Archivio degli articoli con tag: assalto al Campidoglio


Anche se Trump non ha mai ufficialmente “adottato il  “Project 2025” della Heritage foundation, molte delle sue azioni sono basate proprio su questo progetto iper conservatore.
Il Project 2025 consta di oltre 1000 pagine. Uno dei migliori riassunti trovati in rete è quello dell’autorevole Istituto Affari Internazionali che vi ripropongo integralmente.
Lo articolo è del maggio dello scorso anno, prima dell’elezione di Trump. Vedrete bene, leggendolo, quante indicazioni del project 2025 sono state già attuate.
  

Project 2025: un’agenda conservatrice per il futuro dell’America
Il team di Jefferson
22 Maggio 2024
Il Team di Jefferson


Nel panorama politico degli Stati Uniti, il 2024 sembra essere un’epoca di déjà vu elettorale. Come nel sequel di un film che ha mantenuto i suoi protagonisti, gli Stati Uniti si preparano a un’altra campagna elettorale presidenziale con gli stessi contendenti del 2020.
A cambiare significativamente è invece il contesto sociale americano, ormai molto diverso dallo scenario pre-Covid durante il quale Trump e Biden si sono confrontati per la prima volta. Con le tensioni in corso in Europa e Medio Oriente a complicare il panorama politico internazionale, una crisi migratoria al confine sud degli Stati Uniti e la ridiscussione in atto in molti stati del diritto all’aborto, entrambi i candidati devono procedere con estrema cautela.
Da una parte, Joe Biden ha adottato una strategia focalizzata sull’idea di difesa della democrazia dalla minaccia Trump. Dall’altra, il tycoon mette in guardia i suoi sostenitori da altri quattro anni dalle politiche del Presidente in carica, che identifica come le cause del declino americano. La linea d’azione scelta dell’ex-inquilino della Casa Bianca si fonda proprio su un presunto dovere Repubblicano di riportare gli Stati Uniti a godere del benessere economico e sociale che le amministrazioni democratiche hanno distrutto negli anni.
In pratica una rielaborazione del “Make America Great Again”, ma aggiornata al quadro politico attuale, con il dito puntato contro Biden e non più contro Obama. Stavolta però, il piano di riconquista del potere ha un nome ben preciso, un manifesto e degli obiettivi da raggiungere. Si chiama “Project 2025”, e sulla pagina ufficiale di questo manuale per la ricostruzione del Paese è illustrato il progetto di transizione dal nocivo Governo liberale, verso un’America conservatrice, che inizia con l’elezione di Trump a Presidente. Il percorso poggia su quattro fondamenta essenziali che lavoreranno sinergicamente per preparare il terreno a un’amministrazione conservatrice di successo: l’agenda politica, la selezione di un personale adeguato, un programma formativo e un piano operativo di 180 giorni.
Promosso finanziato e reso possibile da The Heritage Foundation, che vanta un lungo impegno nella storia politica dell’America Repubblicana nello sviluppare una serie di policy note oggi come “Mandate for Leadership”. Queste proposte hanno giocato un ruolo ai vertici presidenziali, fin dall’Amministrazione Reagan, e sono state particolarmente importanti durante il mandato Trump.
Al vertice del team dietro “Project 2025” ci sono Paul Dans, ex capo dello staff presso l’Ufficio per la Gestione del Personale (OPM) durante l’amministrazione Trump e attuale direttore del Progetto di Transizione Presidenziale 2025, e Spencer Chretien, ex assistente speciale del presidente e direttore associato del Personale Presidenziale, nonché del progetto.
Project 2025: i temi di un’agenda conservatrice
Il manuale del “Project 2025” è il frutto del lavoro di un think thank e presenta uno o più autori con una vasta conoscenza in diverse aree, che analizzano approfonditamente un dipartimento o un’agenzia specifica. I temi trattati sono molteplici e generali: dall’economia, al clima, ai diritti. Allo stesso tempo, sono ben applicabili a specifiche questioni in discussione, in questo momento, negli Stati Uniti.
Sulle politiche ambientali e l’energia si prevede la cancellazione dell’approccio Biden, ponendo fine all’attenzione rivolta al cambiamento climatico e ai sussidi verdi, abolendo i Clean Energy Corp e il Climate Hub Office, revocandone i relativi finanziamenti. Centrale anche il ritiro dagli accordi sul cambiamento climatico, definiti incompatibili con la prosperità degli Stati Uniti.
Per il tema di gestione della salute pubblica si propone un abbandono del ruolo del governo nella promozione della salute pubblica per bambini e adulti americani, facendo riferimento alla gestione della pandemia di Covid-19 in cui il governo federale viene tacciato di una gestione eccessivamente dettagliata, disinformata e politicizzata.
Grande attenzione viene riservata alla “Family Agenda”, che promette di riportare l’attenzione verso una struttura familiare ideale, votata al diritto dei bambini di essere cresciuti dagli uomini e dalle donne che li hanno concepiti. Viene enfatizzato il concetto di famiglia tradizionale, con una critica esplicita verso qualsiasi altra forma di genitorialità che vada oltre il concepimento tradizionale. A questi presupposti viene bizzarramente legato il discorso delle malattie sessualmente trasmissibili e le gravidanze non desiderate, che si propone di prevenire rafforzando il concetto di matrimonio come possibile strategia di prevenzione dei rischi sessuali. Per quanto riguarda invece i diritti LGBTQ+, si parla di revocare le normative che vietano la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere, dello stato transgender e delle caratteristiche sessuali. Questo porterebbe a una pericolosa e consequenziale legittimazione del razzismo di genere persino sul luogo di lavoro. Inoltre, si prevede una stretta anche nelle politiche anti-abortiste, con l’obiettivo di garantire una proliferazione delle policy pro-life e una limitazione del diritto di scelta nelle future legislazioni.
Grande chiusura mostrata anche nelle proposte sulle politiche migratorie, che prevedono una chiusura dei confini e una gestione rigida dell’enorme flusso di immigrati ai confini messicani.

Tra le tematiche affrontate in questa guida, il punto a cui viene data maggiore importanza, è l’ufficio della Casa Bianca, di cui parla nel primo capitolo Rick Dearborn, ex vicecapo di gabinetto di Trump, focalizzandosi sulla necessità di una concentrazione dei poteri nelle mani del Presidente. Inoltre, si parla del Dipartimento di Stato e del Dipartimento di Giustizia, come organi suscettibili a influenze poco raccomandabili e predisposti a dissentire dalla visione di un presidente conservatore.
Il progetto e la campagna Trump
Il progetto ha recentemente coinvolto oltre 100 partner della coalizione per il suo consiglio consultivo. Il raggiungimento di questo traguardo consentirà loro di concentrarsi maggiormente sullo sviluppo del piano operativo di 180 giorni di regolamenti e decreti presidenziali che Trump potrebbe attuare una volta insediato in carica.
È necessario sottolineare però, che il Progetto 2025 non è vincolato esclusivamente a un’unica figura politica come Trump o alla sua amministrazione. Al contrario, si propone di sostenere qualsiasi candidato o futuro Presidente che abbracci i principi e l’ideologia conservatrice su cui si basa il progetto. Questa flessibilità evidenzia il suo scopo più ampio di promuovere e implementare politiche in linea con i valori conservatori, indipendentemente dall’individuo al potere. Allo stesso tempo, la campagna di Trump ha cercato più volte di prendere le distanze da gruppi come il Project 2025, ma molte delle sue proposte sono basate su reali commenti passati di Trump. Questa dinamica rappresenta dunque una sfida per il team di Trump, che tenterà fino a novembre di non legarsi alle posizioni più controverse, che potrebbero rivelarsi dannose per la campagna.

La Corte Suprema americana vieta l’aborto!!!!”. Questo è il titolo che campeggia sui giornali di tutto il mondo. Biden dice che la decisione è devastante. AOC [Alexandria Ocasio-Cortez], la pasionaria della sinistra, ha chiesto al presidente americano di aprire “immediatamente cliniche per l’aborto su terreni federali negli Stati repubblicani che imporranno il divieto“. Insomma un putiferio.

Ma la Corte suprema in realtà ha fatto molto peggio: ribaltando la sentenza Roe contro Wade del 1973, ha risposto alle istanze dei conservatori che ritengono l’aborto un omicidio premeditato a danno di un minore ovvero, data la dimensione del fenomeno, una strage organizzata degli innocenti, tanto che l’ex Presidente Trump ha dichiarato che “è stata la mano di Dio!” a guidare i giudici della Corte suprema.

Dicevo che la Corte Suprema ha fatto di peggio, ha fatto come Ponzio Pilato, se ne è lavata le mani. Non ci rompete più le scatole, hanno detto in sostanza, l’aborto non è garantito dalla Costituzione, quindi siano i singoli Stati a decidere se equiparare l’aborto all’omicidio [premeditato e di “minore”].

Dovete sapere che in USA non sempre la competenza a indagare e giudicare sui casi di omicidio appartiene ai singoli Stati. Alcuni reati, fra i quali alcuni gravi casi di omicidio, appartengono alla giurisdizione federale fra i quali omicidio di agente CIA o DEA o di altre agenzie federali, omicidio di membri del Congresso, ma anche (chissà perché?) distruzione di velivoli, omicidi commessi nei parchi o lungo le autostrade o in piattaforme marittime o durante la navigazione o relativo a sfruttamento dei bambini.

L’elenco, (completo cliccando qui) appare comprendere gli omicidi più gravi sottraendoli alla giurisdizione dei singoli Stati ed attribuendoli all’FBI e ai giudici federali.

L’aborto, nonostante l’urlo dei conservatori che il reato sia gravissimo perché è un omicidio premeditato a carico di chi non si può difendere e che sia in atto una strage di bambini uccisi nel ventre materno, è stato “derubricato” a reato comune, per il quale 50 Stati diversi potranno, ad onta di una unica fattispecie, decidere 50 modalità di prosecuzione, 50 tipologie di processo, 50 pene diverse, dalla non punibilità alla pena capitale.

Mi sembra un po’ contraddittorio tutto ciò.

Ma l’America (o quello che ne resta) ci ha abituato a queste sue continue contraddizioni.

Prendiamo lo scabroso tema del razzismo e della criminalità in cui sono coinvolti neri.

Lo schema è il solito: un nero viene ucciso da un bianco (meglio se è poliziotto) e si scatenano le violenze.

Per non andare troppo lontano, ricordiamo il sacco di Baltimora conseguente alla morte di Freddie Carlos Gray jr., arrestato il 12 aprile 2015 perché trovato in possesso di un coltello e deceduto in seguito alle botte ricevute durante il trasporto alla stazione di polizia. Numerosissimi negozi svaligiati, polizia impotente, eppure la colpa viene data più alla condizione di sottoproletariato che ai singoli criminali che hanno svaligiato negozi.

Fa notizia la morte, nel 2021, di 18 neri disarmati arrestati dalla polizia in tutti gli USA, mentre viene passata quasi sotto silenzio che l’anno precedente erano stati uccisi 9941 neri per la stragrande maggioranza uccisi da persone del loro stesso gruppo etnico [fonte: F.Rampini: Suicidio Occidentale]. Praticamente c’è un tabù nel raccontare la violenza Black on Black.

Manifestazioni molto violente anche dopo l’orrenda uccisione di George Floyd il 25 maggio 2020. L’efferato delitto porta a giorni e giorni di violente manifestazioni e saccheggi che non hanno colpito solo gli eleganti negozi dove i bianchi fanno shopping, ma anche il Bronx dove risiede un’alta percentuale di afroamericani e dove gli stessi negozi sono di proprietà di neri.

Eppure queste violenze criminali sono state, se non giustificate, comprese dall’opinione pubblica democratica che così sfoga il proprio senso di colpa. Un esempio viene da Nikole Hannah-Jones, stella del giornalismo Black e premio Pulitzer che, intervistata sulle violenze, afferma “Certo che mi disturba vedere persone che assaltano negozi e rubano ma distruggere le proprietà altrui non è violenza, perché la proprietà può essere sostituita. I saccheggi non sono violenza, sono un reato contro la proprietà privata. Il saccheggio consente ai neri di approvvigionarsi di beni di consumo che il bianco compra usando il portafoglio”. La vecchia spesa proletaria, insomma. Strano discorso per un Paese che si vanta di dare un’opportunità a tutti di conquistare l’American dream!.

Eppure la Polizia fa ben poco per la repressione: nonostante l’arresto e, poi, l’esemplare condanna agli autori dell’omicidio di George Floyd, il grido che si leva dalle piazze fu “defunding Police” (togliere i fondi alla Polizia), slogan abbracciato anche dalla Ocasio-Cortez. Il senso di colpa, provocato dalla convinzione che tutte le violenze avevano come comune origine la schiavitù e il razzismo, provoca, nel 2020, un aumento del 30% degli omicidi in tutta l’America.

E qui tocchiamo il punto più caldo dell’involuzione dell’America odierna: la riscrittura della storia. Ne ho già parlato in due precedenti post “La Storia può essere cancellata. E spesso lo è stata”.  E “Non guardiamo ieri con gli occhi di oggi” e ne ho trovato la conferma sia nel già citato libro di Federico Rampini “Suicidio Occidentale” sia nelle affermazioni di, anche lei già citata, Nikole Hannah Jones che, nel 2019, ha lanciato un progetto per cambiare radicalmente il modo in cui veniva considerata la schiavitù negli Stati Uniti, in occasione del 400° anniversario dell’arrivo dei primi africani in Virginia. Hannah-Jones ha prodotto una serie di articoli per un numero speciale del New York Times Magazine intitolato The 1619 Project. L’iniziativa e mira a riformulare la storia del paese ponendo le conseguenze della schiavitù e i contributi dei neri americani al centro della nostra narrativa nazionale“. Il progetto prevede saggi di vari scrittori e accademici, tra cui lo storico di Princeton Kevin M. Kruse, l’avvocato di formazione ad Harvard Bryan Stevenson, il sociologo di Princeton Matthew Desmond e la storica del SUNY Anne Bailey. Nel saggio di apertura, Hannah-Jones ha scritto “Nessun aspetto del Paese che si sarebbe formato è scevro dagli anni di schiavitù che seguirono“.

Nel 2020, Hannah-Jones ha vinto un Premio Pulitzer per i commenti per il suo lavoro sul progetto 1619. La motivazione ha citato il suo “saggio ampio, provocatorio e personale per l’innovativo Progetto 1619, che cerca di porre la riduzione in schiavitù degli africani al centro della storia dell’America, stimolando il dibattito pubblico sulla fondazione e l’evoluzione della nazione” Il suo articolo è stato criticato dagli storici Gordon S. Wood e Leslie M. Harris, in particolare per aver affermato che “uno dei motivi principali per cui i coloni decisero di dichiarare la loro indipendenza dalla Gran Bretagna era perché volevano proteggere l’istituzione della schiavitù“. Si è anche discusso se il progetto suggerisse che la nazione fosse stata fondata nel 1619 con l’arrivo degli africani ridotti in schiavitù piuttosto che nel 1776 con la Dichiarazione di Indipendenza. Parlando con l’opinionista del New York Times Bret Stephens, Hannah-Jones ha affermato che il suggerimento di considerare il 1619 come un punto di partenza per interpretare la storia degli Stati Uniti è sempre stato così evidentemente metaforico che era ovvio.

Da qui nasce il “senso di colpa” che pervade gli americani, o, almeno, quelli che votano il partito democratico.

Un senso di colpa che viene instillato anche nelle nuove generazioni, per cui non è difficile che qualche aspirante star, in un qualsiasi campo, politico o dello spettacolo, si “inventi” origini di minoranze oppresse, neri o nativi, perché il favore che accompagna queste categorie spesso può dare la spinta giusta ad una carriera.

Non c’è dubbio che la schiavitù sia stata una orribile macchia nella storia degli Stati Uniti d’America, soprattutto perché, sebbene la tratta degli schiavi fosse stata formalmente abolita nel 1807, continuò fino al 1865 [fine della guerra civile] con l’approvazione del 13° emendamento alla Costituzione, quando la maggior parte degli Stati europei l’aveva già abolita da un bel pezzo.

Come dicevo, il senso di colpa rimane e ha portato ad eccessi incomprensibili per una mente europea e a contraddizioni notevoli.

Per esempio si abbattono le statue di Cristoforo Colombo, disconoscendo i meriti di navigatore e ricordando solo che egli – fra le altre cose – portò schiavi da una parte all’altra dell’Atlantico. Questo discorso potrebbe essere accettato [la tratta è un grosso reato, ma lo è oggi]: senza voler tornare indietro agli imperi romani, greci ed egiziani costruiti letteralmente sugli schiavi, alla fine del 1400 la schiavitù era pratica corrente per assicurarsi mano d’opera a basso prezzo. Allora non c’era la consapevolezza di stare commettendo una azione esecrabile. Anche la Chiesa considerava i nativi sudamericani e africani come non umani ed esseri senza anima e tollerava la schiavitù.

Protestors topple a statue of Christopher Columbus during a demonstration against government in Barranquilla, Colombia on June 28, 2021. (Photo by Mery Grandos Herrera / AFP)

La logica vorrebbe che si insegnasse oggi quanto fosse errato il concetto di disuguaglianza fra gli esseri umani. Ma no, gli americani, nel loro furore iconoclasta, distruggono – forse per lavarsi la coscienza – ogni simbolo che possa ricordare le passate leggi razziste. Se distruggete i simboli, come farete ad indicare che quel simbolo celebrava qualcosa che oggi si ripudia?

Ho parlato di contraddizioni e ce ne è una lampante: gli americani vogliono cancellare ogni simbolo che ricordi la schiavitù, aboliscono il Columbus Day, ma nulla dicono su due simboli di schiavisti che hanno in mano tutti i giorni: sulla banconote da un dollaro c’è l’effige di George Washington e sulla banconota da due dollari c’è è l’effige di Thomas Jefferson, due Presidenti ma anche due famosi schiavisti.

Gli americani celebrano Abramo Lincoln come chi abolì la schiavitù, ma dimenticano che lo fece per mero calcolo politico. Riporto una frase del suo discorso di insediamento del 1861:” «Sembra esserci una certa apprensione tra la gente del Sud riguardo al fatto che con il sopraggiungere di un’amministrazione repubblicana le loro proprietà e la loro pace e sicurezza personale saranno messe in pericolo; ma in realtà non c’è mai stato alcun motivo ragionevole per avere tale preoccupazione. In effetti, la prova più ampia del contrario è sempre esistita ed è sempre stata disponibile al loro controllo. Essa si può ritrovare in quasi tutti i discorsi pubblicati di colui che ora si rivolge a voi. Non faccio altro che citare uno di quei discorsi quando dichiaro che “non ho alcuna intenzione, direttamente o indirettamente, di interferire con l’istituzione della schiavitù negli Stati in cui essa esiste. Credo di non avere alcun diritto legale per poterlo fare e non ho d’altra parte neppure alcuna inclinazione a farlo”

Ma spinto dal Partito e nell’intenzione di ottenere un appoggio politico corale alla sua azione, il 6 agosto 1861 firmò l’atto di confisca che autorizzava i procuratori giudiziari a catturare prima e a rendere liberi poi tutti gli schiavi (ma solo quelli) che erano usati per sostenere lo sforzo bellico confederato.

Non mi pare, poi che il furore iconoclasta si sia scagliato contro il monte Rushmore, dove sono scolpiti i volti di quattro presidenti George Washington (1732-1799), Thomas Jefferson (1743-1826), Theodore Roosevelt (1858-1919), Abramo Lincoln (1809-1865)[, tre presidenti che usufruirono o tollerarono la schiavitù e Roosevelt, di cui la statua equestre davanti al museo di Storia naturale è stata rimossa perché simboleggiava la supremazia dell’uomo bianco.

Contraddizioni, dicevo e contraddizioni anche in politica. All’atto della sua elezione Biden affermò che avrebbe rotto i ponti con la politica “bilaterale” di Trump, tornando al multilateralismo e alla piena collaborazione con gli alleati europei. Beh, proprio nel momento in cui in Europa si fa strada una riflessione sugli effetti delle sanzioni a Mosca e della fornitura di armi pesanti a Zelensky, Biden, senza consultare gli alleati promette all’Ucraina armi sempre più sofisticate, avvalorando la tesi che quella in Ucraina non sia una guerra di resistenza, bensì una guerra, sia pure per procura, contro la Russia. La fuga dall’Afghanistan e il non intervento in favore della popolazione massacrata nello Yemen son già dimenticate.

Quello che rimprovero agli americani è la loro pretesa di possedere la verità assoluta: quello che va bene per l’America, deve andare bene per gli altri; quello che è il pensiero dominante degli americani deve essere il pensiero dominante universale. Se Colombo deve essere ricordato solo come schiavista, questo è il marchio che deve avere in tutto il mondo.

Altro esempio è quello dell’estremo politically correct iniziato forse con il #MeToo, nato nel 2017 per combattere – giustamente – le molestie sessuali, spesso impunite o non portate alla luce. Solo che, ormai, basta dire una parola (da loro, non dal codice) considerata non dico sbagliata, ma solamente non consona, che il “presunto colpevole” venga crocifisso e condannato prima ancora che inizi il processo che può anche concludersi con una assoluzione e la condanna dell’accusatrice, vedi il processo contro Johnny Depp conclusosi con la condanna dell’ex-moglie, ma solo dopo che l’attore era stato condannato dai media per violenza.

D’altronde gli americani sono fra i popoli “occidentali” quelli che viaggiano di meno, solo la metà di essi possiede un passaporto, e non viaggiare significa avere una conoscenza del mondo esterno mediata solo dalla TV e dai giornali, come da noi, ampiamente schierati e politicizzati.

Ho idea che gli Americani non siano, poi, molto cambiati dai tanto celebrati Padri pellegrini che sbarcarono in Massachusetts nel 1620 con il Mayflower e che diffusero la cultura puritana che ancora oggi permea l’America. Mentre gli americani ricordano e celebrano ogni anno con il giorno del ringraziamento, non vennero nel nuovo mondo di loro spontanea volontà e per diffondere il Verbo, ma perché “cacciati” dall’Inghilterra in seguito alla scissione dalla Chiesa anglicana.

Però, però – in fondo – ammiro gli americani e la loro nazione: la loro democrazia è la più forte, permettendole di resistere – senza danni apparenti – finanche ad un colpo di stato organizzato da un Presidente ancora in carica e ad un assalto armato al Congresso. Gli Stati uniti sono una fucina di idee in tutti i campi: le migliori idee negli spettacoli, nelle scienze, nella tecnica, da lì vengono e fanno scuola nel mondo.

Gli USA hanno quello che alla vecchia Europa manca: la capacità di rinnovarsi velocemente ed adattarsi alle nuove esigenze che la globalizzazione produce.

Negli ultimi anni hanno prodotto nuovi vaccini, nuove cure, nuovi software, forse, una intelligenza artificiale senziente.

Lì, chi vale, emerge.

Nel frattempo la vecchia Europa cosa ha prodotto? Una classe politica ingessata, fenomeni politici durati lo spazio del mattino come i Cinquestelle o i Gilet gialli, buoni solo ad essere “contro”, a proporre l’abolizione della povertà o l’abbassamento dell’età pensionabile senza pensare alle coperture.

Abbiamo forze politiche che, nel giro di una notta, per raccattare qualche voto in più, compiono contorsioni che neppure un artista da circo immagina.

Chissà, oltre alle magagne USA mi sono soffermato più sulla pagliuzza nell’occhio del vicino, dimenticando la trave nel mio.

Ma questa è un’altra storia.

Ma, oggi, 3 luglio 2022, c’è un’altra storia che mi convince sempre di più della follia collettiva degli americani. Cosa c’è di più finto di un film? La settima arte è la culla della finzione. Eppure ora in quella che fu l’America il dibattito è: è giusto che un doppiatore bianco dia la sua voce ad un attore di colore?

Pare che non sia giusto perché lede la sua essenza di persona afroamericana? Sono pazzi questi americani.

Qui un articolo sul tema https://www.ilpost.it/2020/08/02/personaggi-animazione-doppiaggio/?utm_medium=social&utm_source=facebook&utm_campaign=lancio

sergioferraiolo

Uno sguardo sul mondo

Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

photohonua

constantly trying to capture reality

Nomfup

Only connect

B as Blonde

Fashion enthusiast,Music addicted,tireless Traveler,Arts lover

Briciolanellatte Weblog

Navigare con attenzione, il Blog si sbriciola facilmente

Occhi da orientale

sono occhi d'ambra lucida tra palpebre di viole, sguardo limpido di aprile come quando esce il sole

ARTFreelance

Photo the day

simonaforte.wordpress.com/

Simona Forte photographer

Edoardo Gobattoni photographer

artistic photography

ALESSANDRA BARSOTTI - FOTOGRAFIE

L'essentiel est invisible pour les yeux

TIRIORDINO

Uno sguardo sul mondo

WordPress.com News

The latest news on WordPress.com and the WordPress community.