La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha di nuovo bacchettato l’Italia sulle quote latte. Le “quote latte” erano state introdotte nel 1984 dall’Unione europea come un tributo che le imprese produttrici di latte avrebbero dovuto pagare in caso di sforamento della quota stabilita per non inflazionare il mercato con il latte prodotto e conseguente discesa dei prezzi.
Secondo la normativa europea, richiamata dalla Corte, sono i singoli produttori a dover pagare il tributo in proporzione al sovrappiù di latte prodotto.
L’Italia non si è adeguata e l’Unione europea chiese il conto. Negli anni della contesa, la Lega Nord, allora al Governo e “patrona” degli allevatori, si oppose con ogni mezzo (vi ricordate i blocchi e le marce dei trattori?) finché con un dubbio provvedimento l’Italia pagò, ma con i soldi dei contribuenti.
Ora la Corte ritiene inadempiente l’Italia perché non ha applicato il principio del “paga chi sbaglia”, nonostante siano passati tanti anni e non si sia dotata di un provvedimento normativo, richiesto dall’UE, per esigere il tributo dagli allevatori.
Ritorna quindi attuale la querelle che l’allora ministro dell’Agricoltura Luca Zaia, esponente di spicco della Lega dichiarò chiusa nel 2009.
Cosa succederà ora? O l’Italia farà pagare agli allevatori quanto da loro dovuto, restituendo alla fiscalità generale quanto “anticipato” all’Unione europea, oppure, se il nostro Paese si ostinerà a non adempiere, l’Italia sarà condannata dalla Corte di Giustizia con conseguente grossa multa che, essendo comminata al nostro Paese, pagheremo noi tutti contribuenti con le nostre tasse. Due volte bastonati per non far pagare il tributo a chi doveva pagarlo.
Il 4 marzo si vota. Pensate che un Governo a forte componente leghista andrà dagli allevatori ad esigere il tributo?
Vi trascrivo – sull’argomento – un esauriente articolo pubblicato oggi da La Stampa a firma Emanuele Bonini:
“Adesso è ufficiale: sulle quote latte l’Italia ha violato le norme comunitarie. E’ inadempiente, e deve mettersi in regole. Le penalità per l’eccesso di produzione tra il 1995 e il 2009 sono state fatte pagare a tutti gli italiani e non ai singoli responsabili, come richiesto dalle normative dell’Unione europea. La Corte di giustizia dell’Ue ha accertato l’irregolarità italiana, e chiesto esplicitamente che il costo dello sforamento delle quote «sia effettivamente imputato ai produttori che hanno contribuito a ciascun superamento del livello consentito di produzione». Non sarà facile, perché dal 1995 a oggi molti allevatori sono usciti dal mercato, e rivalersi su di loro potrebbe risultare impossibile. Ma l’Italia deve sanare la situazione, o la Commissione nei prossimi mesi potrà avviare una nuova causa con cui chiedere multe.
All’Italia non si contesta il pagamento delle penalità, ma il modo in cui sono state versate all’Unione. La Commissione critica il mancato recupero di 1,3 miliardi di euro, cifra che le autorità nazionali hanno pagato all’Ue, ma senza procedere al successivo recupero a livello locale. I giudici di Lussemburgo riconoscono le ragioni dell’esecutivo comunitario: l’Italia non ha applicato il principio per cui «paga chi sbaglia». Ciò è frutto dell’assenza di un sistema che assicuri la riscossione. Dalla Corte di giustizia dell’Ue viene rimproverato «il non avere predisposto, in un lungo arco temporale (oltre 12 anni), i mezzi legislativi ed amministrativi idonei ad assicurare il regolare recupero del prelievo supplementare dai produttori responsabili della sovrapproduzione».
Non è vero quindi che l’Italia ha risolto la questione delle quote latte, come pure assicurò Luca Zaia nel 2009, quando ricopriva l’incarico di ministro per le Politiche agricole. E’ vero che a partire dall’1 gennaio di quell’anno l’Italia ottenne dall’Ue la fine del regime delle quote latte per l’Italia, ma non venne affrontato il nodo degli «splafonatori», come riconosciuto dai giudici di Lussemburgo”.