapidamente scomparvero, all’impero romano che, dai fasti di Traiano (nato in Spagna) o di Settimio Severo (nato nell’Africa da cui partono oggi i barconi), rapidamente collassò sotto la spinta di quelli sprezzantemente chiamati “barbari” e che oggi guidano l’economia dell’Europa. Dall’immenso impero britannico, che ora sopravvive solo nella memoria e nel Commonwealth, alla rapida e illusoria espansione del Terzo Reich.
Nel corso della storia – pensiamo al nostro Paese – le stesse regioni furono invase da più invasori, stratificando gli usi, i costumi, le leggi, le merci “importate con la forza”.
Continua Harari: “Nell’era moderna gli europei conquistarono gran parte del globo con la scusa di diffondere la superiore cultura occidentale. Ebbero un tale successo che gradualmente miliardi di persone adottarono molti aspetti importanti di quella cultura. Indiani, africani, arabi, cinesi e Maori impararono il francese, l’inglese e lo spagnolo. Cominciarono poi a credere nei diritti umani e nel principio di autodeterminazione e ad adottare ideologie occidentali quali il liberalismo, il capitalismo, il comunismo, il femminismo e il nazionalismo.
Durante il XX secolo, gruppi locali che avevano fatto propri certi valori occidentali cominciarono a rivendicare l’eguaglianza con i conquistatori europei, proprio in nome di quegli stessi valori. Molte lotte anticoloniali furono combattute sotto i vessilli dell’autodeterminazione, del socialismo e dei diritti umani, che erano tutti retaggi occidentali. Come gli Egizi, gli Iraniani e i Turchi avevano adottato la cultura imperiale ereditata dagli originari conquistatori arabi, così oggi indiani, africani e cinesi hanno accettato di mantenere molti aspetti della cultura imperiale propagata dai loro signori di un tempo, cercando di modellarla in armonia con le proprie necessità e tradizioni”.
“Pensate – continua Harari – al rapporto di amore-odio tra la Repubblica dell’India contemporanea e il Raj britannico (cioè il subcontinente indiano prima dell’indipendenza). La conquista e l’occupazione britannica dell’India costarono la vita di milioni di persone e determinarono l’umiliazione e lo sfruttamento continuativo di altre centinaia di milioni di indiani. Eppure tanti indiani adottarono, con lo zelo dei convertiti, idee occidentali come l’autodeterminazione e i diritti umani, e rimasero costernati quando i britannici si rifiutarono di essere coerenti con i propri valori e di concedere ai nativi indiani o eguali diritti, in quanto sudditi britannici, o l’indipendenza. Ciò nonostante, lo stato indiano moderno è figlio dell’impero britannico. I britannici uccisero, offesero e perseguitarono gli abitanti del subcontinente, però unificarono un incredibile mosaico di regni, principati e tribù in lotta fra loro, creando una coscienza nazionale condivisa e un paese che cominciò a funzionare più o meno come una singola unità politica. Gettarono le fondamenta di un sistema giudiziario indiano, crearono la sua struttura amministrativa e costruirono una rete ferroviaria che fu cruciale per l’integrazione economica. L’India indipendente adottò, come forma di governo, la democrazia occidentale nella sua incarnazione britannica. L’inglese è tuttora la lingua franca del subcontinente: una lingua neutrale che può essere usata per comunicare tra chi parla hindi, tamil e malayalam. Gli indiani sono appassionati giocatori di cricket e bevitori di tè: due tradizioni inglesi. La coltivazione commerciale del tè non esisteva in India fino alla metà del XIX secolo, quando venne introdotta dalla British East India Company. Furono i ricercati sahib britannici a diffondere il costume di bere il tè in tutto il subcontinente.
A quanti indiani di oggi passerebbe per la mente di indire un referendum per privarsi della democrazia, dell’inglese, della rete ferroviaria, del sistema giudiziario, del cricket e del tè, sulla base del fatto che tutte queste cose sono un lascito dell’impero britannico? E se pure lo facessero, il fatto stesso di indire una consultazione elettorale per decidere sulla questione non dimostrerebbe forse il loro debito nei confronti degli ex dominatori?”
Yuval Noah Harari fa, poi, una considerazione che lascia sbalorditi. Se un sovranista indiano – insediatosi al potere – volesse raschiare via tutti i lasciti dell’impero indiano per ripristinare lo status quo ante avrebbe una sorpresa:
“Anche se volessimo disconoscere l’eredità lasciataci da un impero brutale, sperando con ciò di ricostruire e salvaguardare la cultura “autentica” precedente, con tutta probabilità non staremmo difendendo null’altro che il retaggio di un impero più antico e forse non meno brutale. Coloro che si dolgono della mutilazione subita dalla cultura indiana da parte del Raj britannico santificano inconsapevolmente il retaggio dell’impero Moghul e del sultanato islamico di Delhi. E chi cercasse di recuperare la “genuina cultura indiana” purgandola dalle influenze straniere di questi imperi musulmani, a sua volta non farebbe che santificare i retaggi dell’impero Gupta, dell’impero Kushan e di quello Maurya. Se un estremista del nazionalismo indù intendesse distruggere tutti gli edifici lasciati dai conquistatori britannici, come la stazione ferroviaria di Mumbai, che cosa dovrebbe fare delle strutture lasciate dai conquistatori musulmani dell’India, come il Taj Mahal?”
L’esempio, contenuto nel libro di Harari non è valido – ovviamente – solo per l’India, ma per tutte quelle nazioni che, ripetutamente, come la nostra, sono state oggetto di conquista.
Nella cultura italiana sono inscindibilmente fuse caratteristiche germaniche, francesi, spagnole, arabe. Se vogliamo fare uno fra i tantissimi esempi, quali superfetazioni dovremmo togliere alla Cattedrale di Palermo per farla tornare completamente “italica”? Quelle bizantine? Quelle arabe?, Quelle normanne? Quelle spagnole? Quelle asburgico-borboniche?
Per non parlar di Roma, dove stupendi monumenti del ‘600 sono edificati su altrettanti splendidi monumenti dell’impero romano.
Superfetazioni e contaminazioni, non solo nell’architettura, ma nella lingua, nella musica (le splendide opere liriche scritte da autori tedeschi, ma pensando all’Italia). Soprattutto nella scienza: ormai il Nobel per medicina, fisica etc, non viene più dato ad un sola persona, non tanto per premiare più gente, ma perché la ricerca è ormai globale, frutto di team operanti in Paesi diversi, collegati per raggiungere un determinato fine.
Penso che, a questo punto, sia evidente che parlare di sovranismo non è solo sbagliato, ma è del tutto inutile, per mancanza del presupposto di base: sovranismo di chi, se siamo tutti meticci?
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