E’ di ieri la sentenza della Corte di Giustizia Europea che interviene nel delicato
settore delle espulsioni dei rifugiati. La Convenzione
di Ginevra sul riconoscimento dello status di rifugiato del 1951 e successive
modifiche, all’articolo 1F afferma che chi ha commesso un grave reato non
rientra nel campo di applicazione della Convenzione.
All’art. 32 e 33, la Convenzione detta disposizioni sull’espulsione
dei rifugiati:
“Art.
32.
1. Gli Stati Contraenti possono espellere un
rifugiato che risiede regolarmente sul loro territorio soltanto per motivi di
sicurezza nazionale o d’ordine pubblico.
2. L’espulsione può essere eseguita soltanto
in base a una decisione presa conformemente alla procedura prevista dalla
legge. Il rifugiato deve, se motivi impellenti di sicurezza nazionale non vi si
oppongano, essere ammesso a giustificarsi, a presentare ricorso e a farsi
rappresentare a questo scopo davanti a un’autorità competente o davanti a una o
più persone specialmente designate dall’autorità competente.
3. Gli Stati Contraenti assegnano a detto
rifugiato un termine adeguato, che gli permetta di farsi ammettere regolarmente
in un altro paese. Gli Stati Contraenti possono prendere, durante tale termine,
tutte le misure interne che reputano necessarie.
Art.
33 Divieto d’espulsione e di
rinvio al confine.
1. Nessuno Stato Contraente espellerà o
respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui
la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza,
della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo
sociale o delle sue opinioni politiche.
2. La presente disposizione non può tuttavia
essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere
considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure
costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto
particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese.”
La Corte di Giustizia (qui il
comunicato stampa e qui la
sentenza) in sostanza ribadisce che, anche in caso di reato grave che possa
consentire la revoca dello status di rifugiato, la revoca dello status di rifugiato
o il diniego del riconoscimento non hanno l’effetto di far perdere lo status di
rifugiato a una persona che abbia un timore fondato di essere perseguitata nel
suo paese d’origine. In parole povere è vietato espellere una persona, che sia
rifugiato, che sia un rifugiato al quale è stato revocato lo status, che sia
ancora richiedente asilo, che non abbia chiesto asilo, verso un Paese nel quale
detta persona abbia il fondato timore di subire persecuzioni o trattamenti
inumani o degradanti.
La sentenza, che mi pare in linea con la Convenzione di Ginevra,
è stata duramente contestata da Salvini
che ha dichiarato che “proseguirà
per la sua strada”: “chi
spaccia o delinque torna a casa!”.
Forse la campagna elettorale gli fa dimenticare che le norme
italiane, anche con la correzione apportate da Salvini con il primo “decreto sicurezza”
(D.L.
4 ottobre 2018 n. 113) sono perfettamente in linea con la sentenza.
L’articolo
19 del Testo Unico sull’immigrazione (Decr.Leg.vo 286 del 1998) sull’argomento è lapidario: ”(Divieti di
espulsione e di respingimento. Disposizioni in materia di categorie
vulnerabili)
1. In nessun caso può
disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero
possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua,
di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o
sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel
quale non sia protetto dalla persecuzione.
1.1. Non sono ammessi il
respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato
qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere
sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche
dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti
umani.”
Questo divieto di espulsione, che richiama il principio del non refoulement, è in vigore dal 1998 e neppure il decreto sicurezza 113/2008 lo ha cambiato.
Infatti, l’articolo
1, comma 2, del primo decreto sicurezza 113/2018 rispetta tale principio.
Infatti, riferendosi al Decreto legislativo che recepisce la Direttiva europea
sulle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, recita:
“Nei casi in cui non accolga la
domanda di protezione internazionale e ricorrano i presupposti di cui all’articolo 19, commi 1 e 1.1, del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, la Commissione territoriale
trasmette gli atti al questore per il rilascio di un permesso di soggiorno annuale che reca la dicitura “protezione
speciale“, salvo che possa disporsi l’allontanamento verso uno Stato
che provvede ad accordare una protezione analoga. Il permesso di soggiorno di
cui al presente comma è rinnovabile, previo parere della Commissione
territoriale, e consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere
convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.”
Non so cosa abbia in mente Salvini per il suo “decreto sicurezza II”, ma,
allo stato, dall’Italia non può essere espulso alcuno – indipendentemente dal
suo status – verso un Paese ove rischi la tortura o trattamenti inumani o
degradanti.
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