31 dicembre
Oggi è l’ultimo giorno dell’ anno. È anche l’onomastico di un bel gattone nero che passa tutta la vita ad inseguire un canarino giallo.
Bisogna fare qualcosa di speciale. Ci pensano i birmani che ci assumono come testimonial.
La Birmania sta vivendo un boom di turismo interno. Ma le strutture e la consapevolezza ambientale non sono ancora arrivati. Fino a che le persone da nutrire erano poche, bastava il pentolone e il piatto o la ciotola da lavare (più o meno). Per bere, il boccione e il bicchiere di vetro da riusare per l’avventore successivo.
Gli scarti erano perfettamente biodegradabili. La natura era salva
Poi le persone e le esigenze di igiene sono aumentati ed è comparso l’usa e getta: piatti, posate, bicchieri, buste di plastica per i quali, non essendo previsto il ritiro e lo smaltimento, il terreno diventa l’ultima dimora.
Se il birmano (come ogni uomo di ogni Paese del mondo) ha sempre gettato i rifiuti per terra e nessuno gli ha mai detto alcunché, continuerà a farlo anche mutando la composizione chimica del contenitore.
Ricordiamoci che fino ai primi anni settanta, gli italiani che conoscevano il significato della parola “ecologia” erano una sparutissima minoranza.
Numerosi sono i progetti in atto per educare alla consapevolezza del danni del rifiuto plastico sparso nell’ambiente. Uno di questi il “Bagan Plastic Campaign” ci ha assunto come “testimonial”. Con sacchi, guanti e bastoni chiodati abbiamo raccolto tutta la plastica (bottigliette, contenitori di cibo, bicchieri) nel vialone di accesso ad una pagoda molto frequentata. Nel contempo abbiamo distribuito volantini che spiegavano il corretto smaltimento dei rifiuti quotidiani. I volontari che curavano il progetto, con microfono e altoparlante spiegavano chi eravamo e cosa e perché lo facevamo.
Dopo aver fatto la buona azione quotidiana possiamo concederci di visitare la Pagoda Shwe Zigon zedi, una immensa pagoda completamente dorata, ossia ricoperta di sottili lamine d’oro. Il cielo limpido ed il sole diretto la fanno risplendere come qualcosa di soprannaturale, quasi un’astronave aliena.
Le lamine d’oro, essendo sottilissime ed esposte alle intemperie, hanno bisogno spesso di essere sostituite. Lo spirito buddista provvede alla bisogna. I birmani, se hanno qualche risparmio, non essendoci, fino a pochi anni fa, altre forme di investimento ed in presenza della svalutazione galoppante, investono comprando oro.
Il rinunciare alle cose terrene, come il proprio oro, per donarlo alla pagoda costituisce merito per il buddista, magari consentendogli una reincarnazione migliore o abbreviando il percorso per il Nirvana.
La spiritualità e la devozione dei locali è sorprendente. Mi ricordano continuamente che quello che sto visitando non è un’attrazione, bensì, principalmente, in luogo di culto, un luogo per concentrarsi sulla missione delle persone sulla terra, quella di elevate lo spirito rinunciando alle cose terrene, alle passioni, alle tensioni e ai desideri che non siano quelli di seguire gli insegnamenti di Buddha.
Il corpo centrale dorato e circondato da innumerevoli stupa e cappelle ognuna piena di persone in raccoglimento. Non mancano terrazze coperte per permettere la preghiera nella stagione delle piogge. Mi sorprende un po’ l’assenza di bastoncini di incenso profumato, così comuni in Vietnam e Cambogia.
Passiamo poi, a cose più terrene. La Paim Palm Sugar Factory è una azienda che si è specializzata nella raccolta e trasformazione dell’olio estratto dalle gemme di un particolare tipo di palma.
L’operaio, agilissimo, con due ciotole alla cintura, si arrampica velocissimo sulla alta palma, raggiunge la chioma della pianta dove spuntano le gemme, le incide e appese sotto di esse la ciotola. Prima di ridiscendere, prende quelle piene appese qualche ora prima.
Quest’olio viene messo in un pentolone e fatto bollire. Da quel che ne risulta si ricavano vari tipi di dolci e anche una sorta di grappa.
Attorno all’azienda, tutta all’aperto, luogo estremamente piacevole, si è sviluppata una economia volta, almeno per ora, al turismo interno (eravamo gli unici occidentali): ristoranti, bar, negozi per la vendita diretta di dolciumi, tutti sotto fresche frasche.
In un villaggio rurale limitrofo (500 abitanti) assistiamo, poi, alla festa per l’inizio del noviziato di un piccolo fanciullo del villaggio. Tutti gli abitanti erano invitati, anche quelli dei villaggi limitrofi, parecchie persone mescolano la zuppa per la cena in grandi pentoloni. Il Lama tiene un concione per noi incomprensibile. L’aspirante novizio, già rasato e con la tradizionale tonaca rossa appare un po’ spaurito e a disagio ad essere al centro di tutta quella attenzione.
Poteva poi mancare il solito tramonto sulle pagode di Bagan? Ovviamente no. Ma ne ho visti di migliori.
Ricordiamoci che è l’ultimo giorno del 2019. Per i birmani significa poco ma, ci dice la guida, questo popolo è ben lieto di associarsi alle feste di altri popoli, tradizionali o religiose che siano.
Veniamo condotti attraverso un vialetto illuminato da lanterne (elettriche) in un “non luogo” (non so descriverlo perché era buio pesto) dove troneggiavano, innanzi ad una parete di bambù, due tavoli apparecchiati illuminati (?) da due candele.
Quattro fiaccole da giardino spargevano fioca luce su una orchestrina di xilofono, tamburi e campanelli.
Un paio di ballerini in costumi tradizionali si sono esibiti solo per noi che cercavamo di capire, nell’oscurità, quali pietanze ci servivano. Prima delle 22:00 comincia a fare freddo, ci servono il dolce (una banana fritta, mi pare) e ci congedano.
Beh, torniamo in albergo, alcuni vanno a dormire, altri spippolano il telefonino chattando auguri, altri ancora escono alla ricerca di qualche veglione o di una bottiglia di champagne.
Ricerca infruttuosa a dispetto dei tanti addobbi natalizi a noi tanto familiari ma forse messi su dai birmani solo per compiacere i turisti.
Così finisce nostro 2019.
Ma il viaggio, e il racconto, continuano….
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