Chissà se qualcuno si ricorda del tempo in cui, quando qualcuno telefonava a qualcun altro, chiedeva “chi è?”. Sì, “CHI”, perché il dove era scontato. Si diceva, infatti, chiamo “casa” di mio fratello e si sapeva benissimo “dove” il telefono avrebbe squillato. L’incognita era “chi”, della famiglia di mio fratello, avrebbe risposto.

Se, poi casa di mio fratello era in un’altra città, non lo si poteva chiamare direttamente, ma si telefonava “al centralino” e si chiedeva di esser connessi con “l’utente desiderato” la cui abitazione era in un’altra città e si veniva messi in coda. Se l’attesa si prolungava, si poteva richiamare il centralino e “sollecitare”. Quando, finalmente, si era messi in comunicazione con “l’utente desiderato” in un’altra città si avevano a disposizione tre minuti. Alla scadenza del tempo concesso, la voce della centralinista (sì, erano per lo più donne) si intrometteva con la temuta domanda “Raddoppia?”. Il raddoppio era riferito al raddoppio della tariffa per altri tre minuti. Se ricordo bene, al tempo, correvano gli anni ’60, le telefonate urbane si pagavano in abbonamento, ossia un tot fisso per qualsiasi numero di telefonate al mese. Le interurbane e le (rarissime) internazionali erano tariffate a parte. Questo era il sistema telefonico in Italia fino al 31 ottobre 1970 quando entrò in vigore la “teleselezione” che permise ad ogni utente italiano di collegarsi ad ogni altro utente italiano. Sempre da casa a casa, però.

L’apparecchio telefonico in uso era in bachelite, nero, come questo:

Oggi è tutto diverso. Non compongo più il numero. Digito il nome o lo trovo sull’elenco che lo schermo del mio smartphone mi mostra. E lo smartphone non è solo un telefono, ma un minicomputer, con caratteristiche ben superiori a quelle che avevano i computer che, nel 1969, permisero lo sbarco sulla Luna; esso, oltre a darmi le previsioni meteo, ad indicarmi e registrare il percorso fitness, a mostrarmi le foto e gli scritti che altri utenti, anche sconosciuti, pubblicano, o le quotazioni di borsa, permette anche di fare telefonate.

E, ormai, non c’è neppure bisogno di toccare lo schermo: basta dire “Abracadabra!” o “Apriti Sesamo”. Beh, non proprio queste parole, ma altre del tipo: ”Hey Google, chiama Tizio sul cellulare!” o “Siri, chiama Caio a casa!” (sì, qualche telefono a casa ancora esiste) e, quando si viene connessi non si chiede più “chi è?” perché è scontato. Si chiede “dove sei?” e le possibilità variano dall’isolato adiacente alla cima dell’Everest.

So che queste cose ai nativi digitali fanno un baffo, ma a me che ricordo il telefono in bachelite e il “Raddoppia?” fanno ancora un certo effetto.

Ma – ormai – il limite esiste solo per esser superato. Ricordate le campagne per dissuadere gli automobilisti ad usare il cellulare durante la guida? Roba recente, mica di anni fa.

Eppure anche questo limite viene superato: appena si entra in auto, il telefonino si connette (cavetto o bluetooth) con l’autovettura, e il suo schermo viene proiettato sullo schermo dell’auto, replicandosi quasi in toto. “Hey Google, andiamo a piazza xxx!” Google Maps con il percorso richiesto viene proiettato sullo schermo della autovettura, ben più grande di quello del telefonino, guidandoti fino alla meta.

Oppure, senza sollevare le mani dal volante, “Hey Google chiama Tizia”. Tizia risponde – senza sollevare le mani dal volante – dalla sua autovettura, tutto in vivavoce; e, così, due persone da due auto diverse che corrono in direzioni diverse, magari a centinaia o migliaia di Kilometri di distanza, conversano amabilmente come se fossero nello stesso salotto.

So che ormai è questa la normalità, ma per uno che ricorda ancora il “Raddoppia?” un po’ di emozione la prova.