Il 10 gennaio scorso l’attrice Paola Cortellesi ha tenuto un monologo alla cerimonia dell’inaugurazione dell’anno accademico della Luiss.
Non l’ho visto, né ascoltato: mi è sfuggito.
Il tema era la condizione femminile nella classiche favole che sarebbero impregnate di cultura maschilista.

Sui social impazzano i commenti: dai più delicati “bisogna contestualizzare“, “le favole sono state scritte più di cento anni fa“, ai più aggressivi “quali capacità ha una comica a parlare di queste cose in una università?” fino ad insulti irripetibili.
Ho cercato in tutto il veb il video o il testo del discorso di Paola Cortellesi alla Luiss. Non l’ho trovato; probabilmente non c’è: sarebbe saltato subito fuori visto il clamore e i pochi giorni trascorsi.
Ho scritto alla LUISS dove gentilmente mi hanno confermato che il discorso integrale non è stato pubblicato in attesa dell’autorizzzione (dell’artista?) che è appena arrivata: il video sarà pubblicato nei prossimi giorni sul sito della LUISS.
Tutto ciò mi spinge ad una riflessione: non essendo on line (o di difficilissima reperibilità) il discorso di Paola Cortellesi, su cosa si basa la caterva dei commenti dei frequentatori dei social? Erano tutti nel salone della Luiss? O sul sentito dire? O sul “telegrafo senza fili”, o su preconcetti verso l’argomento o verso l’artista?
Per parte mia, attenderò di vedere il video integrale per dire, eventualmente, la mia. Non mi accoderò agli Hater del sentito dire che si sono laureati non alla LUISS, ma alle Università di Facebook, o di TikTok.

E gli hater sono pericolosi. Ne uccide più la penna (ora, la tastiera) della spada. Vedete cosa è successo alla ristoratrice di Sant’Angelo Lodigiano che aveva risposto per le rime ad una recensione i un cliente che lamentava di esser stato seduto fra “gay e disabili”. . Prima si è messa in dubbio la veridicità del post del cliente, poi la macchina del fango si è scatenata. Risultato: la ristoratrice si è suicidata.
Il problema degli hater, degli odiatori seriali, del revenge porno è molto serio. Purtroppo la soluzione non può essere quella di bloccare i social, nè di un controllo preventivo umano di ognuno dei miliardi di post che arrivano ogni giorno. Il controllo automatico ha i suoi limiti. Ho citato su un pos il libro di Federico Rampini “Su#c#dio occidentale” e quella parola ha comportato la mia “bannatura”. Ho sostituito la parola incriminata con “Declino” e tutto è andato liscio.
Secondo me una soluzione – parziale, ma meglio che niente – da applicare nel nostro Paese (non abbiamo giurisdizione sui Paesi esteri) potrebbe essere l’obbligo per gli utenti dei social di postare con il loro vero nome e cognome e far conoscere al gestore del social la loro vera identità e indirizzo Email. Gli strumenti ci sono: quante volte, per proseguire, devi inserire un codice che ti hanno mandato sulla casella postale che hai indicato?
Il fenomeno non si estinguerebbe, ma si ridurrebbe di molto.
Ma c’è un ultimo argomento, ancora – forse – più pericoloso.
Da qualche mese tutti gli utenti di Facebook hanno ricevuto un messaggio, che in poche parole diceva così: “o paghi e vedi senza pubblicità, oppure ne vedrai tanta tanta.” Ovvimente io non ho pagato e, ormai ci sono tre/quattro annunci pubblicitari “sponsorizzati” ogni post di “amici” o di “pagine che ti interessano”.

Solo un mezzo per avere un social gratis? Avete mai sentito parlare delle pubblicità orientative? Sì, ogni pubblicità orienta il gusto del’utente: “bevi l’aranciata X , invece dell’aranciata Y”, ma spesso non si limita a quello: non so se avete notato quante pubblicità sono spuntate sul tema “armamenti”. Decollo del caccia X, bombardamento del bombardiere Y, insomma post basati sulla situazione geopolitica. E questi non influenzano l’acquisto di un prodotto, bensì l’orientamento delle idee.….




