La giornata non è bella. Su quale guida o libro avevo letto che fine dicembre, inizio gennaio era il periodo migliore per visitare il Myanmar perché il cielo è sempre limpido permettendo al sole di splendere incontrastato? Qui è sempre nuvolo e minaccia pure di piovere. E vabbè che è la stagione secca, ma l’aria pare fatta di sabbia. La maglietta messa la mattina se la sciacqui esce il caffelatte.
Vabbè, dopo la prima colazione a base, come al solito di zuppa di noodles, andiamo alla scoperta di questa città che la Lonely definisce brutta, sporca, inquinata dal traffico malefico.
Infatti.
Prima tappa il monastero di Shwenandaw, particolare perché ligneo. Le sue origini sono diverse dal culto. Era un’ala del palazzo reale, l’unica ad essere ancora in piedi proprio perché adibita al culto; il resto è stato bruciato alla caduta della monarchia. Molto buio e un po’ tetro custodisce le solite statue di Buddha con le mani nelle solite diverse posizioni che ognuna ha un suo significato particolare, ma io non mi ricordo mai quale, perdendomi fra mano col palmo in fuori, col palmo in dentro, con le dita a corna, con le dita incrociate, con il pugno chiuso ed il pollice all’insù. No, ma forse quest’ultima non è una posizione da Buddha classico; mi sarò confuso con uno che si stava facendo un selfie.
Molto bello l’esterno, completamente ricoperto di guglie e metope con altorilievi lignei raffiguranti divinità a me sconosciute. Il monastero è, comunque a forma di pagoda, con le coste spioventi del tetto ricche di statue (tutte in legno) di draghi ed altri esseri protettori.Di corsa poi a visitare, indovinate un po’, un’altra pagoda. Diciamo che il Myanmar è come la canzone di Mina: “Pagode, pagode, pagode, soltanto pagode per noi….”
Ma la pagoda Kuthodaw è veramente particolare (come tutte le pagode). Nasconde un libro di 11.022.750 parole in 16.000 pagine in cui sono racchiusi gli insegnamenti del buddismo. Ma o non ho capito quello spiegato dalla guida o questo libro era così nascosto che non l’ho neppure visto.
Più coinvolgente il suono di una grande campana percossa con tre colpi dai fedeli devoti. Un suono profondo che ti entra dentro.
Nella pagoda due coppie di sposi in costumi tradizionali si fanno scattare le foto di rito. Abbiamo chiesto se il matrimonio era stato celebrato oggi ma la loro risposta ci ha stupito. Sì sarebbero sposati una coppia fra tre mesi, l’altra fra quattro. Qui si usa così. Sì anticipano parecchio.
Finalmente, poi, qualcosa che non è una pagoda, bensì una scuola buddista, la Phaung Daw Oo Monastic Education Affiliated High School che raccoglie e istruisce gratuitamente, sostenendosi con donazioni, ben novemila studenti.
Abbiamo incontrato la direttrice, donna risoluta e in gamba e il fondatore, un monaco bonario che ha esordito “fatemi qualsiasi domanda, ma non chiedetemi quanti anni ho” . Anche lì abbiamo lasciato un piccolo obolo.
La direttrice ci ha spiegato il funzionamento della scuola e dell’annesso piccolo ospedale. Chi può, paga una piccolissima quota, chi non può, non paga nulla. E qui non c’è l’ ISEE. Ci si fida sulla parola. Mentire per un buddista implica perdere tutti i meriti acquisiti, come a Monopoli andare in prigione senza passare dal via. La dinamica donna ci ha dato il suo indirizzo per Email pregando di scrivere agli alunni (in inglese) per stimolarli ad imparare la lingua.
Per la prima volta, nella scuola, abbiamo notato le novizie donna, cartucce nella loro tunica rosa, ma anche esse rapate a zero.
Abbiamo avuto una scuola, dobbiamo ricambiare con due pagode nella zona chiamata Min Gun o Mingun.
Le raggiungiamo dopo una “crociera” di circa un’ora sul mitico fiume Irrawady che richiama tigri e impero britannico navigando su battelli che forse ricordano ancora quell’epoca. Piacevole la gita sul fiume, peccato che faceva un po’ freddino.
La prima detta “la pagoda incompiuta” (ma dovrebbe chiamarsi pagoda lesionata) una sorta di piramide Maya di mattoni bruni piena di profondissime ferite inferte dal terremoto del 1834. È una piramide piena, senza stanze interne. Interesse zero.
La seconda, al contrario, la Pagoda Myatheindian sembra una torta di panna candida. Grande, imponente, circolare. Sì, sembra proprio appena decorata da un fine pasticciere con innumerevoli volute di bianca panna posate sulla bianca glassa. Bella da ammirare seduti di fronte sorbendo con la cannuccia il succo di un cocco fresco.
Assistiamo ammirati al gioco della palla di bambù. Cinque giocatori in cerchio palleggiano con una palla formata da listelli di bambù curvati.
Maradona è nessuno. Tre palleggi di piede, uno di ginocchio, uno di tacco e passaggio al compagno a fianco che fa lo stesso. La palla non cade mai a terra. Complimenti!
Prima del ristorante serale, siamo ancora in crisi di astinenza da pagode. Ci spariamo con il primo buio la Pagoda Kyauk Taw Gyi. Un immenso Buddha candido, uscito da un solo blocco di marmo ci guarda dall’alto dei suoi quasi sei metri. Stupendo della sua algida levigatezza.
Lungo i quattro lati tante statue bianche indovinate di chi? Ovviamente di Buddha, tutte uguali tranne che per la posizione delle mani che, come sappiamo ognuna ha un suo specifico significato. Che non conosco. Le ho fotografate, magari con un “manu”ale di buddismo riesco a capirci qualcosa.
Continua….