Quarto giorno dell’anno. Il programma è molto interessante. La mattina visita al centro monastico Thaddama Zawtikryone Shwe Kyin di Thanlyn fuori Yangon, creato per aiutare gli orfani del tifone che nel 2008 devastò il Myanmar. Ospita quasi 500 bambini, ormai non più solo orfani del tifone, ma allargato ad altre esperienze caritatevoli. Sì pranzerà con i piccoli ospiti.
E poi visita a Chauktutgy, con la statua del Buddha sdraiato lunga 70 metri.
Nel pomeriggio/sera visita alla immensa pagoda
Shwedagon vero gioiello.
Con tutte queste promesse sarebbe stato davvero un gran finale col botto.
Il botto c’è stato, ma in un altro senso.
Che volete, io sono aperto a nuove conoscenze e, appunto, la sera prima della giornata campale faccio un fortuito incontro. Ho sempre avuto al stanza singola, proprio per evenienze come questa. Ci siamo piaciuti a prima vista. Ragazzi, che notte! Eravamo praticamente uno dentro l’altro. Ore e ore a girarsi e rigirarsi nel letto. La testa mi scoppiava, ma non riuscivamo a dividerci. La mattina dopo ero completamente spossato, non avevo chiuso occhio, non ce l’ho fatta ad andare con il gruppo e, almeno per un’altra mezza giornata, siamo rimasti l’uno dentro l’altro. Poi come tutte le cose molto intense scemano velocemente e ci siamo staccati. Accidenti, ora che ci penso non ho neppure chiesto il suo nome. Chissà, “influenza”?, “faringite”?, “Bronchite”? O, forse, pomposamente, malattia aspecifica da raffreddamento? Ma è stata gentilissima, mi ha lasciato in dono Tachipirina e antibiotico che ancora oggi prendo religiosamente in suo ricordo.
Una notte da solo mi ha rimesso in sesto per affrontare la ultima mezza giornata. Inconcludente. Visita ad un sudicio mercato di utensili e vestiti, roba made in China per i locali.
Una inconcludente passeggiata fra certo le non migliori vie di Yangon, la cui unica attrattiva se così si può chiamare era il groviglio “indian style” di fili elettrici attorno ai pali della luce.
E poi, poi il ritorno. Tre ore e mezzo da Yangon per Hong Kong aumentando il fuso orario. Di una ora e mezzo, due ore e mezzo di sosta e poi l’infinito: quattordici ore di volo notturno fino a Milano. Sull’aereo freddo boia. I rumori più frequenti che si sentivano provenire dai 300 e passa passeggeri stipati nella carlinga erano accessi di tosse catarroso, segno inequivocabile che non avevo avuto l’esclusiva del mio compagno misterioso di due notti addietro, ma io non sono geloso.
Continua…..
0 commenti