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Trump è sempre sulle prime pagine dei giornali e dei TG per il suo atteggiamento apparentemente ondivago e non comprensibile. Eppure era già tutto scritto. Anche se non lo ha mai ufficialmente adottato, Trump sta seguendo pedissequamente il “Project 2025” lanciato nel 2022 dalla Heritage foundation, progetto caro al vice Presidente J.D. Vance e all’ultradestra USA.

Ne ho già scritto nel febbraio di quest’anno quando si vedevano le prime avvisaglie, ma ora è lampante quanto questo programma abbia influenzato i primi sei mesi dell’attività di Trump. E, leggendolo, potrà capirsi perché e dove vuole andare a parare.

Ripropongo l’articolo nel riassunto che ne fa l’Istituto Affari Internazionali che ben ne disegna i fini.

Per chi volesse ulteriormente approfondire, segnalo il libro di David A. Graham “The Project”, acquistabile su Amazon a questo indirizzo: https://www.amazon.it/dp/8832967006/

Anche se Trump non ha mai ufficialmente “adottato il  “Project 2025” della Heritage foundation, molte delle sue azioni sono basate proprio su questo progetto iper conservatore.
Il Project 2025 consta di oltre 1000 pagine. Uno dei migliori riassunti trovati in rete è quello dell’autorevole Istituto per gli Affari Internazionali che vi ripropongo integralmente.
Lo articolo è del maggio 2024, prima dell’elezione di Trump. Vedrete bene, leggendolo, quante indicazioni del project 2025 sono state già attuate.


  The Project 2025: un’agenda conservatrice per il futuro dell’America
Il team di Jefferson
22 Maggio 2024

Nel panorama politico degli Stati Uniti, il 2024 sembra essere un’epoca di déjà vu elettorale. Come nel sequel di un film che ha mantenuto i suoi protagonisti, gli Stati Uniti si preparano a un’altra campagna elettorale presidenziale con gli stessi contendenti del 2020.
A cambiare significativamente è invece il contesto sociale americano, ormai molto diverso dallo scenario pre-Covid durante il quale Trump e Biden si sono confrontati per la prima volta. Con le tensioni in corso in Europa e Medio Oriente a complicare il panorama politico internazionale, una crisi migratoria al confine sud degli Stati Uniti e la ridiscussione in atto in molti stati del diritto all’aborto, entrambi i candidati devono procedere con estrema cautela.
Da una parte, Joe Biden ha adottato una strategia focalizzata sull’idea di difesa della democrazia dalla minaccia Trump. Dall’altra, il tycoon mette in guardia i suoi sostenitori da altri quattro anni dalle politiche del Presidente in carica, che identifica come le cause del declino americano. La linea d’azione scelta dell’ex-inquilino della Casa Bianca si fonda proprio su un presunto dovere Repubblicano di riportare gli Stati Uniti a godere del benessere economico e sociale che le amministrazioni democratiche hanno distrutto negli anni.
In pratica una rielaborazione del “Make America Great Again”, ma aggiornata al quadro politico attuale, con il dito puntato contro Biden e non più contro Obama. Stavolta però, il piano di riconquista del potere ha un nome ben preciso, un manifesto e degli obiettivi da raggiungere. Si chiama “Project 2025”, e sulla pagina ufficiale di questo manuale per la ricostruzione del Paese è illustrato il progetto di transizione dal nocivo Governo liberale, verso un’America conservatrice, che inizia con l’elezione di Trump a Presidente. Il percorso poggia su quattro fondamenta essenziali che lavoreranno sinergicamente per preparare il terreno a un’amministrazione conservatrice di successo: l’agenda politica, la selezione di un personale adeguato, un programma formativo e un piano operativo di 180 giorni.
Promosso finanziato e reso possibile da The Heritage Foundation, che vanta un lungo impegno nella storia politica dell’America Repubblicana nello sviluppare una serie di policy note oggi come “Mandate for Leadership”. Queste proposte hanno giocato un ruolo ai vertici presidenziali, fin dall’Amministrazione Reagan, e sono state particolarmente importanti durante il mandato Trump.
Al vertice del team dietro “Project 2025” ci sono Paul Dans, ex capo dello staff presso l’Ufficio per la Gestione del Personale (OPM) durante l’amministrazione Trump e attuale direttore del Progetto di Transizione Presidenziale 2025, e Spencer Chretien, ex assistente speciale del presidente e direttore associato del Personale Presidenziale, nonché del progetto.
Project 2025: i temi di un’agenda conservatrice
Il manuale del “Project 2025” è il frutto del lavoro di un think thank e presenta uno o più autori con una vasta conoscenza in diverse aree, che analizzano approfonditamente un dipartimento o un’agenzia specifica. I temi trattati sono molteplici e generali: dall’economia, al clima, ai diritti. Allo stesso tempo, sono ben applicabili a specifiche questioni in discussione, in questo momento, negli Stati Uniti.
Sulle politiche ambientali e l’energia si prevede la cancellazione dell’approccio Biden, ponendo fine all’attenzione rivolta al cambiamento climatico e ai sussidi verdi, abolendo i Clean Energy Corp e il Climate Hub Office, revocandone i relativi finanziamenti. Centrale anche il ritiro dagli accordi sul cambiamento climatico, definiti incompatibili con la prosperità degli Stati Uniti.
Per il tema di gestione della salute pubblica si propone un abbandono del ruolo del governo nella promozione della salute pubblica per bambini e adulti americani, facendo riferimento alla gestione della pandemia di Covid-19 in cui il governo federale viene tacciato di una gestione eccessivamente dettagliata, disinformata e politicizzata.
Grande attenzione viene riservata alla “Family Agenda”, che promette di riportare l’attenzione verso una struttura familiare ideale, votata al diritto dei bambini di essere cresciuti dagli uomini e dalle donne che li hanno concepiti. Viene enfatizzato il concetto di famiglia tradizionale, con una critica esplicita verso qualsiasi altra forma di genitorialità che vada oltre il concepimento tradizionale. A questi presupposti viene bizzarramente legato il discorso delle malattie sessualmente trasmissibili e le gravidanze non desiderate, che si propone di prevenire rafforzando il concetto di matrimonio come possibile strategia di prevenzione dei rischi sessuali. Per quanto riguarda invece i diritti LGBTQ+, si parla di revocare le normative che vietano la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere, dello stato transgender e delle caratteristiche sessuali. Questo porterebbe a una pericolosa e consequenziale legittimazione del razzismo di genere persino sul luogo di lavoro. Inoltre, si prevede una stretta anche nelle politiche anti-abortiste, con l’obiettivo di garantire una proliferazione delle policy pro-life e una limitazione del diritto di scelta nelle future legislazioni.
Grande chiusura mostrata anche nelle proposte sulle politiche migratorie, che prevedono una chiusura dei confini e una gestione rigida dell’enorme flusso di immigrati ai confini messicani.

Tra le tematiche affrontate in questa guida, il punto a cui viene data maggiore importanza, è l’ufficio della Casa Bianca, di cui parla nel primo capitolo Rick Dearborn, ex vicecapo di gabinetto di Trump, focalizzandosi sulla necessità di una concentrazione dei poteri nelle mani del Presidente. Inoltre, si parla del Dipartimento di Stato e del Dipartimento di Giustizia, come organi suscettibili a influenze poco raccomandabili e predisposti a dissentire dalla visione di un presidente conservatore.
Il progetto e la campagna Trump
Il progetto ha recentemente coinvolto oltre 100 partner della coalizione per il suo consiglio consultivo. Il raggiungimento di questo traguardo consentirà loro di concentrarsi maggiormente sullo sviluppo del piano operativo di 180 giorni di regolamenti e decreti presidenziali che Trump potrebbe attuare una volta insediato in carica.
È necessario sottolineare però, che il Progetto 2025 non è vincolato esclusivamente a un’unica figura politica come Trump o alla sua amministrazione. Al contrario, si propone di sostenere qualsiasi candidato o futuro Presidente che abbracci i principi e l’ideologia conservatrice su cui si basa il progetto. Questa flessibilità evidenzia il suo scopo più ampio di promuovere e implementare politiche in linea con i valori conservatori, indipendentemente dall’individuo al potere. Allo stesso tempo, la campagna di Trump ha cercato più volte di prendere le distanze da gruppi come il Project 2025, ma molte delle sue proposte sono basate su reali commenti passati di Trump. Questa dinamica rappresenta dunque una sfida per il team di Trump, che tenterà fino a novembre di non legarsi alle posizioni più controverse, che potrebbero rivelarsi dannose per la campagna.

Leggo e ascolto quello che sta succedendo in Libia. Guerra, come al solito. Al Serraj contro Haftar, come al solito, milizie contro milizie, tribù contro tribù.

Non c’è niente di sicuro tranne il competo fallimento dell’occidente di esportare la Democrazia (sì quella sul modello ateniese) sulla punta delle baionette.

Noi occidentali siamo fermamente convinti (nonostante le attuali prove contrarie in Turchia, Russia, Polonia, Ungheria,) che il nostro modello di Stato unitario governato democraticamente(!) da un Parlamento con la divisione di poteri eccetera eccetera, sia il miglior modo di condurre i popoli verso il futuro.

Ebbene abbiamo gli occhi foderati di prosciutto. Il nostro modello ci viene dall’antica Grecia di cui noi tutti occidentali siamo figli. Ma non è detto che sia l’unico e il migliore. Tante popolazioni sono abituate ad autogovernarsi con sistemi diversi: consiglio tribale, consiglio dei saggi e a risolvere le questioni fra differenti gruppi con la guerra. Noi abbiamo ripudiato la guerra circa 71 anni fa, ma, fino ad allora, il ministro della Difesa si chiamava Ministro della Guerra. E la guerra era uno strumento accettato e accettabile per risolvere i conflitti fra i diversi gruppi, tribù, etnie.

L’occidente ha campato a lungo sull’ordine imposto con la forza da Dittatori come Saddam Hussein e Gheddafi. Una volta rimossi, ecco il caos.

Non sarebbe meglio un ripensamento? Lasciare ai popoli la libertà di scegliere il loro modo di governarsi? Consiglio tribale, Consiglio di tribù, etc?

L’occidente potrebbe imporre il suo peso accettando nei contatti fra Unione europea, organizzazioni internazionali, Stati sovrani solo quelli condivisi da un organo locale deputato ai rapporti esterni. Penso, per fare un esempio, alla deliberazione di un Consiglio dei Saggi, alla deliberazione di una assemblea di capi tribù, alle determinazioni di un rappresentante unico delle diverse etnie?

Sarebbe una sorta di autodeterminazione dei popoli.

Non dobbiamo essere troppo presuntuosi: il nostro modo di governo potrebbe non essere universalmente accettato. Vedi in India, dove il nazionalista Modi ha introdotto una contestatissima legge sulla cittadinanza che favorisce gli indù e discrimina i musulmani. Oppure in Myanmar o Birmania dove la odissea dei Rohinga è sacrificata alla unità del Paese ed al ripristino di un tantino di democrazia.

Dobbiamo convincerci che i percorsi ed i cammini possono essere diversi da quelli che noi riteniamo scontati.

Ovviamente non ho soluzioni, né “consigli”. Sono, come voi, tanto impregnato del concetto di democrazia ateniese che non riesco ad esser lucido considerando altri modelli.

 

Discorso agli ateniesi 461 a.c. Pericle –

Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.

Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.

Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.

Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.

E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.

Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.

Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.

Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso,

la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

Qui ad Atene noi facciamo così

 

 

Sicuramente tutti sapete cosa è successo poco più di un mese fa in Kashmir, la regione al nord dell’India che confina con il Pakistan.

Un po’ di storia: Nel 1949 l’impero britannico lasciò l’India e vi fu quella che gli indiani chiamarono “la partizione”. A est e ad ovet due stati a maggioranza musulmana: il Pakistan occidentale (attuale Pakistan) e a est il Pakistan orientale (attuale Bangladesh). Al centro il continente indiano a maggioranza indù.

Milioni di persone si mossero per andare nei luoghi “assegnati” per la loro religione. Migliaia morirono in conflitti interetnici. Particolarmente tesa la situazione fra India e Pakistan, con tre guerre di cui non è stato mai firmato il trattato di pace. Ed ancor più tesa la situazione in Kashmir, sede del principato Mugul a cui fu lasciata la scelta se andare con i Pakistan o con l’India. Il sovrano Mugul dell’epoca decise che il suo territorio, a maggioranza musulmana, sarebbe rimasto quasi tutto in India.

Fin ora il Kashmir indiano era parte dello Stato Jammu & Kashmir all’interno della federazione indiana e comprendeva anche il territorio del Ladakh, a maggioranza buddista.

Per preservare la maggioranza musulmana il Kashmir aveva uno statuto speciale: i non nativi non potevano acquistare immobili e non potevano assumere cariche pubbliche.

In Kashmir, da anni, con la scusa di possibili sconfinamenti e ripresa della guerra indo-pakistana erano stanziati migliaia e migliaia di soldati indiani, ovviamente non kashmiri e visti dalla popolazione locale quasi come forza di occupazione.

Poco più di un mese fa, il premier indiano, l’ultranazionalista indù Narendra Modi, (campione di democratura) ha tolto al Kashmir lo statuto speciale   con il rischio di scatenare una nuova guerra. Solo misure drastiche come la chiusura di internet, di tutti i mezzi di informazione, della stampa, della TV, dei movimenti delle persone, del coprifuoco ha fin ora scongiurato l’esplodere delle violenze.

Voglio qui lasciare spazio ad un “reportage” di due amici esperti e frequentatori del Kashmir, attualmente in Ladakh che, con mezzi di fortuna, hanno fatto uscire questo racconto allucinante:

La vita qui in Ladakh continua come se niente accadesse in Kashmir. Le nostre frequenti richieste di opinioni sulle conseguenze di quanto successo i primi giorni di agosto e sulla tragica situazione che attanaglia da allora Srinagar e il Kashmir, ottengono risposte  quasi sempre vaghe. Li sollecitiamo con i nostri timori sulla indeterminatezza del futuro del Ladakh nella nuova veste amministrativa di Territorio dell’Unione dipendente direttamente dal governo centrale di Delhi. Li provochiamo esprimendo sdegno per le sorti della popolazione kashmira che è ancora oggi, dopo 25 giorni, bloccata dal coprifuoco e isolata dall’assenza di comunicazioni telefoniche e internet, e per i 2300 arresti preventivi ( cifra da fonti estere, credibile visto che li Times of India ne ammette ufficialmente 500 sulle sue pagine) di tutti i politici o comunque impegnati in attività di contrasto all’ occupazione militare indiana, religiosi compresi. Le leggi di polizia consentono l’arresto preventivo fino a 2 anni per motivi di ordine pubblico e ciò ha consentito di riempire,senza giudizi preventivi, carceri e luoghi a tal fine adattati non solo in Kashmir ma a prestito anche carceri di altri stati indiani. Noi non nascondiamo ad ogni confronto il nostro sconcerto e chiediamo provocatoriamente se considerino tutto questo un prezzo equo per l’autonomia dal Kashmir che il Ladakh otterrà formalmente dal 1 ottobre 2019. Anche le persone che conosciamo più superficialmente non riescono a nascondere un po’ di imbarazzo nel rispondere, ma alla fine il ritornello è: era da 70 anni che aspettavamo questa separazione ed ora è realtà. Solo le persone di cui conosciamo l’intelligenza e l’ integrità non possono tacere una forte preoccupazione per quanto succede in Kashmir e per le ripercussioni che quelle sorti avranno qui. Pensano a tutta la comunità ladakha musulmana, da sempre vicina di casa, e a come reagiranno nel caso di uno conflitto aperto fra i loro fratelli Kashmiri e la comunità buddista in quanto ormai, per forza di cose, alleata del partito hindu di Modi. Osservano con preoccupazione la drastica diminuzione dei commerci kashmiri che sostengono  la povera economia agricola dei queste valli pietrose per tutti i mesi estivi e che ora, con il coprifuoco, costringe i ladakhi a comprare merci che arrivano dall’unica  altra strada di collegamento con le pianure indiane, quella da Manali. Il percorso è più lungo e accidentato ed i prezzi delle merci sono ovviamente aumentati.

Anche il turismo vive questa paura. Nelle ultime settimane l’eco di questa destabilizzazione ha scoraggiato alcune agenzie soprattutto indiane ed i cambi obbligati all’ultimo momento degli itinerari che comprendevano Srinagar ed il Kashmir non ha certo favorito nuovi arrivi. La dfferenza con lo stesso periodo dello scorso anno è palese.

La tv locale, negli unici telegiornali a noi accessibili perché con qualche titolo in inglese, in alcuni pseudo spot che loro chiamano News, citano la ripresa della normalità di scuole e collegamenti  con immagini sempre identiche, di repertorio. Poi approfondendo nei discorsi  scopri che si riferiscono sempre a singole zone limitate soprattutto nell’area di Jammu, cioè la parte hindu e lontana da Srinagar. Coloro che ci tornano per lavoro o per rivedere le loro famiglie riportano scene sempre identiche :

la città con scuole, uffici, moschee e negozi chiusi, permesso di circolazione, nei pressi dell’abitazione solo nelle prime ore del mattino per procurarsi il cibo, e circolazione veicoli  dall’esterno solo nelle ore notturne. Gli ospedali funzionano solo per i casi gravi ed urgenti, le medicine ormai scarseggiano ovunque perché le farmacie non hanno più gli approvvigionamenti. La chiusura della città vale anche per i parlamentari di Delhi, quelli dell’opposizione a Modi. Qualche giorno fa Rahul Gandhi e altri componenti del partito del Congresso, arrivati all’aeroporto di Srinagar per una visita nella zona, si sono visti sbarrare le porte in uscita e sono stati obbligati a riprendere un volo per Delhi: motivi di sicurezza !!!! Mica male  per un paese con un regime parlamentare democratico!

La stampa poi, mi riferisco al Times of India, testata nazionale, nel sostanziale silenzio sulla realtà dei fatti, pubblica in prima pagina articoli che  alimentano la paura e la diffidenza verso il Pakisthan: stato di allerta sulle coste del Gujarat per notizie dai servizi segreti di barche provenienti dalle coste pakistane con terroristi pronti ad azioni violente; rapimenti e matrimoni forzati a danno di ragazze di religione sikh nel Punjab pakistano da parte di famiglie musulmane; rifiuto di Modi verso la proposta di mediazione da parte di Trump per le ricomporre il conflitto con il Pakistan sul Kashmir con la motivazione che queste possono essere risolte bilateralmente e che lui non vuole “creare problemi a nessun’altra nazione”!!!

Solo qualche piccola testata indipendente kashmira, rintracciabile in un unico rivenditore di Leh, fornisce dati e dettagli che fanno rabbrividire: di oggi il numero di 4500 degli arrestati dal 5 di agosto grazie alla nuova legge sugli arresti preventivi per motivi di sicurezza pubblica.

Quali siano i prossimi passi della strategia di Modi è difficile da immaginare  per noi. Tuttavia un dubbio ci coglie inevitabilmente riguardo un possibile obiettivo della sua smisurata ambizione, anche osservando la progressione dei movimenti di uomini, mezzi e armi pesanti  in queste settimane. (Nella zona sembra siano ora presenti circa 500 mila soldati).Nel 1947, tre mesi dopo l’indipendenza dall’Inghilterra e la partition fra India e Pakistan , a fronte di un tentativo del Pakistan di invadere l’allora piccolo regno indipendente del Jammu e Kashmir, anche per vendicare un eccidio di massa sui musulmani nella zona di Jammu, l’India inviò il suo esercito, fermò  le  incursioni dello nuovo stato islamico e quale ricompensa per l’aiuto ottenne dal Re Hari Singh il consenso all’ annessione del suo regno alla neonata confederazione indiana, [sempre contestato dal Pakistan]. Il Primo Ministro Modi nei suoi discorsi proclama di voler ricostruire “un’unica India con un unica Costituzione” ma quali sono i confini  che ha in mente? Ogni supposizione espansionistica sarebbe in perfetta sintonia con la megalomania del personaggio.”

Nel nostro mondo, già così poco sicuro, è una bomba (nucleare, visto che sia India, sia Pakistan la posseggono) pronta a scoppiare.

Qui, assorti nella fine del governo gialloverde, nella possibile nascita di un novo governo giallorosso, siamo distratti. Queste notizie non arrivano o arrivano attutite. eppure se il conflitto esplode ne pagheremo le conseguenze tutti noi. Spero di sbagliarmi……

Sono molto preoccupato per una frase che sta tornando di moda: io sono eletto dal popolo e, quindi, sono superiore a qualsiasi carica non elettiva.

La mia memoria di vecchietto va a Craxi e Berlusconi che, pure, adottavano una tattica simile.

Salvini, come eletto dal popolo, diffida i magistrati, non eletti, ad indagare su di lui. Di Maio, di fronte ai warning delle agenzie di rating, pomposamente afferma che lui, fra le agenzie di rating e gli italiani, sta con gli italiani che lo hanno eletto; Maurizio Belpietro – a Otto e mezzo  del 13 settembre scorso – giudica offensivo il richiamo di Draghi, non eletto, al Governo italiano, eletto dal popolo. E, ancora, L’Europa non può giudicare le Nazioni, a proposito del voto del Parlamento europeo sull’operato del Governo Orban.

Se io sono eletto e ho il consenso – questo è il senso – sono al di sopra delle regole e posso fare quello che voglio.

Ragionamento molto pericoloso perché ci sono regole poste proprio affinché chi ha il potere non infranga le regole del gioco democratico. E queste regole sono state poste non da terzi, ma dagli stessi attori della democrazia, in atti o Trattati di rango superiore come la Costituzione.

Bene ha fatto Mattarella a ricordare che è stata la Costituzione a volere che i magistrati non siano eletti, proprio per non essere costretti a promettere o schierarsi in competizioni elettorali.

I Capi di Stato e di Governo, loro eletti e rappresentanti del popolo, sottoscrissero il Trattato dell’Unione europea che stabilisce le modalità di nomina del Presidente della Banca Centrale europea e i suoi compiti, compiti che oggi Mario Draghi ha esercitato richiamando l’Italia all’osservanza delle regole imposte da quel Trattato liberamente sottoscritto e accettato.

Lo stesso Trattato con le sue regole che l’Ungheria ha accettato quando, per sua richiesta ha voluto entrare nell’Unione europea. Ben ha fatto, quindi, il Parlamento europeo, organo anch’esso eletto direttamente dal popolo europeo, a stigmatizzare il distacco del governo di Orban da quelle regole.

Se entri nel gioco politico democratico devi accettarne le regole, se non le rispetti, entri nella pericolosa deriva che porta forse alla democratura, forse alla dittatura e, certamente, non potrai pretendere il rispetto degli altri partner che con tali regole ancora giocano.

Gli esponenti di spicco di questo Governo, poi, pretendono la sudditanza in nome della loro elezione da parte del “popolo sovrano”. Ma – forse – non considerano una cosa, una cosa importantissima. Salvini e Di Maio sono stati eletti sì, ma sono stati eletti come parlamentari al pari di Brunetta, di Renzi, della Bonino, della Gelmini. Nessun elettore ha dato loro l’investitura per governare così come lo stanno facendo. anzi, a voler essere onesti l’elettore leghista ha dato il suo consenso a Salvini perché mai governasse con Di Maio. L’elettore cinquestelle ha dato il suo consenso a Di Maio perché mai governasse con Salvini. L’attuale Governo ha dunque tradito gli elettori che hanno votato i singoli parlamentari e si regge su un programma ben diverso da quello presentato agli elettri PRIMA delle elezioni ed, in molte parti, con esso contrastante.

PRIMA delle elezioni i cinquestelle tuonavano contro la flat tax e i leghisti contro il reddito di cittadinanza.

Forse proprio loro non dovrebbero parlare di legittimazione popolare.

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