Pare che per ingraziarsi Trump, Palazzo Chigi abbia deciso di dare un tono più americano a Roma:

….. tanto c’era già il Colosseo quadrato….
Pare che per ingraziarsi Trump, Palazzo Chigi abbia deciso di dare un tono più americano a Roma:

….. tanto c’era già il Colosseo quadrato….
Come tutti, sto seguendo le vicende della nostra povera Italietta circa la nomina di Raffaele Fitto a Commissario europeo (anzi vicepresidente esecutivo) e circa le intromissioni di Elon MUSK nella politica italiana (P.S. a proposito di questo ultimo , chi può legga lo articolo di Repubblica.it all’indirizzo: https://www.repubblica.it/esteri/2024/11/14/news/politica_musk_elezioni_americane-423621489/?ref=RHLF-BG-P1-S2-T1)
Ho dato a ChatGPT gli stringati elementi delle due vicende e ho chiesto di unirle insieme e di ricavarne una storia un po’ meno piatta della realtà.
Eccola qui sotto, in versione integrale:
ChatGPT: “Certamente, posso sviluppare una versione più estesa della storia, con una trama unica che includa anche colpi di scena e un ruolo più rilevante per il ministro americano. Ecco una versione più articolata e approfondita della storia, con nuovi intrecci e complessità.”
Titolo: L’ombra della vendetta
Capitolo 1 – Intrighi e ambizioni
A Bruxelles, in una notte cupa e piovosa, la Presidente del Consiglio italiana, Giovanna Mestroni, osserva la città dall’alto del palazzo dell’Unione Europea. È appena stata sconfitta: il suo candidato alla vicepresidenza della Commissione, Renato Fino, è stato bocciato. Dietro questa decisione, Mestroni intravede la mano di Urinna Von Layan, la presidente della Commissione, e avverte la tensione personale che anima questa guerra politica. Mestroni aveva negato a Von Layan il sostegno per la sua elezione, e ora ne stava pagando il prezzo.
Tra il fumo di un sigaro, Giovanna riflette su come ribaltare la situazione. La sua ambizione la spinge a non cedere, e trova sostegno in Erik Neumann, un agente oscuro che inizia a orbitare intorno a lei, apparentemente per svolgere un lavoro di intelligence europeo. Neumann, in realtà, è un lupo solitario con un’agenda propria, ed è noto per il suo passato in servizi segreti internazionali. A lui, la politica interessa meno dei segreti: segreti che gli permettono di avere potere.

Capitolo 2 – La minaccia americana
Mentre Giovanna pianifica la sua vendetta, dall’altra parte dell’oceano, un nuovo colpo arriva inaspettato. Il ministro degli Affari Esteri della nuova amministrazione americana, Eglon Munk, dichiara pubblicamente che “la democrazia italiana è minacciata dal nazionalismo esasperato e dall’ingerenza dei magistrati”. La frase non è rivolta direttamente a Giovanna, ma il messaggio è chiaro. La Presidente del Consiglio italiana, per la prima volta, vacilla. In privato condivide le idee di Munk, ma il suo nazionalismo le impone di mostrare forza e di evitare ogni intromissione esterna.

Scossa e incerta, Giovanna decide di ritirarsi dalla scena pubblica, lasciando al Presidente della Repubblica il compito di rispondere. La sua assenza è percepita dai suoi sostenitori come una ritirata, e il suo stesso partito comincia a dubitare della sua capacità di guidare il paese. Nel frattempo, Erik Neumann diventa sempre più vicino a lei, cercando di sfruttare il suo momento di debolezza per capire quali segreti possano esserle stati sottratti. Neumann scopre che Giovanna è in contatto segreto con Eglon Munk, con cui ha avuto sempre avuto contatti durante la sua ascesa politica. Munk le aveva promesso sostegno, ma ora la sua dichiarazione la metteva in imbarazzo.
Capitolo 3 – La comparsa di Luisa e una relazione pericolosa
Nel pieno della crisi, Neumann incontra Luisa Falchi, il capo di gabinetto di Giovanna, una donna brillante e ambiziosa. Lei ha colto i segnali di instabilità nella sua leader e intravede la possibilità di ottenere una posizione di maggior potere. I due iniziano una relazione intensa e pericolosa, fatta di segreti e seduzioni. Neumann la convince a condividere dettagli riservati sui piani di Giovanna e in cambio la protegge, alimentando la sua ambizione.
Nel frattempo, Giovanna scopre che la bocciatura di Fino e l’attacco di Munk potrebbero essere collegati. Von Layan e Munk sembrano aver trovato un terreno comune e sono pronti a minare la sua leadership in Europa per indebolire le sue posizioni nazionaliste. Munk sembra convinto che un governo europeo più docile possa rafforzare il controllo americano, soprattutto su questioni di sicurezza e intelligence.

Capitolo 4 – Un omicidio inatteso
Durante un incontro a Bruxelles, Giovanna ha un duro confronto con Fino, il quale le rivela di sapere dettagli compromettenti sui suoi contatti segreti con Munk. Fino, temendo per la propria carriera e forse anche per la propria vita, minaccia di rivelare tutto. Mestroni è sconvolta, ma tenta di calmarlo, convincendolo che troveranno una soluzione.
Il giorno successivo, però, Renato Fino viene trovato morto nel suo appartamento. Ufficialmente si parla di un attacco cardiaco, ma Giovanna è certa che si tratti di omicidio. Gli eventi prendono una piega sempre più oscura e i sospetti si moltiplicano. In privato, Giovanna è consumata dal sospetto che Von Layan o Munk abbiano orchestrato l’omicidio per colpirla indirettamente, ma non riesce a trovare prove.

Capitolo 5 – Il doppio gioco di Munk
Mentre la crisi politica si inasprisce, Giovanna riceve un messaggio in codice: Munk le chiede un incontro segreto. Nonostante le paure, decide di incontrarlo. Munk, durante l’incontro, cerca di convincerla che l’attacco alla sua democrazia era solo una tattica per “risvegliare” i suoi avversari in Europa. Le propone un patto segreto: Munk continuerà a sostenerla, ma Giovanna dovrà rinunciare a ogni idea di un’Europa sovrana e collaborare con gli Stati Uniti su questioni chiave. Munk svela il suo vero obiettivo: indebolire Von Layan e ottenere un’Europa meno indipendente.
Sebbene attratta dall’offerta, Giovanna sente che accettarla significherebbe tradire il suo Paese e, soprattutto, che potrebbe diventare vulnerabile. Decide di mantenere il contatto con Munk, ma di giocare una partita più complessa. Nel frattempo, Neumann scopre gli incontri segreti tra Giovanna e Munk e decide di ricattarla.

Capitolo 6 – Tradimento e vendetta
Neumann tenta di usare il suo potere su Giovanna, chiedendole in cambio informazioni compromettenti sulla Commissione Europea. Giovanna sa che, se accetta, finirà per diventare una pedina nelle mani di Neumann e, probabilmente, di Munk. Decide quindi di sfruttare il suo legame con Luisa Falchi, che ha ancora sentimenti ambivalenti verso Neumann. Luisa, spinta da Giovanna e dal desiderio di potere, inizia a sabotare Neumann, fingendo di allearsi con lui ma rivelando al tempo stesso dettagli sui suoi movimenti.
In una notte di nebbia, Luisa riesce a organizzare un incontro tra Neumann e alcuni agenti europei, sperando di incastrarlo. Durante l’incontro, però, la situazione degenera e Neumann capisce che Luisa lo ha tradito. I due si confrontano su un ponte solitario, e nel corso della discussione, Neumann la accusa di aver distrutto il piano per conto di Giovanna. Nella colluttazione che segue, Luisa precipita nel fiume e scompare nelle acque gelide.
Capitolo 7 – Il prezzo della vittoria
Dopo la morte di Luisa, Giovanna si trova nuovamente in bilico. Munk ha perso fiducia in lei, ma non può esporsi pubblicamente. Giovanna riesce a scoprire che Munk è stato l’artefice dell’omicidio di Fino e utilizza questa informazione come arma di ricatto per costringerlo a mantenere la sua posizione neutrale nei suoi confronti.
Alla fine, riesce a ottenere ciò che voleva: Von Layan, coinvolta nello scandalo degli omicidi e della corruzione politica, è costretta a dimettersi. Giovanna è ora più potente che mai, ma la sua vittoria è amara. Ha perso Fino, Luisa e persino l’appoggio di Munk. Rimane sola a capo di un governo che sembra un castello di carte, fragile e pronto a crollare.
Guardando Roma all’alba, Giovanna si rende conto che è rimasta intrappolata nella stessa rete di inganni che aveva contribuito a tessere. Con l’Europa destabilizzata e gli Stati Uniti in attesa di una nuova mossa, sa che il suo trionfo è solo temporaneo e che nuovi avversari sono già pronti a colpirla.

(Come ho detto in principio, la storia è totalmente inventata da ChatGPT)
Oggi voglio tornare sul tema dei rifiuti solidi urbani. Sono stato qualche mese lontano da Roma e mi è sembrato che, altrove, il problema sia un po’ meno un problema.
Ma il ritorno nella Capitale ripropone il tema in tutta la sua attualità.

Le città – in un modo o nell’altro – si organizzano, ma il tema è sempre quello: a noi cittadini vengono imposti paletti ed incombenze, ma il costo della tassa su rifiuti continua a salire.
Ci sono città che hanno ancora il sistema di raccolta a cassonetti, altre sono passate al “porta a porta” seppur non sempre con le medesime modalità.
Ogni metodo di raccolta ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. Ne scriverò poi.
Ma vediamo, nella pratica come si svolge la vita di un cittadino rispettoso delle norme e che “tiene a cuore” l’ecologia e la vita del pianeta.
Io vivo a Roma. E, questo, si sa, per lo smaltimento dei rifiuti è un grosso dramma.
Io sono single e come tutti i single spesso non mangio a casa. E questo, forse non si sa, per lo smaltimento rifiuti è un piccolo dramma.
Per i non romani ricapitolo la situazione nella Capitale. Tranne che in poche parti del centro storico, non c’è la raccolta differenziata porta a porta, ma i cassonetti per le strade.
Quello marrone per l’organico, con l’obbligo dei sacchetti superbiodegradabili; quello bianco per la carta; quello blu per la plastica (non tutta) e il metallo; quello grigio per i rifiuti non riciclabili; la campana verde per il vetro (ricordatevi di non mettere anche il sacchetto nella campana).
Sorvolo sullo scempio e sui cumuli di immondizia attorno ai cassonetti non svuotati per intrattenervi sul dramma del single (ossia una persona sola) che deve dividere i suoi (pochi) rifiuti ogni giorno in cinque sacchetti diversi. Eh, sì, ogni giorno: ho una casa molto piccola e non posso tenermi i sacchetti aperti, pena l’intervento dei Vigili del fuoco per la puzza che, dopo il primo giorno, promanerebbe, spargendosi per il quartiere.
Cominciamo dal facile.
Decido di prepararmi per cena una pasta con il sugo e un hamburger vegetale. A pranzo ero fuori, ho risolto con un tramezzino per i cui rifiuti se la vedrà il bar.
Allora, prendo il pentolino per il sugo, ci metto un po’ d’olio e uno spicchio d’aglio. Le parti scartate dell’aglio mi fanno aprire un sacchetto per l’organico biodegradabile. Mi accorgo di aver messo, forse, un po’ troppo olio e non so dove buttarlo. Nel lavello? Nel gabinetto? Pare sia vietato; bisognerebbe “conferirlo al consorzio obbligatorio olio esausto”. La legge vieta di smaltirlo nelle fogne. Ma a Roma non è previsto alcun servizio. Sono costretto a trasgredire.
Apro un barattolo di pomodori pelati. Beh, il contenitore è metallo, facile, apro un sacchetto per i rifiuti metallici, sciacquo il contenitore (acqua sprecata) e ce lo metto dentro. Vorrei condire il sugo con un po’ di capperi e di alici, così finisco quei due barattolini in vetro che ho nel frigo. Sì, li svuoto, e cerco di smaltirli. In quello che conteneva le alici c’è rimasto un dito d’olio. Non è fritto. Posso buttarlo nelle fogne? Chissà. Tutti e due son di vetro ma hanno l’etichetta di carta che dovrei staccare. Passo i due barattolini sotto l’acqua (che spreco!), ma l’etichetta sembra attaccata con una super colla. Ci rinuncio e li metto in un altro sacchetto per i rifiuti in vetro.
La pasta. L’acqua bolle e svuoto il pacco nella pentola. Mi rimane in mano una confezione vuota in plastica. Altro sacchetto, per la plastica. Ma sarà plastica riciclabile? Chissà.
Passo all’hamburger vegetale, prodotto biologico chiuso in una bolla di plastica rigida, a sua volta contenuta un involucro di carta. La carta va nella busta di carta che raccoglie altra carta. Poi, la solita domanda, la confezione a bolla di plastica dove va smaltita? Nella plastica riciclabile o nell’indifferenziata? Le scritte sulla confezione si dilungano sulle proprietà nutritive, sulle kilocalorie, ma non dicono dove gettarla.
Finisco di cenare e mi ricordo che l’indomani devo consegnare delle foto e dei documenti che ho sul computer ad un amico. Ho comprato una minuscola pennetta USB per la bisogna. Osservo la confezione: la pennetta sarà tre centimetri per uno. Ma è “affogata” in una bolla di plastica dura, a sua volta incollata su un cartoncino dove, per di più sono stampate, in minuscoli caratteri, le istruzioni d’uso. Quindi aprendo – con le forbici, con le mani non ce la faccio – la confezione perdo le istruzioni. Poco male, so come si usa la pennetta USB. Peccato, però, mi perdo l’indirizzo web del produttore che, leggo sui resti, mi avrebbe fatto scaricare gratuitamente un programmino per le immagini. Ma non divaghiamo. Ho fra le mani un rifiuto misto: resti della bolla di plastica saldamente incollati al cartoncino. Dove li butto? Uso la monetina?

Bel dilemma. Ci bevo sopra l’ultimo sorso di una bottiglia di vino che avevo in casa. Anche qui il problema di togliere l’etichetta di carta prima di smaltirla.
Sono stato solo due ore in casa e ho aperto cinque contenitori: per la plastica, per l’indifferenziata, per la carta, per il vetro, per l’organico e ho sempre il dubbio di aver diviso bene e il rimorso per l’olio fritto nello scarico.
I sacchetti di plastica che ho usato per i rifiuti, secondo me, contengono più plastica del contenuto, forse no perché ho usato una busta di carta per i rifiuti cartacei e una busta di mais per quelli organici, forse sì perché le altre buste son grosse, non ne ho altre. I sacchetti per l’immondizia sono ancora più grandi. Insomma, spesso mi sembra – fra acqua sprecata e sacchetti per i rifiuti – di inquinare più dei rifiuti che produco. Senza contare che i sacchetti per l’organico, come si dice a Roma sono una sòla. Sono fatti di amido di mais e non reggono a tutti i rifiuti organici: provate a metterci dei limoni spremuti o avanzi di pesce o di salsa di pomodoro: dopo poco tempo si squagliano letteralmente diffondendo i rifiuti nel bidoncino domestico. Se la tua città ha ancora i cassonetti, ti sbrighi e lo butti nel cassonetto dell’organic, ma se vivi in una città che raccoglie l’organico ogni 2/3 giorni non puoi usare i sacchetti di mais, pena l’impestamento di tutta la tua casa.
Ora i sacchetti sono pieni. Bisogna smaltirli. Il come dipende dalla tua città.
Se è attiva la raccolta porta a porta, dovrai portare al portone o mettere nel secchione condominiale il sacchetto corrispondente alla raccolta di quel giorno e tenerti gli altri sacchetti in casa “in attesa che venga quel giorno” in cui saranno raccolti. Devi avere almeno un balconcino dove accumularli, specialmente se sei una famiglia numerosa. Sacchetti ben chiusi, mi raccomando, perché la plastica, la carta con residui di cibo puzza. E puzza tanto.

Se invece ci sono ancora i cassonetti, devi scendere con due tre sacchetti e gettarli nel cassonetto corrispondente.
Ho scritto prima che ambedue i sistemi hanno pregi e difetti.
La raccolta porta a porta ha – come ho già scritto – il grave difetto di non permetterti di svuotare tutti i rifiuti nello stesso giorno e ti impone di possedere uno spazio per lo stoccaggio dei rifiuti in attesa che arrivi il giorno giusto. Non sia mai che, nel giorno dedicato ai rifiuti organici tu debba partire dopo pranzo: il sacchetto dove e quando lo getti? Rimarrà a casa tua fino al prossimo turno. Un po’ come, nel Monopoli, andare in prigione senza passare dal via. I cassonetti sono senz’altro più comodi, a patto che vengano svuotati e vengano svuotati da autocompattatori che rispettino la destinazione specifica dei rifiuti.
Vi racconto “una cosa di Roma”. Fino a qualche anno fa, gli autocompattatori erano autocarri con un equipaggio di tre persone: uno alla guida e due che posizionavano i cassonetti, provvedendo anche al “carico” dei sacchetti eventualmente caduti dai cassonetti.
Oggi no. L’autocompattatore conta il solo autista che, con l’ausilio di una telecamera, si posiziona a fianco del cassonetto prescelto e, tramite bracci meccanici, carica il cassonetto e lo svuota nell’ampio contenitore. Questo in teoria, perché i bracci meccanici non pare funzionino molto bene: non si contano i cassonetti che cadono da tre metri di altezza e i sacchetti che dai cassonetti non vanno a finire nell’autocompattatore, bensì si spargono per terra. Tanto che è necessario un secondo passaggio di autocarro più piccolo con cassone scoperto con equipaggio di due/tre persone con il compito di raccogliere i sacchetti sparsi (e gettati alla rinfusa nel cassone senza riguardo al contenuto) e di rialzare i cassonetti caduti e (molto) ammaccati.

Non ho finito. Non esiste un concetto univoco di cosa mettere nei sacchetti. Faccio qualche esempio. Qualche città continua a definire i rifiuti derivanti dagli alimenti come “organico”. Altri allargano il concetto di questi rifiuti allargandolo ai rifiuti “compostabili” senza comunque avere una definizione univoca. Faccio un esempio: la carta va conferita con la carta solo se è pulita. I contenitori per le pizze, tanto per fare un esempio, si possono conferire con la carta solo se non ci sono residui di pomodoro o mozzarella, se no vanno nel compostabile, ma solo se c’è l’apposita scritta.
La plastica. La plastica non va tutta nella plastica, ma solo i “contenitori”. Approfondendo la questione si scopre che la plastica riciclabile è solo quella per la quale i produttori pagano il contributo al consorzio per lo smaltimento. Questione di soldi, quindi. Infatti – fino a qualche tempo fa – forchette, coltelli e piatti di plastica – non si potevano inserire nello smaltimento “plastica”. Ora sì perché si sono aggiustati con il suddetto consorzio.

Meno male che c’è Sant’Indifferenziato. Secondo le varie “istruzioni per l’uso” distribuite dai Comuni non è ben chiaro cosa sia l’indifferenziato, se non la categoria residuale dopo aver escusso quella della carta, della plastica/metallo, dell’organico/compostabile e della carta. Ma cosa sia in concreto nessuno lo sa: oggetti i cui componenti di plastica e metallo non siano separabili? Oggetti i cui produttori non si siano “aggiustati” con il Consorzio? Molto pragmaticamente, gli utenti intendono che “indifferenziato” siano tutti i rifiuti non differenziati, ossia tutto insieme (grande valvola di sfogo).

Come si è visto non è un problema di semplice risoluzione, anzi, più si va avanti al grido “salviamo il pianeta” più il problema dei rifiuti si aggrava, con la risalita esponenziale della TARI e la sporcizia che regna per le strade.
Ma non c’è un altro modo? Una differenziazione a valle, per esempio? Una norma che intervenga sul Packaging, imponendo che esso non contenga plastica o altre sostanze inquinanti, che siano vietate le “bolle di plastica” usate per contenere le pennette USB in bella mostra sugli scaffali dei negozi?
Mi ricordo che, quando ero bambino, e in casa eravamo in cinque, non si riempiva più di un secchio al giorno con tutti i rifiuti. Mi ricordo che il latte era venduto in bottiglie di vetro con il “vuoto a rendere”, ossia dovevi riportare le bottiglie vuote se non volevi pagare il costo della bottiglia. Stesso discorso per l’acqua minerale, comunque appannaggio di pochi: si beveva l’acqua del rubinetto; le bottiglie di plastica semplicemente NON esistevano.

Le persone diversamente giovani ricorderanno che quello che ora fanno negozi “ecologici” era la normalità cinquanta anni fa: la pasta, i fagioli, praticamente ogni cosa, erano venduti a peso o a quantità, senza il rutilante packaging odierno. Meno contenitori meno rifiuti.
Lascio a voi queste note. Sarei felice di conoscere cosa ne pensiate.
Allora…vediamo un po’:
La pandemia l’abbiamo avuta due anni fa e c’è ancora; i contagi aumentano esponenzialmente, ma portare la mascherina è ormai fuori moda.
la guerra alle porte di casa l’abbiamo avuta 145 giorni fa e c’è ancora, e va sempre peggio;
Il caro bollette l’abbiamo avuto e c’è ancora. Addio docce lunghissime e 24 gradi nelle case d’inverno.
Il gas non ce lo avevamo e non ce lo abbiamo tuttora, Anzi oltre a quel cattivaccio di Putin, ora anche la Libia ci taglia le forniture del 25%;
Draghi e Mattarella ce li avevamo e (per fortuna) ce li abbiamo ancora: fa un po’ pena però vederli andare in giro per il mondo, finanche in Mozambico con il cappello in mano ad elemosinare un po’ di gas;
Il sole l’abbiamo sempre avuto e continuiamo ad averlo (forse troppo) , quello che manca da parecchio è la pioggia. Quindi alla lista aggiungiamo pure una forte siccità: rubinetti sempre aperti, mi raccomando. E non dimenticate di lavare l’auto.
le fibrillazioni politiche le abbiamo sempre avute e continuiamo ad averle con partiti che litigano non solo fra loro, ma piuttosto al loro interno, dividendosi a tal punto da sfidare la scissione dell’atomo. Ogni provvedimento deve tenere conto delle esigenze di 1235 persone che dovranno approvarlo;
dal 2018, da tre mesi dopo le scorse elezioni politiche, qualcuno minaccia la crisi di governo ed elezioni anticipate. Ma anche questo è normale nel Belpaese.
I treni e gli aerei continuano a partire ed arrivare in ritardo e basta il blocco di un solo binario per dividere per giorni in due l’Italia;
Su strada le code intorno a Firenze sono ormai connaturate al panorama;
C’è tutto?
No, mancava una cosa fondamentale; le cavallette!!!!! Tranquilli, ci sono pure quelle: la Sardegna ne è piena.
Lista completa? Sicuramente no: abbiamo tavolino selvaggio, la movida violenta, le spiagge proibite, lo sciopero preventivo (dei tassisti), gli incendi degli impianti di compostaggio perché la Capitale pulita non ci piace;
Bene, con questa lista in tasca, con 20 spade di Damocle sulla testa, ce ne possiamo andare in vacanza perché, si sa, nel Belpaese luglio e agosto sono sacri.
No, non è andato tutto bene.
Post Scriptum: da quando ho pubblicato questo post sto ricevendo numerose segnalazioni di altre e tremende piaghe che sono fra noi. Da ciò si denota una spiccata tendenza al pessimismo insita fra di noi.
Ne cito una: pare che il riscaldamento globale favorisca la diffusione della Candida Auris, un fungo resistente agli antibiotici, facilmente trasmissibile e con mortalità vicina al 30%.
No, nulla è andato bene
Ho già parlato, in un precedente post “Sono ora i ristoratori la classe dominante?” dei privilegi, dell’egoismo, della strafottenza che i ristoratori, dopo i comprensibili disagi e perdite dovute alla pandemia Covid, stanno ora assumendo.
Ma non mi era ancora capitato sentirli irridere alle leggi dello Stato, sicuri della loro impunità.
Vi racconto una storia che mai avrei voluto vivere.
Ieri, 18 novembre 2021, telefono ad un ristorante dove avevo mangiato molto bene, “La Grotta Azzurra” di Trevignano romano.
La conversazione ha del surreale, ve la trascrivo nella sua interezza:
– io: Buongiorno, vorrei prenotare un tavolo per due per sabato.
– voce del ristorante: Non la sento bene
– io: mi scusi sono in un luogo chiuso e ho la mascherina
– voce del ristorante: prima dei dettagli la avviso che qui non chiediamo il green pass e non portiamo la mascherina!!
– io: siete novax?
– voce del ristorante: no, siamo costituzionalisti [sic!]
– io: va bene, non se ne fa nulla. Non vado ad un ristorante dove non rispettano le leggi.
Fine della telefonata.
Devo confessare che ho dapprima pensato ad uno scherzo, poi, a casa, ho cercato il ristorante su Trip Advisor e qui cominciano le sorprese leggendo le ultime recensioni.
Potete leggerle anche voi al link https://www.tripadvisor.it/Restaurant_Review-g1158597-d1823812-Reviews-La_Grotta_Azzurra-Trevignano_Romano_Province_of_Rome_Lazio.html
(ma le riporto per immagini alla fine del post)
Ben due recensioni, una ad ottobre ed una a novembre stigmatizzano l’assoluta non applicazione delle norme anticovid (assenza di mascherine dei camerieri, mancata richiesta del Green Pass) e una di esse racconta di essere andata dai Carabinieri per denunciare il fatto (inutilmente, visto che il ristorante è ancora aperto).
Non ho modo di controllare la veridicità di tal recensioni, ma quello che più stupisce e fa incazzare sono le risposte – quindi presumo veritiere – che il gestore (o il proprietario, non so) del ristorante dà alle due recensioni che, comunque, riporto in immagine più sotto.
Risposte irridenti e tipiche della follia novax, tipo “Siete così spaventati da recensire un posto in base a norme amministrative e non al suo valore intrinseco. Mi definisce anche maleducata perché ho risposto con una battuta ironica allora mi chiedo: ma perché andate al ristorante se avete così paura? Nessuno vi costringe, se non siete d’accordo salutate e via. Davvero credete che la nostra mascherina sia fondamentale? Siete davvero sicuri che nessuno abbia mai, anche incidentalmente, starnutito nel vostro piatto prima di portarvelo? Anche se poi vi arriva al tavolo con la mascherina? Davvero pensate che la nostra mascherina sia fondamentale?”
Oppure: “Se pensate tutto questo ne avete tutto il diritto ma avete il DOVERE di lasciare in pace e rispettare chi non la pensa come voi, se non lo fate allora siete voi i maleducati, non io…e data la sua età (perché ho capito benissimo chi è lei) ripeto con sincerità: che tristezza”.
Ed ancora “Noi siamo liberi e lo rimarremo sempre. I servi di questo regime possono crogiolarsi nella loro superiorità, noi resistiamo circondati dall’amore di chi ci sceglie proprio perché liberi e felici.”
Il fatto è che il loro essere liberi e felici contravviene a precise norme dello Stato (sanzionate nella loro inosservanza, ma – visto che sono ancora aperti – non troppo sanzionate) che impongono la mascherina ai camerieri e la richiesta e controllo del Green Pass ai clienti che mangiano al chiuso.
Ignorare queste norme, se può far felice il loro ego strampalato, porta alla diffusione dei contagi, visto che il momento più propizio per la diffusione del virus è quando diverse persone ravvicinate intorno ad un tavolo si trovano, senza mascherina, a scambiarsi cibo, alito e chiacchiere.
Contravvenire a queste norme è un attentato alla salute pubblica. “Avete il dovere di lasciare in pace e di rispettare chi non la pensa come voi!” risponde il ristoratore, ma non quando la condotta del ristoratore mette a repentaglio la mia salute e la salute della collettività contravvenendo per di più a precise norme dello Stato.
Il loro essere liberi e felici e l’invocare la Costituzione dimostra solo ignoranza e malafede visto che l’articolo 16 della Costituzione sancisce che il diritto alla circolazione può essere limitato per “motivi di sanità o di sicurezza” e che l’art. 32 sancisce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” e che per legge ”può essere sottoposto a determinato trattamento sanitario”.
Non è il caso di riprendere qui quanti costituzionalisti hanno ribadito che l limitazioni alla libertà come le mascherine e il Green Pass – per la loro difesa della sanità e salute pubblica siano in linea con la Costituzione.
Mi domando perché tali ristoranti siano ancora aperti e perché l’Autorità, pur specificamente interpellata, non sia intervenuta.
Non auguro a questi ristoratori di ammalarsi di Covid, non lo si augura a nessuno, ma che il loro cervellino si apra alla realtà. Realtà nella quale solo se tutti, ma proprio tutti seguiamo i dettami della Scienza, ripresi dallo Stato, riusciremo a salvarci.


Ovviamente non so se queste recensioni siano del tutto veritiere, ma le risposte date dal proprietario mi inducono a credere che lo siano. No, amici miei, non è andato tutto bene, come sui manifesti con l’arcobaleno del marzo dell’anno scorso. Per niente è andato bene. Qui a tanta gente ha dato di volta il cervello. E pensare che se invece che all’82%, fossimo arrivati al 95% della popolazione vaccinata, il problema del Covid potrebbe essere molto, ma molto minore.
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