Archivio degli articoli con tag: burocrazia

Oggi è il clic day per ottenere il bonus bici e monopattino deciso a maggio. I nostri politici hanno dimostrato tutto il loro sadismo. Invece di considerare la spesa per la bici come detrazione fiscale da indicare nella dichiarazione dei redditi, sistema collaudato e sicuro, hanno preferito la lotteria.

Da stamattina si doveva accedere al sito del ministero dell’ambiente, muniti dello scontrino fiscale in formato elettronico e IBAN da caricare.

Hanno trovato, bisogna essere proprio bravi, il sistema per creare la fila sul web. Infatti tanti utenti (i fortunati che sono riusciti a entrare) si sono trovati davanti un avviso che li informa che “davanti a te ci sono 345.876 persone. Non andare via per non perdere la posizione acquisita”. Quindi cinque o sei ore di attesa.

E quando, dopo aver trascurato affari, lavoro, famiglia, finalmente diventi il primo della fila, ecco l’acme della perfidia: devi autenticare la tua identità con SPID.

Purtroppo oggi SPID non funziona, travolto dall’impennata delle richieste. Tutto inutile. Devi rinunciare. In prigione senza passare dal via!

Mica è finita.

Prendiamo un qualsiasi tizio che non ha mai acquistato una bicicletta e che neppure sa che oggi si può richiedere il bonus, ma ha necessità di entrare, che so, nel sito del Comune di Roma, nel sito dell’Agenzia delle entrate, nel sito dell’Inps per svolgere le sue pratiche. Ormai molto si può fare on line.

Peccato che in questi siti sì ci identifichi con SPID e se SPID è crollato a causa degli acquirenti di biciclette e monopattini, è crollato anche per chi vuole entrare nel sito dell’INPS, dell’agenzia delle entrate o del Comune di Roma. Quindi niente, non si entra da nessuna parte.

Vorrei sapere se i responsabili di Poste (provider SPID) e di SOGEI (responsabile sito del ministero dell’Ambiente) pagheranno mai per questo casino.

Secondo me, no.

Secondo voi?

Ehi, state attenti!!!! Per la burocrazia italiana è più importante la forma che la sostanza!!! Motociclo  non è la stessa cosa di motoveicolo!! Mi raccomando, non sbagliate.

No ho un’auto, solo un “due ruote” di 150cc, un Honda SH 150 vecchio di 12 anni per il quale pago ogni anno la tassa di circolazione. Anche quest’anno, entro il 28 febbraio, ho pagato – presso una ricevitoria SISAL abilitata – la somma di Euro 22,89, esattamete identica a quella dello scorso anno.

Oggi, 10 luglio 2018, mi arriva una lettera dalla Regione Lazio con la quale mi si contesta il mancato pagamento della tassa di circolazione per l’anno 2018 per il mio “due ruote”. La lettera è di una cortesia infinita. Dopo aver enunciato il supposto mancato pagamento, elenca una infinità di casi per cui ricorrere.

Il primo è un numero di telefono. Lo compongo subito. Neppure 30 secondi di attesa e una gentilissima operatrice mi chiede, dopo il solito “cosa posso fare per lei?” il numero di targa ed il nome. 30 secondi e mi descrive, sempre in modo squisitamente gentile, la mia situazione: sì, risulta anche a loro il mio pagamento; la cifra di 22,89 euro è esatta e….. qui trasecolo e mi cadono le braccia: la lettera di messa in mora, la predisposizione del call center, tutto l’ambaradan perché…. perché, udite udite, sulla ricevuta computerizzata c’è scritto “motociclo” e non “motoveicolo”, come in quella dello scorso anno per la quale nessuan contestazione è mai pervenuta.

Certo, dopo questa notizia rispondo un po’ balbettante per l’emozione che, quando si va a pagare presso una ricevitoria SISAL autorizzata si dà solo il numero di targa e la regione di residenza del proprietario. Ci pensa il sistema ad accoppiare la targa al tipo di veicolo e a calcolare la tassa di circolazione.

Niente, la gentile operatrice mi avverte di provvedere ad una contestazione formale, inviando una Email con il file riproducente la ricevuta (che loro hanno già) e …. Ad attendere la risposta. Oddio, a quale pena sarò sottoposto? Sono scosso da brividi di paura….. vi terrò informati….

Da qualche anno, ormai, pare per decisione governativa (Ministero dei Trasporti), la scritta luminosa sui pannelli che delimitano le ZTL, le zone a traffico limitato dei centri storici sono cambiate. Invece dell’inequivocabile “Varco Aperto”, in un intuitivo colore verde che indica in tutti i continenti via libera, e “Varco Chiuso” in rosso, il colore internazionale del divieto, da qualche tempo si legge “Varco Attivo” o “Varco Non Attivo”, in un neutro colore bianco. Niente di più ambiguo, nonché una trappola per gli automobilisti, come hanno sempre denunciato associazioni e comitati di cittadini, non ultimi i visitatori delle città turistiche.

varco attivo

varco attivo

Domanda test: si può passare quando il varco (cioè l’apertura, il  passaggio disagevole, come dice il dizionario) è attivo (cioè funzionante, come dice sempre il vocabolario) o non-attivo? Se si dà il loro senso alle parole “varco attivo” può essere tradotto, secondo i dizionari della lingua italiana in “passaggio, apertura funzionante”. Quindi si dovrebbe poter passare. Molto semplice e intuitivo. Invece no. Si può passare quando il varco non è attivo, perché per “varco” dal ministero intendono il sistema di sorveglianza contro gli ingressi abusivi, inventandosi un significato proprio non previsto dalla lingua italiana. Quindi se il sistema di sorveglianza, chiamato “varco” dal funzionario che ha avuto la brillante idea è funzionante, vuol dire che è chiuso.

In qualsiasi altro ufficio, invece, la scritta “sportello non attivo” naturalmente significa chelo sportello è chiuso.

Secondo voi vi porranno mai rimedio?

La sentenza 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, della Corte europea dei diritti dell’uomo ha individuato «una lacuna del sistema giuridico italiano, secondo il quale il figlio legittimo è iscritto nei registri dello stato civile con il cognome del padre, senza possibilità di deroga, nemmeno in caso di consenso tra i coniugi in favore del cognome della madre»: ciò comporta la violazione dell’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in combinato disposto con l’articolo 8 della stessa.
La Corte ha aggiunto di ritenere «che dovrebbero essere adottate riforme nella legislazione e/o nella prassi italiane al fine di rendere tale legislazione e tale prassi compatibili con le conclusioni alle quali è giunta nella presente sentenza, e di garantire che siano rispettate le esigenze degli articoli 8 e 14 della Convenzione».

In attuazione delle prescrizioni della sentenza il Governo ha presentato un disegno di legge  “Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli, in esecuzione della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 7 gennaio 2014” (A.C.2123) con il quale prevede che “Il figlio nato da genitori coniugati assume il cognome del padre ovvero, in caso di accordo tra i genitori risultante dalla dichiarazione di nascita, quello della madre” e che “Se l’adozione è compiuta da coniugi l’adottato assume il cognome del padre adottivo, ovvero, in caso di accordo fra i coniugi risultante da dichiarazione scritta allegata al ricorso per adozione o ad altro atto anche successivo, purché precedente alla pronuncia del decreto di adozione, quello della madre adottiva”.

Ma non basta. E’ stata istituita una Commissione incaricata di trovare una soluzione alle seguenti questioni:

  • Se la dichiarazione di nascita è presentata da uno solo dei genitori, che si fa?
  • Se un solo genitore presenta la dichiarazione di nascita accompagnata da un atto certo con il consenso dell’altro genitore (si presume che la madre abbia altro da fare il primo giorno), basta?
  • In caso di accordo quale deve essere l’ordine dei cognomi, prima quello del padre o prima quello della madre?
  • Se Mario Rossi e Maria Bianchi decidono di comune accordo di dare al primo figlio il cognome Rossi – Bianchi, potrenno cambiare idea al secondo figlio e chiamarlo Bianchi – Rossi?
  • Se i genitori si chiamano Mario Rossi Verdi e Maria Gialli Neri, il figlio potrà chiamarsi Rossi Verdi Gialli Neri o i genitori devono scegliere un solo cognome da trasmettere?
  • Se i genitori sono in disaccordo, per superare la disposizione che prevede l’attribuzione del solo cognome del padre che sa troppo di maschilismo, chi decide? Un giudice? E in base a quali parametri? Lanciando una monetina?
  • Se i genitori sono d’accordo sia nell’attribuire il doppio cognome, sia per l’ordine dei due cognomi, quando il loro figlio avrà, a sua volta, un figlio concepito con una donna che, a, sua volta, avrà due cognomi, questo nuovo pargolo avrà di default quattro cognomi o i genitori dovranno scegliere con un accordo ancor più complicato di quello dei nonni?
  • Se l’adottato ha già due cognomi, potrà ricevere entrambi i cognomi dei genitori adottivi?

Queste sono le prime domande che mi vengono in mente, ma ognuno dei lettori ne potrà trovare altre e più numerose, le variabili sono tante e crescono con il passare delle generazioni.

Aggiungo, fra parentesi, che già oggi, a legislazione vigente, il figlio che vuole aggiungere al cognome del  padre quello della madre può farlo semplicemente con una domanda alla Prefettura, praticamente sempre accolta.

Dicono che ciò è necessario per l’effettiva parità uomo – donna. Ma a che prezzo?

Ed è di questo che gli italiani hanno bisogno?

Francamente non lo so.

L’Italia è il Paese della burocrazia. Ma basta riderci sopra…..

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