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Elon Musk (#ElonMusk) ha annunciato in pompa magna di voler fondare un nuovo partito “per ridare la libertà agli americani” ponendosi, anche con pochi seggi, come ago della bilancia fra democratici e repubblicani. Assomiglia più ad una boutade per ricattare Trump che una cosa seria. Il “Partito ago della bilancia” lungamente sognato in Italia, è astrattamente possibile solo con un sistema elettorale proporzionale che garantisce seggi anche ai piccoli partiti. In USA, invece, i rappresentanti dei singoli Stati sono eletti sia per ill Senato, sia per la Camera, con il sistema uninominale: chi prende più voti, prende tutto. Perché si avveri il sogno di Musk, è necessario che  in qualche Stato il suo candidato prenda più voti sia del candidato repubblicano sia del candidato democratico, cosa praticamente impossibile [ricordate Ross Perott?].
Il progetto di Musk appare più orientato a chiedere qualche contropartita a Trump,

in quanto, come lui stesso ha dichiarato, il nuovo partito pescherebbe nel bacino elettorale repubblicano, sottraendogli voti, a vantaggio del partito democratico.
Ora, visto che la politica non è più passione e neppure ideologia, ma solo soldi  resta da vedere quale sarà il vantaggio economico per Musk: sovvenzioni federali? Finanziamenti dei Democratici? Gettare il caos? Boh, si vedrà.
Partiamo anche sul non sense: l’accreditamento fra il 2% e il 5% del partito di Musk è “certificato” dall’ Intelligenza Artificiale di sua proprietà, molto neutrale, quindi.


Ma la cosa più divertente e folle [beh, non poi tanto, visto che gli yankees hanno eletto Trump] è “ma voi veramente votereste a guardia del vostro futuro, un uomo come Musk che per sua stessa ammissione, è drogato e folle?”


Anche se Trump non ha mai ufficialmente “adottato il  “Project 2025” della Heritage foundation, molte delle sue azioni sono basate proprio su questo progetto iper conservatore.
Il Project 2025 consta di oltre 1000 pagine. Uno dei migliori riassunti trovati in rete è quello dell’autorevole Istituto Affari Internazionali che vi ripropongo integralmente.
Lo articolo è del maggio dello scorso anno, prima dell’elezione di Trump. Vedrete bene, leggendolo, quante indicazioni del project 2025 sono state già attuate.
  

Project 2025: un’agenda conservatrice per il futuro dell’America
Il team di Jefferson
22 Maggio 2024
Il Team di Jefferson


Nel panorama politico degli Stati Uniti, il 2024 sembra essere un’epoca di déjà vu elettorale. Come nel sequel di un film che ha mantenuto i suoi protagonisti, gli Stati Uniti si preparano a un’altra campagna elettorale presidenziale con gli stessi contendenti del 2020.
A cambiare significativamente è invece il contesto sociale americano, ormai molto diverso dallo scenario pre-Covid durante il quale Trump e Biden si sono confrontati per la prima volta. Con le tensioni in corso in Europa e Medio Oriente a complicare il panorama politico internazionale, una crisi migratoria al confine sud degli Stati Uniti e la ridiscussione in atto in molti stati del diritto all’aborto, entrambi i candidati devono procedere con estrema cautela.
Da una parte, Joe Biden ha adottato una strategia focalizzata sull’idea di difesa della democrazia dalla minaccia Trump. Dall’altra, il tycoon mette in guardia i suoi sostenitori da altri quattro anni dalle politiche del Presidente in carica, che identifica come le cause del declino americano. La linea d’azione scelta dell’ex-inquilino della Casa Bianca si fonda proprio su un presunto dovere Repubblicano di riportare gli Stati Uniti a godere del benessere economico e sociale che le amministrazioni democratiche hanno distrutto negli anni.
In pratica una rielaborazione del “Make America Great Again”, ma aggiornata al quadro politico attuale, con il dito puntato contro Biden e non più contro Obama. Stavolta però, il piano di riconquista del potere ha un nome ben preciso, un manifesto e degli obiettivi da raggiungere. Si chiama “Project 2025”, e sulla pagina ufficiale di questo manuale per la ricostruzione del Paese è illustrato il progetto di transizione dal nocivo Governo liberale, verso un’America conservatrice, che inizia con l’elezione di Trump a Presidente. Il percorso poggia su quattro fondamenta essenziali che lavoreranno sinergicamente per preparare il terreno a un’amministrazione conservatrice di successo: l’agenda politica, la selezione di un personale adeguato, un programma formativo e un piano operativo di 180 giorni.
Promosso finanziato e reso possibile da The Heritage Foundation, che vanta un lungo impegno nella storia politica dell’America Repubblicana nello sviluppare una serie di policy note oggi come “Mandate for Leadership”. Queste proposte hanno giocato un ruolo ai vertici presidenziali, fin dall’Amministrazione Reagan, e sono state particolarmente importanti durante il mandato Trump.
Al vertice del team dietro “Project 2025” ci sono Paul Dans, ex capo dello staff presso l’Ufficio per la Gestione del Personale (OPM) durante l’amministrazione Trump e attuale direttore del Progetto di Transizione Presidenziale 2025, e Spencer Chretien, ex assistente speciale del presidente e direttore associato del Personale Presidenziale, nonché del progetto.
Project 2025: i temi di un’agenda conservatrice
Il manuale del “Project 2025” è il frutto del lavoro di un think thank e presenta uno o più autori con una vasta conoscenza in diverse aree, che analizzano approfonditamente un dipartimento o un’agenzia specifica. I temi trattati sono molteplici e generali: dall’economia, al clima, ai diritti. Allo stesso tempo, sono ben applicabili a specifiche questioni in discussione, in questo momento, negli Stati Uniti.
Sulle politiche ambientali e l’energia si prevede la cancellazione dell’approccio Biden, ponendo fine all’attenzione rivolta al cambiamento climatico e ai sussidi verdi, abolendo i Clean Energy Corp e il Climate Hub Office, revocandone i relativi finanziamenti. Centrale anche il ritiro dagli accordi sul cambiamento climatico, definiti incompatibili con la prosperità degli Stati Uniti.
Per il tema di gestione della salute pubblica si propone un abbandono del ruolo del governo nella promozione della salute pubblica per bambini e adulti americani, facendo riferimento alla gestione della pandemia di Covid-19 in cui il governo federale viene tacciato di una gestione eccessivamente dettagliata, disinformata e politicizzata.
Grande attenzione viene riservata alla “Family Agenda”, che promette di riportare l’attenzione verso una struttura familiare ideale, votata al diritto dei bambini di essere cresciuti dagli uomini e dalle donne che li hanno concepiti. Viene enfatizzato il concetto di famiglia tradizionale, con una critica esplicita verso qualsiasi altra forma di genitorialità che vada oltre il concepimento tradizionale. A questi presupposti viene bizzarramente legato il discorso delle malattie sessualmente trasmissibili e le gravidanze non desiderate, che si propone di prevenire rafforzando il concetto di matrimonio come possibile strategia di prevenzione dei rischi sessuali. Per quanto riguarda invece i diritti LGBTQ+, si parla di revocare le normative che vietano la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere, dello stato transgender e delle caratteristiche sessuali. Questo porterebbe a una pericolosa e consequenziale legittimazione del razzismo di genere persino sul luogo di lavoro. Inoltre, si prevede una stretta anche nelle politiche anti-abortiste, con l’obiettivo di garantire una proliferazione delle policy pro-life e una limitazione del diritto di scelta nelle future legislazioni.
Grande chiusura mostrata anche nelle proposte sulle politiche migratorie, che prevedono una chiusura dei confini e una gestione rigida dell’enorme flusso di immigrati ai confini messicani.

Tra le tematiche affrontate in questa guida, il punto a cui viene data maggiore importanza, è l’ufficio della Casa Bianca, di cui parla nel primo capitolo Rick Dearborn, ex vicecapo di gabinetto di Trump, focalizzandosi sulla necessità di una concentrazione dei poteri nelle mani del Presidente. Inoltre, si parla del Dipartimento di Stato e del Dipartimento di Giustizia, come organi suscettibili a influenze poco raccomandabili e predisposti a dissentire dalla visione di un presidente conservatore.
Il progetto e la campagna Trump
Il progetto ha recentemente coinvolto oltre 100 partner della coalizione per il suo consiglio consultivo. Il raggiungimento di questo traguardo consentirà loro di concentrarsi maggiormente sullo sviluppo del piano operativo di 180 giorni di regolamenti e decreti presidenziali che Trump potrebbe attuare una volta insediato in carica.
È necessario sottolineare però, che il Progetto 2025 non è vincolato esclusivamente a un’unica figura politica come Trump o alla sua amministrazione. Al contrario, si propone di sostenere qualsiasi candidato o futuro Presidente che abbracci i principi e l’ideologia conservatrice su cui si basa il progetto. Questa flessibilità evidenzia il suo scopo più ampio di promuovere e implementare politiche in linea con i valori conservatori, indipendentemente dall’individuo al potere. Allo stesso tempo, la campagna di Trump ha cercato più volte di prendere le distanze da gruppi come il Project 2025, ma molte delle sue proposte sono basate su reali commenti passati di Trump. Questa dinamica rappresenta dunque una sfida per il team di Trump, che tenterà fino a novembre di non legarsi alle posizioni più controverse, che potrebbero rivelarsi dannose per la campagna.

Nel magnificare la sua politica economica, Giorgia Meloni ripete come un mantra la discesa, da quando c’è lei, dello spread (vedi qui il significato) fra Bund tedeschi e BTP italiani.
Peccato che dimentichi di dire che lo spread è il risultato di un rapporto che può cambiare sia se cambia il numeratore, sia se cambia il denominatore.
Vi propongo un raffronto fra la situazione al 1° gennaio 2021 (la Meloni non c’era, C’era il Governo Conte II, si affacciava Draghi, avevamo avuto un pacco di miliardi dall’Europa con il PNRR) e la situazione odierna:

Alla data del 1° gennaio 2021, i rendimenti dei titoli di Stato decennali erano approssimativamente i seguenti:
Bund tedeschi a 10 anni: -0,57% (valore negativo, riflettendo la forte domanda di asset sicuri e la politica monetaria della BCE). (fonte Investing Italia)
BTP italiani a 10 anni: +0,52% (grazie a una combinazione di politiche di sostegno della BCE e a una maggiore stabilità percepita sui mercati). (fonte: Investing Italia)
Questi dati evidenziano uno spread tra i due titoli di circa 109 punti base.

Alla data odierna, 17 dicembre 2024, i rendimenti dei titoli di Stato decennali sono i seguenti:
Bund tedeschi a 10 anni: circa 2,23% . (Fonte: INVESTING ITALIA)
BTP italiani a 10 anni: circa 3,38% (Fonte: INVESTING ITALIA)
Questi valori indicano uno spread tra i due titoli di circa 115 punti base. (Fonte: BORSA ITALIANA)
Rispetto al 1° gennaio 2021, si osserva un incremento significativo dei rendimenti per entrambi i titoli, con un aumento dello spread di circa 6 punti base.


Questo riflette un cambiamento nelle condizioni economiche e nelle politiche monetarie nel corso degli ultimi anni.
Infatti, mentre l’economia italiana “galleggia” o retrocede di poco, il fatto nuovo è che, negli ultimi tre anni, è l’economia tedesca che è peggiorata moltissimo– Questo peggioramento si vede dall’incremento del rendimento dei Bund da -0,57 a +2,23.
Quindi non è che i BTP italiani siano migliorati rispetto ai Bund tedeschi. E’ che i Bund tedeschi sono peggiorati più dei BTP italiani, ma che, ancora, fanno aggio su quelli di casa nostra con la differenza che passa dai 109 punti base ai 115 punti base,
Ossia l’opposto di quello che dice la Meloni.

Nel grigiore di un ministero ormai abituato agli scandali, un nuovo turbine di polemiche sta per scuotere i suoi antichi muri. La città fuori sembra incupita, come se avvertisse il peso di ciò che si trama tra quelle stanze. Il cielo è un pallido riflesso della quieta disperazione che permea il paese. Ogni volto è una maschera di preoccupazione, ogni sguardo uno specchio di sospetti.

Il primo scandalo che aveva colpito il ministero era ormai cronaca vecchia. Un ministro in disgrazia, caduto sotto il peso di una relazione amorosa con una consulente che era diventata di dominio pubblico. Le dimissioni erano state rapide, ma il fango mediatico aveva infangato non solo lui, ma l’intero governo, facendolo apparire sempre più traballante.

A prendere il suo posto era stato nominato un nuovo ministro, più giovane, ambizioso, proveniente dalla stessa parte politica del suo predecessore. Apparentemente, aveva tutte le carte in regola per raddrizzare la nave in tempesta. Tuttavia, la sua scelta di capo di gabinetto sollevò immediatamente nuove ondate di critiche.

Il nuovo capo di gabinetto, Roberto De Santis, era una figura che portava con sé il peso di una doppia battaglia: quella per l’integrità professionale e quella per la sua vita privata. De Santis era omosessuale, sposato con un uomo da anni, ma questa sua vita personale, sebbene accettata dalla legge, non era ben vista dalle frange più conservatrici della società, né all’interno del partito del nuovo ministro né tra le associazioni pro vita, sempre pronte a sollevare polveroni per questioni morali.

L’inizio delle pressioni

La nomina di De Santis scatenò una tempesta mediatica. Alcuni membri del partito mal tolleravano la sua figura, considerandola un segno di una deriva troppo liberale. Ma ciò che aggravò ulteriormente la situazione fu l’insinuazione di un presunto conflitto d’interesse. Suo marito avrebbe lavorato nello stesso Museo ove lavoravano sia il Novo ministro sia il suo nuovo Capo di Gabinetto.

In se nulla di illecito in quanto i tre si erano conosciuti lì e non c’era alcun segno di irregolarità nelle assunzioni. Ma ciò bastò per far esplodere i primi sospetti. Le voci iniziarono a circolare come serpi striscianti, alimentate da una serie di anticipazioni di un noto programma televisivo d’inchiesta, pronto a svelare “la verità dietro il potere”.

Le puntate dell’inchiesta non erano ancora andate in onda, ma bastarono le anticipazioni per costringere De Santis a difendersi pubblicamente. Il suo volto, sempre sereno e composto, iniziò a mostrarsi stanco, scavato dalle notti insonni e dai continui attacchi. Intanto, fuori dai palazzi del potere, le polemiche montavano: associazioni pro vita e partiti di estrema destra invocavano le sue dimissioni. Le pressioni erano insostenibili, tanto che alla fine, il nuovo capo di gabinetto decise di lasciare l’incarico.

Le accuse nascoste

Tuttavia, le sue dimissioni non fermarono le polemiche. Anzi, le amplificarono. Non passarono molte ore prima che sui giornali e nei talk show più accesi cominciassero a circolare voci inquietanti. Alcuni insinuarono che De Santis o suo marito fossero la “gola profonda” dietro la fuga di notizie riguardanti lo scandalo che aveva travolto il precedente ministro. Le famose “chat segrete” di cui si parlava da settimane, rivelate da un’inchiesta condotta dalla presidente del Consiglio stessa, sembravano contenere dettagli troppo precisi per essere stati divulgati solo per caso.

Era una teoria sporca e senza alcun fondamento, ma nella città dei pettegolezzi e dei sospetti, era sufficiente per alimentare il fuoco. Nonostante l’assenza di prove concrete, l’opinione pubblica si divise. Da un lato, c’era chi vedeva in De Santis un martire, una vittima del pregiudizio e dell’intolleranza; dall’altro, chi lo considerava parte di un complotto più ampio, mosso da interessi personali e dall’intenzione di sabotare un intero governo.

Il programma televisivo

Quella sera, il cielo era opprimente, e i corridoi del ministero erano immersi in un silenzio quasi irreale. L’atmosfera era tesa, come in attesa di una rivelazione. In televisione, il programma che aveva preannunciato lo scandalo stava per andare in onda. La città si fermò per ascoltare, gli occhi puntati sui monitor, le orecchie tese verso le parole che avrebbero potuto cambiare per sempre il volto della politica nazionale.

La trasmissione si aprì con un tono sinistro, una colonna sonora cupa e tagliente che faceva da sfondo a immagini in bianco e nero di documenti riservati, chat segrete, volti sfocati. Il conduttore, con voce grave, iniziò a svelare pezzi del puzzle, insinuando che dietro la caduta del primo ministro e la crisi del secondo si celava una trama molto più complessa. E lì, tra le righe, spuntò un nome noto.

Non c’era nessuna prova schiacciante, ma abbastanza per gettare ombre. Chi lo aveva tradito? Chi aveva approfittato della sua debolezza per usarlo come capro espiatorio? Le accuse si ammassavano, ma le risposte erano sempre più confuse.

Il colpo di scena finale

A mezzanotte, l’aria della città era pesante, satura di dubbi e tensioni. Roberto De Santis, nel suo appartamento, guardava il programma con una calma apparente, il viso pallido illuminato dalla luce fredda dello schermo. Il telefono squillò più volte, ma non rispose. Sapeva che nulla di ciò che avrebbe detto in quel momento avrebbe potuto cambiare le cose. Il pubblico era già stato avvelenato, la sua carriera distrutta.

Quella notte, una macchina scura si fermò davanti al ministero. Una figura misteriosa, un’ombra silenziosa, scese e si addentrò nei corridoi vuoti, lasciando dietro di sé solo l’eco dei passi.

Nessuno saprà mai cosa accadde realmente. Ma da quel giorno, le stanze del potere rimasero avvolte da una cappa di sospetto. E il ministero, già segnato da troppi scandali, sembrava ormai un cadavere in putrefazione, privo di speranza, destinato a essere divorato dall’interno.

Storia di pura fantasia scritta dall’Intelligenza Artificiale (ChatGPT)

Quando in gioventù,  ma tuttora, mangiavo pane e geopolitica, il mondo era diverso e più stabile. C’erano due blocchi: USA e URSS. Chi stava sotto la protezione sovietica, chi sotto quella americana. Interi Stati si divisero: metà sotto USA metà  sotto URSS.: Vietnam, Corea Yemen etc.

Allora, dagli anni ’60 in poi, per noi della parte USA, tutto ciò che proveniva dall’URSS era cattivo e malvagio.

Ma noi, magari per la protezione dell’ombrello atomico USA, eravamo relativamente tranquilli [qualcuno nel 1963 è stato seriamente preoccupato della crisi de missili URSS a Cuba?]. Nel mondo esterno la situazione non era diversa. Interi Paesi con conflitti interni si dividevano, senza fare un chiasso che arrivava da noi, in Stato del Nord e Stato del Sud, uno che faceva riferimento agli Usa e uno all’URSS: capitò con la Corea, con il Vietnam, con lo Yemen e non so a quanti altri..

Allora l’ONU o, più precisamente, l’UN, era una certezza, una camera di compensazione dove i conflitti venivano risolti senza minimamente mettere in dubbio l’autorità delle Nazioni Unite, del suo Consiglio di Sicurezza, organizzazione super partes alla quale tutti dovevano rispetto.

In quegli anni, poi, si stava concretizzando il sogno di Altiero Spinelli: l’Europa! Che in pochi anni passò da unioni settoriali (CECA, EURATOM) pian piano ad una vera unione politica fino ad arrivare all’odierna Unione europea, con il corollario della moneta unica [peccato che non si sia riusciti ad eliminare l’unanimità dalle decisioni de Consilio europeo.]

Un mondo ideale, insomma, corrispondente alle aspettative di una persona nata nel secondo dopoguerra e affamato di geopolitica.

Ma non si può sperare che la situazione ottimale rimanga tale per molto. Oggi le cose sono di molto mutate e, quando dico di molto, parlo eufemisticamente.

Partiamo dall’Unione europea. Ormai questa organizzazione è tutt’altro che una Unione. Nessuno Stato vuole più uscirne, ma tutti vogliono cambiarla per farla diventare solo un tavolo in cui si scambiano le esigenze nazionalistiche: ossia si va avanti solo se sono tutti d’accordo. E l’accordo è molto diverso da quello di 15 anni fa, Niente migranti, omicidio del vento di Tampere, dazi, volontà dei singoli Stati che prevale sul senso comune. Le ultime elezioni europee hanno premiato i partiti sovranisti, quelli che, più o meno, riecheggiano il trumpiano MAGA.

Quando mangiavo pane e politica [o, meglio Geopolitica] le cose erano molto più semplici: c’erano due blocchi: uno costituito dagli USA che – in cambio dell’acquisto dei suoi prodotti – ci proteggeva con il suo ombrello atomico; l’altro costituito dai “cattivi” [secondo la propaganda dell’epoca] costituito dall’URSS e dai suoi satelliti che ci minacciavano ad ogni ora del giorno.

La nuova Commissione non si è ancora insediata, anche perché il Parlamento europeo, unico Orgnano eletto a suffragio universale ha già trovato problemi nella maggior parte dei candidati Commissari proposti dagli Stati membri.

Non vanno meglio le Nazioni Unite: una volta una risoluzione del Consiglio di Sicurezza era Vangelo e una telefonata del “padrone” dell’ONU, il Presidente USA, era un ordine.

Oggi Israele sbeffeggia Biden e, addirittura, fa sparare i suoi carrarmati contro le missioni ONU [UNIFIL].

Un mondo alla rovescia? No, non voglio imitare Vannacci, ma è indubbio che le cose siano cambiate.

A meno che….

A meno che le cose siano state predeterminate dai soliti noti.

Ci sono alcuni elementi da prendere in considerazione;

  1. Gli Stati del Golfo, una volta meri produttori di petrolio, ora devono investire i petrodollari;
  2. l’instabilità del Medioriente è un serio ostacolo all’espandersi dei commerci e degli affari degli Stati del Golfo,
  3. i “poveri” palestinesi sono [sfiga del destino] invisi da tutti e tutti i Paesi dell’area circostante sarebbero felici di una loro scomparsa,
  4. La maggioranza dei paesi del Golfo è sunnita, la parte più progressista dell’Islam. Hezbollah, Hamas e Iran sono sciiti, la minoranza.
  5. I progetti faraonici dell’Arabia Saudita: apertura al turismo , costruzioni di megalopoli in scatola, hanno bisogno di investimenti occidentali e cinesi, ché i fondi sovrani sono ormai alla frutta;
  6. La Russia, checché ne dica Zelensky sta vincendo e gli Stati donatori sono sempre più riluttanti a fornire armi sofisticate all’Ucraina;
  7. la Cina pensa solo al commercio, a far soldi e ad annettersi economicamente l’Africa.

In questo disegno rimarrebbero fuori i palestinesi, orrendamente decimati dagli israeliani, ma in ogni Nuovo Ordine Mondiale qualcuno dovrà pur perdere……

 Possiamo pensare che in questa situazione di vuoto politico [USA sotto elezioni, Europa alle prese con la difficile formazione della nuova Commissione] a Netanyahu sia stato assegnato il compito ”sporco” di ripulire il Medioriente dai criminali di Hamas e di Hezbollah e di dare un sonoro ceffone all’Iran?

In cambio Netanyahu riceverebbe un salvacondotto che lo metterebbe al riparo dalle pendenze giudiziarie e Israele coronerebbe il suo sogno “dal fiume al mare”.

Mica noi reclamiamo la Libia, La Somalia, Pola e l’Istria….

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