Ieri sera c’era un interessante evento gratuito in un posto storico affascinante, ma bisogna, comunque ritirare prima i biglietti, disponibili fino ad esaurimento dei posti.

Vado più di un’ora prima, l’avvenimento è di richiamo, normalmente da tutto esaurito. Infatti c’era già parecchia fila. Una fila composta, educata, di gente che parlava quasi sottovoce.

Hanno cominciato a distribuire i biglietti, massimo due a persona; nessuno ha sgomitato, nessuno ha tentato di passare avanti.

Ordinatamente, senza correre, la fila, con i biglietti in mano, si è diretta verso lo ingresso.

Nuovo stop, di entra alle 21.00, mancano più di 40 minuti. Nessuno protesta, nessuno alza la voce.

Si entra. I posti si riempiono con silenziosa gradualità fino a non essercene più di liberi.

L’evento inizia dopo altra mezz’ora trascorsa in tranquilla attesa

Sul palco si alternano un’orchestra di ragazzi e persone che parlano di cose loro, a volte interessante, a volte ostico, a volte noioso.

Religioso silenzio del pubblico, interrotto solo dai giusti applausi.

Non si è sentito un telefonino squillare, non si è visto, nell’oscurità, alcun viso illuminato dallo schermo dello smartphone intento a chattare, incurante del fastidio al vicino.

Dopo due ore di parole, gli applausi e il deflusso tranquillo e silenzioso.

No, state pensando male, non ero a Vienna o a Stoccolma.

Ero a Roma, al festival della letteratura alla Basilica di Massenzio. E ho visto un’altra Roma, diversa da quella arrabbiata, volgare, supponente, sguaiata, prepotente, chiassosa alla quale, purtroppo, mi sto abituando e che, fino a ieri sera, reputavo irreversibile.

Un’altra Roma è possibile. C’è speranza, allora…. si chiama cultura.