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Giocare coi fusi orari non fa bene. Alle 11 per ammazzare il tempo, sono salito sulla terrazza con i chioschi ristoranti dello aeroporto di Hong kong. I noodles in brodo di pollo con verdure e involtini primavera. Così, a pancia piena, ho rifiutato il pasto sul volo per la Birmania e…mi sono addormentato di colpo.
Yangoon appena vista. Siamo arrivati quasi alle cinque del pomeriggio e, fra formalità, passaporto, cambio di valuta, conoscenza con la guida che, storpiandone il nome, chiamerò Mio, siamo pronti una ora e più dopo.
Tutti stanchissimi anelavano albergo e doccia. Ci gela la proposta, praticamente non rifiutabile, di Mio. “Per andare in albergo ci vuole quasi una ora di bus, poi vorrete farvi una doccia, naturale, ma il ristorante che ho scelto di trova a quaranta minuti dallo albergo. Faremo notte. Considerate che domattina si parte alle 6.20 per aeroporto, ché alle 8 c’è il volo per il lago Inle. Quindi, vi consiglio di andare prima al ristorante e poi in albergo” . Dobbiamo accettare. Vedo dal finestrino del bus sfilate gli ampi viali uguali in tutte le capitali orientali, un traffico che, al confronto il raccordo anulare è una strada a scorrimento veloce. Per stasera, ristorante, niente turismo. Mio ha fatto una buona scelta, il Padonmar si rivela buono. Solo cucina birmania. Zuppa di lenticchie, melanzane, zuppetta di pollo e zuppetta di pesce, integrati dal solito riso e da ottime verdure, il tutto in un giardino tranquillo.
Mezz’ ora di bus e troviamo lo albergo Reno dove ci aspetta Daniele di “Viaggi Solidali” . Regalino di benvenuto (borraccia NON di plastica, cartina, una pezza di stoffa tipica). Un buon albergo, un tre stelle da noi. Ma la stanchezza è tanta e la prospettiva di partire l’indomani poco dopo le sei non ci sorride, e ce ne andiamo a dormire.
La vera vacanza comincia domani.

Di solito si viaggia per vedere posti nuovi. Spesso i viaggi sono lunghi. Si passa attraverso tappe nuove e ignote. Magari quasi due giorni di viaggio.
Eppure c’è un filo rosso che congiunge casa tua con la meta. Almeno nella parte di mondo a noi più nota il processo di standardizzazione dei luoghi di transito è ormai realtà.
A cominciare dai nomi delle stazioni delle metropolitane che, in tutta europa son scritte con lo stesso font.
Ho preso il treno alla stazione ferroviaria di Riga senza esitazione. Gesti e procedure sono le stesse.
Negli aeroporti che sono luoghi vieppiù complicati: oltre i biglietti, check in, bagaglio a mano, bagaglio di stiva, articoli che devono per forza andare nell’uno o nell’altra, controlli di sicurezza, gate, livelli….. eppure lo aeroporto di HongKong, quanto alle procedure non è molto diverso da quello di Fiumicino. Anche a dispetto dell’inglese usato come lingua veicolare fra me e gli addetti cinesi che, entrambi, lo conosciamo poco.
Le stazioni della Metro come gli aeroporti sono luoghi protetti e sicuri. I guai iniziano, e la scoperta del nuovo, comincia, quando si esce.

I guai comincers

Il tempo, abbiamo tempo, abbiamo perso tempo, non abbiamo più tempo. Il tempo passa, il tempo corre. Le lancette vanno in un senso solo, lentamente, troppo lentamente quando si aspetta qualcosa di bello che deve arrivare, troppo velocemente quando siamo attesi ad un appuntamento spiacevole.
Eppure, per me, c’è una condizione di tempo fermo, immoto, che scorre pur stando fermo.
Il tempo ha bisogno di riferimenti, di un prima di un dopo. il “che ora è” funge da spartiacque fra il prima e il dopo. Ma, certe volte, pare non ci sia un prima o un dopo e neppure un “che ora è”.
Mi trovo in una di quelle situazioni. Certo ci vuole un bello straniamento dalla realtà. Elementi? Lungo viaggio aereo verso est. Il giorno si comprime. Era meriggio, è subito notte. Le luci si spengono. Silenzio. La temperatura cala. Tutti avvolti nelle coperte. Si dorme, un piccolo pisolino. Ma quanto tempo ho dormito? La convenzione delle lancette di un orologio mi dice 30 minuti. È un tempo solo mio, però. Ma che ora è? Non lo so. E non posso saperlo. Siamo in volo da poco più di quattro ore, partiti a mezzogiorno, ma fuori è notte fonda. Per il mio primo orologio sono le 16.30. Per il mio secondo orologio sono, come ad HongKong, dove scenderemo, le 23.29, quasi mezzanotte. Arriveremo alle 06.20, ora locale, 11 ore più 7 ore di fuso. Poi quasi otto ore a Hong Kong, si riparte per la destinazione finale, Yangon, ma in senso inverso, il tempo si distende. Ripartiamo alle 14.25, ora di Hong Kong , arriviamo alle 16.20, ora birmana. Due ore? No, 3 ore e 25 minuti. “Guadagnamo” due ore di fuso tornando indietro. Non ho fatto il calcolo del tempo totale. Servirebbe? Ho quattro punti temporali di riferimento: l’ora italiana, l’ora di Hong Kong, l’ora birmana, il mio tempo, il mio ritmo cicardiano. A quale dare retta? L’organismo si ribella, non combatte per avere il necessario riferimento. Il tempo si ferma. Il dondolio dell’aereo concilia lo stato di torpore in cui io e, mi pare, altri 300 passeggeri sono sprofondati.
Cerco di bere molta acqua, così mi hanno consigliato, ma lo consigliano anche quando si ha il raffreddore. Guardo un film, sonnecchio, leggo un libro di Cottarelli sugli errori della economia italiana, passo il tempo. Già, ma quale e quanto tempo? Sarà giorno e tempo di scendere nell’antica colonia cinese, ma il mio tempo dirà che da poco è passata la mezzanotte. Ma non è più il mio tempo. Il tempo ha compresso una lunga notte invernale in poche ore. Mi devo rendere conto che quando io mio tempo comincerà a reclamare il giusto sonno notturno, sarà, invece, tempo della prima colazione. E non sarà finita. Poi il tempo starà fermo per un po’ e poi si allungherà.
Intanto il resto del mondo vive la sua vita con i sui punti di riferimento, ignaro di quelle 300 persone che, momentaneamente, ne sono stati privati.

Oggi tutti corrono. Tutto e subito. Tutto calcolato al millesimo. Coincidenze ferroviarie, aeree stradali, studiate a tavolino come piani di guerra. Massimizzare la vacanza, dicono. Se vuoi fare una vacanza in Mozambico devi eliminare tutti i tempi morti: trova il volo più diretto e veloce, le coincidenze più coincidenti.
È vero si ha sempre meno tempo e il tempo non va sprecato, dicono. Ma perché, il tempo fra la partenza e l’arrivo non è esso stesso viaggio o vacanza.
Sono in una condizione fortunata. Da poco sono in pensione e il fattore tempo non è più così stringente.
Oggi ho goduto di cose, di piccole cose, non strettamente attinenti al viaggio, che mi hanno piacevolmente riempito la giornata.
L’aperitivo al nuovo piano bar di Termini, leggendo una novella di Camilleri sui Capponi a Natale.
Il treno semideserto che mi portava nella capitale morale mi ha regalato il tempo per fare ancora gli auguri agli amici via telefono e una simpatica conversazione con una coppia dai rapporti complicati: lui milanese, lei romana, lui lavora a NewYork, lei fra Londra e Madrid. Hanno fatto un monumento a Skype e indotto a riflettere sulla nuova meglio gioventù.
Ho scoperto, poi, i binari 1 e 2 della Stazione Centrale. Non so se costruiti apposta così o ricordo del tempo che fu.
Mi sono concesso una stanza nell’hotel dentro l’aeroporto. Fra essa e il banco del check in meno di dieci minuti. La prima volta, comunque, che gironzolò per un grande aeroporto senza l’ansia di fare presto (quella verrà domani), scegliere di fare uno spuntino in uno dei tanti punti di ristoro dell’aerostazione, tornare indietro, prendere un’ascensore e ritrovarmi nel corridoio della mia stanza.
Un po’ di TG nel megaschermo, un film e queste parole.
Domani. Domani inizierà con una ottima (spero) colazione senza fretta, dieci minuti di cammino e consegnerò il borsone al check in, conoscerò i miei compagni di viaggio e un lungo, lunghissimo volo mi porterà a Hong Kong. Kindle, cuffiette, lettura della guida, chiacchiere riempiranno il tempo.
Prima di riprendere l’aereo che, giocando fra i fusi orari, ci riporterà indietro a Yangon, avremo sei ore di stop. Stessa situazione di sedici anni fa. Allora impiegammo queste sei ore per una vacanza supplementare e imprevista: un giro ad Hong Kong. Ma stavolta ho paura che rimarremo in aeroporto: non vorrei che una improvvisa manifestazione degli studenti ci facesse perdere l’aereo.
Bah, penso che mi metterò a dormire.

Continua…..

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