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La Corte Suprema americana vieta l’aborto!!!!”. Questo è il titolo che campeggia sui giornali di tutto il mondo. Biden dice che la decisione è devastante. AOC [Alexandria Ocasio-Cortez], la pasionaria della sinistra, ha chiesto al presidente americano di aprire “immediatamente cliniche per l’aborto su terreni federali negli Stati repubblicani che imporranno il divieto“. Insomma un putiferio.

Ma la Corte suprema in realtà ha fatto molto peggio: ribaltando la sentenza Roe contro Wade del 1973, ha risposto alle istanze dei conservatori che ritengono l’aborto un omicidio premeditato a danno di un minore ovvero, data la dimensione del fenomeno, una strage organizzata degli innocenti, tanto che l’ex Presidente Trump ha dichiarato che “è stata la mano di Dio!” a guidare i giudici della Corte suprema.

Dicevo che la Corte Suprema ha fatto di peggio, ha fatto come Ponzio Pilato, se ne è lavata le mani. Non ci rompete più le scatole, hanno detto in sostanza, l’aborto non è garantito dalla Costituzione, quindi siano i singoli Stati a decidere se equiparare l’aborto all’omicidio [premeditato e di “minore”].

Dovete sapere che in USA non sempre la competenza a indagare e giudicare sui casi di omicidio appartiene ai singoli Stati. Alcuni reati, fra i quali alcuni gravi casi di omicidio, appartengono alla giurisdizione federale fra i quali omicidio di agente CIA o DEA o di altre agenzie federali, omicidio di membri del Congresso, ma anche (chissà perché?) distruzione di velivoli, omicidi commessi nei parchi o lungo le autostrade o in piattaforme marittime o durante la navigazione o relativo a sfruttamento dei bambini.

L’elenco, (completo cliccando qui) appare comprendere gli omicidi più gravi sottraendoli alla giurisdizione dei singoli Stati ed attribuendoli all’FBI e ai giudici federali.

L’aborto, nonostante l’urlo dei conservatori che il reato sia gravissimo perché è un omicidio premeditato a carico di chi non si può difendere e che sia in atto una strage di bambini uccisi nel ventre materno, è stato “derubricato” a reato comune, per il quale 50 Stati diversi potranno, ad onta di una unica fattispecie, decidere 50 modalità di prosecuzione, 50 tipologie di processo, 50 pene diverse, dalla non punibilità alla pena capitale.

Mi sembra un po’ contraddittorio tutto ciò.

Ma l’America (o quello che ne resta) ci ha abituato a queste sue continue contraddizioni.

Prendiamo lo scabroso tema del razzismo e della criminalità in cui sono coinvolti neri.

Lo schema è il solito: un nero viene ucciso da un bianco (meglio se è poliziotto) e si scatenano le violenze.

Per non andare troppo lontano, ricordiamo il sacco di Baltimora conseguente alla morte di Freddie Carlos Gray jr., arrestato il 12 aprile 2015 perché trovato in possesso di un coltello e deceduto in seguito alle botte ricevute durante il trasporto alla stazione di polizia. Numerosissimi negozi svaligiati, polizia impotente, eppure la colpa viene data più alla condizione di sottoproletariato che ai singoli criminali che hanno svaligiato negozi.

Fa notizia la morte, nel 2021, di 18 neri disarmati arrestati dalla polizia in tutti gli USA, mentre viene passata quasi sotto silenzio che l’anno precedente erano stati uccisi 9941 neri per la stragrande maggioranza uccisi da persone del loro stesso gruppo etnico [fonte: F.Rampini: Suicidio Occidentale]. Praticamente c’è un tabù nel raccontare la violenza Black on Black.

Manifestazioni molto violente anche dopo l’orrenda uccisione di George Floyd il 25 maggio 2020. L’efferato delitto porta a giorni e giorni di violente manifestazioni e saccheggi che non hanno colpito solo gli eleganti negozi dove i bianchi fanno shopping, ma anche il Bronx dove risiede un’alta percentuale di afroamericani e dove gli stessi negozi sono di proprietà di neri.

Eppure queste violenze criminali sono state, se non giustificate, comprese dall’opinione pubblica democratica che così sfoga il proprio senso di colpa. Un esempio viene da Nikole Hannah-Jones, stella del giornalismo Black e premio Pulitzer che, intervistata sulle violenze, afferma “Certo che mi disturba vedere persone che assaltano negozi e rubano ma distruggere le proprietà altrui non è violenza, perché la proprietà può essere sostituita. I saccheggi non sono violenza, sono un reato contro la proprietà privata. Il saccheggio consente ai neri di approvvigionarsi di beni di consumo che il bianco compra usando il portafoglio”. La vecchia spesa proletaria, insomma. Strano discorso per un Paese che si vanta di dare un’opportunità a tutti di conquistare l’American dream!.

Eppure la Polizia fa ben poco per la repressione: nonostante l’arresto e, poi, l’esemplare condanna agli autori dell’omicidio di George Floyd, il grido che si leva dalle piazze fu “defunding Police” (togliere i fondi alla Polizia), slogan abbracciato anche dalla Ocasio-Cortez. Il senso di colpa, provocato dalla convinzione che tutte le violenze avevano come comune origine la schiavitù e il razzismo, provoca, nel 2020, un aumento del 30% degli omicidi in tutta l’America.

E qui tocchiamo il punto più caldo dell’involuzione dell’America odierna: la riscrittura della storia. Ne ho già parlato in due precedenti post “La Storia può essere cancellata. E spesso lo è stata”.  E “Non guardiamo ieri con gli occhi di oggi” e ne ho trovato la conferma sia nel già citato libro di Federico Rampini “Suicidio Occidentale” sia nelle affermazioni di, anche lei già citata, Nikole Hannah Jones che, nel 2019, ha lanciato un progetto per cambiare radicalmente il modo in cui veniva considerata la schiavitù negli Stati Uniti, in occasione del 400° anniversario dell’arrivo dei primi africani in Virginia. Hannah-Jones ha prodotto una serie di articoli per un numero speciale del New York Times Magazine intitolato The 1619 Project. L’iniziativa e mira a riformulare la storia del paese ponendo le conseguenze della schiavitù e i contributi dei neri americani al centro della nostra narrativa nazionale“. Il progetto prevede saggi di vari scrittori e accademici, tra cui lo storico di Princeton Kevin M. Kruse, l’avvocato di formazione ad Harvard Bryan Stevenson, il sociologo di Princeton Matthew Desmond e la storica del SUNY Anne Bailey. Nel saggio di apertura, Hannah-Jones ha scritto “Nessun aspetto del Paese che si sarebbe formato è scevro dagli anni di schiavitù che seguirono“.

Nel 2020, Hannah-Jones ha vinto un Premio Pulitzer per i commenti per il suo lavoro sul progetto 1619. La motivazione ha citato il suo “saggio ampio, provocatorio e personale per l’innovativo Progetto 1619, che cerca di porre la riduzione in schiavitù degli africani al centro della storia dell’America, stimolando il dibattito pubblico sulla fondazione e l’evoluzione della nazione” Il suo articolo è stato criticato dagli storici Gordon S. Wood e Leslie M. Harris, in particolare per aver affermato che “uno dei motivi principali per cui i coloni decisero di dichiarare la loro indipendenza dalla Gran Bretagna era perché volevano proteggere l’istituzione della schiavitù“. Si è anche discusso se il progetto suggerisse che la nazione fosse stata fondata nel 1619 con l’arrivo degli africani ridotti in schiavitù piuttosto che nel 1776 con la Dichiarazione di Indipendenza. Parlando con l’opinionista del New York Times Bret Stephens, Hannah-Jones ha affermato che il suggerimento di considerare il 1619 come un punto di partenza per interpretare la storia degli Stati Uniti è sempre stato così evidentemente metaforico che era ovvio.

Da qui nasce il “senso di colpa” che pervade gli americani, o, almeno, quelli che votano il partito democratico.

Un senso di colpa che viene instillato anche nelle nuove generazioni, per cui non è difficile che qualche aspirante star, in un qualsiasi campo, politico o dello spettacolo, si “inventi” origini di minoranze oppresse, neri o nativi, perché il favore che accompagna queste categorie spesso può dare la spinta giusta ad una carriera.

Non c’è dubbio che la schiavitù sia stata una orribile macchia nella storia degli Stati Uniti d’America, soprattutto perché, sebbene la tratta degli schiavi fosse stata formalmente abolita nel 1807, continuò fino al 1865 [fine della guerra civile] con l’approvazione del 13° emendamento alla Costituzione, quando la maggior parte degli Stati europei l’aveva già abolita da un bel pezzo.

Come dicevo, il senso di colpa rimane e ha portato ad eccessi incomprensibili per una mente europea e a contraddizioni notevoli.

Per esempio si abbattono le statue di Cristoforo Colombo, disconoscendo i meriti di navigatore e ricordando solo che egli – fra le altre cose – portò schiavi da una parte all’altra dell’Atlantico. Questo discorso potrebbe essere accettato [la tratta è un grosso reato, ma lo è oggi]: senza voler tornare indietro agli imperi romani, greci ed egiziani costruiti letteralmente sugli schiavi, alla fine del 1400 la schiavitù era pratica corrente per assicurarsi mano d’opera a basso prezzo. Allora non c’era la consapevolezza di stare commettendo una azione esecrabile. Anche la Chiesa considerava i nativi sudamericani e africani come non umani ed esseri senza anima e tollerava la schiavitù.

Protestors topple a statue of Christopher Columbus during a demonstration against government in Barranquilla, Colombia on June 28, 2021. (Photo by Mery Grandos Herrera / AFP)

La logica vorrebbe che si insegnasse oggi quanto fosse errato il concetto di disuguaglianza fra gli esseri umani. Ma no, gli americani, nel loro furore iconoclasta, distruggono – forse per lavarsi la coscienza – ogni simbolo che possa ricordare le passate leggi razziste. Se distruggete i simboli, come farete ad indicare che quel simbolo celebrava qualcosa che oggi si ripudia?

Ho parlato di contraddizioni e ce ne è una lampante: gli americani vogliono cancellare ogni simbolo che ricordi la schiavitù, aboliscono il Columbus Day, ma nulla dicono su due simboli di schiavisti che hanno in mano tutti i giorni: sulla banconote da un dollaro c’è l’effige di George Washington e sulla banconota da due dollari c’è è l’effige di Thomas Jefferson, due Presidenti ma anche due famosi schiavisti.

Gli americani celebrano Abramo Lincoln come chi abolì la schiavitù, ma dimenticano che lo fece per mero calcolo politico. Riporto una frase del suo discorso di insediamento del 1861:” «Sembra esserci una certa apprensione tra la gente del Sud riguardo al fatto che con il sopraggiungere di un’amministrazione repubblicana le loro proprietà e la loro pace e sicurezza personale saranno messe in pericolo; ma in realtà non c’è mai stato alcun motivo ragionevole per avere tale preoccupazione. In effetti, la prova più ampia del contrario è sempre esistita ed è sempre stata disponibile al loro controllo. Essa si può ritrovare in quasi tutti i discorsi pubblicati di colui che ora si rivolge a voi. Non faccio altro che citare uno di quei discorsi quando dichiaro che “non ho alcuna intenzione, direttamente o indirettamente, di interferire con l’istituzione della schiavitù negli Stati in cui essa esiste. Credo di non avere alcun diritto legale per poterlo fare e non ho d’altra parte neppure alcuna inclinazione a farlo”

Ma spinto dal Partito e nell’intenzione di ottenere un appoggio politico corale alla sua azione, il 6 agosto 1861 firmò l’atto di confisca che autorizzava i procuratori giudiziari a catturare prima e a rendere liberi poi tutti gli schiavi (ma solo quelli) che erano usati per sostenere lo sforzo bellico confederato.

Non mi pare, poi che il furore iconoclasta si sia scagliato contro il monte Rushmore, dove sono scolpiti i volti di quattro presidenti George Washington (1732-1799), Thomas Jefferson (1743-1826), Theodore Roosevelt (1858-1919), Abramo Lincoln (1809-1865)[, tre presidenti che usufruirono o tollerarono la schiavitù e Roosevelt, di cui la statua equestre davanti al museo di Storia naturale è stata rimossa perché simboleggiava la supremazia dell’uomo bianco.

Contraddizioni, dicevo e contraddizioni anche in politica. All’atto della sua elezione Biden affermò che avrebbe rotto i ponti con la politica “bilaterale” di Trump, tornando al multilateralismo e alla piena collaborazione con gli alleati europei. Beh, proprio nel momento in cui in Europa si fa strada una riflessione sugli effetti delle sanzioni a Mosca e della fornitura di armi pesanti a Zelensky, Biden, senza consultare gli alleati promette all’Ucraina armi sempre più sofisticate, avvalorando la tesi che quella in Ucraina non sia una guerra di resistenza, bensì una guerra, sia pure per procura, contro la Russia. La fuga dall’Afghanistan e il non intervento in favore della popolazione massacrata nello Yemen son già dimenticate.

Quello che rimprovero agli americani è la loro pretesa di possedere la verità assoluta: quello che va bene per l’America, deve andare bene per gli altri; quello che è il pensiero dominante degli americani deve essere il pensiero dominante universale. Se Colombo deve essere ricordato solo come schiavista, questo è il marchio che deve avere in tutto il mondo.

Altro esempio è quello dell’estremo politically correct iniziato forse con il #MeToo, nato nel 2017 per combattere – giustamente – le molestie sessuali, spesso impunite o non portate alla luce. Solo che, ormai, basta dire una parola (da loro, non dal codice) considerata non dico sbagliata, ma solamente non consona, che il “presunto colpevole” venga crocifisso e condannato prima ancora che inizi il processo che può anche concludersi con una assoluzione e la condanna dell’accusatrice, vedi il processo contro Johnny Depp conclusosi con la condanna dell’ex-moglie, ma solo dopo che l’attore era stato condannato dai media per violenza.

D’altronde gli americani sono fra i popoli “occidentali” quelli che viaggiano di meno, solo la metà di essi possiede un passaporto, e non viaggiare significa avere una conoscenza del mondo esterno mediata solo dalla TV e dai giornali, come da noi, ampiamente schierati e politicizzati.

Ho idea che gli Americani non siano, poi, molto cambiati dai tanto celebrati Padri pellegrini che sbarcarono in Massachusetts nel 1620 con il Mayflower e che diffusero la cultura puritana che ancora oggi permea l’America. Mentre gli americani ricordano e celebrano ogni anno con il giorno del ringraziamento, non vennero nel nuovo mondo di loro spontanea volontà e per diffondere il Verbo, ma perché “cacciati” dall’Inghilterra in seguito alla scissione dalla Chiesa anglicana.

Però, però – in fondo – ammiro gli americani e la loro nazione: la loro democrazia è la più forte, permettendole di resistere – senza danni apparenti – finanche ad un colpo di stato organizzato da un Presidente ancora in carica e ad un assalto armato al Congresso. Gli Stati uniti sono una fucina di idee in tutti i campi: le migliori idee negli spettacoli, nelle scienze, nella tecnica, da lì vengono e fanno scuola nel mondo.

Gli USA hanno quello che alla vecchia Europa manca: la capacità di rinnovarsi velocemente ed adattarsi alle nuove esigenze che la globalizzazione produce.

Negli ultimi anni hanno prodotto nuovi vaccini, nuove cure, nuovi software, forse, una intelligenza artificiale senziente.

Lì, chi vale, emerge.

Nel frattempo la vecchia Europa cosa ha prodotto? Una classe politica ingessata, fenomeni politici durati lo spazio del mattino come i Cinquestelle o i Gilet gialli, buoni solo ad essere “contro”, a proporre l’abolizione della povertà o l’abbassamento dell’età pensionabile senza pensare alle coperture.

Abbiamo forze politiche che, nel giro di una notta, per raccattare qualche voto in più, compiono contorsioni che neppure un artista da circo immagina.

Chissà, oltre alle magagne USA mi sono soffermato più sulla pagliuzza nell’occhio del vicino, dimenticando la trave nel mio.

Ma questa è un’altra storia.

Ma, oggi, 3 luglio 2022, c’è un’altra storia che mi convince sempre di più della follia collettiva degli americani. Cosa c’è di più finto di un film? La settima arte è la culla della finzione. Eppure ora in quella che fu l’America il dibattito è: è giusto che un doppiatore bianco dia la sua voce ad un attore di colore?

Pare che non sia giusto perché lede la sua essenza di persona afroamericana? Sono pazzi questi americani.

Qui un articolo sul tema https://www.ilpost.it/2020/08/02/personaggi-animazione-doppiaggio/?utm_medium=social&utm_source=facebook&utm_campaign=lancio

L’altro giorno leggevo un articolo dell’opinionista CHARLES M. BLOW, pubblicato sul New York Times del 19 maggio scorso, dal titolo “esplosivo” “History Can Be Erased. It Often Has Been” e che potete trovare qui: https://www.nytimes.com/2021/05/19/opinion/capitol-riot-tulsa-massacre.html?action=click&module=Opinion&pgtype=Homepage

Una “traduzione grezza” in italiano è in fondo a questo post

Il tema mi ha sempre appassionato: la STORIA. La Storia è una sola o sono tante quante sono le persone che la raccontano? La Storia è unica o può essere manipolata o, addirittura, cancellata?

Mr. Blow prende lo spunto dalla recente Commissione, costituita al Congresso, per indagare sulle cause e sui fatti dell’assalto del 6 gennaio 2021 al Campidoglio. (Qui in inglese dove si dice che la “discussione non è ancora conclusa”).

Orbene, Mr. Blow teme che i tentativi del Partito Repubblicano di dilazionare i tempi sia voluto per confondere i ricordi, accumunare le violenze del 6 gennaio a quelle accadute durante le manifestazioni per “Black Live Matter”, per appiattire tutto nelle nebbie del tempo, poter manipolare i fatti accaduti e, in sostanza, cancellare la Storia.

Senza dubbio ciò è avvenuto molte volte. Non a caso esiste il proverbio “La Storia viene scritta dai vincitori”. Solo dopo molto tempo si scoprirà che quella storia, scritta dai vincitori, potrebbe essere manipolata o, addirittura, inventata.

Mr. Blow racconta che mancano poche settimane al centesimo anniversario del massacro di Tulsa, quando nel 1921, i cittadini bianchi di quella città – aiutati dalla Guardia Nazionale – distrussero la sezione di Greenwood di quella città, una comunità nera prospera e autosufficiente nota come Black Wall Street, uccidendo fino a 300 persone e lasciando 8.000 senzatetto.

Le autorità fecero di tutto per nascondere e far dimenticare quel massacro, per cancellarlo dalla Storia, per cancellarlo dai documenti pubblici della Città, facendo scomparire i registri della Polizia, seppellendo le vittime in tombe anonime. Il tentativo di modificare la Storia riuscì fino a che Scott Elsworth ne scrisse la storia nel 1982, costringendo i Governanti ad una Commissione di inchiesta che, nel 1992, ristabilì la verità storica.

Fino a questo punto, l’articolo di Charles M.Blow mi trova pienamente d’accordo: Non bisogna cancellare i crimini, non solo per evitare di punire i colpevoli, ma soprattutto per insegnare ai giovani quello che di brutto è successo nel passato e che bisogna assolutamente evitare di ripetere.

Se si cancellassero le tracce dell’Olocausto, o del Nazismo, o del Fascismo, questi orrendi crimini – dimenticati dopo 100 anni dalla gente e senza più testimoni in vita – potrebbero ripetersi. Se si mantiene viva la memoria di questi crimini, l’orrore che hanno provocato impedirà che si ripetano.

Poi, nel prosieguo dell’articolo, Mr. Blow comincia a parlare dei simboli e qui – forse per la mia scarsa conoscenza della lingua inglese – non riesco più a capire il senso di quello che intende sostenere.

Afferma, giustamente, che le statue sono simboli, erette per ricordare grandi uomini o grandi accadimenti. Ma afferma anche che una statua di una persona che ha commesso crimini può fuorviare la memoria; Anche per questo i monumenti sono spesso usati come strumenti di propaganda, perché hanno contribuito a creare false narrazioni che alterano la memoria collettiva e che molti monumenti dai confederati furono eretti proprio a tale scopo.

Riprende, poi, il discorso dell’abbattimento delle Statue (ne ho già parlato qui: https://sergioferraiolo.com/2020/06/10/non-guardiamo-ieri-con-gli-occhi-di-oggi/), della falsa fama data a Cristoforo Colombo che, in realtà era uno schiavista, dei falsi trattati stipulati con i nativi. Afferma, infine, che, anche quando registriamo le cose, per iscritto, o con la fotografia o anche con il video, qualcosa si perde nel trasferimento: il rigore, la solennità, l’impatto.

Qui – se la mia scarsa capacità di comprendere la lingua inglese -non mi tirato un brutto scherzo, comincio a non esser più totalmente d’accordo come prima perché – se non ho sbagliato a capire – Mr. Blow non fa nessuna distinzione: i simboli sono buoni o cattivi, senza via di mezzo. Se una persona ha avuto grandi meriti come navigatore o come politico, ma ha avuto schiavi, deve essere cancellata, cancellando anche i suoi meriti

Bisogna distinguere. La percezione dei fatti varia con il tempo e ogni fatto accaduto va contestualizzato nell’tempo in cui esso è avvenuto.

E’ ovvio che se una statua è stata eretta al solo scopo di esaltare le gesta criminali di un anonimo assassino, essa può essere distrutta senza grande danno per la memoria collettiva e per quella di nasce molti anni dopo.

Il discorso si fa molto più complicato per statue di persone che hanno grandi meriti ed anche demeriti.

Prendiamo proprio l’esempio di Cristoforo Colombo citato da Mr. Blow. Se si pensa a Cristoforo Colombo, si pensa allo scopritore dell’America e non certo al fatto che fosse uno schiavista. Anche perché lo schiavismo, nel 1492, era ampiamente permesso e legale. Chi commerciava in schiavi, dal tempo degli antichi egizi, fino a 250 anni fa non commetteva crimini.

Del resto anche George Washington e Thomas Jefferson avevano schiavi, ma nessuno pensa a togliere la loro effige dalle banconote da 1 e 2 dollari.

Vogliamo abbattere il Colosseo e le piramidi egiziane perché furono costruite da schiavi?

Ma mi spingerò anche oltre. Io non abbatterei una statua di Hitler: io metterei sotto di essa una targa che ricordi ai posteri i crimini commessi da quell’uomo.

A Roma, in Italia, dove la ricostituzione e l’inneggiamento al fascismo sono crimini puniti dalla legge, in una piazza, vicino al Centro sportivo Nazionale, frequentato dai giovani, esiste ancora un obelisco con la scritta “Mussolini DUX”. È rimasto lì a perenne memoria dei crimini di quell’uomo, a perenne monito per i giovani di oggi a non imitarlo, per ricordare le tragedie che il Fascismo ha portato all’Italia.

I simboli sono simboli. Ci sono simboli positivi e simboli negativi. Spesso il simbolo positivo di oggi potrebbe diventare un simbolo negativo domani. La Storia, come dice giustamente Mr. Blow, non si cancella,  ma si racconta e si spiega, soprattutto ai giovani.

Vedi, quella statua fu eretta per confondere la memoria, celebrando una persona che, nella sua vita, non ha fatto altro che uccidere gente di colore e noi, oggi siamo orgogliosi di aver compreso che il razzismo è un crimine, e quella statua sta lì a ricordacelo” – “Vedi, quella è la statua di un grande navigatore che, contro le convinzioni dell’epoca, tracciò una nuova rotta e congiunse l’America all’Europa. Ma questo grande navigatore era anche uno schiavista perché, a quel tempo, lo schiavismo era permesso e noi, oggi, siamo orgogliosi di aver compreso che lo schiavismo è un crimine

La Storia si evolve, cambiano i sentimenti, cambiano gli ideali e cambiano i giudizi sui fatti del passato. Ma quei fatti rimangono intatti, non si possono e non si devono cancellare perché la Storia non è solo il presente o il futuro; la Storia è anche – e soprattutto – il passato. Il passato dal quale dobbiamo trarre gli insegnamenti, evitando di ripeterne gli errori e cercando di emulare chi, nel passato, ci ha dato grandi prove. Dobbiamo, forse, cancellare Socrate o Alessandro Magno perché nell’antica Grecia era consuetudine avere approcci sessuali con bambini? Condanniamo, certo, gli atteggiamenti che, oggi, riteniamo negativi, ma salviamo e celebriamo la sapienza del filosofo o il coraggio di un condottiero che ha aperto la via dell’Oriente al mondo antico.

Togliere i simboli della Storia, positivi o negativi, significa riempire il cervello con la nebbia dell’ignoranza

At a Tulsa, Okla., Red Cross hospital in 1921, survivors of the Tulsa Massacre recovered from their wounds.

Traduzione (bozza) dell’articolo di Charles M.Blow

Mercoledì, la Camera ha votato per creare una Commissione per esaminare l’insurrezione del 6 gennaio.

Trentacinque repubblicani si sono uniti ai Democratici per approvarlo, ma lo hanno fatto nonostante le obiezioni del leader della minoranza alla Camera, Kevin McCarthy, che si è opposto al disegno di legge. Il leader della minoranza al Senato, Mitch McConnell, si è unito a lui all’opposizione.

La leadership repubblicana al Congresso sembra essere impegnata in uno sforzo coordinato per ridurre e minimizzare l’attacco al Campidoglio degli Stati Uniti, o addirittura cancellarlo tutto insieme.

Una delle ragioni per opporsi alla Commissione è che sarebbe ridondante del lavoro già svolto dal Dipartimento di Giustizia e dallo stesso Congresso.

Ma un altro, usato da McCarthy, era specificamente per confondere l’acqua ampliando l’inchiesta per includere indagini su antifascisti e Black Lives Matter. Era un chiaro tentativo di stabilire un’equivalenza, per ridurre la natura storica dell’insurrezione sollevando contemporaneamente i problemi con altri gruppi.

Vogliono appiattire tutto questo in un’unica massa di cose accadute durante la pandemia, nessuna migliore o peggiore dell’altra, cose che accadono sia a destra che a sinistra ideologica.

Ma queste cose non sono uguali … affatto. Lo sanno. Ma è così che nasce la propaganda e la storia è sepolta. È incredibilmente facile da fare ed è stato fatto spesso.

Mancano poche settimane al 100 ° anniversario del massacro di Tulsa, quando nel 1921, i cittadini bianchi di quella città – aiutati dalla Guardia Nazionale, va notato – distrussero la sezione di Greenwood di quella città, una comunità prospera e autosufficiente noto come Black Wall Street, uccidendo fino a 300 persone e lasciando 8.000 senzatetto.

Una delle cose più notevoli di quel massacro fu lo sforzo concertato della città per cancellarlo dalla storia e quanto fosse efficace quella campagna.

Ora, per essere sicuri, quel massacro è avvenuto prima dei tempi della televisione, di Internet, dei social media e dei cellulari. Ma c’erano immagini, per non parlare delle decine di famiglie che hanno perso i propri cari. C’erano delle tombe.

Come ha riportato il New York Times:

“Dopo il massacro, i funzionari hanno deciso di cancellarlo dai documenti storici della città. Le vittime sono state sepolte in tombe anonime. I registri della polizia sono scomparsi. Gli articoli provocatori del Tulsa Tribune sono stati tagliati prima che i giornali fossero trasferiti su microfilm “.

Il Times continuò: “I funzionari della città ripulirono i libri di storia così a fondo che quando Nancy Feldman, un avvocato dell’Illinois, iniziò a insegnare ai suoi studenti dell’Università di Tulsa sul massacro alla fine degli anni Quaranta, non le credettero”.

A volte sottovalutiamo gli impulsi umani e la natura umana quando presumiamo semplicemente che il ricordo di una cosa, una cosa orribile, durerà per sempre.

Spesso gli autori del reato vogliono disperatamente lasciare che lo stigma svanisca e la vittima esita a trasmettere il dolore ai bambini e alla famiglia. Tutti aspettano il potere curativo del tempo, come la roccia frastagliata lanciata nel fiume che alla fine diventa pietra liscia.

È successo a Tulsa. La prima storia completa del massacro non fu scritta fino al 1982, quando Scott Ellsworth scrisse “Morte in una terra promessa”, e una commissione per studiare a fondo cosa accadde a Tulsa non fu istituita fino al 1997. Il suo rapporto fu pubblicato nel 2001.

Abbiamo la tendenza ad allontanarci dalla pienezza della storia anche quando la verità non è attivamente soppressa. Pensa a cose come quanto fosse orribile Cristoforo Colombo in realtà, o ai massacri dei nativi e a tutti i trattati infranti che hanno contribuito a far crescere la geografia di questo paese, o quanti dei pionieri dei diritti dei gay erano persone trans e drag queen.

Siamo orribili trasmettitori della verità. Siamo anche orribili recettori. È come il gioco che facevi da bambino quando qualcosa veniva sussurrato di bambino in bambino, e ciò che l’ultimo bambino sente non ha alcuna somiglianza con ciò che ha detto il primo bambino.

Anche quando registriamo le cose, per iscritto, o con la fotografia o anche con il video, qualcosa si perde nel trasferimento: il rigore, la solennità, l’impatto.

Questo è il motivo per cui memoriali e monumenti sono importanti nella società, per aiutare la memoria e la riflessione collettiva. Anche per questo i monumenti sono spesso usati come strumenti di propaganda, perché hanno contribuito a creare false narrazioni che alterano la memoria collettiva. Molti monumenti confederati furono eretti proprio a questo scopo.

Quindi, quando vedo i repubblicani che cercano di alterare la nostra percezione dell’insurrezione, non lo prendo alla leggera. Non c’è niente di sciocco o banale al riguardo. La memoria è malleabile. Questa tattica potrebbe ora fallire su 50 e funzionare su cinque, ma tra anni potrebbe essere il rapporto inverso.

Assorbiamo le storie che ci vengono raccontate, troppo spesso senza circospezione, impregnandole dell’autorità del racconto. Quindi, quando le autorità dicono una bugia o sminuiscono qualcosa, molte persone lo accetteranno come detto.

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