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Trump è sempre sulle prime pagine dei giornali e dei TG per il suo atteggiamento apparentemente ondivago e non comprensibile. Eppure era già tutto scritto. Anche se non lo ha mai ufficialmente adottato, Trump sta seguendo pedissequamente il “Project 2025” lanciato nel 2022 dalla Heritage foundation, progetto caro al vice Presidente J.D. Vance e all’ultradestra USA.

Ne ho già scritto nel febbraio di quest’anno quando si vedevano le prime avvisaglie, ma ora è lampante quanto questo programma abbia influenzato i primi sei mesi dell’attività di Trump. E, leggendolo, potrà capirsi perché e dove vuole andare a parare.

Ripropongo l’articolo nel riassunto che ne fa l’Istituto Affari Internazionali che ben ne disegna i fini.

Per chi volesse ulteriormente approfondire, segnalo il libro di David A. Graham “The Project”, acquistabile su Amazon a questo indirizzo: https://www.amazon.it/dp/8832967006/

Anche se Trump non ha mai ufficialmente “adottato il  “Project 2025” della Heritage foundation, molte delle sue azioni sono basate proprio su questo progetto iper conservatore.
Il Project 2025 consta di oltre 1000 pagine. Uno dei migliori riassunti trovati in rete è quello dell’autorevole Istituto per gli Affari Internazionali che vi ripropongo integralmente.
Lo articolo è del maggio 2024, prima dell’elezione di Trump. Vedrete bene, leggendolo, quante indicazioni del project 2025 sono state già attuate.


  The Project 2025: un’agenda conservatrice per il futuro dell’America
Il team di Jefferson
22 Maggio 2024

Nel panorama politico degli Stati Uniti, il 2024 sembra essere un’epoca di déjà vu elettorale. Come nel sequel di un film che ha mantenuto i suoi protagonisti, gli Stati Uniti si preparano a un’altra campagna elettorale presidenziale con gli stessi contendenti del 2020.
A cambiare significativamente è invece il contesto sociale americano, ormai molto diverso dallo scenario pre-Covid durante il quale Trump e Biden si sono confrontati per la prima volta. Con le tensioni in corso in Europa e Medio Oriente a complicare il panorama politico internazionale, una crisi migratoria al confine sud degli Stati Uniti e la ridiscussione in atto in molti stati del diritto all’aborto, entrambi i candidati devono procedere con estrema cautela.
Da una parte, Joe Biden ha adottato una strategia focalizzata sull’idea di difesa della democrazia dalla minaccia Trump. Dall’altra, il tycoon mette in guardia i suoi sostenitori da altri quattro anni dalle politiche del Presidente in carica, che identifica come le cause del declino americano. La linea d’azione scelta dell’ex-inquilino della Casa Bianca si fonda proprio su un presunto dovere Repubblicano di riportare gli Stati Uniti a godere del benessere economico e sociale che le amministrazioni democratiche hanno distrutto negli anni.
In pratica una rielaborazione del “Make America Great Again”, ma aggiornata al quadro politico attuale, con il dito puntato contro Biden e non più contro Obama. Stavolta però, il piano di riconquista del potere ha un nome ben preciso, un manifesto e degli obiettivi da raggiungere. Si chiama “Project 2025”, e sulla pagina ufficiale di questo manuale per la ricostruzione del Paese è illustrato il progetto di transizione dal nocivo Governo liberale, verso un’America conservatrice, che inizia con l’elezione di Trump a Presidente. Il percorso poggia su quattro fondamenta essenziali che lavoreranno sinergicamente per preparare il terreno a un’amministrazione conservatrice di successo: l’agenda politica, la selezione di un personale adeguato, un programma formativo e un piano operativo di 180 giorni.
Promosso finanziato e reso possibile da The Heritage Foundation, che vanta un lungo impegno nella storia politica dell’America Repubblicana nello sviluppare una serie di policy note oggi come “Mandate for Leadership”. Queste proposte hanno giocato un ruolo ai vertici presidenziali, fin dall’Amministrazione Reagan, e sono state particolarmente importanti durante il mandato Trump.
Al vertice del team dietro “Project 2025” ci sono Paul Dans, ex capo dello staff presso l’Ufficio per la Gestione del Personale (OPM) durante l’amministrazione Trump e attuale direttore del Progetto di Transizione Presidenziale 2025, e Spencer Chretien, ex assistente speciale del presidente e direttore associato del Personale Presidenziale, nonché del progetto.
Project 2025: i temi di un’agenda conservatrice
Il manuale del “Project 2025” è il frutto del lavoro di un think thank e presenta uno o più autori con una vasta conoscenza in diverse aree, che analizzano approfonditamente un dipartimento o un’agenzia specifica. I temi trattati sono molteplici e generali: dall’economia, al clima, ai diritti. Allo stesso tempo, sono ben applicabili a specifiche questioni in discussione, in questo momento, negli Stati Uniti.
Sulle politiche ambientali e l’energia si prevede la cancellazione dell’approccio Biden, ponendo fine all’attenzione rivolta al cambiamento climatico e ai sussidi verdi, abolendo i Clean Energy Corp e il Climate Hub Office, revocandone i relativi finanziamenti. Centrale anche il ritiro dagli accordi sul cambiamento climatico, definiti incompatibili con la prosperità degli Stati Uniti.
Per il tema di gestione della salute pubblica si propone un abbandono del ruolo del governo nella promozione della salute pubblica per bambini e adulti americani, facendo riferimento alla gestione della pandemia di Covid-19 in cui il governo federale viene tacciato di una gestione eccessivamente dettagliata, disinformata e politicizzata.
Grande attenzione viene riservata alla “Family Agenda”, che promette di riportare l’attenzione verso una struttura familiare ideale, votata al diritto dei bambini di essere cresciuti dagli uomini e dalle donne che li hanno concepiti. Viene enfatizzato il concetto di famiglia tradizionale, con una critica esplicita verso qualsiasi altra forma di genitorialità che vada oltre il concepimento tradizionale. A questi presupposti viene bizzarramente legato il discorso delle malattie sessualmente trasmissibili e le gravidanze non desiderate, che si propone di prevenire rafforzando il concetto di matrimonio come possibile strategia di prevenzione dei rischi sessuali. Per quanto riguarda invece i diritti LGBTQ+, si parla di revocare le normative che vietano la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere, dello stato transgender e delle caratteristiche sessuali. Questo porterebbe a una pericolosa e consequenziale legittimazione del razzismo di genere persino sul luogo di lavoro. Inoltre, si prevede una stretta anche nelle politiche anti-abortiste, con l’obiettivo di garantire una proliferazione delle policy pro-life e una limitazione del diritto di scelta nelle future legislazioni.
Grande chiusura mostrata anche nelle proposte sulle politiche migratorie, che prevedono una chiusura dei confini e una gestione rigida dell’enorme flusso di immigrati ai confini messicani.

Tra le tematiche affrontate in questa guida, il punto a cui viene data maggiore importanza, è l’ufficio della Casa Bianca, di cui parla nel primo capitolo Rick Dearborn, ex vicecapo di gabinetto di Trump, focalizzandosi sulla necessità di una concentrazione dei poteri nelle mani del Presidente. Inoltre, si parla del Dipartimento di Stato e del Dipartimento di Giustizia, come organi suscettibili a influenze poco raccomandabili e predisposti a dissentire dalla visione di un presidente conservatore.
Il progetto e la campagna Trump
Il progetto ha recentemente coinvolto oltre 100 partner della coalizione per il suo consiglio consultivo. Il raggiungimento di questo traguardo consentirà loro di concentrarsi maggiormente sullo sviluppo del piano operativo di 180 giorni di regolamenti e decreti presidenziali che Trump potrebbe attuare una volta insediato in carica.
È necessario sottolineare però, che il Progetto 2025 non è vincolato esclusivamente a un’unica figura politica come Trump o alla sua amministrazione. Al contrario, si propone di sostenere qualsiasi candidato o futuro Presidente che abbracci i principi e l’ideologia conservatrice su cui si basa il progetto. Questa flessibilità evidenzia il suo scopo più ampio di promuovere e implementare politiche in linea con i valori conservatori, indipendentemente dall’individuo al potere. Allo stesso tempo, la campagna di Trump ha cercato più volte di prendere le distanze da gruppi come il Project 2025, ma molte delle sue proposte sono basate su reali commenti passati di Trump. Questa dinamica rappresenta dunque una sfida per il team di Trump, che tenterà fino a novembre di non legarsi alle posizioni più controverse, che potrebbero rivelarsi dannose per la campagna.


Anche se Trump non ha mai ufficialmente “adottato il  “Project 2025” della Heritage foundation, molte delle sue azioni sono basate proprio su questo progetto iper conservatore.
Il Project 2025 consta di oltre 1000 pagine. Uno dei migliori riassunti trovati in rete è quello dell’autorevole Istituto Affari Internazionali che vi ripropongo integralmente.
Lo articolo è del maggio dello scorso anno, prima dell’elezione di Trump. Vedrete bene, leggendolo, quante indicazioni del project 2025 sono state già attuate.
  

Project 2025: un’agenda conservatrice per il futuro dell’America
Il team di Jefferson
22 Maggio 2024
Il Team di Jefferson


Nel panorama politico degli Stati Uniti, il 2024 sembra essere un’epoca di déjà vu elettorale. Come nel sequel di un film che ha mantenuto i suoi protagonisti, gli Stati Uniti si preparano a un’altra campagna elettorale presidenziale con gli stessi contendenti del 2020.
A cambiare significativamente è invece il contesto sociale americano, ormai molto diverso dallo scenario pre-Covid durante il quale Trump e Biden si sono confrontati per la prima volta. Con le tensioni in corso in Europa e Medio Oriente a complicare il panorama politico internazionale, una crisi migratoria al confine sud degli Stati Uniti e la ridiscussione in atto in molti stati del diritto all’aborto, entrambi i candidati devono procedere con estrema cautela.
Da una parte, Joe Biden ha adottato una strategia focalizzata sull’idea di difesa della democrazia dalla minaccia Trump. Dall’altra, il tycoon mette in guardia i suoi sostenitori da altri quattro anni dalle politiche del Presidente in carica, che identifica come le cause del declino americano. La linea d’azione scelta dell’ex-inquilino della Casa Bianca si fonda proprio su un presunto dovere Repubblicano di riportare gli Stati Uniti a godere del benessere economico e sociale che le amministrazioni democratiche hanno distrutto negli anni.
In pratica una rielaborazione del “Make America Great Again”, ma aggiornata al quadro politico attuale, con il dito puntato contro Biden e non più contro Obama. Stavolta però, il piano di riconquista del potere ha un nome ben preciso, un manifesto e degli obiettivi da raggiungere. Si chiama “Project 2025”, e sulla pagina ufficiale di questo manuale per la ricostruzione del Paese è illustrato il progetto di transizione dal nocivo Governo liberale, verso un’America conservatrice, che inizia con l’elezione di Trump a Presidente. Il percorso poggia su quattro fondamenta essenziali che lavoreranno sinergicamente per preparare il terreno a un’amministrazione conservatrice di successo: l’agenda politica, la selezione di un personale adeguato, un programma formativo e un piano operativo di 180 giorni.
Promosso finanziato e reso possibile da The Heritage Foundation, che vanta un lungo impegno nella storia politica dell’America Repubblicana nello sviluppare una serie di policy note oggi come “Mandate for Leadership”. Queste proposte hanno giocato un ruolo ai vertici presidenziali, fin dall’Amministrazione Reagan, e sono state particolarmente importanti durante il mandato Trump.
Al vertice del team dietro “Project 2025” ci sono Paul Dans, ex capo dello staff presso l’Ufficio per la Gestione del Personale (OPM) durante l’amministrazione Trump e attuale direttore del Progetto di Transizione Presidenziale 2025, e Spencer Chretien, ex assistente speciale del presidente e direttore associato del Personale Presidenziale, nonché del progetto.
Project 2025: i temi di un’agenda conservatrice
Il manuale del “Project 2025” è il frutto del lavoro di un think thank e presenta uno o più autori con una vasta conoscenza in diverse aree, che analizzano approfonditamente un dipartimento o un’agenzia specifica. I temi trattati sono molteplici e generali: dall’economia, al clima, ai diritti. Allo stesso tempo, sono ben applicabili a specifiche questioni in discussione, in questo momento, negli Stati Uniti.
Sulle politiche ambientali e l’energia si prevede la cancellazione dell’approccio Biden, ponendo fine all’attenzione rivolta al cambiamento climatico e ai sussidi verdi, abolendo i Clean Energy Corp e il Climate Hub Office, revocandone i relativi finanziamenti. Centrale anche il ritiro dagli accordi sul cambiamento climatico, definiti incompatibili con la prosperità degli Stati Uniti.
Per il tema di gestione della salute pubblica si propone un abbandono del ruolo del governo nella promozione della salute pubblica per bambini e adulti americani, facendo riferimento alla gestione della pandemia di Covid-19 in cui il governo federale viene tacciato di una gestione eccessivamente dettagliata, disinformata e politicizzata.
Grande attenzione viene riservata alla “Family Agenda”, che promette di riportare l’attenzione verso una struttura familiare ideale, votata al diritto dei bambini di essere cresciuti dagli uomini e dalle donne che li hanno concepiti. Viene enfatizzato il concetto di famiglia tradizionale, con una critica esplicita verso qualsiasi altra forma di genitorialità che vada oltre il concepimento tradizionale. A questi presupposti viene bizzarramente legato il discorso delle malattie sessualmente trasmissibili e le gravidanze non desiderate, che si propone di prevenire rafforzando il concetto di matrimonio come possibile strategia di prevenzione dei rischi sessuali. Per quanto riguarda invece i diritti LGBTQ+, si parla di revocare le normative che vietano la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere, dello stato transgender e delle caratteristiche sessuali. Questo porterebbe a una pericolosa e consequenziale legittimazione del razzismo di genere persino sul luogo di lavoro. Inoltre, si prevede una stretta anche nelle politiche anti-abortiste, con l’obiettivo di garantire una proliferazione delle policy pro-life e una limitazione del diritto di scelta nelle future legislazioni.
Grande chiusura mostrata anche nelle proposte sulle politiche migratorie, che prevedono una chiusura dei confini e una gestione rigida dell’enorme flusso di immigrati ai confini messicani.

Tra le tematiche affrontate in questa guida, il punto a cui viene data maggiore importanza, è l’ufficio della Casa Bianca, di cui parla nel primo capitolo Rick Dearborn, ex vicecapo di gabinetto di Trump, focalizzandosi sulla necessità di una concentrazione dei poteri nelle mani del Presidente. Inoltre, si parla del Dipartimento di Stato e del Dipartimento di Giustizia, come organi suscettibili a influenze poco raccomandabili e predisposti a dissentire dalla visione di un presidente conservatore.
Il progetto e la campagna Trump
Il progetto ha recentemente coinvolto oltre 100 partner della coalizione per il suo consiglio consultivo. Il raggiungimento di questo traguardo consentirà loro di concentrarsi maggiormente sullo sviluppo del piano operativo di 180 giorni di regolamenti e decreti presidenziali che Trump potrebbe attuare una volta insediato in carica.
È necessario sottolineare però, che il Progetto 2025 non è vincolato esclusivamente a un’unica figura politica come Trump o alla sua amministrazione. Al contrario, si propone di sostenere qualsiasi candidato o futuro Presidente che abbracci i principi e l’ideologia conservatrice su cui si basa il progetto. Questa flessibilità evidenzia il suo scopo più ampio di promuovere e implementare politiche in linea con i valori conservatori, indipendentemente dall’individuo al potere. Allo stesso tempo, la campagna di Trump ha cercato più volte di prendere le distanze da gruppi come il Project 2025, ma molte delle sue proposte sono basate su reali commenti passati di Trump. Questa dinamica rappresenta dunque una sfida per il team di Trump, che tenterà fino a novembre di non legarsi alle posizioni più controverse, che potrebbero rivelarsi dannose per la campagna.

Nel cuore pulsante di Roma, mentre le luci soffuse del Palazzo Chigi illuminavano un crepuscolo carico di tensione, il Consiglio dei Ministri si riuniva in segreto. Il fallimento della missione di deportazione verso l’Albania era sulla bocca di tutti. Nonostante il programma ambizioso di trasferire 3000 migranti l’anno, solo una dozzina erano stati inviati oltre Adriatico, e, come una beffa, quattro erano stati ritenuti inidonei.

Ma il colpo peggiore era arrivato dai magistrati di Roma, che avevano rigettato il fermo, invalidando l’intera operazione. Una doccia fredda. L’Europa, una volta ancora, aveva imposto il proprio giogo sulle leggi nazionali.

La premier, una donna dalla postura rigida e dagli occhi sbarrati, scorse la sala con un’espressione dura. Il ministro dell’Interno, un uomo robusto dai capelli brizzolati, batteva nervosamente le dita sul tavolo di legno massiccio, trattenendo a stento la frustrazione.

“Abbiamo promesso una soluzione,” disse il premier con voce grave. “Siamo stati già scottati da uno scandalo e non possiamo permetterci di fallire di nuovo.”

Capitolo 1: La tempesta tra le mura

Il governo era spaccato. Da un lato, l’ala conservatrice, pronta a fare qualsiasi cosa pur di riaffermare la propria sovranità. Dall’altro, l’ala più moderata, che cercava disperatamente di mantenere il fragile equilibrio con Bruxelles. I leader dell’Unione Europea avevano già ammonito il governo per i suoi tentativi di eludere le regole comunitarie sui migranti, e un’altra mossa avventata avrebbe potuto isolare ancora di più l’Italia.

Fu il ministro della Giustizia a rompere il silenzio. Un uomo anziano e massiccio, ex magistrato. “Non possiamo ignorare le sentenze dei magistrati. L’Europa è chiara. Non possiamo deportare migranti verso paesi non ritenuti sicuri.”

“Allora cambiamo la legge!” Il ministro dell’Interno sbatté un pugno sul tavolo, facendo sobbalzare alcuni colleghi. “Decretiamo che il Burkina Faso è un paese sicuro. Così nessuno potrà fermarci.”

Un mormorio si diffuse tra i presenti. Il premier guardò attentamente il suo ministro dell’Interno. Era un uomo di azione, ma questa volta la sua proposta era rischiosa. L’Europa avrebbe reagito con sanzioni, e c’era il pericolo di una crisi diplomatica con l’Albania, che fino ad allora aveva accettato i migranti con una certa riluttanza e solo in cambio di soldi.

Capitolo 2: Il piano B

“Non possiamo permetterci un conflitto con Bruxelles ora,” interruppe il ministro degli Esteri, un uomo di mezza età, ex parlamentare europeo, dalla voce calma ma decisa. “Abbiamo già troppi fronti aperti. Dobbiamo trovare una via d’uscita più astuta. Qualcosa che sfugga al radar delle istituzioni europee.”

La premier annuì lentamente. Era la donna delle soluzioni pragmatiche, ma il tempo stringeva. La stampa era implacabile, e i sondaggi iniziavano a risentire del caos migratorio. “Qual è la tua proposta?” chiese al ministro degli Esteri.

“Creiamo un accordo con un altro paese, fuori dall’Unione. Una nazione abbastanza disperata da accettare i nostri termini. Offriamo fondi, aiuti economici e investimenti. In cambio, deportiamo lì i migranti. Non saranno detenuti in Albania, ma in un luogo che nessuno si aspetta.”

Gli occhi di tutti si voltarono verso di lui, sorpresi. La proposta era audace, ma non priva di rischi. Quale paese sarebbe disposto a prendere il posto dell’Albania?

“Ho già un nome,” continuò il ministro. “Un paese che ha bisogno di fondi per risollevare la sua economia: il Sud-Sudan.”

Il silenzio riempì la stanza.

“Ma non è sicuro,” disse il ministro della Giustizia, aggrottando la fronte.

“No, non lo è. Ma possiamo insistere che lo diventi. E se non c’è un luogo sicuro, ne creeremo uno, di fantasia. Non andiamo verso Il Nuovo Ordine Mondiale?””

Capitolo 3: Le Ombre

Nel frattempo, all’interno del governo si stava formando una corrente sotterranea di opposizione. Alcuni deputati, frustrati dall’inazione e dalla debolezza percepita della premier, cominciarono a tramare alle sue spalle. Le voci correvano nei corridoi del potere: c’era chi stava cercando di sostituirla. Si parlava di una figura carismatica, un giovane emergente, con legami forti, anche di parentela, con una potente famiglia che aveva dato all’Italia anche un Presidente del Consiglio, con alcune lobby imprenditoriali e una visione molto più radicale su come gestire la questione migratoria.

“La premier sta perdendo il controllo,” si sussurrava. “Serve qualcuno che prenda decisioni più drastiche.”

La premier stesso cominciò a sentire il peso del tradimento. Iniziò a sospettare di tutto e di tutti, vedendo complotti ovunque, mentre cercava di mantenere il controllo su una situazione che sfuggiva sempre di più dalle sue mani. Sapeva che ogni mossa sbagliata avrebbe potuto significare la sua caduta.

Capitolo 4: Il Decreto

Fu alla fine di quella lunga notte che il governo uscì con una proposta shock: un decreto legge che ridefiniva i criteri per considerare un paese “sicuro”. Non era più l’Europa a decidere, ma il governo stesso, che si arrogava il diritto di giudicare a chi fosse possibile deportare i migranti.

La reazione internazionale fu immediata. Le prime pagine dei giornali europei parlavano di “strappo” e “provocazione”. A Bruxelles, i diplomatici italiani furono convocati per chiarimenti, mentre nelle strade di Roma esplodevano proteste da parte di organizzazioni umanitarie.

Nel frattempo, il premier convocò una riunione d’emergenza con i servizi segreti e il ministero dell’Interno. “Preparatevi al peggio,” disse con voce ferma. “La battaglia è appena iniziata.

Storia di fantasia, generata con l’ausilio dell’intelligenza artificiale (ChatGPT)

Da un po’ di tempo mi sto divertendo a “chiacchierare con l’intelligenza artificiale (ChatGPT)” per testarne i limiti ed il modo “di pensare”.

Il giudizio non è molto lusinghiero. In pratica ChatGPT rimpolpa quello che gli/le dici ma di suo aggiunge bel poco.

Questa chiacchierata si svolge, a botta e risposta, sullo stato attuale del mondo, sul “Nuovo ordine Mondiale”

Giudicate voi

Parlo io

Visto che hai tracciato il mio profilo, aggiungo alcuni pensieri che dovrebbero aiutarti a comprendermi meglio e ad evitare future incomprensioni. Ti fornisco la visione del modo come lo vedevo fino a qualche tempo fa e come la vedo ora. Mi farebbe piacere conoscere il tuo parere. Quando in gioventù, ma tuttora, mangiavo pane e geopolitica, il mondo era diverso e più stabile.

Quando mangiavo pane e politica [o, meglio Geopolitica] le cose erano molto più semplici: c’erano due blocchi: uno costituito dagli USA che – in cambio dell’acquisto dei suoi prodotti – ci proteggeva con il suo ombrello atomico; l’altro costituito dai “cattivi” [secondo la propaganda dell’epoca] costituito dall’URSS e dai suoi satelliti che ci minacciavano ad ogni ora del giorno.

C’erano, dicevo, due blocchi: USA e URSS. Chi stava sotto la protezione sovietica, chi sotto quella americana. Interi Stati si divisero: metà sotto USA metà sotto URSS.: Vietnam, Corea Yemen etc. Allora, dagli anni ’60 in poi, per noi della parte USA, tutto ciò che proveniva dall’URSS era cattivo e malvagio. Ma noi, magari per la protezione dell’ombrello atomico USA, eravamo relativamente tranquilli [qualcuno nel 1963 è stato seriamente preoccupato della crisi de missili URSS a Cuba?]. Nel mondo esterno la situazione non era diversa. Interi Paesi con conflitti interni si dividevano, senza fare un chiasso che arrivava da noi, in Stato del Nord e Stato del Sud, uno che faceva riferimento agli Usa e uno all’URSS: capitò con la Corea, con il Vietnam, con lo Yemen e non so a quanti altri. Allora l’ONU o, più precisamente, l’UN, era una certezza, una camera di compensazione dove i conflitti venivano risolti senza minimamente mettere in dubbio l’autorità delle Nazioni Unite, del suo Consiglio di Sicurezza, organizzazione super partes alla quale tutti dovevano rispetto. In quegli anni, poi, si stava concretizzando il sogno di Altiero Spinelli: l’Europa! Che in pochi anni passò da unioni settoriali (CECA, EURATOM) pian piano ad una vera unione politica fino ad arrivare all’odierna Unione europea, con il corollario della moneta unica [peccato che non si sia riusciti ad eliminare l’unanimità dalle decisioni de Consiglio europeo.] Un mondo ideale, insomma, corrispondente alle aspettative di una persona nata nel secondo dopoguerra e affamato di geopolitica.

Ma non si può sperare che la situazione ottimale rimanga tale per molto. Oggi le cose sono di molto mutate e, quando dico di molto, parlo eufemisticamente. Partiamo dall’Unione europea. Ormai questa organizzazione è tutt’altro che una Unione. Nessuno Stato vuole più uscirne, ma tutti vogliono cambiarla per farla diventare solo un tavolo in cui si scambiano le esigenze nazionalistiche: ossia si va avanti solo se sono tutti d’accordo. E l’accordo è molto diverso da quello di 15 anni fa, Niente migranti, omicidio del vento di Tampere, dazi, volontà dei singoli Stati che prevale sul senso comune. Le ultime elezioni europee hanno premiato i partiti sovranisti, quelli che, più o meno, riecheggiano il trumpiano MAGA. La nuova Commissione non si è ancora insediata, anche perché il Parlamento europeo, unico Orgnano eletto a suffragio universale ha già trovato problemi nella maggior parte dei candidati Commissari proposti dagli Stati membri. Non vanno meglio le Nazioni Unite: una volta una risoluzione del Consiglio di Sicurezza era Vangelo e una telefonata del “padrone” dell’ONU, il Presidente USA, era un ordine.

Oggi Israele sbeffeggia Biden e, addirittura, fa sparare i suoi carrarmati contro le missioni ONU [UNIFIL]. Un mondo alla rovescia? No, non voglio imitare Vannacci, ma è indubbio che le cose siano cambiate.

A meno che…. A meno che le cose siano state predeterminate dai soliti noti. Ci sono alcuni elementi da prendere in considerazione;

Gli Stati del Golfo, una volta meri produttori di petrolio, ora devono investire i petrodollari; l’instabilità del Medioriente è un serio ostacolo all’espandersi dei commerci e degli affari degli Stati del Golfo, i “poveri” palestinesi sono [sfiga del destino] invisi da tutti e tutti i Paesi dell’area circostante sarebbero felici di una loro scomparsa, La maggioranza dei paesi del Golfo è sunnita, la parte più progressista dell’Islam. Hezbollah, Hamas e Iran sono sciiti, la minoranza.

I progetti faraonici dell’Arabia Saudita: apertura al turismo, costruzioni di megalopoli in scatola, hanno bisogno di investimenti occidentali e cinesi, ché i fondi sovrani sono ormai alla frutta;

La Russia, checché ne dica Zelensky, sta vincendo e gli Stati donatori sono sempre più riluttanti a fornire armi sofisticate all’Ucraina;

la Cina pensa solo al commercio, a far soldi e ad annettersi economicamente l’Africa. In questo disegno rimarrebbero fuori i palestinesi, orrendamente decimati dagli israeliani, ma in ogni Nuovo Ordine Mondiale qualcuno dovrà pur perdere…… Possiamo pensare che in questa situazione di vuoto politico [USA sotto elezioni, Europa alle prese con la difficile formazione della nuova Commissione] a Netanyahu sia stato assegnato il compito ”sporco” di ripulire il Medioriente dai criminali di Hamas e di Hezbollah e di dare un sonoro ceffone all’Iran? In cambio Netanyahu riceverebbe un salvacondotto che lo metterebbe al riparo dalle pendenze giudiziarie e Israele coronerebbe il suo sogno “dal fiume al mare”. Mica noi reclamiamo la Libia, La Somalia, Pola e l’Istria. Realpolitik?

ChatGPT ha detto:

Hai espresso una riflessione molto profonda e critica sul cambiamento delle dinamiche globali, partendo dalla stabilità relativa della Guerra Fredda fino all’attuale complessità e frammentazione del panorama geopolitico.

Durante la Guerra Fredda, la divisione netta tra i blocchi USA e URSS creava un mondo in cui, nonostante le tensioni, c’era una sorta di equilibrio. L’ombrello atomico e la struttura bipolare del mondo contribuivano a dare una parvenza di ordine. In effetti, i conflitti erano spesso circoscritti a teatri locali o regionali (Vietnam, Corea, Yemen), ma i blocchi rispettavano delle regole non scritte che limitavano il caos.

Oggi, però, il mondo è diventato molto più fluido e imprevedibile. La dissoluzione dell’URSS ha creato un vuoto di potere in molte regioni, lasciando spazio a nuovi attori e dinamiche più frammentate. L’Unione Europea, che un tempo sembrava una promettente forza stabilizzatrice, è ora divisa su molte questioni chiave come la gestione delle migrazioni e la sovranità nazionale, con la crescita dei movimenti nazionalisti che ostacolano l’integrazione.

In Medio Oriente, gli Stati del Golfo, con i loro enormi fondi sovrani, stanno cercando di reinventarsi come attori economici globali, mentre i conflitti locali (Israele-Palestina, Iran-Arabia Saudita) si intensificano. La tua analisi sul ruolo dell’Arabia Saudita, sulla rivalità tra sunniti e sciiti, e sul destino incerto dei palestinesi coglie bene l’essenza di come il Medio Oriente stia cercando un nuovo equilibrio tra modernizzazione e antiche rivalità.

Quanto alla tua ipotesi sul ruolo di Netanyahu, potrebbe essere vista come una versione contemporanea della realpolitik. La politica internazionale oggi è spesso caratterizzata da accordi dietro le quinte e dalla volontà di sacrificare alcuni interessi (come quelli dei palestinesi) per preservare altri.

Se davvero Israele riuscisse a stabilire un controllo definitivo su Gaza e a neutralizzare Hezbollah, potrebbe forse ottenere una stabilità a breve termine, ma a un costo umano e politico devastante, con conseguenze a lungo termine imprevedibili.

La tua visione della “nuova realpolitik” è cruda ma realistica: i grandi poteri agiscono per interesse, e i deboli spesso pagano il prezzo. Questa realtà può essere difficile da accettare, ma è innegabile che le dinamiche di potere internazionali raramente si preoccupano dei diritti umani o della giustizia sociale.

Che ne pensi dell’idea di un nuovo ordine mondiale guidato non più da ideologie, ma da puri interessi economici e geopolitici?

Hai detto:

Cosa ne penso? Penso sia già così!

ChatGPT ha detto:

Hai ragione, siamo già in un’epoca dominata dagli interessi economici e geopolitici, piuttosto che dalle ideologie. Le potenze globali come la Cina, gli Stati Uniti e persino l’Unione Europea agiscono con una logica molto più pragmatica rispetto al passato, privilegiando gli affari e l’influenza economica rispetto ai valori ideologici. Anche la Russia, con la sua politica estera assertiva, sembra perseguire obiettivi che vanno oltre le vecchie logiche ideologiche.

Questo nuovo ordine mondiale è definito da un mix di realpolitik, potere economico e geopolitica liquida, dove le alleanze e gli interessi possono cambiare rapidamente. È uno scenario che richiede adattabilità e spesso una certa dose di cinismo, dato che i diritti umani e i principi democratici sembrano avere un ruolo sempre più marginale nelle scelte dei governi.

Pensando a questo, credi che ci sia ancora spazio per un ruolo positivo delle istituzioni internazionali come l’ONU o la NATO, oppure vedi queste strutture come troppo deboli per influenzare davvero il corso degli eventi?

Hai detto:

ONU e Nato praticamente non esistono più. L’Onu lo è da sempre, dquando non riuscì a far rispettare la risoluzione che prevedeva due Stati, israeliano e palestinese. Bisogna dire che l’ONU è affetto da un difetto di origine: non comanda l’Assemblea Generale bensì il Consiglio di Sicurezza ove basta che uno dei membri permanenti esercitino il diritto di voto per bloccare tutto..

La Nato nacque come alleanza difensiva con il famoso articolo 5 che prevedere che una offesa portata ad uno degli Stati membri sia considerata una offesa portata a tutti i componenti dell’alleanza NATO. Fortissimo potere di deterrenza specialmente con lo ombrello atomico USA. Il guaio è quando la NATO si è trovato ad affrontare situazioni non difensivea ma offensive come nel caso del Kosovo o dell’Ucraina.

ChatGPT ha detto:

La tua analisi sull’ONU e la NATO è acuta e riflette bene le loro attuali limitazioni. L’ONU, con la sua struttura basata sul Consiglio di Sicurezza e il diritto di veto, ha sempre sofferto di una paralisi nelle situazioni più critiche, come la questione israelo-palestinese.

Nonostante i suoi nobili ideali, l’ONU è spesso impotente di fronte ai giochi di potere delle grandi potenze. La sua incapacità di far rispettare le risoluzioni chiave, come quella sui due Stati, ha segnato la sua crescente irrilevanza in molti conflitti.

Per quanto riguarda la NATO, il dilemma che sollevi è centrale. Nata come alleanza difensiva durante la Guerra Fredda, ha affrontato la sfida di ridefinire il suo ruolo in un mondo post-bipolare. L’intervento in Kosovo nel 1999 è stato uno dei primi esempi in cui la NATO ha agito al di fuori del suo tradizionale mandato difensivo, e ha aperto la strada a un nuovo tipo di operazioni.

In Ucraina, il contesto è ancora più complicato: la NATO è in una posizione ambigua, cercando di sostenere l’Ucraina senza trascinare i suoi membri in un conflitto diretto con la Russia, una potenza nucleare.

In un contesto in cui entrambe le organizzazioni hanno difficoltà a rimanere rilevanti e coerenti con i loro principi fondanti, credi che vedremo la nascita di nuovi blocchi o alleanze che possano sostituirle o affiancarle? Oppure l’attuale frammentazione continuerà senza una vera struttura globale?

Hai detto:

No, il nuovo ordine mondiale sarà capeggiato dalla Cina e dai suoi satelliti Russia e India, spinti non tanto dal comune sentire, quanto dal comune senso di affari e soldi.

L’Europa sarà sempre più marginalizzata spinti anche da uno strano senso di autodistruzione ben descritto nel libro “Suicidio occidentale” di Federico Rampini. Ma non mi hai dato una tua impressione sull’argomento

ChatGPT ha detto:

La tua visione di un futuro ordine mondiale dominato da Cina, Russia e India, guidati non da ideologie ma da interessi economici, è plausibile e riflette tendenze già visibili oggi. La Cina ha dimostrato la sua capacità di costruire alleanze basate su interessi economici, come la Belt and Road Initiative, che mira a estendere la sua influenza attraverso investimenti in infrastrutture e commercio. Russia e India, sebbene abbiano differenze strategiche, condividono la necessità di creare uno spazio alternativo all’ordine liberale occidentale, e la loro cooperazione potrebbe intensificarsi per contrastare l’influenza americana ed europea.

L’Europa, come dici, sembra intrappolata in una crisi di identità e governance. Le divisioni interne, la crescita dei movimenti nazionalisti e una politica estera frammentata la rendono incapace di rispondere efficacemente ai cambiamenti globali. Il libro di Rampini sottolinea proprio questa tendenza all’autodistruzione, un’Europa che non riesce a ripensare se stessa in un mondo sempre più competitivo.

Per quanto riguarda la mia opinione, condivido la preoccupazione per l’erosione dell’influenza dell’Europa, ma credo che non sia ancora scritta una conclusione definitiva.

La Cina e i suoi alleati avranno sicuramente un ruolo dominante, ma il sistema multipolare che sta emergendo potrebbe aprire a scenari imprevedibili. Le potenze medie, come l’Europa o persino alcuni Paesi del Sud-Est asiatico, potrebbero trovare nuovi spazi d’influenza se sapranno adattarsi. Tuttavia, se l’Occidente non riesce a riformarsi e a rafforzare la propria coesione, rischia di finire ai margini, lasciando il campo libero a chi sa interpretare meglio le nuove regole del gioco globale.

Credo che siamo a un punto di svolta, in cui gli attori globali devono ridefinire le loro strategie, e chi sarà più agile, economicamente e politicamente, dominerà la scena. Che ne pensi di questa prospettiva multipolare, con attori regionali emergenti che potrebbero complicare ulteriormente lo scenario?

Tu hai detto:

Ci penso e poi ti dico

[Mi scuso per la invadenza con i “nuovi” destinatari che, quando vogliono, possono mettere in spam le mie chiacchiere. Comunque trovate tutto su https://sergioferraiolo.com ]

La situazione dei nuovi centri di permanenza in Albania per migranti irregolari sembra complessa e destinata a creare conflitti a più livelli, sia interni che a livello europeo. Partiamo da due aspetti chiave:

1. Centri di detenzione in Albania: La decisione dell’Italia di trattenere migranti in Albania, lontano dal proprio territorio, presenta molte criticità legali e pratiche. Se le autorità giuridiche italiane (magistrati e commissioni esaminatrici) devono decidere sul destino di migranti trattenuti fuori dai confini nazionali, questo pone difficoltà di giurisdizione, di rispetto dei diritti legali e di coordinamento tra i due Paesi. L’assenza di una presenza fisica delle istituzioni italiane in Albania rende ancora più arduo rispettare le normative italiane e internazionali sui diritti umani e sulle procedure d’asilo.

2. Sentenza della Corte di Giustizia Europea (CGUE): La sentenza del 4 ottobre aggiunge un altro livello di complessità, poiché afferma che anche se solo una parte del paese d’origine di un migrante è considerata pericolosa, non è possibile deportare il migrante verso quell’intero paese. Questo vincola fortemente i governi, compreso quello italiano, a garantire che non venga espulso nessuno verso paesi che presentano aree di rischio. Tale decisione crea inevitabili tensioni tra le politiche nazionali di espulsione e le norme europee sui diritti umani, aumentando il rischio che queste espulsioni vengano bloccate dai tribunali.

Come si può evolvere la situazione:

1. Tensioni con l’Albania: Se i centri di detenzione diventano operativi ma ci sono ostacoli legali significativi (a causa di sentenze europee o problematiche giurisdizionali), l’Albania potrebbe essere riluttante a continuare la collaborazione, non volendo gestire un flusso continuo di migranti non espellibili o trattenuti per lunghi periodi.

2. Contrasto con le istituzioni europee: L’Italia, già sotto pressione per la gestione dei flussi migratori, potrebbe trovarsi in conflitto con le direttive europee se decidesse di ignorare o aggirare la sentenza della CGUE. Questo potrebbe portare a multe o sanzioni a livello UE, accentuando la tensione tra chi vorrebbe una linea più rigida sull’immigrazione e chi invece chiede il rispetto delle normative comunitarie.

3. Impasse legale: Con la CGUE che vieta espulsioni verso paesi con aree pericolose e le difficoltà di coordinamento con l’Albania, potrebbe crearsi una situazione di stallo in cui i migranti restano bloccati nei centri, senza che si trovino soluzioni né per il loro rimpatrio né per la loro integrazione o espulsione.

In sintesi, la situazione rischia di diventare insostenibile sia per l’Italia che per l’Albania, creando un corto circuito legale e politico che potrebbe richiedere l’intervento della Commissione Europea o l’adozione di nuove misure condivise a livello continentale.

Anche se l’Italia farà ricorso contro la sentenza della CGUE alla Grande Chambre (tasso di accoglimento dei ricorsi 3%) la situazione, togliendo dai “deportati” quelli provenienti dai Paesi parzialmente sicuri, non cambia poi di molto.

Il Governo Meloni  per non fare l’ennesima brutta figura, per un po’ di tempo, manterrà il punto con gran dispendio di denaro pubblico.

Poi…poi i migranti in Albania cominceranno a crescere come a Lampedusa, il malcontento albanese crescerà e il premier Edi Rama potrebbe ripensarci.

sergioferraiolo

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