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Ieri si è chiuso il primo ciclo di consultazioni al Colle. Risultato ZERO. Posizioni, almeno quelle espresse, inconciliabili.

Quello che ha stupito molti è stata la lunga dichiarazione di Di Maio sul “contratto” offerto a PD e alla Lega, in alternativa. Non a Forza Italia perché lì c’è l’uomo nero con cui non si parla, anche se, in un sistema elettorale basato su coalizioni, mi pare eufemisticamente presuntuoso dire che “non riconosco una parte della coalizione” che, in pratica, ha vinto e tutti i suoi eletti nella parte “maggioritaria” erano candidati comuni di Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e “quarta gamba”

A parte la follia di offrire a due partiti, PD e Lega, fra loro inconciliabili, una base comune di accordo, l’offerta non mi stupisce. E’ la versione riveduta e corretta di quanto affermato in campagna elettorale dai grillini. Se non avremo la maggioranza assoluta, andremo come Governo in Parlamento e governeremo con chi ci sta.

Poi, forse, qualcuno ha spiegato a Di Maio la differenza fra “vincere” ed “essere il partito più votato”, nonché l’impossibilità, per il presidente della Repubblica di conferire un incarico a chi non dispone di una maggioranza in parlamento, sia pur di coalizione.

Sui contenuti del “contratto” neppure una parola, neppure una proposta, se non quelle ripetutamente espresse fino alla noia in campagna elettorale, tipo, onestà, chiarezza, serietà e…quel. reddito di cittadinanza basato sui “lavoratori potenziali” (parole del prof. Tridico, loro candidato al Ministero del lavoro: clicca qui).

Posto che indizi di come far mangiare lo stesso piatto ad un carnivoro e ad un vegetariano, faccio qualche breve ipotesi:

  • Se il contratto è lo stesso, esso NON può essere sottoposto indifferentemente a Lega o a PD. Troppo diversi. Cosa propongono i Cinquestelle, per esempio, sullo ius soli (clicca qui), sulla flat tax (clicca qui), sui nostri impegni con l’Europa (clicca qui) e sull’Euro (clicca qui)? Su questi argomenti Lega e PD hanno opinioni diametralmente opposte.
  • Se il contratto non è lo stesso, proposto indifferentemente a Lega o PD, esso deve essere adattato all’interlocutore che ci sta. Ma questo significa che i Cinquestelle sono disposti ad un triplice salto mortale sui contenuti pur di andare al Governo.
  • Il contratto è già pronto e scritto. Di Maio, in sostanza ha detto: queste sono le nostre posizioni, chi le accetta in toto avrà qualche poltrona…. Ovviamente né Lega, né PD potranno mai accettare di essere, non dico la stampella, ma una zeppa del Governo grillino, dando i loro voti senza poter avere voce in capitolo. Sarebbe la fine del partito che accetta. Ricordiamoci che, quando si cammina male la colpa è della stampella, quando si cammina bene, la stampella si butta.

 

Quindi, forse, nessuna delle ipotesi è quella giusta, tranne forse la seconda: non importa il programma, purché si vada a Palazzo Chigi. Bell’esempio di onestà e di responsabilità.

 

P.S. Di Maio ha anche detto che non riconosce un pezzo della coalizione che ha avuto più voti perché con Berlusconi non si parla e che non ha nessuna intenzione di dividere il PD.

Ovvio, se il PD si divide, con mezzo PD i Cinquestelle non arrivano alla maggioranza, il PD gli serve intero. Invece con la Lega, anche senza Forza Italia, ci arrivano alla maggioranza.

 

Pensate un po’ se davvero Di Maio, in qualche modo, riesce ad arrivare a Palazzo Chigi. Altro che vitalizi, altro che reddito di cittadinanza: dovrà trovare i soldi per vitare l’incremento dell’Iva e delle accise, nonché fronteggiare la manovra economica che a maggio sarà chiesta dall’Unione europea (clicca qui). Auguri!!!

 

Assistiamo in questi giorni, e fino alla convocazione dei Gruppi parlamentari al Colle per le consultazioni, alle “prove tecniche” per un governo Lega-Cinquestelle con Forza Italia socio di minoranza.

I numeri ci sono, le convergenze pure, ma nubi nere si affacciano all’orizzonte ed avvoltoi cominciano a girare in tondo prima ancora che ci sia alcuna preda e, chissà, forse anche loro lasceranno perdere, magari accusandosi l’un l’altro.

Cominciamo da stamattina. La seguitissima trasmissione radiofonica “Radio anch’io” (cliccando qui la registrazione del programma) ha cominciato ad intervistare economisti a raffica che, all’unisono, hanno sentenziato che l’Italia, con il debito pubblico che ha, non può permettersi di spendere un euro in più. Unica voce dissenziente, uno dei fondatori del partito greco Syriza  di Tsipras che ha urlato contro le misure di austerità imposte dall’Unione europea, ma che il suo partito, al Governo in Grecia, segue pedissequamente.

Insomma, altro che flat tax, altro che spese per il rimpatrio dei clandestini, altro che reddito di cittadinanza.

Lo stesso “il Giornale” organo di uno dei partiti vincitori lo riconosce apertamente: (clicca qui) “Tutti lo sanno, ma pochi lo dicono apertamente. Nei prossimi mesi un ipotetico governo dovrà mettere da parte le promesse elettorali per cimentarsi su un unico compito. Difficilissimo. Trovare circa 31 miliardi di euro per evitare l’aumento dell’Iva nel 2019 e nel 2020. Impegno poco gratificante in termini di consenso, visto che si tratta di evitare un danno del passato. Cambiali firmate dal governo Gentiloni, lasciate in eredità agli esecutivi futuri durante la scorsa legislatura e che oggi, né il premier né il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, sembrano volere saldare.

Sono le famose clausole di salvaguardia su coperture incerte che si trascinano dal 2011 e che fino al 2018 sono state evitate. Non nel 2019. Dal prossimo anno l’aliquota Iva ordinaria dovrebbe aumentare dal 23% al 24,2%. Quella agevolata dal 10% all’11,5%. Tradotto, aumenti per la maggior parte dei beni di consumo, dall’abbigliamento agli alimentari

Non solo, ma altra stampa ha dato la notizia che l’attuale ministro dell’economia (in carica per gli affari correnti) Piercarlo Padoan sarebbe intenzionato a non presentare al Parlamento e all’EUROPA, entro la scadenza del 15 aprile, neppure una bozza light del “documento di programmazione economica e finanziaria o DEF” lasciando tutto l’onere e l’onore al Governo prossimo venturo. D’altra parte, può un ministro in carica per gli affari correnti, impegnarsi in scelte di politica economica per i prossimi due anni?

E non è finita. Per maggio, se la Commissione europea non si commuove, attendiamo il giudizio definitivo sulla legge di stabilità per l’anno 2018, approvata a fine 2017 e, pare, che abbiamo sforato di 3/5 miliardi di Euro.

Partiranno i soliti piagnistei, tipo quelli della Giunta Raggi per la quale ogni guaio che succede oggi a Roma è sempre colpa dei suoi predecessori, nonostante a giugno compia due anni di mandato.

Le scelte di politica economica fatte dai Governi precedenti sono comunque frutto di regole comunitarie che liberamente abbiamo accolto o proposto, come la legge costituzionale sul pareggio di bilancio, proposta dall’allora ministro del Governo Berlusconi Tremonti e poi approvata dal Governo Monti.

Staremo a vedere. Ma l’esito mi pare scontato: occhio al portafogli!!!

E… attenti a quei due. Scemi non sono…. forse si metteranno paura e se ne andranno….

Il prof. Pasquale Tridico, potenziale Ministro del lavoro del Governo Cinquestelle, oggi, sul blog delle Stelle, spiega le riforme (clicca qui) che il partito che ha ottenuto più voti alle ultime elezioni intende attuare.

Al primo posto c’è il reddito di cittadinanza che, come ormai abbiamo capito, non sono soldi a pioggia, bensì una integrazione al minimo (a 750 euro) per chi è disoccupato o guadagna di meno, a condizione che si iscriva al centro dell’impiego, manifesti la volontà di lavorare e accetti almeno uno dei tre lavori proposti, “purché siano equi e vicino al luogo di residenza”.

A parte la chimera di poter proporre a ciascuno una rosa di tre possibili lavori equi e vicino al luogo di residenza, c’è una cosa che non riesco a capire e sarei felice se qualcuno mi dia lumi.

Il prof. Tridico afferma: “In sintesi il meccanismo è questo: grazie alla nostra misura almeno 1 milione di persone che attualmente non cercano lavoro ma sarebbero disponibili a lavorare (i cosiddetti ‘inattivi’ e scoraggiati) verranno spinti alla ricerca del lavoro attraverso l’iscrizione ai Centri per l’Impiego e andranno così ad aumentare il tasso di partecipazione della forza lavoro. Questo ci permetterà di rivedere al rialzo l’output gap, cioè la distanza tra il Pil potenziale dell’Italia e quello effettivo, perché 1 milione di potenziali lavoratori saranno di nuovo conteggiati nelle statistiche Istat. Se aumenta il Pil potenziale possiamo mantenere lo stesso rapporto deficit/Pil potenziale, cioè il cosiddetto ‘deficit strutturale’, spendendo circa 19 miliardi di euro in più di oggi. Il reddito di cittadinanza costa 17 miliardi complessivi, compresi i 2,1 miliardi per rafforzare i centri per l’impiego, e potrebbe quindi finanziarsi interamente grazie ai suoi effetti sul tasso di partecipazione della forza lavoro”.

 

Se capisco bene la conclusione è che, attuando questo sistema, la copertura di 19 miliardi [17 per l’integrazione al reddito e 2,1 per rafforzare i centri per l’impiego] si finanzierebbe “da sola”.

Io non sono un economista, ma alcune affermazioni mi lasciano perplesso, perché come le coperture basate sul recupero dell’evasione fiscale, si basano sull’imponderabile.

Prima di tutto il ragionamento si basa sull’assunto che almeno un milione di persone che oggi non lavorano e non cercano lavoro si iscrivano ai nuovi “centri per l’impiego” e che, quindi, saranno di nuovo conteggiati nelle statistiche ISTAT come “alla ricerca di lavoro”.

Ossia tutto si basa su un rinnovato entusiasmo che pervaderebbe chi si è stancato di trovare un lavoro e si iscrive al centro per l’impiego, forse attirato dall’integrazione al minimo dovuta al “reddito di citadinanza” [ma spetta a tutti? Al disoccupato semplice? Al disoccupato che possiede una casa? Al disoccupato che vive ancora con mammà? Niente ISEE?]

 

Questo milione di disoccupati [che disoccupati erano prima e disoccupati sono dopo l’iscrizione al centro per l’impiego] con la sola iscrizione ai centri per l’impiego, potrà far rivedere l’output gap  (la differenza tra il prodotto interno lordo effettivo e quello potenziale) del nostro Paese al rialzo. Ossia, traducendo a spanna [con la possibilità di sbagliare] il ragionamento del prof Tridico, il nostro Paese potrebbe così vantare un possibile nuovo esercito di un milione di persone che cercano un lavoro. Il milione in più è costituito da persone che prima non cercavano lavoro e, ora, lo cercano.

Secondo il prof. Tridico questo milione di potenziali lavoratori in più permetterà di rivedere al rialzo il PIL potenziale del nostro Paese che ci consentirà di spendere diciannove miliardi in più senza sforare i parametri di Maastricht.

Non so se i mercati riusciranno a cogliere la differenza fra PIL effettivo e PIL potenziale. Che io sappia, il rapporto preso in considerazione dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale è il rapporto deficit/PIL e basta, quindi il rapporto fra deficit e PIL effettivo.

Infatti il Patto di Stabilità e crescita fra gli Stati membri dell’UE, poi trasfuso nel trattato di Lisbona e nell’art. 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, testualmente recita:

1. Gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi.

2.La Commissione sorveglia l’evoluzione della situazione di bilancio e dell’entità del debito pubblico negli Stati membri, al fine di individuare errori rilevanti. In particolare esamina la conformità alla disciplina di bilancio sulla base dei due criteri seguenti:

a) se il rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che:

 il rapporto non sia diminuito in modo sostanziale e continuo e abbia raggiunto un livello che si avvicina al valore di riferimento,
 oppure, in alternativa, il superamento del valore di riferimento sia solo eccezionale e temporaneo e il rapporto resti vicino al valore di riferimento;
b) se il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che detto rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato.

I valori di riferimento sono specificati nel protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi allegato ai trattati [3%].”

 

Quindi di Prodotto interno lordo potenziale non se ne parla proprio.

 Secondo me tutto il ragionamento si fonda solo su speranze e congetture al di fuori dei Trattati che ci siamo impegnati ad osservare, ossia:

  1. che un milione di persone si iscriva ai centri per lo impiego attratta non dall’integrazione al minimo, ma dalla reale speranza di trovare un lavoro;
  2. che nessuno rifiuti in toto le tre proposte che i centri per l’impiego faranno loro;
  3. ma soprattutto che per ognuno degli aspiranti ci sia ben più di una concreta proposta di lavoro “purché siano eque e vicine al luogo di residenza” come dice il prof. Tridico.

 

Devo dire che la cosa mi sembra scritta sul libro dei sogni perché l’integrazione al minimo è reale (soldi spesi dallo Stato). Il milione di posti di lavoro equi e vicino casa sono solo auspicabili, ma non sono certi e – secondo me – nemmeno probabili.

 

Visto che tutto il ragionamento del prof. Tridico si basa sull’assunto che la sola iscrizione ai centri per lo impiego faccia aumentare il PIL potenziale, faccio una proposta paradosso a costo ZERO:

  1. ormai l’età per andare in pensione si allunga sempre più e, quindi, le persone una volta anziane sono ora, almeno anagraficamente, abili a lavorare;
  2. ora è possibile che chi usufruisce di una pensione possa cumularla con un reddito da lavoro;
  3. certamente i pensionati non sono conteggiati dall’ISTAT fra le persone che cercano lavoro;

 

Quindi, se tutti i milioni di pensionati sotto i 67 anni (età attuale della pensione di vecchiaia) si iscrivessero ai centri per lo impiego, così per gioco o per trovare un lavoro che integri la pensione, non riceverebbero ovviamente l’integrazione al minimo [costo zero] ma farebbero fare al nostro PIL potenziale un meraviglioso balzo in avanti che ci permetterebbe di spendere miliardi e miliardi, magari per costruire il Ponte sullo stretto o regalare a tutti gli italiani una sostanziosa rendita vitalizia.

 

Chissà…..

 

 

Ma forse sbaglio, o no?

 

 

Onore ai vincitori. I Cinque stelle hanno vinto e con largo margine, soprattutto al centro sud Italia, nelle regioni più depresse e dove maggiore è la disoccupazione.

Gli elettori cercano il nuovo, stanchi della casta; cercano facce pulite. Cercano un nuovo modo di governare.

Vero, ma cercano anche qualche altra cosa, secondo me. L’immagine qui  sotto, presa da Google-trends, mostra una cosa molto interessante: la forte impennata – nell’ultimo mese di campagna elettorale – della ricerca su Google della frase “reddito di cittadinanza” e le regioni italiane da cui è partita la richiesta, tutte quelle del sud.

reddito di cittadinanza

ricerca su Google di “reddito di cittadinanza”

Se ne deduce che gli elettori, dai grillini, si aspettano questo.

La legge impone ai partiti che si presentano alle elezioni di depositare il programma presso il Ministero dell’interno. Quale migliore occasione per magnificare e spiegare questo famoso “reddito di cittadinanza”?  Andando a leggere il programma, disponibile cliccando qui, si rimane un po’ interdetti. Il reddito di cittadinanza (terzo punto del programma) è spiegato così: “oltre 2 miliardi di Euro per la riforma dei centri dell’impiego: facciamo incontrare davvero domanda e offerta di occupazione e garantiamo formazione continua a chi perde il lavoro. Con la flex security le imprese sono più competitive e le persone escono da una condizione di povertà“. Forse qualcosa di diverso dai 1.000 euro al mese garantiti che si aspettano gli elettori.

D’altronde, se si prende per buona la cifra ipotizzata dai Cinquestelle (2 miliardi di euro) e la dividiamo per la somma attesa dagli elettori (1.000 euro al mese) per un anno, i 2 miliardi serviranno ad accontentare poco più di 153.000 persone.

Ho idea che più di un rafforzamento del reddito di inclusione, già approvato da questo Governo e legge dello Stato, non potranno andare.

Ah, pare che Di Maio a Porta a Porta abbia detto che il reddito di cittadinanza dovrà aspettare qualche anno perché prima bisogna riformare i centri dell’impiego.

Da ultimo, oggi (8 marzo) a Bari e a Palermo si sono formate code ai centri per l’impiego di persone che chiedevano i moduli per ottenere il “reddito di citttadinanza”.

reddito cittadinanza programma 5stelle

programma ufficiale 5 stelle e reddito di cittadinanza

 

 

sergioferraiolo

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