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Fin ora vi ho raccontato un po’ di fatti di Acerno, ma non ho trattato di due cose fondamentali: come si passa il tempo ad Acerno se non sedendosi sulle panchine in piazza a sorbire un aperitivo e quali sono le specialità culinarie di Acerno.

Il paese è a mezza montagna e tanti sono i sentieri [CAI e non] da percorrere in estate con gli scarponi e di inverno con le ciaspole.

Acerno, fortunatamente, è ricco di acqua; è detto il paese dalle 100 acque; fiumi, torrentelli e sorgenti bagnano costantemente i sentieri delle escursioni facendo sì che essi siano quasi sempre all’ombra e freschi, cosa non da poco con questo caldo. In alcuni luoghi come il “Ponte con i Fasci Littori” della strada che congiunge Acerno con Montella (al Km 40,800 della S.S: 164 [sentiero CAI 141] parte il sentiero ed è possibile anche camminare nell’acqua  nel sentiero Scorzella a patto di avere i sandali da fiume e la resistenza all’acqua gelida).

Le foto sono esplicative:

Ma anche senza fiumi o torrenti, tanti sentieri sono ombrosi, non sempre ben segnati e popolati soprattutto da vacche al pascolo con i relativi cani.

Per una visione d’insieme rimando alla “carta dei monti Picentini” che riporta tutti i sentieri della zona.

Acerno è “montagna” e anche quello che si mangia è di montagna. Ottima la carne, al di sopra di tutto metterei l’agnello con patate sia arrostito, sia al forno (meglio).

agnello arrostito

Se si ha parecchio appetito, prima dell’agnello si possono assaggiare i magnifici ravioli ripieni di ricotta, col semplice sugo di pomodoro oppure con funghi e/o tartufi. Se posso consigliare, fra i migliori ristoranti spicca proprio “il Tartufo” dove padron Sergio sovrintende ad una ottima cucina.

ravioli ripieni di ricotta con sugo e formaggio

Ma un pranzo non si conclude senza dolci e qui possiamo contare ben su tre specialità.

La fragolata: fragoline di bosco in sciroppo di zucchero e limone e, facciamoci del male, panna montata sopra.

fragolata con panna

La “pasticella” o “pastitella”: dolci tondi di pasta brisee con dentro cioccolato e castagne!

Pastitella o pasticella

 Il paese è circondato da grandi boschi di castagne che danno i loro frutti. E qui svelo qualcosa che non mi era noto. Di solito associamo le caldarroste all’inverno. Qui i maestri caldarrostari riescono a mantenere integra e morbida la castagna dell’anno prima e a servire ottime, morbide e gustose caldarroste in agosto.

caldarroste ad agosto

Dopo quest’abbondante pasto, bisogna unirsi agli acernesi facendo due o più “vasche” lungo via Duomo e viale San Donato dove la sera di estate si ci incontra tutti. Fra la “piazzetta” e lo “struscio” non c’è bisogno di telefonare a qualcuno: lo trovi lì che cammina.

Lungo queste due vie, che poi sono una sola perché via Duomo si trasforma in viale San Donato per una lunghezza totale di circa 1,4Km, oltre tutti gli abitanti del paese e la fontana (a fianco della chiesa di San Donato) con l’acqua più fresca e buona, trovi alcune pillole di gioia:

bar per cani (e gatti)
invito all’affetto
Libreria di libero scambio
albero “fiorito”

Come avete potuto leggere, una vita semplice, ma sana. I vecchietti che hanno superato, e bene, i novanta anni sono tantissimi e, fortunatamente, tantissimi sono i passeggini che incontri la sera per viale San Donato, punti di incontro fra i compaesani per ammirare i “nuovi acernesi” e tessere le loro lodi. Qui il problema demografico non esiste. E tutto il paese partecipa ai “momenti clou” come il formarsi di una nuova famiglia: fra invitati e curiosi, ad applaudirli c’era tutto il paese.

Auguri!!!

C’era una volta. C’era una volta ….. e ora non c’è più.

Una volta, anni ’50-’60 del secolo scorso, Acerno era per i salernitani e per i napoletani un luogo alla moda, una località ideale per quella che allora si chiamava villeggiatura: un tempo abbastanza lungo, dai quindici giorni ad un mese da trascorrere in una amena località per sfuggire al caldo agostano.

Le famiglie meno abbienti fittavano una casa dagli abitanti locali. Poi c’erano gli alberghi, dal centralissimo Zi’ Vito all’esclusivo “Castello dei Sogni” del Barone D’Elia. E di quest’ultimo vorrei scrivere, anche se da scrivere c’è poco.

Un albergo alla moda fino agli anni ’60 del secolo scorso, poi il lento declino e la fine con il terremoto del 23 novembre 1980  che qui fece una dozzina di morti e squassò il tessuto urbano.

Il “Castello dei Sogni” ebbe gravissimi danni e un po’ per l’incuria della proprietà, un po’ per l’arrogante speculazione edilizia, quello che tentarono di ricostruire niente aveva a che fare con un albergo di pregio.

Anzi, quello che fu ricostruito era totalmente abusivo, riconosciuto tale – a detta degli abitanti della zona – anche in Cassazione.

Risultato: uno scheletro in cemento armato si erge da oltre 35 anni dove sorgeva il “Castello”. Nessuno lo butta giù. Nessuno ha convenienza, vista la tremenda discesa del paese come meta turistica, ad investire per ricostruire.

E il “Castello”, proprio come un sogno, svanisce anche dalla memoria dei locali e dei turisti che ci andarono. Tanto la memoria è labile che anche il più efficace “trovaroba” del web, ossia Google, alla stringa di ricerca “Castello dei Sogni di Acerno” non fornisce altro che pagine di cartoline d’epoca da collezione e nulla più. Nulla di storia, nulla della lunga agonia, nulla delle traversie giudiziarie; tutte scarne notizie ricavate dagli abitanti della zona, sempre molto restii a parlare, come tutti i montanari.

Il bello che nella profonda opera di distruzione antecedente al tentativo abusivo di ricostruzione sono statti lasciati, a mo’ di memoria storica, alcuni reperti dell’antico splendore, ormai avvinghiati, come le rovine di Angkor Watt in Cambogia dalla forza soverchiante delle piante rampicanti: vendetta della natura.

Non ho più notizie da darvi, anzi se qualcuno dei miei lettori ne sa di più, me lo scriva; sarò lieto di fare un’aggiunta.

Per ora il post prosegue con le foto delle cartoline che mostrano come era il “Castello dei sogni” e le foto, fatte da me, che mostrano quello che ne resta:

Come inizio non c’è male: una naiade che invita ad andare in piscina in un due pezzi che richiama l’epoca in cui fu scattata la foto. C’è anche il trampolino

Ma la piscina e il trampolino o, meglio, i loro scheletri, ci sono ancora, avvinghiati come Laocoonte e figli dalla natura che si è presa la rivincita:

in fondo, a metà del lato corto della piscina, si intravede lo scheletro del trampolino.

E, della piscina, come fantasmi, spuntano altri particolari, come lo “spogliatoio per signore”

Oppure il locale docce maiolicato in multicolore:

Questi alberghi alla moda avevano un luogo per ballare; di solito un gazebo metallico con filari di rampicanti e luci multicolori, dove – in quei tempi un po’ puritani – ragazze e giovanotti facevano conoscenza ballando un fox-trot, un Twist, un rock and Roll, fino ad arrivare, in tarda serata, quando molti ospiti erano andati a dormire, ai languidi lenti guancia a guncia, spesso prodromici ad altri più profondi contatti.

In questa foto si vede ancora il gazebo, dietro il trampolino della piscina:

purtroppo ora ne è erimasto ben poco come di vede dalla foto qui sotto:

Era bello il castello dei Sogni ed era usanza inviare ai propri cari una cartolina del bel luogo ove si trascorreva la villeggiatura. Eccone un paio di esempi:

e questa con dedica:

Facile immaginare quali fossero “i più cari pensieri”…….. da quello che, davvero, sembrava un castello

Anche gli interni erano curati: qui la sala da pranzo con vista sul gazebo da ballo e sulla piscina:

Purtroppo ormai rimane poco, solo ruderi, piloni di cemento che son lì fermi da quasi quaranta anni, ultimi testimoni di un bel tempo che fu.

Quelle qui sotto sono le cucine presso il ristorante, il gazebo e la piscina,

E così Acerno non ha più alberghi (anche Zì Vito è chiuso).

Da località turistica alla moda è tornato ad essere un semplice paese, sempre fresco di estate, ma con zero attrazioni. Mi dicono che c’è una piscina, bella e pronta, ma anche essa chiusa, forse per beghe di paese.

Forse la verità è semplice: agli acernesi va bene così. Vivere un pochino di gente, pochi turisti, molti emigrati di ritorno per qualche giorno di estte e poi richiudersi nel sonno.

Spero che questo posto possa risvegliare la memoria agli antichi fasti.

Il libro da cui è stato estratto questo capitolo è qui:

https://www.amazon.it/dp/B0CHL16C11/

Proseguo dopo la prima puntata di “Cronache Paesane

La casetta che occupo è proprio di fianco alla chiesa. Ci deve esser stato un accordo fra sindaco e parroco: le campane suonano ogni ora con rintocco ogni 15 minuti, ma solo dalle sette della mattina. In tre giorni ci si abitua: si scopre la vita come era prima degli ultraorologi da polso, il tempo scandito dal campanile. Bong, bong, bong, bing, bing: sono le tre e mezzo, di pomeriggio, si intende.

Fervono i preparativi per la festa del Santo Patrono, San Donato, il 7 agosto. Nella via principale un negozio sfitto è adibito a sede del Comitato festeggiamenti con tanto di lotteria per ricavare fondi: primo premio una crociera nel Mediterraneo. Nel manifesto celebrazioni civili e laiche si mescolano: alla fine del programma religioso sono annunciate le “acerniadi di San Donato”, giochi a sorpresa per Bambini, Giovani e Adulti (fino a 99 anni!!!) con, al termine, “anguria fresca per tutti”.

Il programma civile prevede l’esibizione di famose stelle TV come “The Black ‘n White”, Anna Tatangelo, Daniele Ciniglio e i “Made in Italy”; a seguire spettacolo pirotecnico a cura della Ditta Mansi di Maiori!!!

Ma, nel frattempo, già ieri sera, su un palchetto a latere spettacolino di cabaret autoprodotto.

Il Paese comincia a riempirsi. La ricorrenza di San Donato è un richiamo per i tanti emigrati: le case aprono le persiane, il corso principale la sera si anima. Tutto un vociare di saluti, di “paesani” che si ritrovano, si abbracciano. Una quantità enorme di passeggini: Acerno non pare toccato dalla crisi demografica. Alle 21:00 la famosa (e ottima) pasticceria “Lucia” chiude; rimangono aperti fino a notte inoltrata i locali con i cornetti caldi alla cioccolata, il bar Jolly con la sua famosa cremolata di fragole alla panna. Si attende con ansia l’arrivo del caldarrostaro: sì, Acerno è circondato da boschi di castagni e riescono a cuocere le caldarroste che rimangono morbide e saporite. Ovviamente, il golfino è d’obbligo dopo le 20:00, fa freschino.

Come dappertutto non si contano le “vasche” serali avanti e indietro per il Corso, divenuto di sera isola pedonale: dalla “Piazza” alla Cattedrale con il suo portale di bronzo con bassorilievi di Santi, ma sovrastati dalla riproduzione del monte “Accellica” che domina il Paese.

C’è attesa, ma non ansia, per la festa. E’ un rito che si ripete ogni anno: noto, invece molta serenità: come la festa di compleanno o il Natale, feste che, se non ci si mette la sfiga, ritorneranno uguali gli anni prossimi. I bambini ora in carrozzino, cammineranno, le mamme un capello bianco in più, i padri – forse – qualche centimetro di pancia in più; ma – bene o male – saranno tutti ancora presenti per un altro San Donato.

Non vedo la leopardiana

Or la squilla dà segno

Della festa che viene;

Ed a quel suon diresti

Che il cor si riconforta.

I fanciulli gridando

Su la piazzuola in frotta,

E qua e là saltando,

Fanno un lieto romore.

E, ritengo, passata la festa che le fanciulle non ricorderanno quanto scriveva il poeta recanatese:

Questo dì fu solenne: or da’ trastulli

prendi riposo; e forse ti rimembra

in sogno a quanti oggi piacesti, e quanti

piacquero a te: non io, non già ch’io speri,

al pensier ti ricorro.

Vedo molta più serenità e voglia di divertirsi: per parlare del destino c’è tempo e un altro San Donato verrà.

Dal 1950 al 1954 Ray Bradbury scrisse una serie di racconti di fantascienza raccolti nel libro “Cronache marziane”. I racconti sono legati fra loro dal tema comune della futura esplorazione e colonizzazione del pianeta Marte. Anche se opera di pura fantasia, non entrando l’autore nei dettagli tecnici del lontano futuro, essa appare più rivolta alla descrizione del genere umano che al suo futuro modo di vivere. La definizione di ciclo di fantascienza, com’era intesa all’epoca, risulta quindi stretta per quest’opera, che si è imposta per meriti che vanno al di là di un genere. Cronache marziane ha infatti legato il suo successo a un sentimento di nostalgia nei confronti di una vita più vicina alla natura, sebbene incorniciata da un panorama futuristico, e al mito della frontiera e dell’esplorazione.

E veniamo a me.

Quest’anno, come lo scorso anno, per sfuggire al bollente Caronte, per non intrupparmi nel mainstream delle Dolomiti-VIP, ho affittato una piccola casetta in un paesino in provincia di Salerno a 730 mt,. di altezza (Acerno) e con 2.500 abitanti.

Anche io – proveniente dalla putrescente Roma Capitale – sono ansioso di riscoprire una vita più vicina alla natura e con rapporti interpersonali più “umani”. Poi, siccome mi piace condividere, ho deciso di tenere buona nota delle scoperte che sto facendo e delle esperienze che vivrò. Pensando a Ray Bradbury non potevo non intitolare la serie di post che verrà “Cronache paesane”! Lo spirito di scoperta e di conoscenza è il medesimo.

Non so se questo sarà il primo e unico post oppure se a questo ne seguiranno altri e quanti. Vedremo. L’affitto della casetta scade il 31 agosto.

Prima osservazione abbastanza scontata: qui si conoscono tutti: non c’è bisogno di agenzie o di telefono. Era iniziata l’ultima decade di luglio e ancora non avevo una sistemazione. Domenica pomeriggio, ore 19, vado in piazza con una amica con ascendenze locali. Il passaparola è veloce: sono tutti lì in piazza, l’alloggio è trovato in 10 minuti.

Seconda osservazione: qui i canoni che regolano gli affitti delle case per vacanza sono ben diversi dalla capitale o, meglio, non esistono affatto. Il proprietario della casa non era in cerca di un turista a cui affittare la casa, era un immobile tenuto a disposizione. Mi ha fatto un favore, e gliene sono molto grato perché la casa è bella e funzionale, o – piuttosto – ha fatto un favore ad un amico della mia amica locale.

La gentilezza, come la calma e la pacatezza, qui sono di casa. Ho fatto presente che non c’era il pentolame e il tubo del gas perdeva e ho chiesto che almeno per queste incombenze, provvedesse lui. Il Proprietario non ha battuto ciglio: tubo del gas sostituito e padella, pentola e pentolino acquistati all’istante. Super gentile.

La casetta, una stanza da letto, soggiornino, piccola cucina, bagno e bagnetto, è proprio al centro del paese e, cosa molto simpatica, i due “balconi” di soggiornino e cucina danno proprio sull’orto, accessibile con tre gradini, amorevolmente curato dal proprietario. Finora ho assaggiato i cetrioli appena staccati dalla pianta. Vi assicuro che la differenza con quelli acquistati al mercato si sente.

Il piccolo numero di abitanti, poi, costituisce un formidabile controllo sociale. In tre giorni tutti mi conoscono, sanno chi sono dove abito e, anche, quali sono i miei gusti. Io sono un po’ distratto, mi stupisce la quantità di saluti che ricevo per strada da perfetti sconosciuti e ho iniziato a salutare per primo ogni persona che incontro. Noto che la cosa è apprezzata.

Per oggi basta. Ma ho già tante cose da raccontare: la quantità di bimbi che – beati loro – giocano ancora per strada, i preparativi per la “grande festa del Santo Patrono” dove sono attese star della TV, i prezzi ridotti del 50% di bar e ristoranti rispetto a Roma [un esempio: caffè e brioche nel miglior bar/pasticceria solo due euro],

Vi racconterò non solo cose belle ma anche tante potenzialità inespresse.

Alla prossima.

Ha destato attenzione e scalpore  nei giorni scorsi la dichiarazione di una ragazza al FilmFestival di Giffoni Vallepiana che affermava di soffrire di ecoansia e, di fronte al ministro dell’ambiente, singhiozzando, manifestava la sua paura di mettere al mondo dei figli in questo mondo ormai condannato dall’inquinamento e dal riscaldamento globale.

E, infatti, il problema del cambiamento climatico con i suoi eventi estremi di questi giorni, è al primo posto nelle preoccupazioni degli italiani. Caldo torrido, grandine come palle da tennis, tempeste di vento che sradicano intere foreste, siccità prolungata non sono più sintomi di un malessere del pianeta che riguarderà i nostri figli o i nostri nipoti. Riguarda già noi. Non mi stupisce la ritrosia di quella ragazza a mettere al mondo nuovi figli.

Mi reputo fortunato ad essere ormai anziano e di non aver avuto figli: sarò pessimista, ma ritengo che il mondo come lo abbiamo vissuto fino a trenta anni fa non lo rivedremo più.

Ma siamo umani e le imprese disperate ci affascinano e ci esaltano.

Ma in questa sfida dobbiamo imparare anche a sconfiggere chi, per proprio tornaconto o fazione politica, facendo terrorismo, ancora nega la disperata situazione climatica in cui viviamo.

Un importante esponente politico ha detto «Perché il terrorismo del clima non si sconfigge senza una voce politica uniforme. Cinquant’anni fa abbiamo battuto il terrorismo solo con la concordia tra forze politiche diverse, legate da una comune matrice democratica. E questa non è una situazione diversa, anzi per certi aspetti anche peggiore perché il terrorismo del clima è indiscriminato. Ridurre le palle da tennis che ci piovono in testa e che sono in realtà palle di grandine mai viste non è né di destra né di sinistra, ma una comune battaglia per la sopravvivenza».

Verissimo.

Purtroppo non vedo neppure un indizio di tale voce politica uniforme che, per essere uniforme, lo dovrebbe essere in tutto il pianeta e non solo in una sua parte.

E, purtroppo, il mio pur forte sentimento europeista ondeggia di fronte alle improponibili misure prese dal Parlamento dell’Unione europea.

Dal 2035 non si potranno più vendere auto a propulsione endotermica. (qui qualche informazione in più) (e qui il testo del Parlamento europeo in .pdf)

Bella enunciazione, ma totalmente priva di significato. L’altro giorno percorrevo il tratto di autostrada da Roma verso sud: nelle aree di servizio lunghe file di autovetture per rifornirsi di carburante. Tempo medio per il rifornimento 5/7 minuti. Come si fa con le auto elettriche che necessitano di un minimo di tre ore per la ricarica? A ciò si aggiunge che, almeno per ora, l’autonomia delle auto a combustione interna è mediamente superiore di un terzo a quella delle auto elettriche.

Riusciremo in 10 anni ad impiantare decine di migliaia di colonnine ad alta capacità da rendere possibile un viaggio nord-sud e viceversa con tempi di rifornimento compatibili con quelli attuali?

Senza contare che più del 50% del traffico è costituito da mezzi pesanti: forse non sono attento, ma di TIR elettrici non mi pare di aver mai sento parlare.

E non è finita: ci abbiamo messo due anni per svincolarci parzialmente dall’abbraccio russo per quanto riguarda gli idrocarburi e il gas. E petrolio e gas sono reperibili in vaste aree del pianeta. Riusciremo a sottrarci al quasi monopolio cinese delle batterie al litio indispensabili per le auto elettriche?

E c’è anche l’altro provvedimento EU che mi lascia perplesso. Dal 2025 non si potranno più installare caldaie a gas per riscaldamento o acqua calda: quello che riguarda le case verdi.

Secondo il testo approvato dal Parlamento dell’Unione Europea, (qui il testo consolidato) con 49 voti favorevoli, 18 contrari e 6 astenuti, la direttiva “case green” prevede che tutti gli immobili residenziali rientrino in classe energetica E entro il 1° gennaio 2030, ed in classe D entro il 1° gennaio 2033.

L’obiettivo è quello di raggiungere le zero emissioni entro il 2050, per farlo è necessario ridurre i consumi energetici, incentivando interventi come l’installazione di Pompe di Calore, Caldaie a Doppia Condensazione, Pannelli Fotovoltaici e sostituzione di Infissi.

Ottimo in linea di principio, ma anch’esso inapplicabile nei tempi previsti: abbiamo visto tutti quello che è successo nel mercato dell’edilizia con il 110%. Almeno quello era volontario. Pensiamo ad un obbligo di “cappotto termico” e/o di coibentazione e di sostituzione delle caldaie a gas di tutti gli edifici esistenti. Assisteremo ad una confusione e ad un innalzamento di prezzi inimmaginabile, imprese irreperibili, materiali pagati a peso d’oro.

Questa misura, poi, mi sembra iniqua per quel che riguarda la comune estensione, identica dalla Svezia alla Spagna e alla Grecia. E’ vero, gli impianti di riscaldamento alimentati a metano inquinano, ma in quantità differente fra Svezia e Grecia. Lo vedo da me: nella mia casa di Roma, nei periodi più freddi, il riscaldamento è attivo dalle 18 alle 22. Ma già nelle case più a sud, sulla costa, bastano due ore al giorno nei due mesi più freddi. Inquinamento molto minore che in Svezia, Belgio o Germania ove serve un riscaldamento giornaliero molto più esteso. Quello che voglio dire è che in alcuni Paesi EU la spesa per una completa coibentazione e per la sostituzione della caldaia non serve per il piccolo inquinamento prodotto senza l’intervento, a differenza dei Paesi nordici. Il gioco non vale la candela.

Queste soluzioni, calate dall’alto nei grigi palazzi di Bruxelles si rivolgono, ovviamente, solo ai 26 paesi dell’EU (448 milioni di abitanti), e non al mondo inter (più di 8 miliardi di abitanti: 16 volte più dell’EU). Così daremmo sì il “buon esempio”, ma ad un costo pro-capite elevatissimo a carico solo degli abitanti di una piccola parte del pianeta e, soprattutto, senza un effettivo riscontro sulle emissioni di gas serra, visto che queste “buone pratiche” riguarderanno solo un sedicesimo degli abitanti pianeta.

E non riguarderanno neppure i Paesi più inquinanti: leggo che la Cina (1,4 miliardi di abitanti) proporrà misure antinquinamento “serie” solo dal 2060 e che Narendra Modi in India (1,5 miliardi di abitanti) non pensa neppure a limitare le emissioni. Ce la farà Lula in Brasile (214 mln di abitanti) a invertire le politiche espansionistiche e inquinanti di Bolsonaro?

Le misure drastiche – vista la sproporzione fra abitanti Eu e non Eu dovranno riguardare l’intero pianeta ed essere sostenibili dai suoi abitanti.

Purtroppo gli esiti dei periodici COP non sono confortanti.

Ma la lotta contro il surriscaldamento de pianeta è una “comune battaglia per la sopravvivenza del genere umano”. Sono disposto a combattere tale battaglia, sono disposto a privarmi delle comodità acquisite [riscaldamento e condizionamento quando voglio, auto a gogò] ma vorrei che tali sacrifici non siano di bandiera e a scapito solo di 400 milioni di persone [oltretutto inutili per combattere il riscaldamento globale].

Se c’è una battaglia da combattere, se c’è un obiettivo essenziale per la nostra sopravvivenza, è necessario che la battaglia coinvolga da subito, tutti gli otto miliardi di abitanti del pianeta, con le buone o con le cattive [con le sanzioni, ovviamente, non con la guerra].

Altre soluzioni non le vedo e né sarà possibile la convivenza fra le “città green” europee costruite mandando sul lastrico gli abitanti con le città cinesi ove è obbligatorio circolare con le mascherine antipolvere, dove il cielo è perennemente grigio di smog, ma gli abitanti hanno un reddito pro-capite triplo di quello dei loro padri.

Questo è il tema del giorno: la nostra sopravvivenza. Tutto il resto sono armi di distrazione di massa.

sergioferraiolo

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